— Brevi
La storia dell’Isola delle Rose
Si parla di nuovo della bizzarra micronazione fondata al largo di Rimini negli anni Sessanta, per via del nuovo romanzo di Walter Veltroni
29 agosto 2012
Walter Veltroni ha scritto un nuovo romanzo (L’isola e le rose, Rizzoli), in parte ispirato alla vicenda dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, che dalla fine degli anni Cinquanta fu protagonista di una letteraria avventura geopolitica nel mare della Romagna, che spesso riaffiora nei racconti estivi dei giornali: Rosa si diede da fare per costruire una micronazione nel mare Adriatico, conosciuta come l’Isola delle Rose. I personaggi del romanzo di Veltroni sono quattro ragazzi di Rimini, amici di scuola, tra cui un Giulio che sogna di costruire una piattaforma in mare aperto dove fare incontrare musicisti, poeti, esteti e artisti di vario genere.
Il personaggio di Giulio è chiaramente ispirato a quello di Giorgio Rosa, che nel 1958 ebbe l’idea di progettare una sorta di isola artificiale da collocare al largo di Rimini a quasi 12 chilometri dalla costa e ad alcune centinaia di metri dalle acque territoriali italiane. Rosa era interessato alla sperimentazione ingegneristica e insofferente delle burocrazie immobiliari, ma il progetto prese poi dimensioni più estese. Per un paio di anni, Rosa fece numerosi sopralluoghi nella zona, studiando il sistema migliore per ancorare la sua piattaforma al fondale. Superati alcuni problemi tecnici e finanziari, fu avviata la costruzione della struttura che richiese diversi anni, anche perché a causa delle condizioni del mare e del meteo non era possibile lavorare molte ore alla settimana nei pressi della piattaforma.
I lavori di Giorgio Rosa non passarono naturalmente inosservati e verso la fine del 1966 la Capitaneria di porto di Rimini chiese che i lavori fossero fermati, anche perché diverse aree nella zona erano state date in concessione all’ENI. Anche la polizia si interessò alla vicenda, ma Rosa riuscì comunque a proseguire l’opera di costruzione e nell’estate del 1967 aprì al pubblico la sua isola, anche se c’era ancora molto lavoro da fare per ampliarla e migliorarla. La piattaforma aveva una superficie di circa 400 metri quadrati, era una sorta di grande palafitta, e Rosa dispose l’avvio della costruzione di un secondo piano, per raddoppiare lo spazio a disposizione.
Il primo maggio del 1968 Giorgio Rosa dichiarò unilateralmente l’indipendenza della sua isola artificiale, nominandosene presidente. Chiamò la nuova micronazione “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (“Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”) e la dotò di una lingua ufficiale (esperanto), di un governo e di una propria valuta. Il mese seguente tenne una conferenza stampa per comunicare al mondo la costituzione del nuovo stato. Le autorità italiane non la presero bene, anche perché nacquero diversi sospetti sulla possibilità che la trovata di Rosa fosse uno stratagemma per non pagare le tasse sui ricavi ottenuti grazie all’arrivo di numerosi turisti e curiosi. Fu disposta una sorta di blocco navale intorno all’Isola delle Rose, l’ingegnere ottenne un colloquio con uno dei responsabili del Servizio informazioni difesa, i servizi segreti militari italiani, ma non se ne ricavò molto.
Sempre a giugno, una decina di pilotine della polizia con a bordo agenti e militari presero possesso dell’Isola delle Rose, che in quel momento era abitata solamente dal guardiano e dalla sua compagna. Rosa inviò un telegramma di protesta all’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, senza ottenere risposta. Nelle settimane seguenti ci furono interrogazioni parlamentari e l’invio a Rosa di diverse proposte di acquisto della piattaforma.
Ad agosto il ministero della Marina mercantile inviò alla Capitaneria di porto di Rimini un dispaccio, in cui veniva richiesto a Rosa di demolire la piattaforma costruita al largo di Rimini. L’ingegnere presentò un ricorso che fu respinto e nonostante l’interessamento di alcuni esponenti politici, nel novembre del 1968 a Rimini furono sbarcati a terra tutti i materiali trasportabili trovati sull’Isola delle Rose, in vista della demolizione con esplosivo della piattaforma. Lo smantellamento avvenne nei primi mesi del 1969, la struttura resistette a due diverse esplosioni controllate, ma gravemente danneggiata si inabissò comunque in seguito a una burrasca di fine febbraio.
La vicenda ebbe numerosi strascichi, anche perché non aveva precedenti nella nostra storia giuridica. Le polemiche continuarono anche dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, secondo il quale le pretese di indipendenza e sovranità accampate dai proprietari della piattaforma erano infondate. Anche fuori dall’Italia, si concluse, i cittadini italiani devono sottostare alle leggi statali.
La Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose non fu mai riconosciuta da alcuno stato del mondo nel suo breve periodo di vita. La micronazione aveva come simbolo uno stemma su cui erano rappresentate tre rose rosse, con uno scudo bianco a fare da sfondo. La bandiera era arancione con al centro lo stemma della repubblica. L’inno della micronazione era un brano tratto dalla prima scena del terzo atto dell’Olandese volante, opera di Richard Wagner. La valuta scelta da Rosa e da chi partecipò al governo dell’isola – familiari e conoscenti di Rosa – fu il Mill, con un cambio alla pari rispetto alla lira italiana. La repubblica non produsse mai banconote e monete della propria valuta, ma solamente alcune emissioni di francobolli. Una delle emissioni mostrava la cartina dell’Italia con in evidenza la posizione in cui si trovava la piattaforma
Il personaggio di Giulio è chiaramente ispirato a quello di Giorgio Rosa, che nel 1958 ebbe l’idea di progettare una sorta di isola artificiale da collocare al largo di Rimini a quasi 12 chilometri dalla costa e ad alcune centinaia di metri dalle acque territoriali italiane. Rosa era interessato alla sperimentazione ingegneristica e insofferente delle burocrazie immobiliari, ma il progetto prese poi dimensioni più estese. Per un paio di anni, Rosa fece numerosi sopralluoghi nella zona, studiando il sistema migliore per ancorare la sua piattaforma al fondale. Superati alcuni problemi tecnici e finanziari, fu avviata la costruzione della struttura che richiese diversi anni, anche perché a causa delle condizioni del mare e del meteo non era possibile lavorare molte ore alla settimana nei pressi della piattaforma.
I lavori di Giorgio Rosa non passarono naturalmente inosservati e verso la fine del 1966 la Capitaneria di porto di Rimini chiese che i lavori fossero fermati, anche perché diverse aree nella zona erano state date in concessione all’ENI. Anche la polizia si interessò alla vicenda, ma Rosa riuscì comunque a proseguire l’opera di costruzione e nell’estate del 1967 aprì al pubblico la sua isola, anche se c’era ancora molto lavoro da fare per ampliarla e migliorarla. La piattaforma aveva una superficie di circa 400 metri quadrati, era una sorta di grande palafitta, e Rosa dispose l’avvio della costruzione di un secondo piano, per raddoppiare lo spazio a disposizione.
Il primo maggio del 1968 Giorgio Rosa dichiarò unilateralmente l’indipendenza della sua isola artificiale, nominandosene presidente. Chiamò la nuova micronazione “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (“Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”) e la dotò di una lingua ufficiale (esperanto), di un governo e di una propria valuta. Il mese seguente tenne una conferenza stampa per comunicare al mondo la costituzione del nuovo stato. Le autorità italiane non la presero bene, anche perché nacquero diversi sospetti sulla possibilità che la trovata di Rosa fosse uno stratagemma per non pagare le tasse sui ricavi ottenuti grazie all’arrivo di numerosi turisti e curiosi. Fu disposta una sorta di blocco navale intorno all’Isola delle Rose, l’ingegnere ottenne un colloquio con uno dei responsabili del Servizio informazioni difesa, i servizi segreti militari italiani, ma non se ne ricavò molto.
Sempre a giugno, una decina di pilotine della polizia con a bordo agenti e militari presero possesso dell’Isola delle Rose, che in quel momento era abitata solamente dal guardiano e dalla sua compagna. Rosa inviò un telegramma di protesta all’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, senza ottenere risposta. Nelle settimane seguenti ci furono interrogazioni parlamentari e l’invio a Rosa di diverse proposte di acquisto della piattaforma.
Ad agosto il ministero della Marina mercantile inviò alla Capitaneria di porto di Rimini un dispaccio, in cui veniva richiesto a Rosa di demolire la piattaforma costruita al largo di Rimini. L’ingegnere presentò un ricorso che fu respinto e nonostante l’interessamento di alcuni esponenti politici, nel novembre del 1968 a Rimini furono sbarcati a terra tutti i materiali trasportabili trovati sull’Isola delle Rose, in vista della demolizione con esplosivo della piattaforma. Lo smantellamento avvenne nei primi mesi del 1969, la struttura resistette a due diverse esplosioni controllate, ma gravemente danneggiata si inabissò comunque in seguito a una burrasca di fine febbraio.
La vicenda ebbe numerosi strascichi, anche perché non aveva precedenti nella nostra storia giuridica. Le polemiche continuarono anche dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, secondo il quale le pretese di indipendenza e sovranità accampate dai proprietari della piattaforma erano infondate. Anche fuori dall’Italia, si concluse, i cittadini italiani devono sottostare alle leggi statali.
La Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose non fu mai riconosciuta da alcuno stato del mondo nel suo breve periodo di vita. La micronazione aveva come simbolo uno stemma su cui erano rappresentate tre rose rosse, con uno scudo bianco a fare da sfondo. La bandiera era arancione con al centro lo stemma della repubblica. L’inno della micronazione era un brano tratto dalla prima scena del terzo atto dell’Olandese volante, opera di Richard Wagner. La valuta scelta da Rosa e da chi partecipò al governo dell’isola – familiari e conoscenti di Rosa – fu il Mill, con un cambio alla pari rispetto alla lira italiana. La repubblica non produsse mai banconote e monete della propria valuta, ma solamente alcune emissioni di francobolli. Una delle emissioni mostrava la cartina dell’Italia con in evidenza la posizione in cui si trovava la piattaforma
da: http://www.ilpost.it/2012/08/29/la-storia-dellisola-delle-rose/
IL LIBRO L'utopia possibile dell'Isola delle Rose Veltroni: "Una storia per ritrovare l'ottimismo" Il nuovo romanzo dell'ex segretario del Partito Democratico. "L'Isola e le rose" parte da una storia vera, quella dell'Inzulo de la Rozoj, un luogo dell'arte e della cultura costruito al largo di Rimini alla fine degli anni '60. Un viaggio nella memoria recente del Paese per "saltare fuori dal buio degli ultimi anni", riscoprire vitalità e fondare un nuovo impegno civile di CARMINE SAVIANO Lo leggo dopo APPROFONDIMENTI FOTO L'Isola delle Rose, l'utopia a largo dell'Adriatico SERA d'estate. Fine anni '60. La Rimini di Fellini, l'Italia degli scontri di Valle Giulia, Penny Lane dei Beatles da un juke box. Giulio, Lorenzo e Simone rivivono un rito antico. Fatto di parole, racconti, idee. Quelle idee che "al tramonto vengono meglio". Giulio, il cui motto è sesso, soldi e serenità, stupisce i due amici. Vuole costruire un'isola. Sì, costruirla. L'isola dell'arte, della cultura, un'Atlantide a poche miglia dalla costa italiana dell'Adriatico. Vuole concretizzare la sua utopia, realizzare una manifestazione fisica della bellezza. FOTO L'utopia al largo dell'Adriatico 1 Parte da qui L'isola e le rose l'ultimo romanzo di Walter Veltroni, in libreria per Rizzoli dal 29 agosto. Un anno e mezzo di lavoro, "senza mai rinunciare a una seduta alla Camera o a un'iniziativa politica", dice a Repubblica.it l'ex segretario del Partito Democratico. Immaginazione e ricerche d'archivio. Perché l'Isola delle Rose - meglio: l'Inzulo de la Rozoj visto che la lingua ufficiale era l'esperanto - è realmente esistita, per pochi mesi a poche miglia da Rimini. Uno stato indipendente, opera di Giorgio Rosa, ingegnere bolognese, "un uomo straordinario che ho avuto la fortuna di incontrare". Tutto nasce googlando. "Navigavo in rete quando mi sono imbattuto in questa storia", continua Veltroni. Poi le ricerche. E l'Isola come punto di partenza, come pretesto possibile, per raccontare quell'Italia di fine anni '60, un Paese che viveva una "straordinaria stagione di conquista di spazi civili, di libertà, una stagione in cui venivano abbattuti muri e barriere". Un momento a cui ancora oggi, "dobbiamo molto". L'ex sindaco di Roma lo dice con chiarezza: "In quegli anni la domanda di libertà era fortissima". E, certo, "allora era più facile perché c'erano molti spazi da conquistare. E i sogni venivano concretizzati, calati nella realtà". I diritti dei lavoratori, l'aborto, il divorzio. Conquiste che partono da quel periodo. LA STORIA DELL'ISOLA DELLE ROSE 2 Una dinamica che oggi, nell'Italia appena uscita dal sogno a occhi aperti del berlusconismo, non è impossibile ritrovare. Perché, anche oggi, i miti diventano proprio coloro "che hanno cercato di aprire nuovi spazi di libertà. Penso al muro dell'illegalità e a come Falcone e Borsellino siano esempi, eroi, per migliaia di ragazzi". E la trama de L'isola e le rose è intrecciata proprio intorno a quel patrimonio culturale che, se innescato, può diventare carburante per una rinascita del Paese, per ricreare un nuovo senso di comunità. Film, canzoni, opere d'arte e storie d'amore si muovono intorno a quei quattrocento metri quadrati, a quella piattaforma nell'Adriatico che il potere volle smantellare nel febbraio del 1969, dopo neanche un anno di esistenza. Sullo sfondo la necessità di un rinnovato impegno civile capace, come succede ai protagonisti del romanzo, di determinare quelle mutazioni del sé, di provocare quel "pensiero degli altri", punto di partenza per ogni attività che si vuole politica. Poi quella che Veltroni definisce "l'ossessione della memoria". Tutto il libro è un lungo dialogo con la storia recente d'Italia. Dice: "Si tratta del filo rosso che collega non solo i miei romanzi, ma tutta la mia vita politica: senza memoria questa società è destinata a intorpidirsi, a istupidirsi". E il berlusconismo "è stato precisamente questo: la rimozione della memoria, un'operazione che ha trasformato il nostro passato in uno strumento inservibile". Uno strumento da recuperare. Come, nel libro, avviene attraverso il ritratto del padre di uno dei protagonisti, Lorenzo. Un omaggio "all'Italia della resistenza, quell'Italia che, rischiando e ricostruendo, è riuscita a uscire da uno dei periodi più cupi della sua storia". E le isole, come quelle delle rose, "sono possibili". Veltroni ricorda Renato Nicolini 3, recentemente scomparso, "che nella Roma degli anni '70, riuscì a realizzarla". Aggiunge: "Ci ho provato anche io da sindaco. Perché, sono convinto, non c'è alternativa, l'offerta culturale è la strada maestra per costruire comunità". E la costruzione di un nuovo senso di comunità è quasi la linea politica del libro. "Riscopriamoci come comunità. Facciamo punto. Per venti anni abbiamo vissuto da nemici. La crisi ci impone di cambiare il nostro mondo, di vivere e scommettere insieme sul nostro futuro". Mettendosi in discussione perché, come i personaggi del libro, "nessuno è come sembra, c'è sempre un'occasione che può farci cambiare". E il compito della politica è proprio "fornire a tutti questa possibilità di cambiamento". 24 agosto 2012) da http://www.repubblica.it/politica/2012/08/24/news/veltroni-41390053/
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