Attentato multiplo nelle stazioni del metrò. Donne kamikaze legate al capo dei ribelli dell'Inguscetia. Il premier: li annienteremo, ma la sua leadership vacilla.
http://iltempo.ilsole24ore.com/interni_esteri/2010/03/30/1143094-vento_della_vendetta_dell_odio_caucaso_giunto_mosca.shtml
di Maurizio Piccirilli
30/03/2010
30/03/2010
Il vento della vendetta e dell'odio, dal Caucaso, è giunto a Mosca. Morte e terrore nella metropolitana della capitale della Federazione russa. Due «shahidka», le vedove martiri, delle milizie islamiche si sono fatte esplodere a distanza di quaranta minuti in due centralissime stazioni della linea rossa della metropolitana. Il primo attacco kamikaze alla fermata della Lubyanka, la famigerata sede del Kgb oggi dell'Fsb, i servizi di sicurezza della Federazione. L'altro attacco suicida al Park Kultury, poche fermate più avanti nei pressi del ministero dell'Interno. Gli attentati sono avvenuti quando la città era nel pieno del traffico mattutino: la prima alle 07,56, ora locale, l'altra alle 08,38. Oltre 35 le vittime tra i passeggeri del metrò. Un altro ordigno esplosivo, una cintura esplosiva, è stato trovato dalle forze di sicurezza nella stazione del Park Kultury già colpita dall'attentato. Due obiettivi non scelti a caso: un messaggio che i mujaheddin del Caucaso hanno lanciato a Putin e al suo braccio armato.
Il premier, dopo la strage di ieri, è tornato a dire che «i terroristi saranno annientati». Gli ha fatto eco il presidente Dmitri Medvedev che ha affermato che la lotta al terrorismo «continuerà sino alla fine senza vacillare». Nei fatti i terroristi sono tornati a colpire al cuore la capitale russa seminando la morte tra quei cittadini che Putin aveva giurato di proteggere quando, all'inizio della sua prima presidenza, i ceceni avevano compiuto le loro stragi proprio a Mosca. La sconfitta del terrorismo ceceno di matrice islamica è stata il cavallo di battaglia dell'ex agente del Kgb in questi anni. La linea dura di Putin fu chiara quando quarantun ribelli ceceni, fra i quali sei donne, fecero irruzione nel teatro Dubrovka di Mosca, mentre era in corso lo spettacolo «Nord-Ost», prendendo in ostaggio 900 persone. Fu tolleranza zero: i ribelli vennnero tutti uccisi, ma 129 ostaggi morirono. E se in Cecenia la situazione si è quasi normalizzata colpi di rastrellamenti e con buona pace dei diritti umani, la guerriglia jihadista ha infestato le altre regioni del Caucaso.
Non si può dimenticare l'orrenda strage di bambini a Beslan in Ossezia del Nord del 2004 e i ripetuti attentati in Daghestan, in Kabardino-Balkaria, in Karacievo-Cirkassia e in Inguscetia. Proprio da questa regione verrebbero le kamikaze che hanno compiuto gli attentati di ieri. Infatti le due donne, una più giovane, l'altra più anziana, di entrambe sono stati trovati i resti, sarebbero parenti di Sayeed al Buryati, nome di battaglia di Aleksandr Tikhomirov, capo indiscusso dei mujaheddin dell'Inguscientia, ritenuto tra l'altro l'autore dell'attentato al treno Nevski Express lo scorso novembre, ucciso ai primi di marzo dalle forze di sicurezza russe. L'identificazione delle kamikaze è stata possibile grazie alle immagini dei video di sorveglianza. Attraverso questi video la polizia pensa di aver individuato almeno due complici che avevano funzioni di copertura delle attentatrici. Il messaggio al premier Putin è inequivocabile. L'Emirato del Caucaso ha rivendicato l'attacco «contro le sedi dei terroristi russi». Gli ordigni sono stati collocati a tema questa volta nei pressi degli uffici che si occupano della sicurezza nazionale.
«È fin troppo chiaro il richiamo pietroburghese - afferma Kirill Koktysh, docente di teoria politica all'Università di Mosca - Uno dei due ordigni era su un vagone della metro che si chiama Krasnaja strela, Stella rossa, proprio come il tradizionalissimo treno diretto da Mosca a San Pietroburgo città natale di Putin». Doku Umarov, proclamatosi nel 2007 emiro e capo di tutti i gruppi ribelli attivi nel Caucaso, primo nella lista dei terroristi ricercati dalla Federazione russa, lo scorso 14 febbraio scorso ha lanciato con un video l'ultima minaccia, promettendo di portare la guerra «nelle case dei russi». La vendetta non si è fatta attendere. Il messaggio, in stile Bin laden, di Umarov era solo la premessa: le uccisioni di al Buryati e Astemirov, capo guerrigliero in Kabardino Balkaria, hanno dato il via all'operazione «shahidka», vedove martiri. Un appello alle donne islamiche era stato pubblicato il 17 marzo: una lunga preghiera che invitava mogli, figlie e vedove a formare un gruppo di Guerra santa per sostenere i «martiri» e seguirne l'esempio. Tutto il mondo, dagli Usa alla Cina hanno espresso il loro cordoglio alla Russia. Il terrorismo islamico si dimostra un nemico infido che sceglie obiettivi «soft», cioè civili, indifesi e difficilmente difendibili senza sottrarre libertà di movimento ai cittadini.
Ma gli attentati di ieri sono un duro colpo a Putin e alle sue aspirazioni di tornare a fare il presidente. Una scossa per l'ex inquilino del Cremlino. Medvedev resta fuori da questo dossier. Il suo impegno è stato incentrato sulla crisi economica e sulle sfide internazionali. La prossima firma sul trattato di non proliferazione con gli Stati Uniti è un successo della sua politica di dialogo. La faccia cattiva di Putin nei confronti dei ribelli islamici si specchia sul pavimento della metro moscovita sporca del sangue innocente dei russi
Il premier, dopo la strage di ieri, è tornato a dire che «i terroristi saranno annientati». Gli ha fatto eco il presidente Dmitri Medvedev che ha affermato che la lotta al terrorismo «continuerà sino alla fine senza vacillare». Nei fatti i terroristi sono tornati a colpire al cuore la capitale russa seminando la morte tra quei cittadini che Putin aveva giurato di proteggere quando, all'inizio della sua prima presidenza, i ceceni avevano compiuto le loro stragi proprio a Mosca. La sconfitta del terrorismo ceceno di matrice islamica è stata il cavallo di battaglia dell'ex agente del Kgb in questi anni. La linea dura di Putin fu chiara quando quarantun ribelli ceceni, fra i quali sei donne, fecero irruzione nel teatro Dubrovka di Mosca, mentre era in corso lo spettacolo «Nord-Ost», prendendo in ostaggio 900 persone. Fu tolleranza zero: i ribelli vennnero tutti uccisi, ma 129 ostaggi morirono. E se in Cecenia la situazione si è quasi normalizzata colpi di rastrellamenti e con buona pace dei diritti umani, la guerriglia jihadista ha infestato le altre regioni del Caucaso.
Non si può dimenticare l'orrenda strage di bambini a Beslan in Ossezia del Nord del 2004 e i ripetuti attentati in Daghestan, in Kabardino-Balkaria, in Karacievo-Cirkassia e in Inguscetia. Proprio da questa regione verrebbero le kamikaze che hanno compiuto gli attentati di ieri. Infatti le due donne, una più giovane, l'altra più anziana, di entrambe sono stati trovati i resti, sarebbero parenti di Sayeed al Buryati, nome di battaglia di Aleksandr Tikhomirov, capo indiscusso dei mujaheddin dell'Inguscientia, ritenuto tra l'altro l'autore dell'attentato al treno Nevski Express lo scorso novembre, ucciso ai primi di marzo dalle forze di sicurezza russe. L'identificazione delle kamikaze è stata possibile grazie alle immagini dei video di sorveglianza. Attraverso questi video la polizia pensa di aver individuato almeno due complici che avevano funzioni di copertura delle attentatrici. Il messaggio al premier Putin è inequivocabile. L'Emirato del Caucaso ha rivendicato l'attacco «contro le sedi dei terroristi russi». Gli ordigni sono stati collocati a tema questa volta nei pressi degli uffici che si occupano della sicurezza nazionale.
«È fin troppo chiaro il richiamo pietroburghese - afferma Kirill Koktysh, docente di teoria politica all'Università di Mosca - Uno dei due ordigni era su un vagone della metro che si chiama Krasnaja strela, Stella rossa, proprio come il tradizionalissimo treno diretto da Mosca a San Pietroburgo città natale di Putin». Doku Umarov, proclamatosi nel 2007 emiro e capo di tutti i gruppi ribelli attivi nel Caucaso, primo nella lista dei terroristi ricercati dalla Federazione russa, lo scorso 14 febbraio scorso ha lanciato con un video l'ultima minaccia, promettendo di portare la guerra «nelle case dei russi». La vendetta non si è fatta attendere. Il messaggio, in stile Bin laden, di Umarov era solo la premessa: le uccisioni di al Buryati e Astemirov, capo guerrigliero in Kabardino Balkaria, hanno dato il via all'operazione «shahidka», vedove martiri. Un appello alle donne islamiche era stato pubblicato il 17 marzo: una lunga preghiera che invitava mogli, figlie e vedove a formare un gruppo di Guerra santa per sostenere i «martiri» e seguirne l'esempio. Tutto il mondo, dagli Usa alla Cina hanno espresso il loro cordoglio alla Russia. Il terrorismo islamico si dimostra un nemico infido che sceglie obiettivi «soft», cioè civili, indifesi e difficilmente difendibili senza sottrarre libertà di movimento ai cittadini.
Ma gli attentati di ieri sono un duro colpo a Putin e alle sue aspirazioni di tornare a fare il presidente. Una scossa per l'ex inquilino del Cremlino. Medvedev resta fuori da questo dossier. Il suo impegno è stato incentrato sulla crisi economica e sulle sfide internazionali. La prossima firma sul trattato di non proliferazione con gli Stati Uniti è un successo della sua politica di dialogo. La faccia cattiva di Putin nei confronti dei ribelli islamici si specchia sul pavimento della metro moscovita sporca del sangue innocente dei russi
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