Pietro Berti

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Anchorage

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sabato 23 gennaio 2010

LA QUERELLE SU GOOGLE "A rischio i rapporti con gli Usa "Su Internet Pechino sfida Hillary


LA QUERELLE SU GOOGLE
"A rischio i rapporti con gli Usa "Su Internet Pechino sfida Hillary


Il governo: "La Clinton nega la realtà"Obama: "Su Google aspetto risposte"
WASHINGTON La guerra fredda del Web continua, e la Cina risponde con durezza al segretario di stato americano Hillary Clinton, che l’ ha accusata ieri di limitare il libero accesso ad Internet, negando cosi la democrazia, mentre il presidente Usa Barack Obama si dice preoccupao dagli attacchi sferrati contro Google e chiede risposte a Pechino. In una nota pubblicata sul suo sito web, il portavoce del ministero degli esteri Ma Zhaoxu afferma che le accuse degli Usa «negano la realtà e danneggiano le relazioni tra i due paesi» ma sottolinea che, nonostante le divergenze, Pechino non rinuncia al proseguimento del dialogo. Dalla Casa Bianca, invece, non è arrivata nessuna mano tesa. «Il presidente resta preoccupato per la falla nelle misure di sicurezza informatica che Google ha attribuito alla Cina» ha fatto sapere il vice-portavoce Bill Burton. La tensione tra i due giganti - la prima e la terza economia del mondo, vicinissima però al sorpasso storico sulla seconda, il Giappone, è esplosa la scorsa settimana, quando il colosso americano di Internet, Google, ha minacciato di lasciare Pechino accusando la censura di violare la privacy dei suoi clienti. Clinton ha messo la Cina nel gruppo dei paesi che «recentemente hanno ristretto la libertà di Internet» con Tunisia, Uzbekistan, Arabia Saudita e Vietnam. In Cina non sono accessibili i siti dei profughi tibetani e uighuri, quelli delle organizzazioni umanitarie come Amnesty International e quelli di alcuni delle più popolari piattaforme di comunicazione sociale come Youtube, Facebook e Twitter. Nella Regione Autonoma del Xinjiang, teatro l’ estate scorsa di violenti scontri a base etnica, la Rete è stata completamente inaccessibile per sei mesi. Da qualche settimana è possibile collegarsi solo a quattro siti di organi d’ informazione gestiti direttamente dal governo. Nel suo intervento, il segretario di stato americano ha chiesto a Pechino di avviare un’inchiesta, «minuziosa» e «trasparente» sui casi di pirateria informatica denunciati da Google. Il portavoce cinese ha sostenuto che «Internet in Cina è apertO e la Cina è il paese più attivo nel suo sviluppo» e ha ricordato che «alla fine dell’ anno scorso i netizens cinesi hanno raggiunto la cifra di 384 milioni, con 3,68 milioni di website e 180 milioni di blog». «La Cina ha la sua situazione nazionale e le sue tradizioni culturali e gestisce Internet in accordo con le sue leggi e con le pratiche internazionali...la Costituzione cinese garantisce ai cittadini la libertà di opinione...» ha aggiunto. La nota di Ma Zhaoxu si conclude esprimendo la «speranza» che gli Usa «rispettino gli impegni presi dai leader dei due paesi» per portare le relazioni « in una nuova fase rafforzando il dialogo, la comunicazione e la collaborazione» e «affrontando i disaccordi e le difficoltà in modo appropriato». Secondo Wang Dong, esperto di relazioni tra Cina ed Usa dell’ Università di Pechino, «...è evidente che la Cina vuole mantenere una posizione equilibrata e non vuole che questa questione (quella di Google ed Internet, ndr) danneggi le relazioni con Washington». «Dobbiamo però renderci conto - aggiunge Wang - che non si tratta di un fatto casuale...al contrario, esso rivela una profonda contraddizione tra la Cina e gli Usa nella società, nell’ ideologia nei valori». Lo studioso ritiene che nelle ultime settimane il tema dei diritti umani sia stato per la prima volta sollevato con forza da esponenti del governo americano anche a causa delle difficoltà che sta incontrando in politica interna il presidente Barack Obama. Quella di Internet è solo l’ ultima di una serie di questioni sulle quali sono emergenze divergenze dopo la visita in Cina di Obama, nel novembre scorso. I temi maggiormente controversi sono: il commercio, con gli Usa che insistono per la rivalutazione dello yuan e la Cina che resiste, temendo un contraccolpo sulle esportazioni; il Tibet, con Pechino che chiede ad Obama di non ricevere il Dalai Lama (il leader buddhista in esilio) e il presidente americano che fa finta di non sentire; le relazioni con Taiwan, l’ isola che la Cina rivendica e alla quale gli Usa hanno accettato di fornire sistemi anti-missile Patriot, che sono in grado di contrastare un eventuale attacco missilistico cinese.
La nuova crociata Usa tra ideali e interessi
Il Web libero diventa un pilastro della politica
MARCO BARDAZZI http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201001articoli/51511girata.asp
Il «Newseum» di Washington, il museo dell’informazione che Hillary Clinton ha scelto come piattaforma di lancio per la nuova dottrina americana della libertà su Internet, è un luogo singolare. La facciata è dominata da una lastra di marmo di 50 tonnellate su cui è scolpito il primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, che proclama la tutela della libertà d’espressione. Nel gigantesco atrio d’ingresso, invece, è stato ricostruito un pezzo del Muro di Berlino, simbolo dell’oppressione. Che un segretario di Stato sancisca la «Internet Freedom» come un nuovo pilastro della politica estera statunitense, è un fatto straordinario. Che lo faccia scegliendo un palcoscenico simile, è un messaggio carico di simboli che non possono essere ignorati. Nel 1946 a Fulton, in Missouri, Winston Churchill dichiarò che sull’Europa era «calata una cortina di ferro» che spezzava in due il continente, contro la quale occorreva ribellarsi per restituire libertà a chi vi era rimasto intrappolato. In molti criticarono il suo discorso, ritenendo che con l’Urss occorresse il dialogo, non un confronto aperto. La Clinton ha scelto ora di parafrasare Churchill per denunciare che «una nuova cortina dell’informazione sta calando su larga parte del mondo». E ha fatto i nomi dei luoghi che sono, a suo avviso, intrappolati dalla parte sbagliata: Cina, Iran, Vietnam, Uzbekistan, Arabia Saudita, Tunisia, Egitto. Il blogger egiziano Bassem Samir, uscito di recente dal carcere, applaudiva in prima fila. La responsabile della diplomazia ha incalzato, paragonando blog e «tweets» a strumenti di libertà come il samizdat nei Paesi comunisti durante la Guerra Fredda. «In questo preciso momento - ha detto - censori del governo da qualche parte lavorano furiosamente per cancellare le mie parole». Ma la Storia, ha aggiunto indicando il Muro, «ha già condannato queste tattiche». Dietro un’offensiva simile da parte dell’amministrazione di Barack Obama, ci sono ovviamente giganteschi interessi nati dal caso Google. La società si è ribellata alla censura cinese non solo e non tanto per una vocazione a difendere i diritti umani, quanto perché un’incursione di hackers dalla Cina ha messo in pericolo il patrimonio su cui basa la sua stessa esistenza: segreti industriali, algoritmi del motore di ricerca, fiducia dei clienti. La Clinton ha mandato un messaggio forte a chiunque sia dietro la pirateria - ottenendo un’irritata risposta cinese - perché Washington riconosce gli scenari di pericolo che si aprono. Detto questo, però, la forza degli ideali che sta dietro le parole del segretario di Stato merita di non essere ridimensionata a mera tattica di difesa dei «gioielli di famiglia». Il pragmatismo e la Realpolitik fallirono, negli anni Settanta, nel tentativo di congelare il rapporto Usa-Urss in uno status quo inamovibile. Fu anche l’accento sugli ideali a far cadere il Muro nel decennio successivo. Barack Obama per una volta sembra aver messo da parte il pragmatismo per spingersi, nei confronti della Cina, su un terreno dove non si erano avventurati neppure i bushiani. Ed è quello che un Nobel per la pace deve avere il coraggio di fare

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