Genova - La pirateria in mare ha raggiunto il suo massimo storico nei primi tre mesi del 2011, con 142 attacchi in tutto il mondo. Il dato, reso noto oggi, emerge dal Rapporto dell’International Maritime Bureau (Imb) della Camera di Commercio Internazionale (Icc) che monitora i casi di pirateria a livello mondiale. Il forte aumento è dovuto soprattutto all’ondata di pirateria al largo delle coste della Somalia, dove sono stati registrati ben 97 attacchi in questi primi tre mesi, con una crescita dal 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A livello mondiale, nel primo trimestre del 2011 sono state dirottate 18 navi, 344 membri dell’equipaggio sono stati presi in ostaggio, e sei sono stati rapiti. «Mai come in questi primi tre mesi sono stati registrati tanti episodi di pirateria e di rapine a mano armata in alto mare», ha affermato Pottengal Mukundan, direttore di Imb, il cui Piracy Reporting Centre monitora la pirateria a livello mondiale dal 1991. I pirati hanno ucciso sette membri dell’equipaggio e ferito altri 34. Solo due erano stati i feriti nel primo trimestre del 2006. Delle 18 navi sequestrate in tutto il mondo, 15 sono state catturate al largo della costa orientale della Somalia (Mar Arabico e Golfo di Aden). Solo in questa zona, 299 persone sono state prese in ostaggio e altre sei sono state rapite. L’ultimo conteggio, datato 31 marzo, ha mostrato che i pirati somali tengono prigionieri 596 membri di equipaggi mercantili e ben 28 navi.
Inserito il 14 aprile 2011 alle 20:25:00 da ferpel. IT - EsteriNon è dato sapere con precisione quanto sia stato pagato finora in riscatti dai Paesi interessati a ottenere il rilascio delle loro navi e dei loro equipaggi. Una sola cosa è certa un riscatto per il rilascio di navi e uomini è stato sempre pagato. Finora nessuna imbarcazione è stata mai rilasciata senza aver pagato. “Il numero di attacchi di pirati in alto mare è enormemente cresciuto nei primi tre mesi del 2011, così come la loro violenza”. Questo è quanto si legge nel rapporto presentato oggi dall’International Maritime Bureau, IMB, con sede a Kuala Lumpur che monitora il fenomeno al livello mondiale dal 1991. Nel primo trimestre di quest'anno, secondo l’IMB, si sono registrati 142 incidenti contro i 67 dello stesso periodo dell'anno scorso. Sette membri di equipaggi assaltati sono stati uccisi e altri 34 feriti. Ben 97 di questi attacchi sono attribuibili ai pirati somali che l'anno scorso nello stesso periodo ne avevano compiuti 35. I pirati si sono resi responsabili del sequestro di almeno 18 navi tra cui quello della petroliera italiana, Savina Caylin catturata lo scorso 8 febbraio. Da ciò si evince che gli attacchi pirati al largo della Somalia e nel Mar Rosso rappresentano oltre la metà degli incidenti segnalati nel rapporto. Inoltre il documento indica anche il numero dei marittimi, membri di equipaggi delle navi catturate in questo trimestre, che sono caduti nelle mani dei predoni del mare ed ora sono tenuti in ostaggio. Il loro numero si aggira oltre i 300. Si tratta di marinai di diversa nazionalità tra cui filippini, ucraini, pakistani, rumeni, indiani, egiziani, cinesi, cingalesi e anche alcuni europei. Tra essi i cinque marittimi italiani equipaggio della Savina Caylin, una coppia danese con i loro tre figli minori e tre altri marittimi danesi. L'IBM ha fatto anche un computo dei marinai in mano ai pirati somali che sarebbero 596 mentre le navi 28. A questi poi, vanno aggiunte altre navi catturate che non risultano o perchè mai denunciate o perchè erano ‘navi fantasma’ ossia non registrate. Di fatto sono almeno 53, comprese due chiatte, le navi che sono in mano ai pirati somali, mentre sono almeno 819 i marittimi ostaggi. Nel documento viene sottolineato anche un aumentato al ricorso all'uso di armi da fuoco, tra cui granate a razzo. Un ricorso che è stato particolarmente marcato nelle acque al largo della Somalia e nel Golfo di Aden. Il mare al largo della Somalia resta per questo motivo quello più pericoloso per la navigazione marittima lungo la rotta tra Europa e Asia. Lo scorso anno sempre l’IMB in un altro rapporto aveva invece, rivelato che gli attacchi erano diminuiti rispetto al 2009 collegando questo risultato come frutto di un maggiore impegno da parte delle varie marine militari impegnate in azione di anti pirateria marittima in quel mare. Nell’area infatti, operano, in veste anti pirateria marittima, le navi da guerra di almeno 25 nazioni. Mentre quelle di alcuni Paesi operano in forma indipendente. La gran parte di queste unità navali sono invece, raccolte in 3 missioni internazionale: il dispositivo anti pirateria creato dal Pentagono e gestito dalla V Flotta USA, Combined Task Force, Ctf-151, la missione dell’Alleanza Atlantica ‘Ocean Shield’ e la missione 'Atalanta' a guida Ue. L'intervento è iniziato nel 2008 e, continua tuttora. Nonostante la loro presenza però, gli episodi di pirateria marittima nel mare del Corno D’Africa e nell'Oceano Indiano continuano e con il passare degli anni sono diventati, anche se in maniera altalenante, sempre più frequenti. Un fenomeno che frutta per le casse dei pirati milioni di dollari in riscatti. La pirateria marittima è infatti, nato certamente all’inizio come un’occasionale modo di cercare di contrastare la pesca illegale nelle loro acque territoriali da parte dei pescatori somali. Poi come un modo, sempre occasionale, di cercare di procurarsi del cibo, visto che a poche centinaia di miglia dalle coste transitavano indifesi cargo carichi di aiuti umanitari del PAM. Il tutto poi, ha perso il suo indirizzo originario e, abilmente organizzato e orchestrato, è finito per diventare un favoloso e indefinito modo di lucrare. Non è dato sapere con precisione quanto sia stato pagato finora in riscatti dai Paesi interessati a ottenere il rilascio delle loro navi e dei loro equipaggi. Una sola cosa è certa un riscatto per il rilascio di navi e uomini è stato sempre pagato. Finora nessuna imbarcazione è stata mai rilasciata senza aver pagato. Tanto è vero che diverse navi e marittimi non vengono rilasciati dai pirati in quanto nessuno vuole pagare il riscatto richiesto dai predoni del mare che li hanno catturati. Un fatto questo che implicitamente sconfessa quanto invece, l'Italia, per bocca del suo ministro degli Esteri Franco Frattini, ha sempre affermato. La Farnesina ha affermato che per il rilascio del rimorchiatore italiano, Buccaneer e del suo equipaggio, catturati nel 2009, non è stato pagato alcun riscatto. Una negazione che continua ostinatamente anche se gli stessi autori dell'atto di pirateria marittima hanno dichiarato di aver ricevuto 4 milioni di dollari dal governo italiano. Inoltre, tutti i successivi episodi legati al fenomeno della pirateria avvenuti al largo della Somalia portano a credere più ai predoni del mare somali che al capo della diplomazia italiana. L’Italia ha giustificato il rilascio degli ostaggi sulla base di una presunta collaborazione di mediatori, inventatisi tali al momento, e a quella del governo somalo di Mogadiscio. Quest'ultimo avrebbe convinto i pirati a rilasciare gli ostaggi. Una convincimento che non sarebbe scaturito dal pagamento di un riscatto ne con la forza. Quest'ultima ipotesi è molto meno probabile delle altre. Questo perchè il governo somalo vive con precarietà la sua esistenza. Esso sopravvive a stento, giorno dopo giorno, agli attacchi dei miliziani islamici filo al Qaeda degli 'al Shabaab' che ormai controllano il 90 per cento del territorio nazionale strappato a quello delle autorità di Mogadiscio. Un governo quindi, in agonia che ha poco peso in casa sua figuriamoci in casa degli altri. Infatti è a tutti noto che il fenomeno della pirateria marittima sta ‘esplodendo’ soprattutto a causa dell'inasprirsi di alcuni conflitti regionali, come quello in Somalia. Conflitti che spingono le popolazioni locali a compiere azioni criminali per sopravvivere e la cui impunità è garantita dal fatto che il governo di Mogadiscio è incapace di controllare le sue acque territoriali. Tanto è vero che le navi catturate sono quasi sempre poi tenute alla fonda lungo i porti situati nei 345 km della costa somala del Puntland. In questa regione i pirati somali hanno costituito le loro roccaforti trasformando di fatto quella costa in una sorta di moderna Tortuga. I predoni del mare una volta catturata la nave vi vivono a bordo insieme agli uomini del suo equipaggio. Una promiscuità forzata che conduce anche a situazioni esasperanti dal momento che i somali sono molto dediti a consumare grandi quantità di droghe e a bere molto con le relative conseguenze. La drammaticità del sequestro viene vissuta intensamente dai marittimi membri dell'equipaggio delle navi mercantili che sono stati catturati. La loro prigionia è di fatto un vero inferno. Ferdinando Pelliccia estratto da: http://www.liberoreporter.it/NUKE/news.asp?id=6098
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