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Regali e pressioni, ecco la ricetta del re
La monarchia araba promette nuovi posti di lavoro e nuovi investimenti.
RIAD - L’anziano re saudita Abdullah, a capo di un regno petrolifero alleato degli Usa, circondato da rivolte anti-regime e minacciato all’interno da appelli anti-governativi e da turbolenze nelle regioni a maggioranza sciita, ha ieri quasi triplicato il valore delle regalie promesse settimane fa ai suoi sudditi, e ha al tempo stesso annunciato un pesante rafforzamento degli strumenti di controllo e repressione. Questo mentre un migliaio di suoi soldati stazionano nel vicinissimo Bahrein a protezione delle “installazioni strategiche” dell’arcipelago indipendente, alleato di Riad ma abitato in maggioranza da sciiti, che dopo settimane di proteste chiedono ormai, anche loro, “la caduta del regime”. In una rara apparizione televisiva, l’affaticato sovrano saudita ha parlato per poco più di un minuto, lasciando poi spazio a due conduttori tv che, alternati, hanno letto un lungo elenco di “decreti reali” riguardanti sussidi ai dipendenti statali, incentivi sociali ai disoccupati, bonus di vario tipo, borse di studio agli studenti, investimenti nell’edilizia popolare. Ma re Abdullah ha soprattutto annunciato la creazione di circa 60.000 nuovi posti di lavoro nelle agenzie di sicurezza, un adeguamento degli stipendi dei temibili agenti della polizia religiosa, e l’apertura di nuovi filiali dell’ente nazionale per l’emissione dei pareri religiosi (fatwa) ufficiali. Se al suo ritorno in patria, il mese scorso, Abdullah aveva promesso investimenti nel Paese per circa 36 miliardi di dollari, il valore complessivo delle spese annunciate ieri nei “decreti reali” supera i 90 miliardi di dollari. Nel suo discorso però non compare nessun accenno a riforme della Costituzione, ad aperture “democratiche”, e neppure a un atteso quanto ininfluente rimpasto di un governo dominato da decenni da anziani principi della famiglia Saud. Sui suoi forum su Internet, l’ancora embrionale società civile saudita ha commentato questi “decreti reali” con rabbia e profonda sfiducia nella monarchia, mentre sui social network rimbalzano gli appelli a una mobilitazione in piazza domani. Le proteste indette sul web una settimana fa non si erano concretizzate nelle piazze di Riad e solo qualche centinaio di sciiti delle province orientali, ricche di giacimenti e terminali petroliferi, aveva osato sfidare le forze di sicurezza, a protezione di un regime che da sempre vieta ogni manifestazione pubblica. Poco lontano dalle regioni della protesta degli sciiti sauditi, nel vicino Bahrein, oltre un migliaio di manifestanti sono tornati in strada ieri a Manama e in un sobborgo meridionale della capitale, nonostante il divieto imposto dalle autorità, per partecipare ai funerali di una delle vittime della repressione della polizia. E sempre a Manama - dove nel pomeriggio è stata rimossa su ordine delle autorità il monumento alla Perla (tradizionale ricchezza del Paese) nell’omonima rotonda cuore della protesta anti-regime - il ministro degli Esteri, lo sheykh Khaled ben Ahmad al Khalifa, ha annunciato che in «soccorso» del suo Paese arriveranno altre «truppe del Golfo», che rimarranno nell’arcipelago indipendente «quanto sarà necessario». Le truppe del Golfo attualmente presenti nel Paese sono un migliaio di soldati sauditi e circa 500 poliziotti degli Emirati Arabi Uniti. «Questi militari non avranno alcun ruolo nel ristabilire l’ordine nel Paese, ma sono a protezione delle installazioni strategiche», ha aggiunto il ministro, che ha accusato il vicino Iran di «interferire, con le sue dichiarazioni pubbliche, negli affari interni» del Bahrein.
fonte: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=107093
Regali e pressioni, ecco la ricetta del re
La monarchia araba promette nuovi posti di lavoro e nuovi investimenti.
RIAD - L’anziano re saudita Abdullah, a capo di un regno petrolifero alleato degli Usa, circondato da rivolte anti-regime e minacciato all’interno da appelli anti-governativi e da turbolenze nelle regioni a maggioranza sciita, ha ieri quasi triplicato il valore delle regalie promesse settimane fa ai suoi sudditi, e ha al tempo stesso annunciato un pesante rafforzamento degli strumenti di controllo e repressione. Questo mentre un migliaio di suoi soldati stazionano nel vicinissimo Bahrein a protezione delle “installazioni strategiche” dell’arcipelago indipendente, alleato di Riad ma abitato in maggioranza da sciiti, che dopo settimane di proteste chiedono ormai, anche loro, “la caduta del regime”. In una rara apparizione televisiva, l’affaticato sovrano saudita ha parlato per poco più di un minuto, lasciando poi spazio a due conduttori tv che, alternati, hanno letto un lungo elenco di “decreti reali” riguardanti sussidi ai dipendenti statali, incentivi sociali ai disoccupati, bonus di vario tipo, borse di studio agli studenti, investimenti nell’edilizia popolare. Ma re Abdullah ha soprattutto annunciato la creazione di circa 60.000 nuovi posti di lavoro nelle agenzie di sicurezza, un adeguamento degli stipendi dei temibili agenti della polizia religiosa, e l’apertura di nuovi filiali dell’ente nazionale per l’emissione dei pareri religiosi (fatwa) ufficiali. Se al suo ritorno in patria, il mese scorso, Abdullah aveva promesso investimenti nel Paese per circa 36 miliardi di dollari, il valore complessivo delle spese annunciate ieri nei “decreti reali” supera i 90 miliardi di dollari. Nel suo discorso però non compare nessun accenno a riforme della Costituzione, ad aperture “democratiche”, e neppure a un atteso quanto ininfluente rimpasto di un governo dominato da decenni da anziani principi della famiglia Saud. Sui suoi forum su Internet, l’ancora embrionale società civile saudita ha commentato questi “decreti reali” con rabbia e profonda sfiducia nella monarchia, mentre sui social network rimbalzano gli appelli a una mobilitazione in piazza domani. Le proteste indette sul web una settimana fa non si erano concretizzate nelle piazze di Riad e solo qualche centinaio di sciiti delle province orientali, ricche di giacimenti e terminali petroliferi, aveva osato sfidare le forze di sicurezza, a protezione di un regime che da sempre vieta ogni manifestazione pubblica. Poco lontano dalle regioni della protesta degli sciiti sauditi, nel vicino Bahrein, oltre un migliaio di manifestanti sono tornati in strada ieri a Manama e in un sobborgo meridionale della capitale, nonostante il divieto imposto dalle autorità, per partecipare ai funerali di una delle vittime della repressione della polizia. E sempre a Manama - dove nel pomeriggio è stata rimossa su ordine delle autorità il monumento alla Perla (tradizionale ricchezza del Paese) nell’omonima rotonda cuore della protesta anti-regime - il ministro degli Esteri, lo sheykh Khaled ben Ahmad al Khalifa, ha annunciato che in «soccorso» del suo Paese arriveranno altre «truppe del Golfo», che rimarranno nell’arcipelago indipendente «quanto sarà necessario». Le truppe del Golfo attualmente presenti nel Paese sono un migliaio di soldati sauditi e circa 500 poliziotti degli Emirati Arabi Uniti. «Questi militari non avranno alcun ruolo nel ristabilire l’ordine nel Paese, ma sono a protezione delle installazioni strategiche», ha aggiunto il ministro, che ha accusato il vicino Iran di «interferire, con le sue dichiarazioni pubbliche, negli affari interni» del Bahrein.
fonte: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=107093
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