Siria, ancora repressione Bagno di sangue a Daraa
I manifestanti: quindici morti.Tra loro c'è anche una bambina
Non si placa l’intifada di Daraa, nel sud della Siria, così come non si placa la repressione delle forze di sicurezza, che stando a testimoni oculari e organizzazioni umanitarie locali, avrebbero ucciso solo oggi ben 15 persone (sei secondo altre fonti), portando a circa 20 il numero dei morti dallo scoppio delle violenze venerdì scorso. Un bilancio drammatico che ha indotto il segretario generale dell’Onu Ban ki-moon a chiedere «un’indagine trasparente».Per dopodomani, venerdì di preghiera musulmana, è intanto stata indetta sui social network di attivisti e dissidenti una «mobilitazione di massa» in tutte le regioni del Paese contro il «regime bugiardo e criminale» e «per la rivoluzione e la libertà». Secondo le testimonianze, confermate in parte anche da un giornalista dell’agenzia France Press, nove persone sono state uccise nella notte a Daraa, 120 km a sud di Damasco, durante l’assalto dei militari alla moschea al Omari, dove da venerdì si erano radunati i manifestanti anti-regime. Tra le vittime, ci sono due donne, una bambina e un medico.Secondo le stesse testimonianze, sei altri residenti sono stati freddati invece nel pomeriggio da colpi di arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza durante i funerali di due dei «martiri» caduti all’alba. Le autorità di Damasco, guidate da quasi mezzo secolo dal partito Baath e da quarant’anni dalla famiglia presidenziale al Assad, ha dal canto suo lanciato oggi una massiccia controffensiva mediatica, accusando «parti straniere di diffondere menzogne» e di «aizzare i residenti contro lo Stato». Per l’agenzia di notizie Sana e la tv di Stato sarebbe una non meglio identificata «banda armata» la responsabile della «sommossa»: i «forestieri», avrebbero usato dei bambini, precedentemente rapiti, per proteggersi nella moschea cittadina. L’emittente tv ha poi mostrato le immagini delle presunte armi e del danaro «nascosto dalla banda armata nella moschea al Omari». Secondo la Sana sarebbero inoltre solo tre le persone uccise negli scontri della notte: un medico e un infermiere uccisi dalla »banda armata che ha assaltato un’ambulanza«, e un agente delle forze di sicurezza. «Più di un milione di SMS giunti dall’estero, e per la maggior parte da Israele, invitano i siriani a usare le moschee come punti di ritrovo per le sommosse», prosegue l’agenzia. Oltre a mobilitare i media allineati, Damasco ha lanciato due timidi e tardivi segnali di distensione. In serata, è stata diffusa la notizia della rimozione dall’incarico del governatore di Daraa, mentre nel pomeriggio la tv di Stato ha annunciato il rilascio su cauzione di sei attiviste arrestate una settimana fa durante un inedito raduno nei pressi del ministero degli interni. Tra le sei donne rilasciate (Nisrir Hassan, Wafaa Lahham, Sirin Khuri, Layla Labwani e Ruba Labwani), non c’è Suhayr Atassi, attivista di spicco per la difesa dei diritti umani. Dei 37 dissidenti finiti dietro le sbarre mercoledì 16 marzo, ne rimangono in carcere ancora 27. E sulla homepage del gruppo Facebook «Syrian.Revolution», seguito da circa 70.000 utenti, è già pronto il volantino e il logo per il «il venerdì della gloria», convocato «in tutte le regioni della Siria per sostenere la rivoluzione di Daraa».
Non si placa l’intifada di Daraa, nel sud della Siria, così come non si placa la repressione delle forze di sicurezza, che stando a testimoni oculari e organizzazioni umanitarie locali, avrebbero ucciso solo oggi ben 15 persone (sei secondo altre fonti), portando a circa 20 il numero dei morti dallo scoppio delle violenze venerdì scorso. Un bilancio drammatico che ha indotto il segretario generale dell’Onu Ban ki-moon a chiedere «un’indagine trasparente».Per dopodomani, venerdì di preghiera musulmana, è intanto stata indetta sui social network di attivisti e dissidenti una «mobilitazione di massa» in tutte le regioni del Paese contro il «regime bugiardo e criminale» e «per la rivoluzione e la libertà». Secondo le testimonianze, confermate in parte anche da un giornalista dell’agenzia France Press, nove persone sono state uccise nella notte a Daraa, 120 km a sud di Damasco, durante l’assalto dei militari alla moschea al Omari, dove da venerdì si erano radunati i manifestanti anti-regime. Tra le vittime, ci sono due donne, una bambina e un medico.Secondo le stesse testimonianze, sei altri residenti sono stati freddati invece nel pomeriggio da colpi di arma da fuoco sparati dalle forze di sicurezza durante i funerali di due dei «martiri» caduti all’alba. Le autorità di Damasco, guidate da quasi mezzo secolo dal partito Baath e da quarant’anni dalla famiglia presidenziale al Assad, ha dal canto suo lanciato oggi una massiccia controffensiva mediatica, accusando «parti straniere di diffondere menzogne» e di «aizzare i residenti contro lo Stato». Per l’agenzia di notizie Sana e la tv di Stato sarebbe una non meglio identificata «banda armata» la responsabile della «sommossa»: i «forestieri», avrebbero usato dei bambini, precedentemente rapiti, per proteggersi nella moschea cittadina. L’emittente tv ha poi mostrato le immagini delle presunte armi e del danaro «nascosto dalla banda armata nella moschea al Omari». Secondo la Sana sarebbero inoltre solo tre le persone uccise negli scontri della notte: un medico e un infermiere uccisi dalla »banda armata che ha assaltato un’ambulanza«, e un agente delle forze di sicurezza. «Più di un milione di SMS giunti dall’estero, e per la maggior parte da Israele, invitano i siriani a usare le moschee come punti di ritrovo per le sommosse», prosegue l’agenzia. Oltre a mobilitare i media allineati, Damasco ha lanciato due timidi e tardivi segnali di distensione. In serata, è stata diffusa la notizia della rimozione dall’incarico del governatore di Daraa, mentre nel pomeriggio la tv di Stato ha annunciato il rilascio su cauzione di sei attiviste arrestate una settimana fa durante un inedito raduno nei pressi del ministero degli interni. Tra le sei donne rilasciate (Nisrir Hassan, Wafaa Lahham, Sirin Khuri, Layla Labwani e Ruba Labwani), non c’è Suhayr Atassi, attivista di spicco per la difesa dei diritti umani. Dei 37 dissidenti finiti dietro le sbarre mercoledì 16 marzo, ne rimangono in carcere ancora 27. E sulla homepage del gruppo Facebook «Syrian.Revolution», seguito da circa 70.000 utenti, è già pronto il volantino e il logo per il «il venerdì della gloria», convocato «in tutte le regioni della Siria per sostenere la rivoluzione di Daraa».
Nessun commento:
Posta un commento