DAMASCO
I cecchini delle forze dell'ordine erano appostati sui tetti delle case, raccontano gli abitanti di Deraa: nella città divenuta negli ultimi 12 giorni l'epicentro della Siria che protesta, la polizia ha "solo" sparato in aria o con lacrimogeni per disperdere i manifestanti che erano tornati per le strade a chiedere democrazia. Non ci sarebbero state vittime. Il bilancio ufficioso dei morti è fermo a 61 morti, gli attivisti lo portano a più di cento vittime. Diverse centinaia le persone ferite e arrestate. Il quarantacinquenne presidente Bashar Assad sta per annunciare decisioni che «faranno piacere al popolo siriano». Lo garantisce Faurk al-Shara, vice presidente e già uomo di fiducia dell'ex leader Hafez Assad, del quale era il ministro degli Esteri. Al-Shara si riferisce alla promessa di un discorso televisivo nel quale Bashar dovrebbe annunciare la fine dello stato d'emergenza in vigore dal 1963, una nuova legge sui partiti, riforme e aumenti salariali. E soprattutto le dimissioni del governo. «Questione di un paio di giorni», era stato detto. Ma ancora si attende il famoso discorso televisivo.C'è chi sospetta che il regime sia ancora incerto fra adottare una linea morbida, aprendo il dialogo con gli oppositori senza sapere dove le richieste si fermeranno; o preferire la solita soluzione: la repressione violenta, anche questa del tutto imprevedibile tenendo conto di ciò che sta accadendo ovunque nel Medio Oriente. Nella città settentrionale del Paese, Latakia, è segnalato un massiccio spiegamento di truppe.Facendo eco a quanto già detto dal segretario di Stato Hillary Clinton, di nuovo ieri un funzionario dell'amministrazione americana ha esortato il Governo siriano a rinunciare all'uso della violenza e ascoltare le richieste del popolo. Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di intervenire militarmente in Siria: il segretario di Stato è stata chiara domenica. Ma se il Paese di 22 milioni di abitanti precipitasse nella guerra civile, sarebbe difficile ignorare una Siria nel caos. Sembra molto preoccupato anche Recep Erdogan, il primo ministro turco che negli ultimi due giorni ha chiamato tre volte Assad invitandolo ad ascoltare le richieste della gente. «Non mi ha dato una risposta negativa», ha poi affermato Erdigan. Da qualche tempo la Turchia è diventata un partner commerciale essenziale per la sopravvivenza dell'economia siriana, in parte ancora sottoposta alle sanzioni americane imposte dall'amministrazione di George Bush subito dopo la guerra del Golfo del 2003.Nell'attesa che Bashar Assad decida se parlare e cosa dire esattamente, a Daraa, a Sud di Damasco, la gente continua a manifestare. Non sono stati in molti ieri a scendere nelle strade attorno alla moschea di Omari, il cuore della rivolta contro il regime di Damasco. «Vogliamo dignità e libertà», cantavano i manifestanti. Fino a che Assad non dirà la sua, la gente ha continuato a chiedere la fine dello stato d'emergenza, il primo passo essenziale verso una qualsiasi riforma politica credibile. Ma c'è chi nel regime pensa che una concessione di questo genere sarebbe come ammettere una pericolosa debolezza.
estratto da: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-03-29/siria-polizia-contro-manifestanti-063711.shtml?uuid=AaxRONKD
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