Con il termine disastro di Seveso si fa riferimento all'incidente avvenuto il 10 luglio 1976 nell'azienda ICMESA di Meda, che provocò la fuoriuscita di una nube di diossina del tipo TCDD, una tra le sostanze tossiche più pericolose. La nube tossica investì una vasta area di terreni nei comuni limitrofi della bassa Brianza, in particolare Seveso.
Indice[nascondi]
1 I fatti
2 La decontaminazione
3 Alcune conseguenze a lungo termine
4 Seveso e la legislazione sull'aborto
5 Testimonianze sull'evento
6 Recupero ambientale
7 Note
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni
I fatti [modifica]
Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA sito nel territorio del comune di Meda, al confine con quello di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l'esotermicità della reazione, aggravato dal fatto che nel processo di produzione l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.
L'esplosione del reattore venne evitata dall'apertura delle valvole di sicurezza, ma l'alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche.
La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e venne trasportata verso sud dal vento in quel momento prevalente.[1] Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto si trova immediatamente a sud della fabbrica.
Le prime avvisaglie furono l'odore acre e le infiammazioni agli occhi. Non vi furono morti, ma circa 240 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee. Per quanto riguarda gli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell'alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. La popolazione dei comuni colpiti venne però informata della gravità dell'evento solamente 8 giorni dopo la fuoriuscita della nube.
La decontaminazione [modifica]
Il territorio colpito fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A, B, e R.
Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono demolite e il primo strato di terreno venne rimosso; gli abitanti furono evacuati e ospitati in strutture alberghiere. La zona A venne presidiata dalle forze dell'ordine per impedire a chiunque di entrarvi.
La zona B, contaminata in minor misura, e la zona R, ovvero zona di rispetto, vennero tenute sotto controllo e vi fu imposto il divieto di coltivazione e di allevamento.
Successivamente vennero create due enormi vasche di contenimento, costantemente monitorate, nelle quali venne riposto tutto ciò che era presente nella zona A, il terreno rimosso e anche i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Al di sopra di queste due vasche sorse il Parco Naturale Bosco delle Querce, oggi aperto alla popolazione.
Alcune conseguenze a lungo termine [modifica]
Ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi.Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione[2] siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di deficit fisici ed intellettuali durante lo sviluppo [3].
È stato rivelato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all'epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell'apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile.
L'ipotesi dell'aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All'epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell'area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici.
Seveso e la legislazione sull'aborto [modifica]
La diossina è una sostanza altamente teratogena, capace quindi di creare gravi malformazioni ai feti. Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio.
Uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978 [4], confermata poi dal referendum del 1981.
Testimonianze sull'evento [modifica]
A questa triste vicenda si è ispirato il cantautore Antonello Venditti per scrivere Canzone per Seveso, pubblicata nell'ottobre del 1976 nell'album Ullalla, che analizza i fatti accaduti tentando di individuarne le cause profonde. Testimonianza degli avvenimenti avvenuti nel primo anno dopo la fuga si possono trovare nel libro "Visto da Seveso" di Laura Conti, consigliere regionale della Lombardia ai tempi del disastro, edito da Feltrinelli nel 1977.
« ...voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,
che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochettiallora, allora ammazzateci tutti! »
(Antonello Venditti, Canzone per Seveso)
Recupero ambientale [modifica]
Nell'area più inquinata (Zona A), il terreno fu depositato in vasche. Fu apportato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco Naturale Bosco delle Querce.
Note [modifica]
^ Si stima che in diverse condizioni meteorologiche avrebbe potuto colpire un'area di 30.000 abitanti
^ il campione era composto da 1772 individui esposti ed altrettanti individui di controllo
^ (EN) Neonatal Thyroid Function in Seveso 25 Years after Maternal Exposure to Dioxin. Plos Medicine Journal, 29-07-2008. URL consultato il 22-04-2010.
^ s:L. 22 maggio 1978, n. 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza Legge 194 del 22 maggio 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza
Altri progetti [modifica]
Wikiquote contiene citazioni sul disastro di Seveso
Collegamenti esterni [modifica]
Bosco delle Querce
Il recupero ambientale
(EN) Seveso Oak Forest: The gradual reconstruction of an area contaminated by TCDD
Portale Catastrofi: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Catastrofi
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1 I fatti
2 La decontaminazione
3 Alcune conseguenze a lungo termine
4 Seveso e la legislazione sull'aborto
5 Testimonianze sull'evento
6 Recupero ambientale
7 Note
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I fatti [modifica]
Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA sito nel territorio del comune di Meda, al confine con quello di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l'esotermicità della reazione, aggravato dal fatto che nel processo di produzione l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.
L'esplosione del reattore venne evitata dall'apertura delle valvole di sicurezza, ma l'alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche.
La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e venne trasportata verso sud dal vento in quel momento prevalente.[1] Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto si trova immediatamente a sud della fabbrica.
Le prime avvisaglie furono l'odore acre e le infiammazioni agli occhi. Non vi furono morti, ma circa 240 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee. Per quanto riguarda gli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell'alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. La popolazione dei comuni colpiti venne però informata della gravità dell'evento solamente 8 giorni dopo la fuoriuscita della nube.
La decontaminazione [modifica]
Il territorio colpito fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A, B, e R.
Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono demolite e il primo strato di terreno venne rimosso; gli abitanti furono evacuati e ospitati in strutture alberghiere. La zona A venne presidiata dalle forze dell'ordine per impedire a chiunque di entrarvi.
La zona B, contaminata in minor misura, e la zona R, ovvero zona di rispetto, vennero tenute sotto controllo e vi fu imposto il divieto di coltivazione e di allevamento.
Successivamente vennero create due enormi vasche di contenimento, costantemente monitorate, nelle quali venne riposto tutto ciò che era presente nella zona A, il terreno rimosso e anche i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Al di sopra di queste due vasche sorse il Parco Naturale Bosco delle Querce, oggi aperto alla popolazione.
Alcune conseguenze a lungo termine [modifica]
Ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi.Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione[2] siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di deficit fisici ed intellettuali durante lo sviluppo [3].
È stato rivelato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all'epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell'apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile.
L'ipotesi dell'aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All'epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell'area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici.
Seveso e la legislazione sull'aborto [modifica]
La diossina è una sostanza altamente teratogena, capace quindi di creare gravi malformazioni ai feti. Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio.
Uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978 [4], confermata poi dal referendum del 1981.
Testimonianze sull'evento [modifica]
A questa triste vicenda si è ispirato il cantautore Antonello Venditti per scrivere Canzone per Seveso, pubblicata nell'ottobre del 1976 nell'album Ullalla, che analizza i fatti accaduti tentando di individuarne le cause profonde. Testimonianza degli avvenimenti avvenuti nel primo anno dopo la fuga si possono trovare nel libro "Visto da Seveso" di Laura Conti, consigliere regionale della Lombardia ai tempi del disastro, edito da Feltrinelli nel 1977.
« ...voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,
che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochettiallora, allora ammazzateci tutti! »
(Antonello Venditti, Canzone per Seveso)
Recupero ambientale [modifica]
Nell'area più inquinata (Zona A), il terreno fu depositato in vasche. Fu apportato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco Naturale Bosco delle Querce.
Note [modifica]
^ Si stima che in diverse condizioni meteorologiche avrebbe potuto colpire un'area di 30.000 abitanti
^ il campione era composto da 1772 individui esposti ed altrettanti individui di controllo
^ (EN) Neonatal Thyroid Function in Seveso 25 Years after Maternal Exposure to Dioxin. Plos Medicine Journal, 29-07-2008. URL consultato il 22-04-2010.
^ s:L. 22 maggio 1978, n. 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza Legge 194 del 22 maggio 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza
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Collegamenti esterni [modifica]
Bosco delle Querce
Il recupero ambientale
(EN) Seveso Oak Forest: The gradual reconstruction of an area contaminated by TCDD
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estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Seveso
Era il 1976, la diossina a Seveso
P. F.
18 aprile 2007
Poco dopo mezzogiorno del 10 luglio 1976 nello stabilimento chimico dell'Icmesa di Meda, una valvola di sicurezza di un reattore esplode provocando la fuoriuscita di alcuni chili di diossina nebulizzata (qualcuno dice 10-12 chili, altri di appena un paio); il vento disperde la nube tossica verso est, soprattutto sulla confinante cittadina di Seveso, in Brianza. Dopo quattro giorni dall'incidente le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, inizia la moria di galline, uccelli e conigli. Nell'area interessata vivono circa 100mila persone e si verificano i primi casi di intossicazione nella popolazione. Il 15 luglio il sindaco di Seveso emana un'ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l'erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all'aria aperta; il 18 luglio parte un'indagine dei carabinieri del comune di Meda e il pretore decreta la chiusura dello stabilimento; si procede all'arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all'emergenza. I casi d'intossicazione aumentano, i più colpiti sono i bambini. Si dà nome a una malattia allora quasi sconosciuta: la cloracne, il sintomo più eclatante dell'esposizione alla diossina, che colpisce la pelle, soprattutto del volto e dei genitali esterni, se l'esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Il 10 agosto si decide di evacuare l'area circostante l'impianto per circa 15 ettari e le famiglie residenti nelle zone più colpite sono invitate ad abbandonare le proprie abitazioni. Reticolati sono posti per delimitare le zone pericolose. Continuano intanto casi di intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno; nelle donne incinte si diffonde la preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui futuri nascituri. Ma gran parte degli "esperti" tendono a tranquillizzare tutti sminuendo gli effetti della diossina, anche se la televisione e i giornali continuano a mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli volti coperti da estese macchie rosse e le zone contaminate dove si aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di terreno e bruciano carcasse di animali. Il risultato concreto fu di privare quella gente, combattuta fra opposte versioni, di ogni certezza.
Seveso, la diossina è ancora una ferita per noi
Submitted by juble on 11/07/2010
da Il Giorno articolo di SONIA RONCONI
Centinaia di persone nel tunnel della gigantesca bara che custodisce case, oggetti e carcasse contaminate
— SEVESO —UN CALDO TORRIDO quello di ieri, proprio come 34 anni fa. Centinaia di persone, tanta gente comune di ogni età, moltissimi giovani sono entrati al Bosco delle Querce per festeggiare il compleanno del drammatico incidente che ha segnato Seveso per sempre col marchio della diossina. E ancora il sindaco Massimo Donati, lo storico Massimiliano Fratter, i volontari di Legambiente e molti uomini politici hanno seguito la tabella di marcia, che prevedeva un viaggio nella storia attraverso i pannelli del Ponte della Memoria, una visita all’area naturalistica. E per la prima volta dall’epoca del più grande disastro ambientale mai avvenuto in un paese industrializzato, sono entrati nel tunnel della vasca di Seveso, paragonata dal sindaco Massimo Donati alla Piramide di Cheope (un sarcofago di 140mila metri cubi). Tante domande da parte dei visitatori per conoscere la storia, la dimensione delle due vasche, ancora preoccupati del pericolo che possono rappresentare e incuriositi su monitoraggio e sicurezza. Massimiliano Fratter, storico e autore di un libro sulla diossina è stato molto esaustivo. «È incredibile – racconta Barbara Bertoglio, 24 anni – Noi della nuova generazione conosciamo la storia attraverso nonni e genitori che ce le tramandano. Anche se ci sembra impossibile l’idea di camminare su una collina di ricordi, che sotto ci sono case, animali, i sogni di tante persone che hanno sofferto. La mamma mi ha raccontato che lei aveva visto una nuvola rosa, e le sembrava di avere avuto un’allucinazione. Invece poi: il dramma. Parlando con gli amici ci si chiede se siamo davvero al sicuro. E se dovesse uscire la diossina, accadrebbe ancora ciò che è avvenuto allora? Non debbo pensarci altrimenti mi viene la pelle d’oca. Speriamo che questo rimanga il nostro passato». C’è anche l’ex sindaco di Seveso Giancarlo Orsenigo che ha governato la città dal 1985 al 1989. E come tutti gli amministratori che si sono avvincendati dopo Francesco Rocca hanno cercato di tutelare al massimo la città. «Alla gente va il merito - spiega - di essere andata a Milano a piedi e con veemenza e tanta buona volontà hanno impedito che il Bosco diventasse un forno inceneritore. I cittadini di Seveso sono stati grandi e insieme, uniti hanno fatto annullare la Legge Regionale». La famiglia Volpi con lo studio fotografico ha realizzato l’archivio della diossina. Ha iniziato papà Bruno nel 1976 ed ora c’è il figlio Emanuele che continua a collezionare scatti, oltre 2000 scansioni, anche del recupero delle vasche: un patrimonio unico dato al Comune. «Avevo 16 anni quando è accaduto il dramma. Noi vivevamo a Baruccana e stavo imbiancando. Ho sentito un odire acre che mi ha preso alla gola. Pensavo fosse la vernice. Il giorno dopo abbiamo scoperto cosa era accaduto, In quei giorni ho aiutato mio padre a fare le fotografie. Gli era stato commissionato dal Comune il lavoro per documentare la situazione, che era sconosciuta. Ma in Regione avevano bisogno di prove. Ad esempio vi erano delle case che dovevano essere abbattute e così le abbiamo fotografata all’interno e all’esterno, E non abbiamo mai finito l’avventura. Oggi mio figlio e qui e sta fotografando il presente».
«AVEVO 31 ANNI – racconta Sandro Mauri - e abitavo a due passi da dove è accaduto l’incidente, in via Carducci. Ricordo bene perché l’11, il giorno dopo è nata mia figlia. Come molte altre persone non credendo a ciò che si sentiva alla televisione o si leggeva sui giornali e ho fatto parte del gruppo che protestava anche con la chiusura della Superstrada. Poi se ne sentivano di tutti i colori, io avevo una bimba appena nata e dicevano che i bambini potevano morire, così, dopo averla battezzata ho spedito la famiglia in Valtellina, mio figlio maggiore era già la con mia mamma. Abitavo in via Carducci, la via divisa in due dal filo spinato. Io non ho dovuto lasciare Seveso come tanti miei conoscenti, perché ero dalla parte, che avevano stabilito, che non era pericolosa. Dal mio balcone vedevo l’Icmesa. L’ho sempre vissuta male questa storia. Penso che questa vicenda sia stata anche ingigantita e abbia fatto molto male a Seveso. Abbiamo pagato per anni ed io ho lottato con i gruppi che erano contrari. Morti per strada non ne abbiamo mai visti, eppure ci hanno terrorizzato in ogni modo. Ora è passata e Seveso è una delle città più verdi».
Submitted by juble on 11/07/2010
da Il Giorno articolo di SONIA RONCONI
Centinaia di persone nel tunnel della gigantesca bara che custodisce case, oggetti e carcasse contaminate
— SEVESO —UN CALDO TORRIDO quello di ieri, proprio come 34 anni fa. Centinaia di persone, tanta gente comune di ogni età, moltissimi giovani sono entrati al Bosco delle Querce per festeggiare il compleanno del drammatico incidente che ha segnato Seveso per sempre col marchio della diossina. E ancora il sindaco Massimo Donati, lo storico Massimiliano Fratter, i volontari di Legambiente e molti uomini politici hanno seguito la tabella di marcia, che prevedeva un viaggio nella storia attraverso i pannelli del Ponte della Memoria, una visita all’area naturalistica. E per la prima volta dall’epoca del più grande disastro ambientale mai avvenuto in un paese industrializzato, sono entrati nel tunnel della vasca di Seveso, paragonata dal sindaco Massimo Donati alla Piramide di Cheope (un sarcofago di 140mila metri cubi). Tante domande da parte dei visitatori per conoscere la storia, la dimensione delle due vasche, ancora preoccupati del pericolo che possono rappresentare e incuriositi su monitoraggio e sicurezza. Massimiliano Fratter, storico e autore di un libro sulla diossina è stato molto esaustivo. «È incredibile – racconta Barbara Bertoglio, 24 anni – Noi della nuova generazione conosciamo la storia attraverso nonni e genitori che ce le tramandano. Anche se ci sembra impossibile l’idea di camminare su una collina di ricordi, che sotto ci sono case, animali, i sogni di tante persone che hanno sofferto. La mamma mi ha raccontato che lei aveva visto una nuvola rosa, e le sembrava di avere avuto un’allucinazione. Invece poi: il dramma. Parlando con gli amici ci si chiede se siamo davvero al sicuro. E se dovesse uscire la diossina, accadrebbe ancora ciò che è avvenuto allora? Non debbo pensarci altrimenti mi viene la pelle d’oca. Speriamo che questo rimanga il nostro passato». C’è anche l’ex sindaco di Seveso Giancarlo Orsenigo che ha governato la città dal 1985 al 1989. E come tutti gli amministratori che si sono avvincendati dopo Francesco Rocca hanno cercato di tutelare al massimo la città. «Alla gente va il merito - spiega - di essere andata a Milano a piedi e con veemenza e tanta buona volontà hanno impedito che il Bosco diventasse un forno inceneritore. I cittadini di Seveso sono stati grandi e insieme, uniti hanno fatto annullare la Legge Regionale». La famiglia Volpi con lo studio fotografico ha realizzato l’archivio della diossina. Ha iniziato papà Bruno nel 1976 ed ora c’è il figlio Emanuele che continua a collezionare scatti, oltre 2000 scansioni, anche del recupero delle vasche: un patrimonio unico dato al Comune. «Avevo 16 anni quando è accaduto il dramma. Noi vivevamo a Baruccana e stavo imbiancando. Ho sentito un odire acre che mi ha preso alla gola. Pensavo fosse la vernice. Il giorno dopo abbiamo scoperto cosa era accaduto, In quei giorni ho aiutato mio padre a fare le fotografie. Gli era stato commissionato dal Comune il lavoro per documentare la situazione, che era sconosciuta. Ma in Regione avevano bisogno di prove. Ad esempio vi erano delle case che dovevano essere abbattute e così le abbiamo fotografata all’interno e all’esterno, E non abbiamo mai finito l’avventura. Oggi mio figlio e qui e sta fotografando il presente».
«AVEVO 31 ANNI – racconta Sandro Mauri - e abitavo a due passi da dove è accaduto l’incidente, in via Carducci. Ricordo bene perché l’11, il giorno dopo è nata mia figlia. Come molte altre persone non credendo a ciò che si sentiva alla televisione o si leggeva sui giornali e ho fatto parte del gruppo che protestava anche con la chiusura della Superstrada. Poi se ne sentivano di tutti i colori, io avevo una bimba appena nata e dicevano che i bambini potevano morire, così, dopo averla battezzata ho spedito la famiglia in Valtellina, mio figlio maggiore era già la con mia mamma. Abitavo in via Carducci, la via divisa in due dal filo spinato. Io non ho dovuto lasciare Seveso come tanti miei conoscenti, perché ero dalla parte, che avevano stabilito, che non era pericolosa. Dal mio balcone vedevo l’Icmesa. L’ho sempre vissuta male questa storia. Penso che questa vicenda sia stata anche ingigantita e abbia fatto molto male a Seveso. Abbiamo pagato per anni ed io ho lottato con i gruppi che erano contrari. Morti per strada non ne abbiamo mai visti, eppure ci hanno terrorizzato in ogni modo. Ora è passata e Seveso è una delle città più verdi».
estratto da: http://www.infonodo.org/node/25733
ricerca della clinica del lavoro di milano
Seveso: effetti della diossina 30 anni dopo
I bimbi nati da donne che vivevano nelle aree contaminate hanno un maggior rischio di disfunzioni tiroidee
MILANO - Il 10 luglio di 32 anni fa esplose il reattore chimico dell’Icmesa un’azienda di cosmetici di Meda, a una ventina di chilometri a nord dal capoluogo lombardo. Fu un disastro ecologico, ambientale, ma soprattutto umano che coinvolse prevalentemente gli abitanti di Seveso, un piccolo paese alle porte di Meda. E le ripercussioni di quella esplosione che per anni ha tenuto migliaia di persone con il fiato sospeso, soprattutto le donne che erano incinte e coloro che avrebbero voluto avere dei bambini, si fanno ancora sentire.
TIROIDE - La diossina, il composto dichiarato cancerogeno dall’OMS, sia pure con qualche perplessità, è tornata sul banco degli imputati per un ulteriore rischio, un’alterazione della tiroide nei bambini. Lo ha stabilito uno studio di un team coordinato da Andrea Baccarelli, ricercatore della Clinica del Lavoro di Milano (Fondazione Policlinico e Università degli Studi) e pubblicato sulla rivista Plos Medicine. Secondo gli studiosi italiani, con i quali hanno collaborato anche esperti americani la nube tossica continua a influenzare la salute della gente che vive in quelle zone della Brianza operosa, fatta di artigiani mobilieri del legno e specialisti di poltrone e divani. La diossina che persiste nell’ambiente per anni (ma si può eliminare come è stato fatto a Seveso) si accumula anche nell’organismo e si elimina molto lentamente. Bambini che oggi hanno dai 10 ai 15 anni, alla nascita, avevano elevati livelli di un ormone, il Tsh, nel sangue che influenza in funzionamento della tiroide.
LO STUDIO - «Il nostro lavoro – spiega il dottor Baccarelli – è nato dal fatto che la diossina persiste per molti anni nell’organismo. All’inizio degli anni novanta, infatti, nelle donne esaminate c’erano ancora tracce di diossina». Che effetto avrà sui bambini? Da questo interrogativo è partito lo studio che è stato indirizzato sulla tiroide, primo perché in Lombardia esiste un registro della funzione tiroidea, gestito dal dottor carlo Corbetta, responsabili dello screening neonatale della Lombardia, all’ospedale Buzzi di Milano e, secondo, perché l’indice tiroideo è molto sensibile agli effetti dell’inquinamento. Ma me si sarebbero contaminati questi bambini? E’ la stessa ricerca a spiegarlo. Il gruppo di Baccarelli, volendo dimostrare che gli effetti della diossina si prolungavano nel tempo ha preso in esame tre gruppi di bambini alla nascita nelle diverse zone di Seveso. E precisamente 1772 donne (nate dal 1949 al 1976) della zona A di Seveso, la più contaminata per la vicinanza alla fabbrica, 1772 della stessa fascia d’età della zona B di Seveso, territorio meno contaminato e altrettante di una zona circostante ma non contaminata dalla nube tossica. Complessivamente le donne hanno partorito, tra il 1994 e il 2005, 1014 bambini. Ai ricercatori è bastato esaminare i dati raccolti dal registro lombardo per verificare la presenza nel sangue di tireotropina, un ormone misurato per stabilire la funzionalità della tiroide. Alti livelli di questo ormone, normalmente, sono associati a danni alla tiroide, che possono portare problemi nello sviluppo fisico e cerebrale dei bambini. «Ma nessuno di questi 1014 bambini era malato – spiega Baccarelli – perché i valori sono stati presi alla nascita nell’ambito degli screening regionali e soltanto per 4 bambini (3 delle zone contaminate e uno della zona di riferimento) avevano livelli di Tsh superiori a 10. Ma sono stati curati e oggi stanno bene».
«RISULTATI SCONCERTANTI» - I risultati sono comunque sconcertanti, anche se saranno necessari ulteriori controlli per verificare se effettivamente potranno esserci danni alla salute a carico di questi bambini. I dati però non ammettono ripensamenti: nel sangue di questi bambini, specialmente in quelli più vicini alla zona contaminata, c’è un più alto livello di Tsh. Vediamo. In pratica i figli delle zone che hanno vissuto nella zona A di Seveso sono risultati alla nascita più a rischio di 6,6 volte per alti livelli di Tsh nel sangue rispetto ai bambini dell’area non contaminata, quella cioè di riferimento. Mentre i bambini della zona B hanno mostrato livelli di Tsh intermedi, fra i valori alti della zona contaminata e quelli bassi della zona indenne. I valori normali indicano che al massimo il 3% della popolazione può avere livelli di Tsh superiori a 5. Ebbene, nella zona A erano il 16% dei bambini, di cui 4 sopra a 10. Ma c’è di più. Gli studiosi hanno voluto cercare un’altra conferma del risultato e l’hanno trovata nell’esaminare 51 mamme che al momento del parto avevano un determinato livello di diossina nel sangue. Ebbene alla fine è risultato che i bambini più a rischio sono quelli delle mamme che avevano più elevate tracce diossina nel sangue.
Edoardo Stucchi30 luglio 2008
Seveso: effetti della diossina 30 anni dopo
I bimbi nati da donne che vivevano nelle aree contaminate hanno un maggior rischio di disfunzioni tiroidee
MILANO - Il 10 luglio di 32 anni fa esplose il reattore chimico dell’Icmesa un’azienda di cosmetici di Meda, a una ventina di chilometri a nord dal capoluogo lombardo. Fu un disastro ecologico, ambientale, ma soprattutto umano che coinvolse prevalentemente gli abitanti di Seveso, un piccolo paese alle porte di Meda. E le ripercussioni di quella esplosione che per anni ha tenuto migliaia di persone con il fiato sospeso, soprattutto le donne che erano incinte e coloro che avrebbero voluto avere dei bambini, si fanno ancora sentire.
TIROIDE - La diossina, il composto dichiarato cancerogeno dall’OMS, sia pure con qualche perplessità, è tornata sul banco degli imputati per un ulteriore rischio, un’alterazione della tiroide nei bambini. Lo ha stabilito uno studio di un team coordinato da Andrea Baccarelli, ricercatore della Clinica del Lavoro di Milano (Fondazione Policlinico e Università degli Studi) e pubblicato sulla rivista Plos Medicine. Secondo gli studiosi italiani, con i quali hanno collaborato anche esperti americani la nube tossica continua a influenzare la salute della gente che vive in quelle zone della Brianza operosa, fatta di artigiani mobilieri del legno e specialisti di poltrone e divani. La diossina che persiste nell’ambiente per anni (ma si può eliminare come è stato fatto a Seveso) si accumula anche nell’organismo e si elimina molto lentamente. Bambini che oggi hanno dai 10 ai 15 anni, alla nascita, avevano elevati livelli di un ormone, il Tsh, nel sangue che influenza in funzionamento della tiroide.
LO STUDIO - «Il nostro lavoro – spiega il dottor Baccarelli – è nato dal fatto che la diossina persiste per molti anni nell’organismo. All’inizio degli anni novanta, infatti, nelle donne esaminate c’erano ancora tracce di diossina». Che effetto avrà sui bambini? Da questo interrogativo è partito lo studio che è stato indirizzato sulla tiroide, primo perché in Lombardia esiste un registro della funzione tiroidea, gestito dal dottor carlo Corbetta, responsabili dello screening neonatale della Lombardia, all’ospedale Buzzi di Milano e, secondo, perché l’indice tiroideo è molto sensibile agli effetti dell’inquinamento. Ma me si sarebbero contaminati questi bambini? E’ la stessa ricerca a spiegarlo. Il gruppo di Baccarelli, volendo dimostrare che gli effetti della diossina si prolungavano nel tempo ha preso in esame tre gruppi di bambini alla nascita nelle diverse zone di Seveso. E precisamente 1772 donne (nate dal 1949 al 1976) della zona A di Seveso, la più contaminata per la vicinanza alla fabbrica, 1772 della stessa fascia d’età della zona B di Seveso, territorio meno contaminato e altrettante di una zona circostante ma non contaminata dalla nube tossica. Complessivamente le donne hanno partorito, tra il 1994 e il 2005, 1014 bambini. Ai ricercatori è bastato esaminare i dati raccolti dal registro lombardo per verificare la presenza nel sangue di tireotropina, un ormone misurato per stabilire la funzionalità della tiroide. Alti livelli di questo ormone, normalmente, sono associati a danni alla tiroide, che possono portare problemi nello sviluppo fisico e cerebrale dei bambini. «Ma nessuno di questi 1014 bambini era malato – spiega Baccarelli – perché i valori sono stati presi alla nascita nell’ambito degli screening regionali e soltanto per 4 bambini (3 delle zone contaminate e uno della zona di riferimento) avevano livelli di Tsh superiori a 10. Ma sono stati curati e oggi stanno bene».
«RISULTATI SCONCERTANTI» - I risultati sono comunque sconcertanti, anche se saranno necessari ulteriori controlli per verificare se effettivamente potranno esserci danni alla salute a carico di questi bambini. I dati però non ammettono ripensamenti: nel sangue di questi bambini, specialmente in quelli più vicini alla zona contaminata, c’è un più alto livello di Tsh. Vediamo. In pratica i figli delle zone che hanno vissuto nella zona A di Seveso sono risultati alla nascita più a rischio di 6,6 volte per alti livelli di Tsh nel sangue rispetto ai bambini dell’area non contaminata, quella cioè di riferimento. Mentre i bambini della zona B hanno mostrato livelli di Tsh intermedi, fra i valori alti della zona contaminata e quelli bassi della zona indenne. I valori normali indicano che al massimo il 3% della popolazione può avere livelli di Tsh superiori a 5. Ebbene, nella zona A erano il 16% dei bambini, di cui 4 sopra a 10. Ma c’è di più. Gli studiosi hanno voluto cercare un’altra conferma del risultato e l’hanno trovata nell’esaminare 51 mamme che al momento del parto avevano un determinato livello di diossina nel sangue. Ebbene alla fine è risultato che i bambini più a rischio sono quelli delle mamme che avevano più elevate tracce diossina nel sangue.
Edoardo Stucchi30 luglio 2008
A Seveso tumori oltre la mediaLa diossina colpisce dopo 33 anni
Uno studio conferma che è più alto il rischio cancro al seno per le donne che abitano nella zona a più alta contaminazione. E risulta più alto il rischio di tumori linfatici e del sangue per coloro che abitano nei distretti limitrofi meno contaminati. In pericolo anche le persone nate da donne esposte
I veleni dell'industria chimica che il 10 luglio 1976 si sparsero nell'abitato di Seveso, in Lombardia, sotto forma di una nera nube carica di diossine continuano a fare male alle popolazioni esposte al disastro ambientale, sia direttamente, sia indirettamente, per quanto riguarda i figli delle donne che abitavano i luoghi contaminati. Si registrano, infatti, più tumori tra queste persone rispetto alla media nazionale. È quanto afferma uno studio dei ricercatori della Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano e diretto da Angela Pescatori e Pier Alberto Bertazzi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental Health. I ricercatori hanno riscontrato che è più alto il rischio cancro al seno per le donne che abitano nella zona a più alta contaminazione da 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina (Tcdd), la più pericolosa tra le diossine, classificata dall'OMS come carcinogeno di classe uno; così come risulta più alto il rischio di tumori linfatici e del sangue per tutti coloro che abitano nei distretti limitrofi anche meno contaminati.
A Seveso tutto iniziò con un incidente verificatosi nel confinante comune di Meda presso gli impianti chimici della società elvetica Icmesa (gruppo Givoudan-La Roche): alle 12 e 40 del 10 luglio di 33 anni fa un reattore dell'industria 'sputo'' una nube tossica. Da allora si cerca di far luce sulle 'ferite profonde' di quella tragedia e questo non è il primo studio a mettere allerta sui pericoli delle diossine sprigionate. Un recente lavoro di Andrea Baccarelli dell'Università di Milano ha dimostrato infatti che i bimbi nati da donne che vivevano nelle aree contaminate da diossina mostrano disfunzioni tiroidee con frequenza 6,6 volte maggiore dei coetanei figli di donne non esposte, che evidenzia una netta associazione tra esposizione materna a Tcdd ed alterazioni della funzione neonatale tiroidea in una ampia popolazione esposta dopo l'incidente di Seveso.
In questa nuova indagine, invece, gli esperti hanno misurato l'incidenza di vari tumori negli abitanti di tre zone variamente esposte alla TCDD. Hanno considerato tre zone di esposizione decrescente (concentrazioni decrescenti di Tcdd nel suolo) denominate 'A' (molto alta), B (alta), R (bassa), e una zona 'franca' dall'inquinamento, coprendo un periodo che va dal 1977 al 1996. È emerso che l'incidenza di cancro al seno è più alta nelle donne che abitavano la zona A durante l'incidente o vi sono nate o migrate dopo. L'incidenza di tumori linfatici o del sangue è invece più alta sia nella zona A sia nella B per entrambi i sessi.Lo studio conferma che la diossina sparsa a Seveso è cancerogena e, concludono i ricercatori, a rischio sono non solo le persone direttamente esposte perché abitavano lì al momento dell'incidente, ma anche quelle arrivate dopo e i nati da donne esposte alla contaminazione.(Ansa) 15 settembre 2009
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