Pietro Berti

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Anchorage

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lunedì 7 marzo 2011

La lapidazione nell'islam
















La lapidazione è un tipo di pena di morte, diffusa fin dall'antichità, nella quale il condannato è ucciso attraverso il lancio di pietre. Spesso tale supplizio avviene con la partecipazione della folla. La lapidazione è stata usata fin dall'antichità per punire prostitute, adultere, assassini e, nella tradizione islamica, gli apostati e gli omosessuali. La finalità di tale pratica era sostanzialmente l'espiazione pubblica della colpa del reo ed anche la formalizzazione del diritto alla vendetta; difatti, gli stessi accusatori del condannato partecipavano attivamente al lancio delle pietre.
La lapidazione (in lingua araba Rajm), è ancora oggi presente nella giurisdizione di alcuni stati islamici, come Iran, Nigeria, Arabia Saudita, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Afghanistan e Yemen, il cui diritto è strutturato sulla legge coranica. Nel 2004 alcune esecuzioni previste in Nigeria sono state fermate grazie alla pressione internazionale. Nella lapidazione il condannato è avvolto in un sudario bianco ed è seppellito fino alla vita, se si tratta di un uomo, e fino al petto, se si tratta di una donna.


Casi attuali di lapidazione nei paesi islamici [modifica]
Tra gli Stati con popolazione a maggioranza musulmana, esercitano la pena di morte per lapidazione solo quelli che maggiormente hanno recepito, nel proprio ordinamento giuridico, le prescrizioni islamiche. In altri casi la lapidazione viene comminata da parte di corti islamiche non ufficiali, parallele alle corti statali. Tali corti, nella maggior parte dei casi, non fanno nessuno sforzo per opporsi alle lapidazioni, rifacendosi direttamente ai testi sacri del Corano e degli Hadith, la legge islamica, che prescrivono chiaramente tale pena per il reato di adulterio.
Pakistan: la legge islamica prevede la lapidazione, ma non vi sono stati casi.
Afghanistan: il sistema legale e giudiziario è frammentato e la lapidazione può essere comminata nelle aree tribali.
Iran: la lapidazione viene reintrodotta nel 1983 a seguito della Rivoluzione Islamica sciita, con la ratifica del Codice Penale Islamico. I giuristi iraniani concordano sulla impossibilità pressoché totale di comminare la pena di lapidazione in base alle condizioni imposte dal fiqh. Inoltre, a causa dell’opposizione interna e internazionale il governo e il sistema giudiziario hanno imposto una serie di moratorie sulla pratica, nel 2002 e nel 2008. Ciononostante, la lapidazione ha continuato ad essere una pena legale e ad essere praticata in taluni casi.
Sudan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti: vengono riportati casi di lapidazione, con o senza sentenza.
Somalia: la lapidazione viene effettuata nei territori controllati dalle forze delle corti islamiche. Nell’ottobre 2008 una ragazza 13enne viene lapidata nello stadio di Chisimaio di fronte a 1000 persone, dopo aver suppostamente confessato e richiesto la pena ad una corte islamica. Pare che la ragazza fosse invece stata arrestata dopo aver denunciato uno stupro, e quindi consegnata alla corte.
Nigeria: dodici stati della Nigeria settentrionale hanno reintrodotto la Sharia come codice penale tra 2000 e 2001, nonostante tali norme confliggano con la Costituzione nigeriana. Amina Lawal venne condannata alla lapidazione per essere rimasta incinta fuori dal matrimonio, per essere poi rilasciata a causa delle forti pressioni internazionali.
In Iran, paese in cui è praticata da lungo tempo, la procedura è studiata in modo che il decesso non avvenga a seguito di un solo colpo: la legge prevede che "le pietre non devono essere così grandi da far morire il condannato al solo lancio di una o due di esse; esse inoltre non devono essere così piccole da non poter essere definite come pietre"[1].
Note [modifica]
^ Codice Penale Iraniano, art.104
Voci correlate [modifica]
Rajm
Altri progetti [modifica]
Wikimedia Commons contiene file multimediali sulla lapidazione
Wikizionario contiene la voce di dizionario «lapidazione»
Wikiquote contiene citazioni sulla lapidazione
Collegamenti esterni [modifica]
(EN) Commento di Rainews24 previo alla possibile condanna Amina Lawall
(EN) Attenzione: si sconsiglia la visione a persone impressionabili o sensibili Video di una lapidazione
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Origini di questa sanzione





Satana nella tradizione islamica
Nell'Islam, Iblīs (Arabo إبليس), è il diavolo principale. Appare più spesso nel Corano con il nome di Shaytān (الشيطان‏‏): Iblis è citato 11 volte e Shaytān 87 volte.È il capo degli spiriti del male, e la sua personalità ricorda quella del diavolo cristiano. Disubbidì ad Allāh quando gli fu ordinato (come a tutti gli angeli) di adorare Adamo da Lui creato. L'obiezione da lui avanzata che Egli era l'unico degno di essere adorato, potrebbe apparire assolutamente corretta e iper-monoteistica se essa non fosse stata invece, incontestabilmente, un atto di disubbidienza, peccato massimo nei confronti di Dio.Fu quindi cacciato dal Suo cospetto. Da allora è noto in ambiente arabofono islamico come Shaytān o Shaytān il lapidato ( Shaytān al-rajīm ), come affermato nel versetto 98 della sura XVI del Corano che riferisce l'episodio in cui egli aveva tentato Ibrāhīm (Abramo), o secondo alcuni suo figlio Isacco o Ismāʿīl (Ismaele), perché non ubbidisse all'ordine di Dio - che voleva mettere alla prova l'ubbidienza del Suo servo - che Gli sacrificasse il figlio.Con la formula apotropaica musulmana Aʿūdhu bi-llāh min al-Shayṭān al-rajīm (mi rifugio in Dio da Satana "il lapidato"), sempre in ottemperanza con quanto prescritto da Cor., XVI:98, si usa avviare la lettura testuale del Testo sacro dell'Islam, facendola seguire dalla basmala che, salvo in un caso, premette qualsiasi sura coranica.La lapidazione con pietre ( jimār ) di 3 diverse colonne nella zona della Aqaba di Mecca, nel corso della conclusione del rito canonico del hajj, costituisce uno dei momenti obbligatori della cerimonia e uno dei suoi momenti più spettacolari, anche se potenzialmente pericolosi a causa dell'affollamento e delle pietre che possono colpire i fedeli più a ridosso delle colonne che rappresentano appunto Shaytān.










La Sharia





I reati penali nel diritto islamico Il diritto islamico è il terzo grande sistema giuridico mondiale. La caratteristica principale è che poiché Islam significa totale sottomissione a Dio, il diritto islamico non si sottrae a questa sottomissione. Inoltre, richiamandosi nei vari a scuole o riti diversi, spesso presenti in varia proporzione nella medesima nazione, non è unitario.





La Sharia Il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica prende il nome di Sharia. In quest'ultima convivono regole teologiche, morali, rituali e quelle che noi chiameremmo norme di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali, processuali e di diritto bellico. Sharia significa, alla lettera, "la via da seguire", ma si può anche tradurre con "Legge divina".





Le fonti del diritto islamico Coincidono con le fonti della teologia islamica e sono quattro: il Corano, la tradizione sacra (sunna), l'opinione concorde e l'interpretazione analogica. A queste si aggiungono alcune fonti non canoniche, usate però di fatto nella vita giuridica degli stati islamici e sono: la consuetudine ("urf"), le decisioni giudiziarie, il decreto del sovrano ("qanun") e il pubblico interesse ("maslaba")-Il Corano come fonte giuridica, offre poco materiale. Dei 6237 versetti che lo compongono, circa il dieci per cento si riferisce a temi giuridici in senso lato-





La tradizione sacra ("Sunna").Maometto aveva risolto casi concreti o espresso opinioni che potevano contribuire a colmare in modo autentico le lacune del Corano. Una "tradizione" deve essere un racconto tramandato da una catena ininterrotta di narratori attendibili e avente per oggetto un comportamento di Maometto, il cui agire è ispirato da Dio. Come è facile immaginare, nel mondo islamico non esiste un'opinione unitaria e concorde su quali hadith siano da ritenere attendibili: una collezione di hadith del IX secolo ne elenca 300.000, di cui soltanto 8000 ritenuti autentici.- L'opinione concorde della comunità ("ijma"). Corano e sunna, interpretati anche secondo tecniche minuziose, lasciavano però ancora qualche problema insoluto, né i pareri degli ulema avevano forza sufficiente ad integrare la parola di Dio. Tuttavia una tradizione della sunna afferma che, se la comunità dei giuristi-teologi da il suo consenso generale ad una teoria, questa non può essere errata. Questo consenso (ijma) non è facile da definire. Di fatto, l'ijma è intesa come il consenso dei giurisperiti più autorevoli, purché il loro numero sia ragionevolmente grande e il loro parere chiaramente formulato.-





L'interpretazione analogica ("qiyas"). Questa fonte è specificamente giuridica, nel senso che l'uso dell'analogia - strumento indiscusso in teologia - fu oggetto di gravi controversie nella soluzione di casi giudiziari, perché si riteneva empio usare la ragione umana per colmare un'apparente lacuna divina.L'analogia era un apporto esterno all'islam.Il diritto penale islamicoNon presenta una distinzione netta tra peccato e reato, dato il carattere religioso dell'intero sistema giuridico. Di conseguenza, il diritto penale fa la sua apparizione come disciplina relativamente autonoma solo verso il XII secolo dell'ègira. I reati penali si possono distinguere in tre grandi categorie.Alla prima appartengono i reati espressamente puniti dal Corano e dalla sunna. Prendono il nome di reati hudud, sono i più gravi e il giudice ha nei loro riguardi un potere discrezionale molto limitato. Contro questi reati la religione nascente viene difesa con durezza: la flagellazione e la pena di morte colpiscono i reati contro Allah, quali l'apostasia, la bestemmia o l'adulterio. Pene corporali severe vengono applicate a reati gravi come il furto o il brigantaggio. Questi reati vengono sempre perseguiti d'ufficio, perché rivolti contro Dio e lo stato è il vicario di Dio sulla terra. Alla seconda categoria appartengono i delitti di sangue (reati qisas). Anche qui le pene sono determinate dal Corano e dalla sunna, quindi la discrezionalità del giudice è limitata. Essi sono puniti con la legge del taglione, la quale - a discrezione della vittima o della sua famiglia - può essere sostituita dal prezzo del sangue o dl perdono.La terza categoria di reati - detti tazir - comprende infine quei comportamenti che, di epoca in epoca, sono stati considerati nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali né il Corano, né la sunna prevedono pene specifiche. La loro punizione ricade quindi nell'ambito della discrezionalità del giudice. Risulta perciò difficile fissarne con precisione la fattispecie, perché variano di luogo in luogo e di epoca in epoca. Le si può individuare soprattutto ex negativo: i reati che non sono né hudud né qisas sono tazir.I vari tipi di reato si distinguono in base alla fattispecie, alla prova richiesta e alla punizione prevista:





Reati hudud: adulterio, diffamazione, apostasia, brigantaggio, uso di bevande alcoliche, furto, ribellione.





Reati qisas: omicidio volontario con un'arma, omicidio volontario, omicidio per fatto involontario, omicidio indiretto, lesione corporale volontaria, lesione corporale involontaria.





Reati tazir: sodomia; importazione, esportazione, trasporto, produzione o vendita di vino; reati minori (disobbedienza al marito, insulti a terzi); diserzione; appropriazione indebita, falsa testimonianza; evasione fiscale; vari reati minori; reo recidivo per un reato tazir; usura, corruzione, violazione dei doveri derivanti da negozi fiduciari.










Femmis--------------------------------------------------------------------------------In Iran, il codice penale Islamico prevede la morte mediante lapidazione per le adultere e per alcuni altri reati. Il codice penale stabilisce che "per la lapidazione, le pietre non dovrebbero essere tanto grosse da uccidere il condannato al primo o secondo colpo, né tanto piccole da non poter esser definite vere e proprie pietre". Nel corso del 1989, almeno 24 delle 40 persone che sarebbero state lapidate erano donne, giustiziate per reati quali l'adulterio e la prostituzione.In Pakistan, a causa dei decreti Hudood, che sono stati promulgati nel 1979, molte donne rischiano punizioni crudeli. Il crimine detto "zina" - rapporti sessuali extraconiugali volontari- può essere punito con la pubblica flagellazione e la lapidazione. Entro la fine del 1990, benché fossero stati condannati alla lapidazione sia uomini che donne, non era stata eseguita alcuna sentenza.Rischiano l'accusa di "zina" le donne che sono state violentate, che denuncino o meno l'aggressione subita.Se rimane incinta a seguito di uno stupro non denunciato, una donna può essere accusata di "zina".Quando però una donna denuncia uno stupro, l'onere della prova grava su di lei. Parecchie donne pakistane hanno accusato degli uomini di violenza carnale, ma non sono riuscite a provarlo in tribunale.Sono stati assolti degli imputati, mentre le querelanti sono state accusate "zina". Nel 1988, in una stazione di polizia a Lahore, sarebbero state violentate dai poliziotti due donne trattenute con l'accusa di "zina". In seguito a un'inchiesta ufficiale sul caso, l'Alta Corte di Lahore ha appurato che le due donne erano state stuprate e torturate, e che le accuse mosse contro di loro erano false. Le autorità non hanno però arrestato i poliziotti che sarebbero stati coinvolti negli stupri, e, nel marzo del 1990, non erano ancora state ritirate le accuse di "zina" formulate nei confronti delle due donne.(...)In Iran vengono puniti con la flagellazione reati quali il non portare il velo o il non rispettare altre norme sull'abbigliamento.Le autorità imporrebbero questa punizione in maniera incoerente; in alcune occasioni delle donne sarebbero state frustate sulla pubblica via senza la minima formalità legale.(tratto da "Rapporto sulle violazioni dei diritti umani delle donne", Amnesty International 1991).L'Urlo contro la pena di morte















La lapidazione nel mondo
Valentina Piattelli
Squilibrio, 2 aprile 2002
I casi di Safya Husseini e Amina Lawal in Nigeria han fatto tornare l’attenzione sulla pena della lapidazione. Contrariamente all’opinione corrente, la lapidazione non è un rimasuglio del passato ma una pena in espansione, diffusa dagli integralisti.
Una pena anticaNelle pietrose contrade mediorientali la lapidazione costituisce una forma di linciaggio e di esecuzione sommaria di origini antiche. Sia la Bibbia, sia il Corano riferiscono infatti vari episodi di lapidazione.Nelle pietrose contrade mediorientali la lapidazione costituisce una forma di linciaggio e di esecuzione sommaria di origini antiche. Sia la Bibbia, sia il Corano riferiscono infatti vari episodi di lapidazione; in particolare per i musulmani la lapidazione sarebbe prescritta da un Hadith, cioè un detto attribuito al Profeta Muhamed (Hadith, volume 8, Libro 82, numero 810):
“Narra Jabir: un uomo della tribù di Aslam andò dal profeta e confessò di aver avuto una relazione sessuale illecita. Il profeta se ne andò e gli volse le spalle finché l’uomo non ebbe confessato il suo crimine quattro volte. Il profeta allora disse “sei forse pazzo?”, l’uomo rispose “no”. Il profeta allora chiese “sei sposato?”, l’uomo rispose “si”. Il profeta ordinò allora ai musulmani di lapidarlo a morte. Fu lapidato a Musalla. Quando le pietre lo colpirono egli fuggì, ma fu catturato e lapidato finché non morì. Il Profeta in seguito parlò bene di lui e gli tributò le preghiere al funerale”.
Al giorno d’oggi alcuni stati islamici prevedono nei propri codici penali o nella prassi la pena di morte tramite lapidazione per gli adulteri, come prescritto dall’interpretazione della legge islamica, la shari’a, dell’Imam Malik. Infatti per la tradizione musulmana gli atti sessuali non sono una questione privata, ma la misura dell’onore dell’intera società. L’adultero non commette un reato contro il coniuge, ma disonora l’intera società e per questo deve essere punito in pubblico nel modo più severo.
Secondo l’interpretazione più severa della shari’a le pietre per la lapidazione non dovrebbero essere tanto grosse da uccidere il condannato al primo o secondo colpo, né tanto piccole da non poter esser definite vere e proprie pietre. Gli uomini devono essere sepolti fino alla vita e le donne fino al petto; chi riesce a sfuggire da queste fosse, ha salva la vita. Per le donne chiaramente è più difficile sfuggire alla lapidazione, dato che la loro fossa è più profonda.
Una pena nuovaMolti governi fondamentalisti hanno introdotto la lapidazione; in altri paesi, governi poco interessati a proteggere i diritti dei propri cittadini permettono che “tribunali tradizionali” condannino alla lapidazione.La lapidazione, lungi dall’essere un’usanza del passato è in molti paesi - come ad esempio l’Iran o la Nigeria - una pena nuova, introdotta dai governi fondamentalisti. In altri paesi - come ad esempio il Bangladesh o il Pakistan - governi poco interessati a proteggere i diritti dei propri cittadini permettono che “tribunali tradizionali” amministrino la giustizia condannando a morte per lapidazione o con altre pene crudeli come l’amputazione a la fustigazione.
Questa concomitanza di fatti - sopravvivenza di pene tradizionali e recupero ideologico da parte dei fondamentalisti - fa sì che il numero complessivo delle lapidazioni e le zone del mondo in cui è praticata questa pena siano in espansione.
Paesi in cui esiste la lapidazioneDall'Afghanistan allo Yemen, la minaccia della lapidazione serve in genere a intimidire le donne che cercano di affermare se stesse. E' stato comunque l'Iran il primo paese in cui la lapidazione è tornata in auge con gli integralisti.In Afghanistan durante il regime dei Talebani vi sono state molte lapidazioni in pubblico. Prima della guerra in Afghanistan i governi si erano opposti a pratiche quali la lapidazione, il taglio della mano e la flagellazione pubblica, e si riteneva ormai che fossero eventi che accadevano raramente in qualche zona rurale. Durante l’occupazione sovietica alcuni gruppi armati di Mujahedin incoraggiarono l’applicazione sommaria di queste forme di punizione ritenute “islamiche”. Nel 1993, ad esempio, a Sarobi, vicino a Jalalabad, dopo 8 anni di assenza un comandante militare rientrò nel suo paese alla testa della milizia Hezb-e Islami e trovò che la moglie si era risposata credendolo morto; ordinò quindi ai suoi uomini di lapidare la donna in pubblico. Sotto i Talebani vi fu un ulteriore aumento dell’uso di queste pene. Ad esempio nel marzo del 1997 la radio talebana Voce della Shari’ia informò che nella provincia di Laghman era stata lapidata un’adultera. Si ha anche notizia di una variante della lapidazione per gli uomini ritenuti colpevoli di 'sodomia': venivano sepolti sotto un muro fatto crollare sopra di loro. Ad esempio nel 1998 a Kotal Morcha, a nord di Kandahar un carro armato fu usato di fronte a migliaia di persone per far cadere un muro su tre uomini accusati di sodomia.(sull'omosessualità e la shari'a si vedano i documenti della International Lesbian And Gay Association)
In Arabia Saudita non c’è un vero e proprio codice penale, né un sistema giudiziario regolamentato. Gli imputati non hanno diritto ad un avvocato e i processi sono segreti e si basano esclusivamente sulla confessione, spesso estorta sotto tortura. Gli imputati non vengono informati della condanna e non vi è possibilità di appello: nei casi capitali il loro dossier viene soltanto “riesaminato” dal Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri, nominati dal Re, sono ritenuti responsabili dell’applicazione della shari’a. La pena consuetudinaria per l’adulterio è la morte tramite lapidazione.
In Bangladesh, i tribunali del clero del villaggio, chiamati salish, emettono una fatwa contro quelle persone - in genere donne - ritenute colpevoli di aver violato il codice morale islamico. Tali condanne vanno dalla rasatura della testa alla lapidazione, passando per la fustigazione. Ogni anno si hanno notizie riguardo a decine di casi del genere. Va notato che ci sono anche ragioni economiche dietro questi editti religiosi; infatti i membri del salish ricevono una donazione, chiamata fatwabaz, ogni volta che emettono una fatwa. Inoltre, come evidenziato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’intolleranza religiosa, le fatwa costituiscono un chiaro tentativo di “rintuzzare ogni tentativo di emancipazione delle donne”. In Bangladesh infatti sono stati i movimenti femministi i primi a schierarsi contro questo sistema giudiziario parallelo, senza regole, né leggi.Nel 1993 Nurjahan Begum, di 21 anni, dopo essere stata abbandonata dal marito aveva ottenuto il permesso di risposarsi dall'autorità religiosa del suo villaggio. Nel gennaio del 1993 però, il salish la condannò alla lapidazione insieme al nuovo marito, Motaleb, per aver consumato un matrimonio “non islamico” e i genitori di lei alla pena di cinquanta frustate per aver accettato il secondo matrimonio della figlia: l'annullamento del precedente matrimonio non veniva considerato valido e Nurjahan veniva considerata un'adultera. Venne sepolta fino al petto e lapidata a morte dagli abitanti del villaggio, mentre il marito riuscì a sopravvivere alla lapidazione. Anche grazie all’intervento di Amnesty International, un tribunale del Bangladesh condannò 9 uomini a sette anni per aver partecipato alla lapidazione di Nurjahan Begum. Nonostante questa importante sentenza, i salish hanno continuato a emettere condanne ed a farle eseguire. Nel gennaio del 2001, dopo che due nuovi giudici erano stati nominati alla Corte Suprema del Bangladesh - Mohammad Gholam Rabbani e Nazmun Ara Sultana, la prima donna a ricoprire un simile incarico -, la Corte Suprema ha stabilito che gli editti emessi dal clero musulmano sono illegali ed ha chiesto che il parlamento legiferi in modo da rendere l’emissione di una fatwa un reato punibile dalla legge. Dopo un anno però non vi erano ancora stati progressi riguardo a questa proposta.
Anche negli Emirati Arabi Uniti esiste la pena della lapidazione. Nel febbraio del 2000 Kartini bint Karim, cittadina indonesiana, fu condannata alla lapidazione per adulterio da una corte islamica nell'Emirato di Fujairah. In appello la condanna venne commutata in un anno di carcere e nella deportazione in Indonesia.
In Nigeria, con l’introduzione del diritto islamico negli stati del nord, è stata introdotta la pena della lapidazione, oltre che altre pene crudeli e disumane come il taglio degli arti e la fustigazione. Safya Husseini, nello stato di Sokoto, è stata la prima ad essere condannata alla lapidazione per adulterio. Dopo la mobilitazione internazionale, la condanna è stata ritirata in appello nel marzo scorso, e il governo federale ha dichiarato incostituzionale la Shari’ia. Le condanne alla lapidazione per adulterio però continuano. Amina Lawal Kurami, nello stato di Katsina, è stata condannata nel marzo 2002 e la sentenza è stata ribadita nell'agosto dello stesso anno. La Comunità di Sant’Egidio ha lanciato una petizione per salvare Amina, che può essere sottoscritta sul loro sito. Anche un uomo, Yunusa Rafin Chiyawa, è stato condannato per aver confessato di aver avuto rapporti sessuali con la moglie di un amico, Aisha Haruna. La donna ha detto di essere stata ipnotizzata e per questo è stata scagionata, l’uomo invece ha confessato in tribunale, dove la seduta è stata aggiornata per permettergli di pensare alle conseguenze della sua ammissione di colpa, ma l’uomo ha ribadito la sua confessione ed è stato condannato alla lapidazione alla fine di giugno del 2002.
In Somalia, a causa della guerra civile, le strutture giudiziarie sono collassate. I tribunali islamici nati a livello locale sembra abbiano spesso condannato a pene quali il taglio delle mani o dei piedi e anche alla lapidazione. Ad esempio nell’aprile del 2000 un tribunale islamico vicino a Merca nella regione Shebelle inferiore sembra abbia giudicato colpevole una donna per poligamia e l'abbia condannata a morte per lapidazione. L’esecuzione sarebbe stata sospesa perché la donna era incinta.
In Sudan il 17 gennaio del 2002 è giunta notizia di Abok Alfa Akok, una ragazza di 18 anni cristiana della tribù Dinka, condannata alla lapidazione per adulterio dalla da un tribunale islamico a Nyala, Darfur meridionale. La rete dei tribunali islamici locali era stata creata dal fondamentalista sudanese Hassan el Turabi; il loro controllo da parte del governo centrale è difficile. La sentenza è stata revocata dalla Corte suprema non appena la notizia era divenuta un fatto di pubblico dominio.
Nello Yemen, si ha notizia di un uomo "giustiziato" tramite lapidazione nel gennaio del 2000. L'esecuzione sarebbe durata oltre quattro ore prima che l'uomo morisse. Era stato ritenuto colpevole di aver violentato e ucciso la figlia.
In Pakistan la Legge sulla fornicazione (zina) rende punibile questo “reato” con flagellazione pubblica o lapidazione. Vengono ritenute colpevoli di zina anche le donne violentate che non riescono a provare di non essere state consenzienti, e per farlo è necessaria la confessione dello stupratore o la testimonianza di 4 musulmani di buona reputazione che siano stati testimoni oculari del fatto. La testimonianza delle donne non è considerata valida. Nel 1987 Shahida Parvin fu condannata alla lapidazione dopo che un tribunale aveva deciso che la relazione con il suo secondo marito non era valida perché il primo marito aveva negato di aver divorziato da lei. In appello però fu prosciolta. Di recente (maggio 2002) Zafran Bibi è stata condannata a morte tramite lapidazione per adulterio. Era rimasta incinta mentre il marito era in prigione. L'avvocato ha fatto ricorso e il caso sarà esaminato dalla Corte di Appello. Il marito infatti la difende e sostiene essere riuscito ad avere un incontro clandestino con la donna mentre era in carcere. Se non verrà assolta, Zafran Bibi sarà la prima donna ad essere lapidata legalmente in Pakistan.Ci sono stati infatti alcuni casi di linciaggi tramite lapidazione da parte di folle esaltate. Nel 1994 a Gujranwala un musulmano fu lapidato e bruciato da una folla inferocita dopo che si era sparsa la voce che avesse bruciato alcune pagine del Corano. Nel 1995 a Shab Qadar due appartenenti alla “setta” musulmana degli Ahmadi sono stati attaccati da una folla inferocita e uno dei due è stato lapidato. Decine di Ahmadi sono stati uccisi in modo simile. In ogni caso il Pakistan, come anche la Libia, pur avendo adottato la shari’ia con le sue pene più estreme, come la lapidazione e l’amputazione degli arti, in realtà non le applica mai.
In Iran, l’articolo 83 del Codice Penale, chiamato legge dello Hodoud, prevede la pena di 100 frustrate per coloro che, non essendo sposati, commettono sesso fuori dal matrimonio; gli adulteri invece vengono puniti con la lapidazione. Dalla rivoluzione islamica di Khomeini si ha notizia di almeno una sessantina di casi di lapidazione, nella stragrande maggioranza dei casi di donne. Tali notizie, raccolte da agenzie stampa e organizzazioni femministe, riguardano prevalentemente casi accaduti in grandi città, mentre resta difficile avere notizie dei casi di lapidazione accaduti in zone più remote. Tali cifra quindi va presa come un flebile indizio di quanti casi possono essere realmente accaduti.Nonostante la legge islamica preveda che chi riesce a fuggire dalla lapidazione debba essere graziato, sembra che questo non sempre accada, soprattutto se è la donna a riuscire a fuggire. Il 10 agosto del 1994 nella città di Arak, in Iran, una donna venne condannata alla lapidazione per adulterio. Il giudice religioso aveva imposto che i figli e il marito fossero costretti ad assistere alla lapidazione. Dalla fossa in cui era stata intrappolata, la donna chiese al marito di portare via i figli, ma gli fu impedito. Mentre veniva lapidata, nonostante le fossero stati cavati gli occhi, la donna riuscì a tirarsi fuori dalla fossa e a scappare. Le guardie però la ricatturarono e le spararono. Qualche anno prima a Qom, sempre in Iran, una donna era fuggita dalla fossa, ma era stata catturata, risepolta e la lapidazione era quindi stata portata a termine. Il giudice religioso responsabile di Qom, Mullah Karimi, disse al giornale “Ressalat”, il 30 ottobre del 1989: “I decreti religiosi prevedono che la donna sia lapidata sulla base di testimonianze. Anche se era scappata nel bel mezzo dell’esecuzione, doveva quindi essere ricatturata e lapidata a morte”. Nel 1997 fece notizia in tutto il mondo il caso di Zoleykhah Kadkhoda: lapidata e dichiarata morta, si risvegliò all’obitorio, fu portata all’ospedale e le sue condizioni migliorarono. Grazie alla mobilitazione internazionale, fu graziata.Secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza, un’organizzazione che raduna tutti gli oppositori al regime fondamentalista iraniano, la lapidazione è indispensabile al clero islamico per terrorizzare la popolazione persiana. Durante la preghiera del Venerdì, nel maggio del 1998 a Kermanshah, il Mullah Zarandi ha detto a proposito della lapidazione: “Le forze di sicurezza devono mostrarsi più presenti nella società. Per dare un esempio agli altri, il sistema giudiziario dovrebbe prendere qualcuno che lo meriti, portarlo in una pubblica piazza e tagliargli la mano Devono anche lapidare un po’ di persone. In questo modo prometto che la società sarà raddrizzata”. Eppure in Iran sembra che la gente non sopporti più la brutalità dei tribunali e della polizia religiosa. Nell’agosto del 2001, mentre era in corso una campagna di esecuzioni pubbliche tramite impiccagione, la polizia nel Sud-ovest di Teheran ha dovuto lanciare gas lacrimogeni e caricare una folla che aveva cercato di salvare un condannato e impedirne l’impiccagione, lanciando sassi e bastoni alle forze dell’ordine e chiedendone la grazia.Fra le vittime più recenti della lapidazione, ricordiamo Maryam Ayoubi, 30 anni, lapidata a morte, la mattina dell’11 luglio del 2001 perché ritenuta colpevole di tradimento e assassinio del marito. Il mese prima, il 24 giugno, Robabeh era stata frustata 50 volte e quindi lapidata per adulterio. Il suo amante era stato condannato a 100 colpi di frusta e all’impiccagione. Questi casi di lapidazione, come almeno altri sette di cui si ha notizia, sono avvenuti sotto la presidenza del “riformista” Khatami, a dimostrazione di quanto l’applicazione della legge sia ancora prerogativa del clero islamico fondamentalista. Khatami ha nominato sua vicepresidente una donna, Massoumeh Ebtekar. Quando le è stato chiesto cosa ne pensava della lapidazione, ha cercato di non rispondere e ha poi detto che in linea generale è necessaria, ma che avviene soltanto in zone remote del paese.Durante il regime del "riformista" Khatami si ha notizia di circa 18 lapidazioni. L'ultima condanna sarebbe stata emessa a a febbraio del 2002.
Ma il Corano la condannaCi sono però musulmani che sostengono che la lapidazione non sia affatto una pena islamica, ma che anzi il Corano la condanni apertamente. Ci sono però musulmani che sostengono che la lapidazione non sia affatto una pena islamica, ma che anzi il Corano la condanni apertamente. Secondo Massoud Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della resistenza, un’organizzazione dell’opposizione iraniana, il Corano stesso dice che i precetti vanno divisi fra muhkamat, inderogabili, e mutashabehat, la cui applicazione deve cambiare a seconda delle circostanze. Perfino alcuni appartenenti al clero musulmano e al sistema giudiziario religioso si oppongono a simili punizioni crudeli. Ad esempio l’Ayatollah Dr. Seyed Mohammad Bojnourdi, ex membro del Consiglio Supremo della Magistratura in Iran, intervistato dal giornale iraniano “Morning Daily” nell’agosto del 2001, ha affermato che simili punizioni crudeli danno all’opinione pubblica internazionale un’immagine distorta dell’Islam, non facendone vedere gli aspetti caritatevoli e misericordiosi: “Se l’esecuzione della pena comporta un indebolimento dell’Islam e provoca riluttanza verso la religione, soprattutto nei giovani, le modalità di esecuzione devono essere riviste fino al punto di eliminare tali problemi. Se certe punizioni come la fustigazione in pubblico provocano un indebolimento dell’Islam e creano pessimismo in un gran numero di persone verso l’Islam, tali pratiche devono essere abbandonate, perché la preservazione della dignità e del prestigio dell’Islam è l’obiettivo primario e tale dovere ha la priorità su altri obblighi. Un’altra pena dovrà essere applicata in modo da non comportare tali pericoli”.
La condizione delle donneMolte associazioni di donne sono nate nel mondo per combattere la lapidazione e altre discriminazioni legate al diritto islamico.Nonostante alcuni segnali di apertura, la situazione per le donne in Iran resta molto difficile. La scrittrice e avvocata Mehrangiz Kar venne arrestata al suo rientro in Iran dopo essere stata a Berlino per una conferenza nell’aprile del 2000, dove aveva parlato dei diritti delle donne persiane. Fu condannata a 4 anni di carcere per quanto aveva detto; fra le frasi per le quali era stata condannata vi erano le seguenti: “La struttura legale iraniana opera in vari modi completamente contro i diritti delle donne. Nelle questioni familiari, la donna non ha diritti, sia come madre sia come sposa … A volte quando mi chiedono di parlare di diritti delle donne, credetemi, mi sento profondamente disgustata perché devo fornire una lunga lista di violazioni dei diritti delle donne, per le quali non ho alcuna soluzione … Se in un paese metà della popolazione è soggetta a violenza economica, fisica, emotiva e personale dalle leggi del paese, e i diritti umani delle donne non sono una questione nazionale, allora cos’è che è una questione nazionale?”
In Germania alcune donne iraniane hanno fondato un Comitato internazionale contro la lapidazione, con sede a Colonia. Anche la resistenza al regime degli Ayatollah si occupa della lapidazione e sul loro sito, vi sono notizie e perfino un filmato di alcune lapidazioni. Un’altra organizzazione femminile che si batte contro la lapidazione e le altre violenze e discriminazioni contro le donne nei paesi governati da leggi islamiche è Women Living Under Muslim Laws.





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