Rispunta Giancarlo Giudice
MASSIMO NUMA
TORINO
MASSIMO NUMA
TORINO
Giancarlo Giudice, 59 anni, il camionista che uccise - nei primi Anni 80 - nove donne, strangolate o pugnalate, è stato dimesso dall’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, dopo decenni di cure. Giudice non è più un detenuto comune, è ora considerato un malato, afflitto da gravi disturbi psichici. Dunque, ogni passo della sua vita è protetto dal segreto. Questioni di privacy e anche perché non ha ancora completato del tutto il percorso terapeutico. Il suo lungo viaggio verso una libertà piena non è ancora finito. Secondo indiscrezioni, ora potrebbe essere ospite di una comunità, collegata alle strutture sanitarie, e tenuto ancora sotto stretto controllo. Ma è il primo passo verso la normalità, per questo uomo che, nell’infanzia e nell’adolescenza, fu afflitto da traumi che ne alterarono per sempre la vita e la sua stessa salute mentale. Nel processo di primo grado era stato condannato all’ergastolo, ridotto a trent’anni di carcere in appello, più tre anni da scontare in un ospedale psichiatrico giudiziario.In stato di detenzione, dunque, ha trascorso oltre 22 anni. Fu arrestato il 4 settembre 1986, quasi per caso, dalla polizia stradale di Santhià, infine «torchiato» dalla mobile di Torino. Dopo ore, si decise a confessare. Davanti aveva il dirigente Aldo Faraoni (ora questore) e al vice-questore Piero Sassi, scomparso d due anni fa. Le sue vittime: sei strangolate, una sgozzata, due uccise a colpi di pistola. Prima, durante o dopo un rapporto sessuale. Il suo ex avvocato di fiducia, Savino Bracco, lo ricorda così: «Mi colpì la sua solitudine, non aveva nessuno che lo seguisse, nelle sue vicende processuali. Uno strano tipo di maniaco. Durante un sopralluogo nella sua abitazione, assieme alla polizia, camminavamo, letteralmente, su un tappeto di riviste pornografiche. Era malato...».Lo psichiatra Paolo Crepet, una decina di anni fa, lo aveva analizzato, proprio all’interno dell’Opg di Reggio Emilia. Alla fine: «...Possono i serial killer, che sembrano persone normali eppure compiono efferati delitti, considerarsi uomini liberi d'intendere e di volere? Sull’imputabilità interviene la perizia psichiatrica e spesso si aprono discussioni tra giudici e psichiatri che mettono in luce profonde divergenze nei giudizi...Oggi la mutata percezione della follia, della malattia mentale, il diverso modo di curarla, hanno consentito ai malati di riacquistare i diritti umani...».Giudice abitava da solo in via Cravero 33, zona Regio Parco, alle spalle di piazza Sofia. Quattro i delitti commessi nell’alloggio al primo piano. Usava cavi elettrici per legare le donne, poi le calze di nylon per strangolare. Spesso le fotografava in pose oscene. Il movente? «Assomigliavano alla mia matrigna, erano vecchie, grasse e poco curate». Di una ricorda, con disprezzo: «Aveva un reggiseno a fiori: veramente volgare». Ultimo delitto il 26 giugno 1983. Lunghe confessioni: «Strangolare è faticoso, dopo mi ritrovavo sul letto tutto sudato. Mi addormentavo esausto e poi, all’indomani, mi occupavo dei cadaveri». Infilati in un sacco a pelo, trascinati sulla sua auto, una Fulvia Coupè amaranto, e gettati nel fiume o dove capitava. Pentito? Forse. «Mi merito la pena di morte - diceva ai poliziotti - le ho uccise tutte io». Faraoni e Sassi pensavano che le vittime fossero otto. «Nove, nove - ribattè Giudice - fatemi vedere le foto...Una manca. L’ho bruciata, si chiamava Federica, l’ho fatta fuori i, il corpo l’ho messo nella sua auto, alle Basse di Stura. Tutto bruciato».
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