« Io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi; sarò qui, resterò qui anche per loro. »
(Enzo Tortora, 20 febbraio 1987[1])
dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Tortora
Europarlamentare on. Enzo Tortora
Luogo di nascita Genova
Data di nascita 30 novembre 1928
Luogo di morte Milano
Data di morte 18 maggio 1988
Partito politico Partito Radicale
Coalizione ALDE
Elezione Mandato 1984-1989 (dimissionario nel 1985)
Titolo di studio Laurea
Professione giornalista, conduttore televisivo
II Legislatura
Enzo Claudio Marcello Tortora (Genova, 30 novembre 1928 – Milano, 18 maggio 1988) è stato un giornalista, conduttore radiofonico, conduttore televisivo e politico italiano.
Biografia [modifica]
Gli inizi [modifica]
Nato da Salvatore e Silvia, originari di Acerra in provincia di Napoli ma trasferitisi a Genova molto giovani, con la sorella Anna, futura autrice televisiva, collabora da giovanissimo con propri testi con la Compagnia goliardica Mario Baistrocchi. Dopo aver conseguito la laurea all'Università degli studi di Genova, lavora per alcuni spettacoli con Paolo Villaggio, prima di entrare in RAI a ventitré anni. In quello stesso periodo fanno il loro ingresso nella radio di stato Piero Angela, Luigi Marsico e, come direttore del giornale radio, Vittorio Veltroni. Al giovane Enzo viene affidato lo spettacolo radiofonico Campanile d'oro.
Il 26 dicembre 1953 Tortora si sposa a Rapallo con Pasqualina Reillo, unione dalla quale nascerà Monica. La coppia si separerà nel marzo del 1959 e successivamente il loro matrimonio verrà dichiarato nullo dalla Sacra Rota.
La prima apparizione in video è del 1956, quando presenta, in coppia con Silvana Pampanini, Primo applauso.
Le sue prime trasmissioni di grande successo, risalenti alla seconda metà degli anni cinquanta, sono Telematch e soprattutto Campanile sera, in cui è spesso inviato esterno. Dopo un breve periodo passato alla Televisione Svizzera (a causa dell'allontanamento dalla RAI nel 1962 per un'imitazione di Alighiero Noschese di Amintore Fanfani in un suo programma) in cui presenta Terzo grado, torna nell'azienda radiotelevisiva di stato per condurre in radio Il gambero.
La Domenica Sportiva e l'allontanamento dalla Rai [modifica]
Dal febbraio 1965 conduce La Domenica Sportiva, trasformandola radicalmente, anche attraverso gli ospiti per la prima volta presenti in studio. Nel maggio dello stesso anno tiene a battesimo la prima edizione di Giochi senza frontiere, di cui è il primo presentatore italiano.
Il 19 dicembre 1964 a Fiesole si unisce in matrimonio a Miriana Fantacci, un'insegnante ventisettenne incontrata 3 anni prima a Firenze.Da questa unione nasceranno Silvia nel 1962 e Gaia nel 1969. Il matrimonio si concluderà nel 1972, a motivo della relazione che Tortora avrà con la giornalista Anna Angelini.
Con Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo diviene uno dei presentatori televisivi più noti e popolari di quegli anni. I quattro appaiono insieme in televisione una sola volta, in "Sabato Sera" del 1967, in un siparietto in cui Mina li invita a cantare e ballare con lei.
Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Corrado ed Enzo Tortora a Sabato sera nel 1967.
A fine 1969, all'apice della sua popolarità (in contemporanea a La Domenica Sportiva Tortora conduce il gioco a premi Bada come parli! alla televisione e il quiz alla rovescia Il gambero alla radio), Enzo Tortora viene licenziato in tronco dalla RAI a causa della pubblicazione di un'intervista sul settimanale Oggi in cui definisce l'ente radiotelevisivo come un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne. Inizia così a lavorare per alcune emittenti private e testate giornalistiche tra le quali La Nazione e Il Nuovo Quotidiano. Diventa vicepresidente della prima TV via cavo italiana, Telebiella e partecipa alla fondazione di Telealtomilanese dove è l'ideatore e il conduttore della trasmissione cult Il Pomofiore [2] p e di Aria di mezzanotte. Lavora pure molto per la TSI, Televisione della Svizzera italiana, dove conduce programmi seguitissimi come "Si rilassi" e "La domenica sportiva".
Il ritorno e Portobello [modifica]
Con la riforma RAI del 1976 e la nascita delle reti concorrenti, a differente impronta politica, diversi personaggi fanno ritorno al piccolo schermo dopo anni di assenza. Tra questi, sulla socialista Rete 2, Dario Fo ed Enzo Tortora. Nella primavera del 1977 il presentatore genovese assume la conduzione di Portobello. La trasmissione, inizialmente prevista in seconda serata e successivamente spostata in prima dato il gradimento del pubblico, batterà ogni record di share mai realizzato fino a quel momento.
Ispirata nel nome al celebre mercatino londinese verrà poi considerata la madre della televisione degli anni novanta. In essa si vede già buona parte delle idee che saranno poi protagoniste dei successivi format tv come Stranamore, Carràmba che sorpresa, I cervelloni, Chi l'ha visto?.
Il 3 novembre del 1977 Tortora tiene a battesimo l'emittente Antenna 3 Lombardia di Legnano di cui è co-fondatore insieme all'amico Renzo Villa.
Gli anni ottanta: il "caso Tortora" [modifica]
L'attività lavorativa di Tortora prosegue fino al 1982 in RAI con programmi quali Portobello e L'altra campana (1980) e su Antenna 3 Lombardia; durante quell'anno passa a Retequattro per condurre Cipria. Conduce infine con Pippo Baudo alcune puntate della rubrica Italia parla.
La carriera di Tortora viene bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli.
Le accuse si basano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso detto "Gianni il bello", Pasquale Barra, noto come assassino di galeotti quand'era detenuto e per aver tagliato la gola, squarciato il petto e addentato il cuore di Francis Turatello, uno dei vertici della malavita milanese; infine altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D'Agostino pluriomicida, detto "Killer dei cento giorni", accusano Tortora. A queste accuse si aggiungeranno quelle, rivelatesi anch'esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.
L'accusa si basa, di fatto, unicamente su di un'agendina trovata nell'abitazione di un camorrista, Giuseppe Puca detto O'Giappone, con su scritto a penna un nome che appare essere, all'inizio, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; nome che, a una perizia calligrafica, risulterà non essere il suo, bensì quello di tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risulterà appartenere al presentatore. Si stabilirà, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che erano stati indirizzati al presentatore perché venissero venduti all'asta del programma Portobello.
La redazione di Portobello, oberata di materiale inviatole da tutta Italia, smarrisce i centrini ed Enzo Tortora scrive una lettera di scuse a Pandico. La vicenda si conclude poi con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire.
In Pandico, schizofrenico e paranoico, crescono sentimenti di vendetta verso Tortora. Inizia a scrivergli delle lettere, che pian piano assumono carattere intimidatorio con scopo di estorsione.
Il presentatore sconta sette mesi di carcere - ottenendo tre colloqui con i magistrati inquirenti Lucio Di Pietro e Felice Di Persia - e continua la sua detenzione agli arresti domiciliari per motivi di salute. Nella sua autobiografia, relativamente al suo periodo carcerario, racconterà di un suo sogno in cui assieme ai suoi compagni di cella diviene ladro di appartamenti.
Nel giugno del 1984 Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sosterrà le battaglie giudiziarie.
Il 17 settembre 1985 Tortora viene condannato a dieci anni di carcere, principalmente grazie alle accuse di altri pentiti.
Il 9 dicembre 1985 il Parlamento Europeo respinge all'unanimità la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'eurodeputato Enzo Tortora per oltraggio a magistrato in udienza. I fatti contestati sono relativi all'udienza del processo alla N.C.O. del 26 aprile 1985, in occasione della quale il pubblico ministero Diego Marmo afferma[3]:
« Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra! »
accusa dinanzi alla quale Tortora grida[3]:
« È un'indecenza! »
Nella motivazione della decisione del P.E. si legge tra l'altro:
« Il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un'offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al «fumus persecutionis»: in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all'origine dell'azione penale, si collochi l'intenzione di nuocere all'uomo e all'uomo politico. »
Il 31 dicembre 1985 si dimette da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, resta agli arresti domiciliari.
Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte d'Appello di Napoli e i giudici smontano in tre parti le accuse rivolte dai camorristi, per i quali inizia un processo per calunnia: secondo i giudici, infatti, gli accusatori del presentatore - quelli legati a clan camorristici - hanno dichiarato il falso allo scopo di ottenere una riduzione della loro pena. Altri, invece, non legati all'ambiente carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda: era, questo, il caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.
Così, in una intervista concessa al programma La Storia siamo noi, in una puntata dedicata specificamente al caso Tortora, il giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d'indagine che ha portato all'assoluzione del popolare conduttore televisivo:
« Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all'ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po' sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell'altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell'imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie... E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.» »
Enzo Tortora torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello.
Il ritorno in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, leggermente invecchiato e fisicamente molto provato dalla terribile vicenda passata, con evidente commozione pronuncia serenamente la famosa frase:
« Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta. »
L'accoglienza del pubblico non è tuttavia unanime. Sono in molti a dubitare dell'innocenza del conduttore che, a loro parere, si sarebbe avvalso della notorietà e dell'elezione a parlamentare europeo per scagionarsi.
Una trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documenta per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto.
Tortora sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, a quattro anni esatti dal suo arresto.
Il caso Tortora porterà, in quello stesso anno, al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: in quella consultazione voterà il 65% degli aventi diritto, l'80% dei quali si esprimerà per l'estensione della responsabilità civile anche ai giudici.
Nessuna azione penale o indagine di approfondimento venne mai avviata, né alcun procedimento disciplinare verrà mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguiranno le proprie carriere, senza ricevere censure per il loro operato nel caso Tortora.
La morte [modifica]
Conclusa in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma televisivo intitolato Giallo andato in onda nell'autunno 1987, Enzo Tortora muore la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.
A Tortora è stata dedicata la Biblioteca Enzo Tortora a Roma e la Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora, presieduta dalla compagna, Francesca Scopelliti.
Molte associazioni dei Radicali Italiani e alcuni club dei Riformatori Liberali (scissione di questi ultimi) sono intitolati a Tortora, che è ritenuto un simbolo dal mondo Radicale e liberale italiano.
In un'intervista rilasciata al settimanale L'Espresso del 25 maggio 2010, l'ex collaboratore di giustizia Gianni Melluso, uscito dal carcere nel 2009, chiede ufficialmente perdono ai familiari di Enzo Tortora per le dichiarazioni rilasciate ai magistrati dell'epoca e sostiene che il tutto fu una vendetta dei due boss Barra e Pandico[4][5].
Riconoscimenti [modifica]
Interni della Biblioteca Enzo Tortora, a Roma.
Ad Enzo Tortora è intitolata la biblioteca comunale del Municipio I a Testaccio (Roma)[6].
Monumenti [modifica]
A San Benedetto del Tronto per ricordarlo gli è stata intitolata "piazza Enzo Tortora" che si trova di fronte al palazzo di giustizia in via Palmiro Togliatti.
Nel 2008 il Comune di Genova ha intitolato ad Enzo Tortora una galleria.
La cerimonia d'inaugurazione[7] viene svolta il 27 giugno, alla presenza di Marco Pannella, Marta Vincenzi ed Alfredo Biondi.
Nel 2009 il comune di Napoli ha intitolato una strada ad Enzo Tortora.
Cinema [modifica]
Sulla vicenda di Tortora nel 1999 è stato girato il film Un uomo perbene, per la regia di Maurizio Zaccaro e con Michele Placido nel ruolo del protagonista.
Filmografia [modifica]
Il campanile d'oro, regia di Giorgio Simonelli (1955)
Italia piccola, regia di Mario Soldati (1957)
Pugni pupe e marinai, regia di Daniele D'Anza (1961)
In ginocchio da te, regia di Ettore Maria Fizzarotti (1964)
Opere [modifica]
Le Forche Caudine, Milano, Bietti, 1967.
O tivù dal cuore acceso, Milano, L'alfiere, 1973.
Cara Italia ti scrivo, Milano, A. Mondadori, 1984.
Se questa è Italia, Milano, A. Mondadori, 1987.
Lettere dal carcere. Un carteggio inedito, Milano, A. Mondadori, 1993.
Cara Silvia. Lettere per non dimenticare, Venezia, Marsilio, 2003.
Enzo Tortora. Per una giustizia giusta, Milano, Kaos, 2006.
Bibliografia [modifica]
Giacomo Ascheri, Tortora. Storia di un'accusa, Milano, A. Mondadori, 1984.
Giacomo Ascheri (a cura di), Il processo. Tortora, Roma, Corso, 1985.
Partito Radicale (a cura del), Il processo di Napoli contro la N.C.O. e il "caso Tortora", Roma, Partito Radicale, 1985.
Bruno Rubino, Enzo Tortora mille giorni, Napoli, Dick Peerson, 1986.
Sergio De Gregorio, Tortora. Morire d'ingiustizia, Napoli, N. De Dominicis, 1988.
Anna Tortora, Fratello segreto, Milano, Sperling & Kupfer, 1996.
Alfonso Luigi Marra, La fase di Saul. Gli ultimi mesi in carcere di Enzo Tortora, Napoli, AKIM, 1999.
Giancarlo Dotto, con Sandro Piccinini, Il mucchio selvaggio. La strabiliante, epica, inverosimile ma vera storia della televisione locale in Italia, Milano, A. Mondadori, 2006.
Vittorio Pezzuto, Applausi e sputi. Le due vite di Enzo Tortora, Milano, Sperling & Kupfer, 2008.
Maria Rita Stiglich, Come volevano le stelle. Enzo Tortora: giustizia dimenticata, Torino, Seneca, 2008.
Renzo Villa, Roberta Villa Ti ricordi quella sera? edizione Televideo3 (2010) ISBN 9788890561603.
Note [modifica]
^ Il filmato del ritorno in tv di Enzo Tortora, il 20 febbraio 1987. URL consultato il 05-07-2009.
^ Renzo Villa Ti ricordi quella sera p.25
^ a b Anna Tortora, Fratello segreto, Sperling & Kupfer, p. 46, Milano, 1996 ISBN 88-200-2283-4
^ Gianni Melluso, "Così mentii su Tortora". URL consultato il 02-06-2010.
^ Il filmato della videointervista a Melluso. URL consultato il 02-06-2010.
^ Biblioteca Enzo Tortora. URL consultato il 03-05-2010.
^ Cerimonia d'inaugurazione delle Galleria Enzo Tortora (FaiNotizia.it). URL consultato il 05-07-2009.
Voci correlate [modifica]
Portobello (programma televisivo)
L'altra campana (programma televisivo)
Partito Radicale
Marco Pannella
Silvia Tortora
Gaia Tortora
Altri progetti [modifica]
Wikiquote contiene citazioni di o su Enzo Tortora
Collegamenti esterni [modifica]
Scheda nell'archivio di Rai Uno
Scheda della Biblioteca Enzo Tortora
Materiale audio video sul sito di Radio Radicale
"Il caso Enzo Tortora: un uomo ucciso dall'ingiustizia" di Caterina Stagno La Storia siamo noi - Rai Educational
Sito Ufficiale del Libro "Applausi e Sputi"
Una dedica sul libro di Enzo Tortora "Le Forche caudine"
Associazione Radicale Enzo Tortora di Milano
"Così mentii su Tortora" - Intervista a Gianni Melluso che racconta "la verità ufficiale" sul caso Tortora, da L'Espresso del 25 maggio 2010
Insieme a Corrado, Mike Bongiorno, Pippo Baudo e Raimondo Vianello è stato tra i volti più noti della televisione italiana fin dalla sua nascita.Il suo nome è ricordato soprattutto per l'incredibile caso di persecuzione giudiziaria di cui fu ingiustamente vittima fino alla morte, che lo portò anche ad un impegno politico in prima linea nel Partito Radicale
Il CASO TORTORA dal sito di
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=336
L’arresto Venerdì 17 giugno 1983: il volto di “Portobello”, Enzo Tortora, viene svegliato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma che lo arrestano per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Con queste parole del Tg2, quel giorno, l’Italia segue le immagini che mostrano il celebre presentatore in manette: “Enzo Tortora è stato arrestato in uno dei più lussuosi alberghi romani, il Plaza; ordine di cattura nel quale si parla di sospetta appartenenza all’associazione camorristica Nuova Camorra Organizzata (N.C.O), il clan cioè diretto e capeggiato da Raffaele Cutolo: un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e dei reati contro il patrimonio e la persona”.
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In un’intervista di Giuseppe Marrazzo, il 14 maggio ‘84, Tortora ha ricordato così quel momento: «Ero in una stanza d’albergo, dove scendo da circa 20 anni; bussarono alle 4:15 del mattino, tenga presente che il giorno precedente avevo respinto con un sorriso la notizia che alcuni colleghi giornalisti (ex colleghi perché sono stato sospeso dall’ordine) mi diedero: “C’è un’Ansa che dice che ti hanno arrestato…” Dissi (all’epoca avevo ancora un po’ di ironia): “Credo che la notizia sia leggermente esagerata!”». Quel giorno Enzo Tortora doveva recarsi ad un appuntamento per firmare un contratto che lo avrebbe legato alla trasmissione “Portobello” per una nuova stagione. Si trova a invece a entrare nelle case degli italiani ammanettato, trattato come un delinquente. Queste le parole della figlia minore, Gaia: “Vedevo un mostro alla Tv che mi dicevano essere il mio papà, ma non era mio padre…” L'accusa si basa su un’agendina, trovata nell’abitazione di un camorrista, con sopra un nome scritto a penna ed un numero telefonico: in seguito le indagini calligrafiche proveranno che il nome non era Tortora bensì Tortona e che il recapito telefonico non era quello del presentatore. Le prime supposizioni riguardo al suo arresto, intanto, sono due: è stato coinvolto per uno “sgarro” di 40 milioni con dei trafficanti di droga, oppure è stato coinvolto dall’organizzazione camorristica di Francis Turatello, detto “Faccia d'angelo”, con il quale sarebbe entrato in rapporti di amicizia. Le camorre Quel giorno, definito in seguito il “venerdì nero” della camorra, vengono emessi dai Sostituti procuratori di Napoli, Lucio di Pietro e Felice di Persia, 856 ordini di cattura; la Campania in quel periodo contava infatti 30 clan camorristici con 5mila affiliati e 100mila persone che direttamente o indirettamente erano coinvolte nella malavita. Nella sola Campania, quell’anno, ci furono più di 350 omicidi e, come ricorda il difensore di Cutolo, Alfonso Martucci, «stava avvenendo un passaggio storico tra la tradizionale forma di delinquenza individuale che era tipica del sud, con piccolo gruppi di associati, a una grande organizzazione criminale che si inserisce nella tradizione della camorra dell’‘800 - primo ‘900 che scomparve poi negli anni del regime fascista”». Il padre fondatore della Nuova Camorra Organizzata è il camorrista Raffaele Cutolo, boss di Ottaviano detto anche “‘o prufessore”, il quale nel ’71 ebbe l’intuizione di riunire tutte le famiglie della camorra napoletana per costituirne una potente organizzazione in grado di competere con la mafia siciliana, e iniziò a reclutare così, dal carcere di Poggioreale, il suo “esercito” che in breve tempo raggiunse le 5.000 unità. Cutolo per anni agì come unica forza finché, all’inizio degli anni Ottanta, sulla scena della malavita campana inizia a operare in sua contrapposizione una nuova organizzazione camorristica: la cosiddetta “Nuova Famiglia”, ovvero una sorta di cartello di clan capeggiati, inizialmente, dai Nuvoletta di Marano. Chi era Tortora Nato nel ’28 a Genova, dopo aver conseguito la laurea in giornalismo, inizia a lavorare in alcuni spettacoli con Paolo Villaggio, finché, a ventitré anni entra in RAI con lo spettacolo radiofonico “Campanile d'oro”. La sua prima apparizione in video è del 1956, quando presenta, in coppia con Silvana Pampanini, “Primo Applauso”: da questo momento parteciperà a trasmissioni di successo come “Telematch” e “Campanile sera”, arrivando alla conduzione di “Il gambero” e “la Domenica Sportiva”. Negli anni Settanta viene licenziato dalla RAI a causa della pubblicazione di un’intervista in cui aveva definito l'Ente radiotelevisivo come un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy-scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne. Inizia così a lavorare per diverse emittenti private e testate giornalistiche. Fu grande sostenitore di Telebiella e partecipò alla fondazione di Antenna 3 Lombardia. Il ‘77 è l'anno del suo nuovo ritorno, al fianco di Raffaella Carrà, con “Accendiamo la lampada”, ma il vero grande successo arriva subito dopo con “Portobello” (1977-1983), trasmissione che batterà ogni precedente record di ascolti.. Ispirata al celebre mercatino londinese, la trasmissione condotta da Tortora è stata considerata la madre della televisione anni Novanta: si possono infatti vedere, seppur in fase embrionale, alcune delle idee che saranno protagoniste dei successivi format televisivi come “Stranamore”, “Carràmba che sorpresa!”, “I cervelloni” e “Chi l'ha visto?”. Sua figlia Silvia ricorda così il programma del padre: «Si aggirava tra bersaglieri, brigadieri, donnine che piangevano, in un mondo per me insopportabile, vecchio, antico, muffoso…Rivisto adesso delizioso, rispetto alla volgarità trascinante di oggi. Tornassi indietro e dovessi dirgli adesso quello che penso di “Portobello” gli direi: “Era un programma strepitoso, geniale!”». Sviluppi Il 29 maggio dell’‘82 il Parlamento italiano aveva votato la cosiddetta “legge sui pentiti” che prevedeva possibili riduzioni della pena a chi decideva di “collaborare” con lo Stato nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Michele Morello, il Giudice del processo d’Appello di Tortora, spiega: «Non si aveva ancora l’esperienza di questi pentiti…persone che non erano come i terroristi o come (non vorrei bestemmiare) i mafiosi, che hanno un’ideologia, sballata, come volete voi , ma comunque un’ ideologia; questi erano senza ideologia, senza niente, non avevano niente da perdere…». E proprio perché non si ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare, nel processo a Enzo Tortora sono i pentiti, che arrivano ad essere ben 15, a fare il suo nome. Tra questi ci sono: - Giovanni Pandico, in carcere da 13 anni dove diviene lo scrivano e il segretario di Cutolo. Egli fa il nome di Tortora solo al quarto interrogatorio dove, in un elenco di malavitosi, lo cita al sessantesimo posto con il titolo di camorrista “ad honorem”. Le perizie psichiatriche descrivono Pandico come “uno schizoide affetto da paranoia, uno psicopatico abnorme, una di quelle persone che a causa della loro anormalità soffrono e fanno soffrire la società”. - Pasquale Barra, nativo di Ottaviano, portavoce di Cutolo, definito il “boia delle carceri” o “ ‘o animale”, per la crudeltà con cui uccide le sue vittime. Questi decide di pentirsi in seguito a uno sgarro subito dallo stesso Cutolo, affermando che l’unico modo che aveva per salvarsi era affidarsi ai giudici. Per 17 interrogatori, nonostante gli fosse stato mostrato l’elenco compilato da Giovanni Pandico, non fa mai il nome di Tortora, finché poi, al diciottesimo, improvvisamente cambia idea. - Gianni Melluso, detto “il bello”, uomo intelligente e calcolatore. Fa il nome di Tortora solo 7 mesi dopo l’arresto del presentatore genovese. - A queste accuse si aggiungeranno quelle di altri sei imputati appartenenti alla N.C.O., rivelatesi in seguito anch'esse false, e del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini: i coniugi dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3. Il numero dei pentiti che fa il nome di Tortora arriva a 19, e se le accuse inizialmente sono generiche e piene di contraddizioni, con il tempo si fanno sempre più dettagliate: questo a causa del fatto che i pentiti potevano parlare tra di loro, scambiarsi opinioni; durante i processi, per esempio, quando si ritrovavano tutti nella stessa cella. Secondo le dichiarazioni dei pentiti, quindi, Tortora controlla lo spaccio di stupefacenti a Milano, ma queste affermazioni arriveranno solo dopo mesi. Per Tortora, quindi, inizialmente, ’incubo più grande è quello di non conoscere il motivo del suo arresto. Della Valle, suo avvocato difensore, a questo proposito ricorda: «Solo dopo alcuni giorni, il 23, veniamo a conoscenza di alcuni notizie: si parla di Tortora che avrebbe contatti con il mondo carcerario, allora si scopre che non Tortora, ma la direzione di “Portobello” aveva avuto contatti con il carcere, di natura prettamente commerciale». Questi fatti vengono alla luce a causa di una serie di lettere che Domenico Barbaro aveva scritto a Tortora, e di cui riporta il contenuto in un interrogatorio il 23 agosto ’83: «Verso la fine del ‘77 dal carcere ebbi modo di seguire la trasmissione televisiva “Portobello” condotta da Enzo Tortora: s’invitavano gli ascoltatori a inviare oggetti vari, e come facevano altri detenuti, io inviai 16 o 17 centrini di seta da me personalmente confezionati. Non ebbi nessuna risposta, né vidi i centrini in Tv. Inizia una ricerca; tale ricerca venne effettuata materialmente da Giovanni Pandico, mio compagno di carcere: tutte le lettere furono materialmente scritte da lui. Per l’affare dei centrini scrissi presso la sua abitazione di Via Piatti 8, l’avevo letta su una rivista. Il Tortora mi rispose: “Egregio signor Domenico Barbaro, sono spiacente di dirle che del suo invio ignoro tutto e non ne ho mai veduta la traccia, quello che mi dispiace è che lei tragga da ciò conclusioni poco onorevoli per me, e del rispetto che ho sempre avuto per chiunque. Le ricordo che centinaia di migliaia di lettere sono destinate al sottoscritto e i pacchi, se non sollecitati direttamente, vengono restituiti dalla redazione Rai”. Accettai il risarcimento della Rai di 800mila lire». Quindi, in seguito alla conoscenza di questo scambio di lettere i giudici chiedono a Tortora se conoscesse Barbaro; Della Valle mostra a questi la risposta del presentatore pensando così di aver chiarito tutto, ma in realtà le cose sono molto più complesse: Giovanni Pandico, infatti, inizia ad affermare che lo sgarro che Tortora avrebbe fatto a Barbaro non riguarda affatto i centrini, ma una partita di droga. A queste affermazioni si aggiungono poi quelle di Pasquale Barra che riferisce di un’affiliazione di Tortora alla N.C.O.; Tortora rimane quindi in carcere per 7 mesi, a Regina Coeli prima e a Bergamo poi. Dal carcere inizia così una lunga corrispondenza con Silvia, la sua figlia maggiore, oggi raccolta in un libro intitolato “Cara Silvia - Lettere per non dimenticare” I giornali Intanto i giornalisti contribuiscono ad accrescere la confusione intorno a questo processo, mettendo in circolazione notizie false o comunque non verificate. Il Giudice Michele Morello ricorda: «Tutti quanti allora eravamo influenzati dalla stampa che era, per la maggior pare, colpevolista”, gli fa eco il giornalista Vittorio Feltri: “Ammetto che mi stava antipatico e davanti a una persona che ci è antipatica, quasi quasi speriamo che sia anche colpevole. Poi una sera mi sono letto gli atti processuali…mi è venuto il dubbio che fosse innocente”». L’Italia quindi, si divide in due: colpevolisti e innocentisti. Tortora è “colpevole” Dopo 14 mesi dall’arresto, nell’agosto dell’‘84 Tortora viene eletto come Eurodeputato nelle fila del Partito Radicale; per questo quando il 4 febbraio dell ’85 inizia a Napoli il maxi processo contro la N.C.O, può seguire il processo da uomo libero. Andreotti allora aveva una rubrica “Bloc notes” sull’“Europeo” e in commento a questo fatto scrisse: “Alcuni detenuti evadono con la lima e altri con la scheda elettorale”. Il maxi processo durerà 7 mesi; le udienze saranno 67. Tortora, intanto, continua la sua attività al Parlamento Europeo di Strasburgo. Il 17 settembre dell’‘85 viene condannato a dieci anni di carcere. Rinunciando all’immunità parlamentare l'ex presentatore resta agli arresti domiciliari. Nelle motivazioni del suo arresto, si afferma: «Tortora ha dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni le sue losche attività e il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte, tanto più pernicioso perché coperto da una maschera di cortesia e savoir fair. L’appartenenza di Tortora alla Nuova Camorra Organizzata è stata provata attraverso le dichiarazioni di Giovanni Pandico, Pasquale Barra e altri…Tutte queste accuse hanno trovato adeguati e convincenti motivi di riscontro; nei confronti di Tortora non è stato posto nessun complotto, nessuna macchinazione, nessuna vendetta personale, non si è voluto coprire nessun omonimo, non vi è stato nessun accordo dei dissociati diretto a ottenere benefici speculando sulla persona di Tortora, il quale non ha fornito nessuna soddisfacente spiegazione alla sua estraneità ai fatti. L’imputato non ha saputo spiegarci il perché di una congiura contro di lui». Questo il commento del suo avvocato difensore, Della Valle: «Io personalmente avevo pensato di cambiare attività. Si era fatta una perquisizione e non si era trovato nulla, non sono state fatte analisi per vedere se era tossicodipendente: l’analisi del capello in 4 mesi l’avrebbe detto!». Tortora è “innocente” La sentenza di Appello per il processo di secondo grado arriva solo nove mesi dopo: il 15 settembre dell’86; dal giorno dell’arresto sono passati oltre tre anni. La Corte di Appello di Napoli, finalmente, assolve Tortora con formula piena: i suoi accusatori hanno dichiarato il falso sperando in una riduzione della loro pena, oppure al fine di trarre pubblicità dalla vicenda, come nel caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri. Il Giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d’indagine che ha portato all’assoluzione: «Per capire bene come era andata la faccenda ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta…In base a quello che aveva detto quello di prima si accodava poi la dichiarazione dell’altro che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti, di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato. Anche i giudici, oltre ad essere “antropologicamente matti”, soffrono di simpatie e antipatie…” E Tortora in aula fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”, lo grido da tre anni , lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento, “Io sono innocente”, e spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi!». La sentenza di assoluzione arriverà il 17 giugno del 1987, esattamente 4 anni dopo l’arresto. Il ritorno e l’ultima battaglia: la malattia Il 20 febbraio dell’’87, Tortora ritorna sugli schermi Rai ancora con “Portobello”; questo il suo discorso in apertura del programma: «Dunque dove eravamo rimasti…potrei dire moltissime cose e ne dirò poche…una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni, molta gente ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me e io questo non lo dimenticherò mai, e questo grazie a questa cara buona gente; dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto e un’altra cosa aggiungo: io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi; sarò qui, resterò qui anche per loro…E ora cominciamo come facevamo esattamente una volta….». Enzo Tortora morirà di cancro un anno dopo, il 18 maggio 1988. Questo il pensiero di sua figlia Silvia: «Mi ha insegnato ad essere rigorosi e a non giudicare mai gli altri da quello che si sente dire di loro, a non dare dei giudizi affrettati, a non lanciarsi contro una persona perché ci può essere epidermicamente antipatica…sostanzialmente a conservare la propria dignità anche se gli altri vorrebbero che tu fossi diverso da quello che sei».
Cronologia1983
Parole chiaveCamorra , Storia della televisione italiana
25 ANNI DOPO COSA DISSERO I GIORNALI
Accusato da due «pentiti» di camorra legati a Raffaele Cutolo
Enzo Tortora 25 anni dopo: una pagina buia della giustizia italiana
Condannato a dieci anni per traffico di stupefacenti e associazione per delinquere di tipo mafioso.
ROMA - Sono passati 25 anni da quel 17 settembre 1985, quando Enzo Tortora fu condannato con una sentenza dal tribunale di Napoli a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. L'inchiesta nei riguardi di Tortora - che divise il Paese tra innocentisti e colpevolisti e alimentò il dibattito sul «pentitismo» - era cominciata nei premi mesi del 1983, quando due pentiti della Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo indicarono Tortora, «quello di Portobello», quale appartenente alla Nco con l'incarico di corriere di droga.
LA VICENDA - Tortora fu arrestato all'alba del 17 giugno 1983 in un albergo di Roma, ma fu portato in carcere in tarda mattinata, solo quando - secondo i difensori - fotografi e cineoperatori furono pronti a ritrarre l'imputato in manette. Fin dal primo momento Tortora si disse innocente. Dopo sette mesi di detenzione, l'imputato ebbe gli arresti domiciliari. Fu quindi eletto eurodeputato radicale il 17 giugno 1984. Il 20 luglio 1984 tornò in libertà e annunciò che avrebbe chiesto al Parlamento europeo di concedere l'autorizzazione a procedere nei suoi riguardi che fu data il 10 dicembre. Dopo il suo rinvio a giudizio, il 4 febbraio 1985, arrivò la sentenza di condanna di primo grado. Il 15 settembre 1986, la Corte di appello di Napoli rovesciò il verdetto: assoluzione con formula piena, e i pentiti furono giudicati non credibili. «È la fine di un incubo», disse il presentatore. L' innocenza dell'imputato fu confermata il 13 giugno 1987 dalla Corte di cassazione. Meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, Enzo Tortora morì per un cancro ai polmoni. (fonte: Ansa)
17 settembre 2010(ultima modifica: 18 settembre 2010)
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