Pietro Berti

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Anchorage

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mercoledì 29 dicembre 2010

Onora il padre e la madre: i casi Pietro Maso e Ferdinando Carretta




cfr anche il caso correlato del delitto di Novi Ligure già trattato al link http://pietrobertiimola.blogspot.com/search/label/Novi%20Ligure

Pietro Maso

(San Bonifacio, 17 luglio 1971) è un criminale italiano.
È il protagonista reo confesso di uno dei più clamorosi casi di omicidio a sfondo familiare della cronaca italiana. Aiutato da tre amici, il 17 aprile 1991 nella sua casa di Montecchia di Crosara uccise entrambi i suoi genitori, Antonio Maso e Mariarosa Tessari, servendosi di un tubo di ferro e di altri corpi contundenti tra cui spranghe e un bloccasterzo. La motivazione era intascare subito la sua parte di eredità. Fu condannato a 30 anni di reclusione, scontata in carcere fino ad ottobre 2008, quando ha ottenuto il regime di semilibertà.
Biografia [modifica]
Nato a San Bonifacio ma sempre vissuto a Montecchia di Crosara, entrambi in provincia di Verona, Pietro Maso è il terzo e ultimo figlio di Antonio Maso (56 anni) e Rosa Tessari (48 anni) dopo due femmine di nome Nadia e Laura. I genitori sono molto religiosi anche se non eccessivamente rigidi; Pietro stesso fa il chierichetto da bambino e frequenta la prima media in seminario. La sua vita scorre normale fino a circa un anno prima del delitto, quando alla scuola (abbandonata al terzo anno dell'istituto agrario) ed a lavori del tutto insoddisfacenti, il giovane comincia a preferire un modo di vivere ben più stimolante ed a lui congeniale, facendo una vita consumistica da viveur del tutto in linea coi canoni del periodo.
Lavora come intermediario di una concessionaria d’auto quando scopre la vita notturna di alcuni locali pubblici del veronese e dello stesso capoluogo scaligero; gioca d’azzardo al Casinò di Venezia. Il suo amico più caro, nonché principale complice del delitto, è Giorgio Carbognin, 18 anni. A lui si uniranno anche il diciottenne Paolo Cavazza e l'unico minore del gruppo, Damiano Burato, che avrebbe raggiunto la maggiore età due mesi dopo.
Pianificazione del delitto e tentativi non riusciti [modifica]
Le prime riflessioni sul disegno criminale risalgono a circa sei mesi prima, nell'autunno del 1990. Pietro non ha problemi, coi genitori; dichiarerà che le discussioni in famiglia non erano fuori dall’ordinario, e che a loro voleva bene. Negli ultimi mesi, però, i genitori si mostrano preoccupati più del dovuto, poiché Pietro ha lasciato da poco un lavoro dipendente come commesso in un supermercato; la collaborazione nelle concessionarie auto è solo saltuaria e le sue uscite serali e possibili compagnie dubbie fanno temere Antonio e soprattutto Rosa. È infatti la madre, che due volte in poco tempo, scopre due fatti.
Il 3 marzo, la signora Maso trova, nella taverna del villino in cui abita col marito e il figlio, due bombole di gas. Accanto ad esse vi sono una centralina di luci psichedeliche che si accendono nel captare un forte suono (l'uso è nelle feste in casa privata, se si vuole creare un effetto da discoteca con la musica) e una sveglia puntata sulle nove e trenta, vale a dire pochi minuti dopo la scoperta. La cosa ancora più strana sono un mucchio di vestiti che ostruiscono il camino. Pietro dirà poi che serviva tutto per una festa, che le bombole avrebbero dovuto alimentare due stufe per il riscaldamento e che quella sveglia l'aveva trovata nella macchina e, non interessandogli, se n'era voluto disfare posandola distrattamente sul tavolo della taverna.
In realtà l'insieme di quegli oggetti avrebbe dovuto causare la distruzione della casa; le bombole sarebbero infatti dovute esplodere, dopo aver sprigionato gran parte del loro gas nella taverna, per via delle scintille causate dall'accensione delle lampadine psichedeliche, a loro volta alimentate dall'impulso sonoro della sveglia una volta scattate le ore nove e trenta. L'esplosione non è avvenuta poiché le sicure delle bombole erano state tolte, ma le loro manopole erano rimaste chiuse. A causa della sua inesperienza pratica, Pietro non porta quindi a termine il suo primo piano di sterminare la famiglia.
Pochi giorni prima del delitto, Rosa trova diverse banconote nella tasca di un paio di pantaloni di Pietro Maso. Subito gliene chiede conto; il figlio si era appena licenziato anche dall'autosalone e quindi difficilmente avrebbe potuto procurarsele onestamente. Sospettando un suo coinvolgimento in qualche losco affare, la madre insiste, così Pietro prova a tirar fuori come giustificazione che si trattava di una sorta delle ultime provvigioni che il suo ultimo datore di lavoro gli doveva ancora, e anzi le propone di andarglielo a chiedere all'autosalone. Rosa accetta e si fa accompagnare in automobile dal figlio e da Giorgio Carbognin, armato di uno schiaccia-bistecche da scagliare sul capo della donna prima che arrivino a destinazione.
Giorgio non ha il coraggio di agire, così Pietro è costretto a inventarsi un'altra menzogna sulle banconote affinché Rosa rinunci a parlare col proprietario dell'autosalone. Quei soldi li avrebbe avuti da un conoscente che aveva scoperto, casualmente, essere responsabile di un traffico di computer; questo conoscente lo avrebbe pagato perché non lo denunciasse. Rosa vuole credere a questa versione, ma la sua preoccupazione continua.
Un terzo tentativo vede Giorgio Carbognin ancora una volta rinunciatario; avrebbe dovuto colpire i genitori di Pietro nel garage di casa loro, con Pietro. Il quarto progetto, al quale prendono parte anche Cavazza e Burato, avrà invece successo.
Il delitto [modifica]

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Prologo [modifica]
Le banconote ritrovate dalla madre di Maso provenivano da un prestito bancario (24 milioni di lire) chiesto da Giorgio Carbognin, per il quale aveva fatto da garante il suo datore di lavoro Aleardo Confente. I soldi, in origine, servono al giovane per acquistare una Lancia Delta integrale, usata ma come nuova; successivamente però, la famiglia di Giorgio si oppone all'acquisto. Il ragazzo ubbidisce e rinuncia all'automobile, ma non restituisce subito il denaro alla banca, e con Pietro, lo utilizza in ristoranti di lusso, bar e gioiellerie.
Al momento della restituzione, Carbognin ricorre a vari tentativi di procurarsi il denaro, ma tutti falliscono. Pietro, allora, decide di staccare un assegno del conto intestato alla madre, imitandone la firma e consegnando così 25 milioni all'amico. Il delitto deve quindi essere messo in atto prima che la signora Rosa si accorga dell'ammanco.
Esecuzione [modifica]
Il delitto avviene nella notte fra il 17 e il 18 aprile 1991. Quella sera Maso, Carbognin, Cavazza e Burato si ritrovano nel Bar John di Montecchia che usavano frequentare, e discutono gli ultimi dettagli. Un loro amico, Michele, è informato del progetto affinché ne prenda parte, ma crede che i quattro ragazzi stiano scherzando. Quando poi i ragazzi lasciano il bar, Michele li accompagna in casa di Pietro, ma seguita a non credere, finché decide di rinunciare. Alle 23, i genitori di Pietro non si trovano ancora in casa, poiché stanno tornando da Lonigo dove avevano preso parte a un incontro dei neo-catecumenali.
Pietro è al corrente di questo in quanto aveva domandato al padre il prestito della sua automobile per recarsi in discoteca. Sa quindi che a minuti, i genitori faranno ritorno a casa. Alle 23.10 infatti l'auto giunge nel garage. Antonio accende la luce ma si accorge che manca la corrente. Così sale le scale per raggiungere, al primo piano, il contatore. Giunto in cucina, viene subito colpito dal figlio, armato di un tubo di ferro; Damiano lo colpisce a sua volta con una pentola. Poco dopo arriva Rosa e viene aggredita da Paolo e Giorgio, armati rispettivamente di un bloccasterzo e un'altra pentola. La madre di Pietro non muore sul colpo, così il figlio interviene e oltre a colpirla lui stesso, cerca di soffocarla mettendole in gola del cotone e chiudendole la faccia in un sacchetto di nylon. Nel frattempo Paolo si accanisce contro il signor Maso premendogli il piede sulla gola. Cinquantatré minuti dopo i primi colpi, le due vittime cessano definitivamente di respirare.
A delitto compiuto, i ragazzi si disfanno degli oggetti serviti allo scopo, e anche delle tute utilizzate per proteggersi dal sangue. Da notare che Burato, Carbognin e Cavazza avevano indossato delle maschere. Paolo e Damiano rientrano a casa. Pietro, invece, ha bisogno di crearsi un alibi, così con Giorgio si reca in due diverse discoteche (nella prima non riescono ad entrare perché piena). Alle 2 del mattino rientra a casa per fare la finta scoperta. Avverte i vicini di aver visto, salendo le scale, "due gambe". Appare scosso e impaurito. Uno dei vicini entra in casa, sale le scale e scopre la scena.
Indagini giudiziarie [modifica]
Dapprima, come si auguravano i ragazzi, viene battuta la pista di un omicidio a scopo di rapina. Ma ci si accorge ben presto che si trattava di un furto simulato. Un carabiniere anziano sospetta di un particolare: i cassetti sono stati trovati aperti e il contenuto gettato intorno alla stanza quando un ladro, di solito, usa aprirli, limitarsi a cercarvi denaro e roba di valore e poi richiuderli. Questo e altri aspetti deviano gli inquirenti verso la pista più atroce, che l'assassino sia appunto il figlio, il cui atteggiamento, tra l'altro non pare tanto simile allo choc, alla rabbia ed alla disperazione che colpiscono chi apprende di aver perso entrambi i genitori.
Le stesse sorelle, Nadia e Laura, ne sono chiaramente stupite, e devono lor malgrado rendersi più sospette allorché Laura si accorge dell'uscita di 25 milioni dal conto della madre e trova, lo stesso giorno, la firma falsa di Rosa Tessari e la scritta della cifra per esteso sulla rubrica telefonica di casa; Pietro le rivela dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiunge che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sa spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica.
Queste e altre incongruenze vengono fuori di ora in ora, così come le contraddizioni di Pietro durante i numerosi interrogatori. Stanco e pressato dagli inquirenti, il ragazzo confessa a tarda sera del 19 aprile, due giorni dopo il delitto. A ruota, anche i tre amici ammettono le loro responsabilità.
Conseguenze giudiziarie [modifica]
Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventerà duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti sono infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Per la perizia psichiatrica, richiesta dal pubblico ministero Mario Giulio Schinaia, viene chiamato lo psichiatra, docente e scrittore veronese Vittorino Andreoli.
Il responso del professore contempla la sanità mentale per tutti e tre gli imputati (Burato, non essendo ancora diciottenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni) e quindi la piena capacità di intendere e di volere. Nello specifico caso di Maso, leader indiscusso oltre che figlio delle vittime, Andreoli parla di disturbo narcisistico della personalità, ma non si tratta di vera e propria infermità. Al processo, presso la Corte d'Assise di Verona, il pubblico ministero chiede quindi il massimo della pena per Maso e poco meno di trent'anni per gli altri due. La sentenza viene emessa il 29 febbraio 1992, con la condanna di Pietro Maso a 30 anni e 2 mesi di reclusione; Cavazza e Carbognin sono condannati a 26 anni ciascuno. Nelle motivazioni vi è il riconoscimento di un vizio parziale di mente.
Ad alimentare l'indignazione pubblica vi è pure l'atteggiamento freddo e distaccato dei tre imputati al processo. Oltretutto, per diversi mesi, Maso pretende insistentemente la propria parte di eredità; solo il sollecito del suo avvocato difensore, al fine di accrescere la possibilità di evitare l'ergastolo in primo grado, lo convincerà a rinunciarvi ufficialmente.
In secondo grado, la Corte d'appello di Venezia conferma la sentenza del primo. La Corte di Cassazione conferma poi a propria volta. La condanna passa quindi in giudicato.
Conseguenze mediatiche [modifica]
Il "caso Maso", naturalmente, è all'origine di numerosi dibattiti in giornali e televisioni. Da sedici anni, per la cronaca (la diciottenne vercellese Doretta Graneris, che nel 1975 assieme al fidanzato uccise padre, madre, nonni e fratellino), non si registrava un caso simile in grandezza e gravità fra quelli i cui colpevoli avessero meno di 20 anni, e qualcosa del genere accadrà solo dieci anni dopo col delitto di Novi Ligure.
Pietro Maso oggi [modifica]
Attualmente Pietro Maso sconta la sua pena in regime di semilibertà nel carcere di Opera, in provincia di Milano. In passato ha ottenuto alcuni permessi-premio: il primo nell'autunno 2006 e il secondo, per Pasqua, dal 7 al 9 aprile 2007. Con l'indulto, il termine ufficiale della sua pena è fissato al 2015 e non più al 2018. Maso ha preso parte ai programmi rieducativi, studia e si è riavvicinato alla fede.
Ha anche partecipato ad un corso teatrale di musical (tra cui una rappresentazione del celebre musical Jesus Christ Superstar dove interpretava un angelo. [1]
Nell'intervista a La Repubblica del 5 febbraio 2007 Maso dichiara che molti ragazzi gli scrivono perché avrebbero voglia di fare quanto ha fatto lui, e che lui li invita a frenarsi e a cercare di ricucire i loro rapporti: «Non ho potuto salvare me stesso: almeno ci provo con gli altri».[2] Tuttavia, la scrittrice Cinzia Tani, esperta di storia sociale del delitto, afferma che «in carcere le sue preoccupazioni sono la cura della propria persona, dal profumo all'abbronzante, dalla ginnastica a prendere il sole. Non prova alcun rimorso. Riceve lettere da migliaia di fans.»[3]
Il 14 ottobre 2008, a Maso è stata concessa la semilibertà dai giudici della sorveglianza di Milano[4][5].
Dal 22 ottobre 2008, Pietro Maso lavora a Peschiera Borromeo in una ditta di assemblaggio computer e componentistica varia, uscendo alle 7:30 e dovendo rientrare in carcere entro le 22:30. Nel suo primo giorno di lavoro non è mancata la folla di giornalisti e curiosi all'esterno della ditta. Un passante ha urlato: "Ammazzatelo, quell'assassino"[6].
Filmografia [modifica]
Al caso Maso è ispirato il film del 1994 di Luciano Manuzzi I pavoni. Simile nell'argomento anche un film per la televisione statunitense del 1992, Il freddo cuore di Chris (titolo originale: Honor thy mother).
Note [modifica]
^ pubblicazione Ansa del 25 ottobre 2002 «{{{titolo}}}».
^ La Repubblica, 5 febbraio 2007
^ Cinzia Tani home. URL consultato il 25-05-2008.
^ «Sì alla semilibertà per Pietro Maso: "Fuori dal carcere"». Il Giornale.it, 14 10 08. URL consultato in data 14 ottobre 2008.
^ «Pietro Maso torna in semilibertà». Corriere della Sera, 14 10 2008, p. 15. URL consultato in data 14 ottobre 2008.
^ Corriere della Sera, 23 ottobre 2008
Bibliografia [modifica]
Gianfranco Bettin, L'erede – Pietro Maso, una storia dal vero (Milano, Feltrinelli, 1992).
Vittorino Andreoli, Il caso Maso (Roma, Editori Riuniti, 1994).
Voci correlate [modifica]
Delitto di Novi Ligure
Caso Graneris
Ferdinando Carretta
Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Maso"
Categorie: Criminali italiani Nati nel 1971 Nati il 17 luglio Casi giudiziari [altre]

I quotidiani


Semilibertà per Pietro Maso, nel '91 uccise i genitori
Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso la semilibertà a Pietro Maso, oggi trentasettenne. Nel 1991, quando ne aveva 19, uccise entrambi i genitori per intascare la sua parte di eredità 15 ottobre, 2008
dal sito http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2008/10/15/Semiliberta_per_Pietro_Maso_nel_91_uccise_i_genitori.html

Massacrò i genitori per impossessarsi dell'eredità. Oggi, a distanza di 17 anni, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso a Pietro Maso il regime di semilibertà. L'uomo, che godeva già di permessi premio, uccise il padre e la madre nella loro casa di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, il 17 aprile del 1991. Al momento del delitto aveva diciannove anni. Per l'omicidio dei genitori Pietro Maso è stato condannato a 30 anni di reclusione il 29 febbraio 1992, pena confermata sia in appello che in Cassazione, dove la condanna divenne definitiva nel 1994

dal sito http://corrieredelveneto.corriere.it/verona/notizie/cronaca/2010/14-dicembre-2010/maso-nozze-segrete-chiesa-marzo-potrebbe-essere-libero-18172840667.shtml

NEL VERONESE
Maso, nozze segrete in chiesa E da marzo potrebbe essere libero
Il veronese che uccise entrambi i genitori si è unito in matrimonio con Stefania, milanese di buona famiglia
VERONA - Pietro Maso si è sposato in gran segreto in una chiesetta in provincia di Verona. Il giovane di Montecchia di Crosara che il 17 aprile del 1991 uccise entrambi i genitori per appropriarsi dell’eredità, secondo il settimanale «Chi» è convolato a nozze alcuni mesi fa. Il periodico mostra le foto di Maso a spasso per Milano con la neomoglie Stefania. Oggi gode della semilibertà ed è proprio nelle ore fuori dal carcere che nel 2008 ha conosciuto Stefania, una ragazza milanese di buona famiglia. La coppia ha scelto il rito del matrimonio canonico, cioè solo religioso; alla cerimonia erano presenti il parroco che ha celebrato il matrimonio, due suore e don Guido Todeschini, guida spirituale dello sposo. Maso nel marzo 2011 potrebbe ottenere la libertà totale, con alcune restrizioni: l’obbligo di firma, di residenza o il divieto di espatrio e allora potrà decidere di sposarsi in Comune e depositare ufficialmente gli atti del matrimonio. (Ansa)
14 dicembre 2010(ultima modifica: 29 dicembre 2010)
Ferdinando Carretta
(Parma, 7 novembre 1962) è un criminale italiano.
È il protagonista reo confesso di uno dei più clamorosi casi di omicidio a sfondo familiare della cronaca italiana. Il 4 agosto 1989, nella sua casa di Parma in via Rimini 8, uccise da solo entrambi i suoi genitori e il fratello.
Biografia [modifica]
Nato a Parma, vive con i genitori Giuseppe Carretta (Parma, 1936) e Marta Chezzi (Parma, 1939) e con il fratello Nicola (Parma, 1966), che aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza[1]. Ferdinando sembra un ragazzo normale, ma la sua abitudine di fare i bisogni in casa in un bicchiere o su un giornale fanno infuriare il padre: in bagno però non riesce a defecare a causa dei continui rumori degli operai che lavorano in casa. Così progetta di uccidere i suoi genitori e il fratello, riesce a trovare l'arma con cui compirà il delitto, una Walther calibro 6.35 e trova l'occasione poco prima della partenza dei genitori e del fratello il 5 agosto per le vacanze in camper per 3 settimane in giro per l'Europa.
Il 4 agosto 1989 spara al padre, poi alla madre e infine al fratello mentre rientra dal lavoro e mette i cadaveri nel bagno per ritardare la decomposizione. Dopo torna a casa, cancella le tracce, pulisce l'appartamento e va a dormire. Nasconde i cadaveri nella discarica di Viarolo, frazione di Trecasali poco lontana dal fiume Taro dove i corpi non verranno mai più ritrovati. Intasca a nome del padre un assegno con firma falsificata da cinque milioni dalla Banca del Monte e un milione di lire dal conto del fratello.
Poi porta il camper Ford Transit dei genitori a Milano in viale Aretusa presso il carcere di San Vittore per depistare le indagini e infine parte per Londra, il camper verrà ritrovato il 19 agosto[1]. Della morte dei genitori e del fratello aveva subito sospettato l'allora pm di Milano, Antonio Di Pietro, ma non venne data considerazione alla sua ipotesi e ancora nel 1996 la famiglia veniva creduta viva a Barbados nei Caraibi[2]. Il 22 novembre 1998 viene scoperto a Londra da un poliziotto che lo ferma per un controllo stradale e chiede a Carretta i documenti, una volta scoperto il nome lo comunica ai colleghi[1].
Il procuratore di Parma Francesco Saverio Brancaccio, che si occupa del caso, dopo esser stato informato dall'Interpol si reca a Londra per interrogare Ferdinando che dice che ha vissuto dal 1989 a Londra tirando avanti con il sussidio e lavori saltuari tra cui il pony express. Ma sulla fine della sua famiglia dice che non sa nulla e non dice niente ai magistrati. Il 30 novembre 1998 confessa al giornalista Giuseppe Rinaldi di Chi l'ha visto? di aver ucciso i genitori e il fratello davanti alle telecamere[3].
La polizia quindi comincia le ricerche nella discarica di Viarolo, senza risultati e i RIS guidati da Luciano Garofano alla ricerca di DNA nella casa di via Rimini 8 nel bagno smontano un portasapone e in un tassello in gomma scoprono una traccia di sangue umano maschile e femminile. Il 15 aprile 1999 la Corte d'Assise di Parma riconosce Carretta colpevole di triplice omicidio con l'incapacità di intendere e volere al momento del fatto e viene rinnchiuso all'OPG di Castiglione delle Stiviere.
Il 15 settembre 2003 è tornato nella casa del triplice delitto per alcune ore[4]. Nel febbraio 2004 ottiene la semilibertà e il 21 giugno 2006 lascia l'OPG di Castiglione delle Stiviere per entrare in una comunità di recupero a Forlì. Qualche mese prima aveva perso il processo per avere l'eredità dei genitori e del fratello che ha ucciso.
Il 15 ottobre 2008 è riuscito ad ottenere l'eredità e la casa del massacro grazie ad un accordo con le zie, fatto che ha suscitato molte polemiche[5]. L'11 giugno 2009 è uscito anche dalla comunità di recupero[6] e il 25 aprile 2010 ha messo in vendita e poi venduto per 200.000 euro l'appartamento in cui sterminò la famiglia[7]
Note [modifica]
^ a b c Ritrovato a Londra il figlio maggiore dei Carretta
^ I CARRETTA SONO VIVI UNA FUGA DORATA CONCLUSA AI TROPICI
^ Carretta, la confessione in diretta tv
^ Ferdinando Carretta a casa per alcune ore
^ Carretta: uccise i genitori in preda alla follia e ora ne riscuote l'eredità
^ Maso/Carretta: cosa spinge un figlio a sterminare la propria famiglia?
^ Ferdinando Carretta mette in vendita l'appartamento dove sterminò la famiglia
Voci correlate [modifica]
Delitto di Novi Ligure
Caso Graneris
Pietro Maso
Bibliografia [modifica]
Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi, La nera, pagg. 240-245, Mondadori, 2006
Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Carretta"
Categorie: Criminali italiani Nati nel 1962 Nati il 7 novembre Casi giudiziari [altre]
I quotidiani
La notizia sta esplodendo in queste ore. Ferdinando Carretta ha ereditato la casa in cui massacrò i propri genitori ed il fratello, per poi fuggire in Inghilterra, dandosi alla macchia per un decennio e confessare solo pochi anni fa la verità. Fu ritenuto comunque incapace di intendere e di volere. Commise il triplice delitto nel 1989, fu arrestato nel 1998
Londra, 22 novembre 1998. Un poliziotto ferma un pony express, lo multa per divieto di sosta. È Ferdinando Carretta, ha i suoi documenti, non ha cambiato nome. Vive in un appartamento nella periferia della City quasi in povertà. Gli inquirenti italiani, messi in guardia da un articolo della Gazzetta di Parma, lo interrogano. «Non so nulla dei miei - dice - non li vedo da anni»
Mentiva, chiaro. E in seguito avrebbe confessato tutto, in diretta televisiva, durante la trasmissione Chi l’ha Visto. Confessa tutto Carretta, di aver sparato al padre, alla madre e al fratello, e di aver gettato in corpi in una discarica dove non sarebbero mai stati ritrovati. Oggi l’incredibile epilogo. Così leggo sulla Gazzetta di Parma:
Eppure quella casa andrà in eredità proprio a lui, anche se probabilmente non tornerà mai più a viverci. Ferdinando Carretta ha trovato un accordo con le zie, chiudendo così la causa civile che si era innescata proprio a proposito dell’eredità della famiglia Carretta. Una conclusione che a molti sembrerà paradossale, ma che corrisponde a ciò che prevede la legge.
Venduta la casa dell'orrore, Carretta intasca 200mila euro
Parma, nell’89 vi sterminò la famiglia: padre, madre e fratello. Ora lavora, fa l’operatore ecologico
Forlì, 23 dicembre 2010 - IERI, il solito lavoro. Passare col camion per le vie di Forlì e svuotare i cassonetti dell’immondizia. Ferdinando Carretta, 48 anni, ha spazzato via la sua anima di "mostro". Ora lavora, fa l’operatore ecologico. Metafora perfetta per chi si deve reinventare una vita-bis, dopo aver sterminato la sua famiglia. Mancava qualcosa. La sua casa. La casa del massacro.
Doveva disfarsi anche di quella. L’aveva messa in vendita la scorsa primavera. Ferdinando voleva 250mila euro. Nessuno la comprava. D’altronde: mica facile starsene in pantofole sullo stesso punto in cui padre, madre e fratello sono crollati sotto i colpi di un revolver, impugnato dall’allora 27enne Ferdinando. Era il 4 agosto dell’89. Ma adesso anche quel frangente fastidioso d’un passato cupo e criminale è stato buttato via. Finalmente, casa venduta. Per 200mila euro.
Un bel portafoglio, che servirà a Carretta a terminare il suo piano: la sua seconda vita. Quella perfetta. Da lavoratore impeccabile. La casa di via Rimini, a Parma (120 metri quadri, più cantina e garage, al primo piano di una palazzina di quattro appartamenti), la casa della strage, era finita nella dote di Ferdinando dopo una lunga disputa con le zie.
Dopo il lavoro, ieri, Carretta s’è chiuso oltre gli uffici della sede della cooperativa forlivese per cui lavora. Inutile provare a parlargli. "È nervoso", si lascia scappare un qualcuno lì nei paraggi. "Basta, non parlo con nessuno!", è la replica (furibonda) a un collega che ha appena raccolto la telefonata di un cronista, per un commento su questi 200mila euro freschi freschi.
Che ne farà Carretta di questa cascata di quattrini? "Si comprerà una casa, forse a Forlì", ipotizza uno che lo conosce un po’: sì perché ora Ferdinando vive in comunità; e non dà confidenza, a nessuno; e soprattutto, silenzio sul passato.
PASSATO che comincia il 4 agosto dell’89. Ferdinando uccide a colpi d’arma da fuoco il padre Giuseppe (contabile), la mamma Marta (casalinga) e il fratello Nicola (corpi mai trovati). Ferdinando diventa di nebbia. Cancellato. Si materializza nell’estate del ’98: a pizzicarlo, le telecamere di "Chi l’ha visto".
Ferdinando è a Londra. Fa il pony express. E davanti alla tivù confessa: "Ho ucciso padre, madre e fratello e poi ho nascosto i cadaveri in una discarica". Carretta viene estradato, subisce un processo e nel ’99 viene assolto per totale incapacità di intendere e volere. Viene rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Nel 2006 esce dalla struttura, viene trasferito a Forlì, dove — in libertà vigilata — comincia a lavorare come operatore ecologico. Nel 2008 torna libero. Ora che ha la dote, si rifarà una famiglia?

LA VICENDA
FERDINANDO Carretta ha 27 anni quando nell’agosto ’89 spara al padre, alla madre e al fratello nella casa di Parma e nasconde i corpi (mai più trovati) in una discarica. Poi scappa in Inghilterra dove 9 anni dopo viene fermato da un poliziotto e scoperto. Rinchiuso in manicomio criminale ottiene la semilibertà nel 2004 e nel 2006 entra in comunità. di MAURIZIO BURNACCI

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