Pietro Berti

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Anchorage

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sabato 25 dicembre 2010

Padre Giuseppe Puglisi: l'antimafia


da wikipedia
Padre Giuseppe Puglisi meglio conosciuto come Pino, (Palermo, 15 settembre 1937Palermo, 15 settembre 1993) è stato un presbitero italiano, ucciso dalla mafia il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale. Il 15 settembre 1999 il cardinale di Palermo Salvatore De Giorgi ha aperto ufficialmente la causa di beatificazione proclamandolo Servo di Dio .
Biografia [modifica]
Nasce il 15 settembre 1937 a Brancaccio, quartiere periferico di Palermo, da una famiglia modesta (il padre calzolaio, la madre sarta).
A 16 anni, nel 1953 entra nel seminario palermitano da dove ne uscirà prete il 2 luglio 1960 ordinato dal cardinale Ernesto Ruffini.
Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e successivamente rettore della Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1963 è nominato cappellano presso l'orfanotrofio Roosevelt e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi, borgata marinara di Palermo. È in questi anni che Padre Puglisi comincia a maturare la sua attività educativa rivolta particolarmente ai giovani.
Il 1º ottobre 1970 viene nominato parroco a Godrano un paesino della provincia palermitana che in quegli anni è interessato da una feroce lotta tra due famiglie mafiose. L'opera di evangelizzazione del prete riesce a far riconciliare le due famiglie. Rimarrà parroco a Godrano fino al 31 luglio 1978.
Dal 1978 al 1990 riveste diversi incarichi: pro-rettore del seminario minore di Palermo, direttore del Centro diocesano vocazioni, responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale, docente di matematica e di religione presso varie scuole, animatore presso diverse realtà e movimenti tra i quali l'Azione cattolica, e la Fuci.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella. Qui inizia la lotta antimafia di Don Pino Puglisi.
Nel 1992 viene nominato direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo.
Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro Padre Nostro per la promozione umana e la evangelizzazione.
Il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56º compleanno viene ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa. Il 2 giugno qualcuno mura il portone del centro "Padre Nostro" con dei calcinacci, lasciandone gli attrezzi vicino la porta.
Le circostanze della morte [modifica]
Il 19 giugno 1997 viene arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l'arresto Grigoli comincia a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Dopo l'arresto egli sembra intraprendere un cammino di pentimento e conversione. Lui stesso ha raccontato le ultime parole di don Pino prima di essere ucciso: un sorriso e poi un criptico "me lo aspettavo"[1]. Condannato a 16 anni dalla Corte d'Assise di Palermo, è stato scarcerato nel 2000 dopo aver scontato una pena effettiva inferiore a due anni di reclusione. Mandanti dell'omicidio furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994. Giuseppe Graviano viene condannato all'ergastolo per l'uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999. Il fratello Filippo, dopo l'assoluzione in primo grado, viene condannato in appello all'ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all'ergastolo dalla Corte d'assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete[2].
Sulla sua tomba, nel Cimitero di Sant'Orsola a Palermo, sono scolpite le parole del Vangelo di Giovanni: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Il 15 settembre 2003, per la commemorazione del X anniversario del martirio di Padre Pino Puglisi, le poste italiane hanno concesso due annulli speciali all'ufficio postale di Godrano e all'ufficio postale Palermo 48. Quest'ultimo porta il ricordo del centro Padre Nostro, mentre quello godrNote [modifica]
^ Intervista Salvatore Grigoli a Famiglia Cristiana, [1]
^ Cronologia della Mafia
^ Don Giuseppe Puglisi: vita, insegnamento e martirio - cap IV - Si, ma verso dove? in padrepinopuglisi.diocesipa.it. URL consultato il 13 luglio 2010.
Bibliografia [modifica]
Francesco Anfossi. E li guardò negli occhi. Milano, Edizioni Paoline, 2005.
Francesco Anfossi. Puglisi-un piccolo prete tra i grandi boss. Milano, Edizioni Paoline, 1994.
Francesco Deliziosi. Don Puglisi, vita del prete palermitano ucciso dalla mafia. Milano, Mondadori, 2005.
Francesco Deliziosi. 3P-Padre Pino Puglisi, la vita e la pastorale del prete ucciso dalla mafia. Milano, Edizioni Paoline, 1994.
Roberto Faenza. Alla luce del sole. Un film di Roberto Faenza. Roma, Gremese, 2005.
Bianca Stancanelli. A testa alta. Don Puglisi: storia di un eroe solitario. Torino, Einaudi, 2003.
Lia Cerrito. Come in cielo così in terra. Milano, San Paolo, 2001.
Augusto Cavadi, in Gente bella. Volti e storie da non dimenticare (Candida Di Vita, Don Pino Puglisi, Francesco Lo Sardo, Lucio Schirò D'Agati, Giorgio La Pira, Peppino Impastato), Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2004.
Suor Carolina Iavazzo. I figli del vento. San Paolo Edizioni, marzo 2007.
Voci correlate [modifica]
Alla luce del sole, film di Roberto Faenza sulla vita di Don Puglisi, con Luca Zingaretti.
A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe solitario, libro di Bianca Stancanelli sulla vita di Don Puglisi, edito da Einaudi
Altri progetti [modifica]
Wikiquote contiene citazioni di o su Pino Puglisi anese riporta la frase "Si, ma verso dove?", motto preferito da padre Pino[3].
Don Giuseppe Puglisi: vita, insegnamento e martirio - VIII - Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II il 17 settembre '93 alla Verna, il monte dove San Francesco ricevette le stimmate, pronunciò queste parole: "Da un luogo di pace e di preghiera, non posso che esprimere il dolore con il quale ho appreso ieri mattina la notizia dell'uccisione di un sacerdote di Palermo, don Giuseppe Puglisi. Elevo la mia voce per deplorare che un sacerdote impegnato nell'annuncio del Vangelo e nell'aiutare i fratelli a vivere onestamente, ad amare Dio e il prossimo, sia stato barbaramente eliminato. Mentre imploro da Dio il premio eterno per questo generoso ministro di Cristo, invito i responsabili di questo delitto a ravvedersi e a convertirsi. Che il sangue innocente di questo sacerdote porti pace alla cara Sicilia". Un anno dopo, nel novembre '94, per due volte - durante le visite a Catania e a Siracusa - il Pontefice, mentre invocava la protezione di alcuni santi e beati siciliani, rammentò il sacrificio di "3P" definendolo "coraggioso testimone del Vangelo". L’estate del ’93, immediatamente precedente al delitto Puglisi, era stata la stagione delle bombe di mafia: a Roma in via Fauro (14 maggio), a Firenze in via dei Georgofili, nei pressi degli Uffizi (27 maggio), a Milano in via Palestro (27 luglio) e di nuovo a Roma, in quella stessa notte, avanti alle chiese di San Giovanni in Laterano (sede del vicario del Papa a Roma, il cardinale Camillo Ruini) e San Giorgio: 10 morti (tra cui due bambini), 95 feriti, danni per miliardi al patrimonio artistico. Secondo i collaboratori di giustizia, un altro attentato era stato preparato per settembre: un’auto imbottita di tritolo doveva esplodere davanti allo stadio Olimpico di Roma. Era già pronta una Lancia Thema rubata, carica di tritolo: rimase parcheggiata per lungo tempo in un piazzale. Il piano saltò proprio per la pressione delle forze dell’ordine successiva al delitto Puglisi.Le inchieste e i processi per gli attentati, riunificati a Firenze, si sono conclusi con una raffica di ergastoli. Secondo i magistrati, si trattò dell’estremo “tentativo di ricatto allo Stato” da parte di Salvatore Riina (che era stato arrestato, tra mille misteri, il 15 gennaio del ’93) e dei suoi fedelissimi, tra cui i boss di Brancaccio. Ebbene, il carcere a vita è stato inflitto a Firenze anche ai fratelli Graviano e agli altri uomini del loro gruppo di fuoco, le stesse persone condannate a Palermo per l’omicidio Puglisi, Grigoli compreso. Padre Pino era dunque un sacerdote oltremodo scomodo per quanto faceva nel quartiere, - denunce, battaglie per i diritti civili e marce antimafia – ma “pericoloso” soprattutto nel momento in cui il clan radunava le forze, trasportava armi ed esplosivi, organizzava attentati, lanciava l’assalto (la proposta di trattativa?) al cuore dello Stato partendo dal controllo militare di tutte le attività a Brancaccio.Il delitto può quindi essere valutato come una risposta delle cosche a Giovanni Paolo II, insieme con le bombe dell’estate piazzate accanto alle chiese. In quei lunghi mesi del ’93 tutta l’Italia – già scossa dagli arresti di Tangentopoli - piombò in un clima di paura. La matrice mafiosa dietro le esplosioni si andò delineando molto lentamente: era la prima volta che Cosa Nostra portava il suo sanguinoso attacco alle istituzioni lontano dalla Sicilia. Anche la Chiesa avvertì di essere nel mirino: nella monumentale biografia di Karol Wojtyla scritta dal teologo americano George Weigel – che ha avuto l’opportunità di una serie di colloqui riservati col Pontefice – dopo la ricostruzione della visita in Sicilia e dell’omelia di Agrigento (definita “la più vibrata protesta pubblica contro la mafia”) viene ricordata la tragica sequenza degli attentati e si osserva: “Non è possibile credere che la scelta del momento fosse frutto del caso… Gli attentati, così come la visita del Pontefice in Sicilia che pareva averli motivati, avevano luogo in un momento di eccezionale inquietudine nella vita pubblica italiana. Gli accordi, spesso informali e talora al di fuori della legalità, che avevano plasmato la vita politica del Paese durante la Guerra fredda stavano venendo meno”.Ancora più esplicito è questo intervento pubblico del cardinale Camillo Ruini, presidente dei vescovi italiani, pochi giorni dopo l’omicidio: “Don Puglisi era un prete esemplare, che ha testimoniato con la realtà della sua vita e della sua stessa morte come la Chiesa sulla via che conduce da Cristo all’uomo non possa essere fermata da nessuno… Non solo a Palermo una mano criminale ha colpito direttamente la Chiesa, ma anche nella capitale. San Giovanni è il cuore della Roma cristiana. Non consideriamo questi attacchi come disgiunti dagli altri che hanno ancora insanguinato il nostro Paese. Vi è infatti non solo una unità nel disegno criminale, ma anche un intimo legame tra la Chiesa e l’Italia”. Come senza precedenti era stato il discorso del Papa ad Agrigento, così senza precedenti fu la risposta dei boss, da Roma a Brancaccio.
La mafia e il Vangelo sono incompatibili. Oggi può sembrare una affermazione ovvia, ma così non era negli anni Cinquanta e Sessanta. In Sicilia non tutti i sacerdoti, non tutti i vescovi avvertirono per tempo come il male si stesse annidando nei gangli vitali della società. Molti storici, anche di parte ecclesiale, parlano di una “sottovalutazione”, se non di una “coabitazione”, andata avanti per decenni, con i boss impegnati in una funzione di pacificazione sociale delle campagne e di controllo del voto in chiave anti-comunista che non dispiacque a molti esponenti della comunità cattolica. L’anatema del Papa, la morte di don Puglisi segnano un punto di non-ritorno, una eredità preziosa, messa nero su bianco in un documento del maggio ’94 dai vescovi siciliani: “Tale incompatibilità con il Vangelo è intrinseca alla mafia per se stessa, per le sue motivazioni e per le sue finalità, oltre che per i mezzi adoperati. La mafia appartiene, senza possibilità di eccezione, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del Maligno. Per questa ragione tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o a essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, di essere fuori della comunione della sua chiesa”. Dopo questa inequivocabile e assoluta condanna religiosa, i vescovi proponevano il modello di azione pastorale sul territorio di don Puglisi come traguardo per tutti i sacerdoti. Alla fine del ’94 anche la Chiesa di Palermo elaborava un proprio documento di svolta nella lotta contro la mafia: il testo ricordava l’impegno a “non dimenticare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e a ricordarli come nostri familiari, per noi caduti”. Di fronte a una società cristiana solo formalmente, il documento rammentava a tutto il clero le costanti dell’impegno di don Puglisi: “Bisogna costruire una Chiesa viva, fatta di credenti più che di praticanti”; “occorre una pastorale d’insieme sul territorio”; bisogna “purificare tutte le espressioni della devozione popolare, rianimando di valori cristiani le processioni, sciogliendo comitati di festa religiosa dove prevale l’interesse economico” e “vigilare affinché si eviti ogni possibile collateralismo tra realtà ecclesiali ed uomini e partiti politici”. Occorre “rendere in ogni modo protagonisti i poveri, evitando ogni forma di marginalità ed emarginazione”.Durante il Giubileo del 2000 il nome di Puglisi è stato inserito nella lista ufficiale vaticana dei “testimoni della fede”, il cui sangue ha tristemente irrorato il Novecento.Infine, dopo aver rifiutato di costituirsi parte civile nel processo penale – con una decisione che alla fine del ’95 suscitò non poche polemiche e pesanti accuse da parte del pm Lorenzo Matassa – la Chiesa di Palermo ha avviato le procedure per il riconoscimento del martirio. Trascorsi i cinque anni canonici dalla morte, l’annuncio (dicembre ’98) è stato dato dal cardinale Salvatore De Giorgi, che ha fortemente creduto in questo “processo”. Si è insediata una commissione che ha riunito i testimoni e raccolto numerosi documenti: la fase diocesana del processo si è conclusa il 6 maggio del 2001, ora l’incartamento è all’esame della Congregazione per le cause dei Santi in Vaticano.Ma, prima ancora di diventare santo, "3P" rischia di diventare un "santino", di subire una imbalsamazione, un brusco allontanamento dalla vita dei fedeli? Ha scritto don Francesco Michele Stabile, coordinatore della commissione diocesana per il riconoscimento del martirio ("La Comunità", aprile 1999): "Qualcuno potrebbe pensare che la beatificazione allontanerebbe Puglisi dalla vita comune, favorendo una sua mitizzazione che accentuerebbe processi di ritualizzazione devota, anziché renderlo modello di imitazione e di testimonianza. Consapevole di questo, ritengo che in questa nostra terra di Sicilia il riconoscimento ecclesiale di questo martirio abbia invece valore di segno e costituisca una svolta verso una pietà popolare orientata alla esemplarità evangelica. Al modello taumaturgico tradizionale dobbiamo accostare i modelli dei martiri della carità, della giustizia, della pace, del servizio all'uomo e alla città". In conclusione, in una prospettiva di fede (e pur nel rispetto di quanti, con spirito laico, guarderanno con diffidenza a queste riflessioni), cosa è il martirio cristiano? E’ un particolare modo di morire, il compimento e il coronamento di una esistenza tutta ispirata all’emulazione del Cristo fin nelle sofferenze del Calvario. Il morire da martire per amore dell’uomo (“Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” scrive l’evangelista Giovanni), per amore della Verità, è il carisma eccelso che assimila definitivamente al Cristo.Il mistero che porta in sé questa morte è allora l’imperscrutabile progetto di Dio che ha permesso il compiersi di un piano criminoso. Per trarre anche dal male, volontariamente ideato e portato a termine dagli uomini, un sigillo soprannaturale segno di salvezza.Secondo questa visione, il delitto Puglisi non è stato solo frutto di una brutale, incomprensibile violenza contro un uomo inerme che sorride. Ma un segreto di vita, un dono sconvolgente di purificazione attraverso il quale Dio ha parlato, ha provato e ha provocato tutta la comunità. Se il martirio verrà accertato, la Chiesa non avrà bisogno di constatare miracoli o guarigioni da attribuire a don Puglisi per includerlo nel novero dei beati. La manifestazione dello Spirito Santo, qui e ora, nella Palermo di oggi, sarà quello sparo: con un paradosso da vertigine l’ortodossia del magistero cattolico affida proprio al segno dell’apparente resa il messaggio, il “kèrygma”, l’annuncio di fede rigeneratore. Il seme divino che entra nella storia dell’uomo. E se la Chiesa, tutta la Chiesa - al di là dei documenti -, saprà fare propria questa lezione, allora – per davvero – la figura del piccolo prete di Brancaccio, caduto sotto i colpi della violenza omicida, non porterà più su di sé i segni cruenti della sconfitta, ma le stimmate di una dignità feconda, carica della forza della risurrezione.

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