Il clan dei Corleonesi era un gruppo di mafiosi provenienti dalla cittadina di Corleone (Palermo), protagonista dello scenario malavitoso di Cosa Nostra dalla metà degli anni quaranta ai primi anni novanta.
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1 Storia
1.1 Gli inizi
1.2 La faida interna: 1958-1963
1.3 La scalata al potere
1.4 Il dominio dei Corleonesi
2 Collusioni con l'industria mediatica
3 Collusioni con la politica
4 I Corleonesi
5 Mafiosi legati o alleati ai Corleonesi
6 Note
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Storia [modifica]
Gli inizi [modifica]
Dopo la Seconda guerra mondiale, la mafia di Corleone ebbe come boss Michele Navarra, soprannominato "Padre nostro", vero e proprio padrino d'altri tempi. Tornato dalla guerra nel 1942, si dedica dapprima alla sua professione di medico. Poi però si lega alla mafia di Corleone: nel 1942-1943, Navarra organizza la cosca dei Corleonesi, diventandone definitivamente il boss indiscusso il 29 aprile 1946. Tra i più spietati killer del gruppo emerge Luciano Liggio.
Nel 1948, i Corleonesi si macchiano d'un famoso delitto: l'uccisione di Placido Rizzotto, per mano di Liggio. Per contrastare i Corleonesi, lo Stato manda a Corleone l'allora giovane capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Non è mai stato accertato, ma sembra che dietro l'omicidio del famoso bandito Salvatore Giuliano ed il suo vice Gaspare Pisciotta, i due leader della banda Giuliano, ci siano proprio i Corleonesi, ed in particolare lo stesso Liggio. Questa è una delle ipotesi mai scartate dagli inquirenti.[1]
La faida interna: 1958-1963 [modifica]
Nel 1958, scoppiò all'interno del clan una faida organizzata e capeggiata da Liggio, famoso luogotenente di Navarra, che già contendeva al boss la leadership della cosca. Il boss Navarra fu ucciso dagli uomini di Liggio poco dopo lo scoppio della faida. Liggio si dimostrò abile e spietato: dopo decine di omicidi s'impose nel 1963 come unico boss incontrastato dei Corleonesi. La faida fu soprannominata la "mattanza di Corleone", poiché causò oltre settanta vittime.
La nuova generazione dei Corleonesi, detti spregiativamente viddani ("contadini"), era abile, feroce ed ambiziosa. Era composta dal boss Luciano Liggio, i suoi luogotenenti Totò Riina, Calogero Bagarella e Bernardo Provenzano e da killer spietati quali, Leoluca Bagarella, Giuseppe Ruffino, Giovanni Provenzano (cugino di Bernardo) e Giacomo Riina (zio di Totò).
Alla fine della faida (1963), i nuovi Corleonesi erano tutti piuttosto giovani ed avevano molta voglia d'emergere ed arricchirsi. Basti pensare agli esponenti principali della cosca all'epoca: Luciano Liggio (38 anni, classe 1925), Totò Riina (33 anni, classe 1930), Calogero Bagarella (28 anni, classe 1935), Bernardo Provenzano (30 anni, classe 1933), Leoluca Bagarella (21 anni, classe 1942), Giovanni Provenzano (35 anni, classe 1928), Giuseppe Ruffino (46 anni, classe 1917) e Giacomo Riina (55 anni, classe 1908).[2]
Fino all'arrivo di Liggio ed i suoi uomini, i Corleonesi erano una cosca di provincia ed ebbero un ruolo marginale all'interno di Cosa Nostra, ma ben presto divennero sempre più potenti e giunsero ad avere in essa il potere assoluto ed incontrastato.
Il loro appoggio politico era il potente Vito Ciancimino, anch'egli natio di Corleone. Il connubio tra i Corleonesi e Ciancimino fu tale che il pentito di mafia Tommaso Buscetta non esitò a definire Ciancimino organico alla cosca dei Corleonesi.
I Corleonesi una volta finita la faida interna puntarono alla conquista di Palermo. Nella prima guerra di mafia ebbero un ruolo marginale e si legarono ai fratelli Angelo La Barbera e Salvatore La Barbera. A metà degli anni sessanta vennero arrestati Liggio, Totò Riina e 64 membri della cosca dei Corleonesi per delitti avvenuti dal 1955 al 1963, compresi quelli della faida. Nel 1968-1969, 116 affiliati alla cosca di Corleonesi, tra cui tutti i membri di spicco, vennero assolti dai tribunali di Catanzaro e Bari per insufficienza di prove. La sentenza fu emanata l'11 giugno 1969 dal giudice Cesare Terranova,[senza fonte] che verrà ucciso qualche anno più tardi dagli stessi Corleonesi.
La scalata al potere [modifica]
Tornati in libertà, i Corleonesi tornarono in attività. Già il 10 dicembre 1969 misero in atto la strage di Viale Lazio, in cui perse la vita Calogero Bagarella. Lo scopo, riuscito, era quello di eliminare il boss Michele Cavataio ed ereditarne gli appalti.
In tutti gli anni sessanta e anni settanta, il potere dei Corleonesi crebbe notevolmente grazie alla loro caparbia ferocia ed insaziabile bramosia di potere, ma soprattutto grazie alla scalata di potere di Ciancimino, che dal 1959 al 1964 ricoprì la carica di assessore comunale ai lavori pubblici di Palermo, finendo per diventarne sindaco tra il 1970 e il 1971.
Nel 1970, i Corleonesi, con le famiglie di Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti, costituirono il triumvirato che ricreò la Cupola mafiosa scioltasi con la Prima guerra di mafia.
Con l'arresto definitivo di Luciano Liggio nel 1974, il boss dei Corleonesi divenne Totò Riina, il cui braccio destro divenne Bernardo Provenzano ed il suo braccio sinistro il cognato Leoluca Bagarella.
Nel 1978 scoppiò la seconda guerra di mafia ad opera proprio dei Corleonesi, che volevano chiudere i conti con le storiche famiglie mafiose di Palermo e Catania ed avere il potere assoluto su Cosa Nostra. Questa guerra vide da una parte i Corleonesi (Riina, Provenzano e Bagarella) e dall'altra le famiglie Buscetta, Bontade, Badalamenti, Inzerillo, Di Cristina e Calderone.
Tra gli alleati dei Corleonesi, c'erano Michele Greco e Giuseppe Calò. Soprannominato il "papa" Michele Greco, leader della Cupola mafiosa, prese atto della situazione e si alleò ai Corleonesi sottomettendosi ad essi.
La seconda guerra di mafia fu violentissima, una vera e propria mattanza, e vide all'opera tutta la ferocia dei Corleonesi. Solo negli anni 1979 e 1980 la sola provincia di Palermo ebbe più di mille morti ad opera dei Corleonesi.[3] La guerra si concluse nel 1983 con la vittoria assoluta dei Corleonesi che ebbero il controllo incontrastato di Cosa Nostra. I superstiti delle famiglie sconfitte scapparono negli Stati Uniti.
In questi anni operò al soldo dei Corleonesi e della Cupola mafiosa la "squadra della morte", comprendente diversi killer della mafia, tra cui primeggiavano Leoluca Bagarella e Pino Greco (detto "Scarpuzzedda"), seguiti a ruota da Mario Prestifilippo, Filippo Marchese, Vincenzo Puccio, Gianbattista Pullarà, Giuseppe Lucchese Miccichè, Giuseppe Giacomo Gambino e Nino Madonia. Ciascuno di questi killer fece dozzine di morti, ma i più spietati furono Bagarella (oltre 100 omicidi) e Greco (oltre 60 omicidi). Secondo il pentito Salvatore Contorno, tra il 1983 e il 1984 i killer più spietati furono Giuseppe Lucchese Miccichè e Antonino Madonia; sempre a suo dire, per i delitti eccellenti il Lucchese Miccichè ed il Madonia intascarono più di tre miliardi di lire.
Nel 1984 i Corleonesi diventarono i leader della Cupola mafiosa e Totò Riina divenne il boss di Cosa Nostra. I Corleonesi furono l'unica cosca ad avere due rappresentanti nella commissione. Essi erano, per l'appunto, Totò Riina e Bernardo Provenzano. I pupilli dei due capimafia corleonesi erano i palermitani Nino Madonia e Giuseppe Lucchese Miccichè, che visto la giovane età Totò Riina chiamava "u' nico".
La seconda guerra di mafia vide una violenza mai vista prima ed ebbe migliaia di morti tra cui i più celebri furono: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Mario Francese, Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Michele Reina, Emanuele Basile, Pio La Torre, Rocco Chinnici, Leonardo Vitale, Gaetano Costa, Ninni Cassarà e Beppe Montana.
La Seconda guerra di mafia venne soprannominata anche la "mattanza di Palermo". La stessa violenza i Corleonesi l'adopereranno negli anni novanta con le stragi attuate per colpire lo Stato ed i suoi simboli.
Il dominio dei Corleonesi [modifica]
Dall'inizio della Seconda guerra di mafia all'arresto di Bernardo Provenzano (2006) la storia della Mafia siciliana s'intreccia strettamente con quella dei Corleonesi. È negli anni ottanta che la magistratura riesce a rispondere con maggiore forza: protagonisti di questa lotta alla mafia furono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Rocco Chinnici, proprio quest'ultimo istituì il Pool antimafia che portò al Maxiprocesso del 1987.
Nei primi anni novanta, i Corleonesi, messi alle strette dal pool e dal maxiprocesso, attaccarono, con la ferocia che li contraddistinse, lo Stato. Organizzarono, innanzitutto, la strage di Capaci (23 maggio 1992) e la strage di via d'Amelio (19 luglio 1992), in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Seguirono diverse stragi: la strage di via dei Georgofili a Firenze, la bomba al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, i due attentati a Roma (a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro). Sempre nei primi anni novanta avvennero omicidi celebri come quello di Salvo Lima (1992) e don Pino Puglisi (1993).
Per approfondire, vedi la voce Bombe del '92 e '93.
La risposta dello Stato non si fece attendere e il 15 gennaio 1993 venne arrestato Totò Riina, tradito dal suo ex-autista arrestato poco tempo prima Balduccio Di Maggio. I leader rimasti (Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella) cambiarono strategia e preferirono la strategia del silenzio a quella dell'attacco frontale.
Negli anni novanta gli arresti dei leader dei Corleonesi si susseguirono in rapida successione, grazie anche all'intervento di 20.000 soldati dell'Esercito italiano, all'interno dell'operazione "Vespri siciliani". Furono arrestati Leoluca Bagarella (1995), Giovanni Brusca (1996), Antonino Giuffrè (2002), Bernardo Provenzano (2006) e Salvatore Lo Piccolo (2007).
Il clan è stato ritenuto scomparso dopo l'arresto di Provenzano, ultimo padrino di Cosa Nostra e capo della cosca corleonese.
Collusioni con l'industria mediatica [modifica]
Il clan aveva in progetto l'acquisto di una rete televisiva Fininvest nei primi anni '90 (apice del potere dei corleonesi). Per ottenere la richiesta venne minacciato di morte con una lettera scritta a mano da Riina l'allora imprenditore Silvio Berlusconi, alla missiva si ricollegano quindi precedenti intercettazioni telefoniche in cui l'uomo parlava di violente pretese di estorsioni, e l'allontanamento dei familiari all'estero per un po' di tempo voluto dallo stesso.[4]
I Corleonesi [modifica]
Michele Navarra (boss 1942-1958)
Luciano Liggio (boss 1958-1974)
Totò Riina (boss 1974-1993)
Bernardo Provenzano (boss 1993-2006)
Leoluca Bagarella (boss 1993-1995)
Calogero Bagarella
Vito Ciancimino
Mafiosi legati o alleati ai Corleonesi [modifica]
Michele Greco
Pippo Calò
Giovanni Brusca
Pino Greco
Antonino Giuffrè
Benedetto Santapaola
Note [modifica]
^ Dato riscontrabile sui seguenti siti: ntacalabria.it e ; http://www.leinchieste.com/giuliano_perenze.htm ilcassetto.it.
^ Dati riportati dall'Inventario Corleonese: repertorio storico-bibliografico dei comuni del ... Di Antonino Giuseppe Marchese a pag 47. Rintracciabile facilmente su: http://books.google.com/books?id=vCQ8AAAAMAAJ&q=Giacomo+Riina&dq=Giacomo+Riina&lr=&hl=it&pgis=1
^ Dato riportato dallo storico Salvatore Lupo durante la puntata sulla Mafia di Blu notte condotta da Carlo Lucarelli, andata in onda il 25-6-2003 ed intitolata "La mattanza".
^ «Minacce della mafia a Berlusconi: giallo su una lettera dell'89», La Stampa, 03-07-2009. URL consultato in data 04-07-2009.
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