Pietro Berti

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giovedì 6 gennaio 2011

I Beati Paoli




I BEATI PAOLI

Ccà ‘n Palermu a tempu anticu / si furmau un’occulta settaDi lu ngannu e di lu ntricu / Nnimicissima perfetta.Lu fatali juramentu / Era chiddu di pruvariQualchi occultu tradimentu / Pri putillu fulminari.Cui tintava na nnuccenti / Prri macchiarici l’onuri, Cui ntricciava tradimenti / Chi spiravanu tirruri;Come un lampu, a la mpinsata / Lu gran debitu scuttava,E sta setta inosservata / Li dilitti castìava.Sta gran setta pri tant’anni / Biati Pauli fu ntisa,Pirchì ‘n traccia di li nganni / Sustineva ogn’aspra mprisa(Da "Li Biati Pauli in Ligenni Popolari" di Carmelo Piola - Palermo, 1857).


La collocazione storica di questa setta è dubbia: secondo alcuni l’origine della società segreta dei “Beati Paoli”, dovrebbe essere collocata nel 1185 anche se più volte nel corso del tempo si sarebbe ricostituita e rinnovata operando in Sicilia e altrove fino al XVI secolo; secondo altri invece i Beati Paoli, operarono a Palermo fra il 1698 e il 1719, agendo come giustizieri nella notte in lotta contro i soprusi dei nobili signori del tempo. Si riscontrano tracce dei Beati Paoli in Sicilia anche nella prima metà dell’’800, durante i moti Carbonari. Dunque, appare difficile allo storico l’opera di circoscrivere la datazione nella storia di questo gruppo.
Il motivo per il quale i componenti della setta si chiamassero “Beati” è alquanto incerto; anche se da un racconto popolare raccolto a Borgetto leggiamo che «a questi uomini davano tale titolo in quanto erano tutti uomini che si mostravano devoti; il giorno per meglio potere apprendere i fatti che succedevano, andavano vestiti come monaci di san Francesco di Paola e stavano nelle chiese fingendo di recitare il rosario; la notte poi complottavano su ciò che avevano visto e saputo e ordinavano le vendette».
Sembra dunque che i Beati Paoli di giorno vestissero abiti da monaci di S. Francesco di Paola e frequentassero le chiese ivi recitando il Rosario. Attraverso tale pratica, tuttavia, essi apprendevano i fatti che accadevano; poi, durante la notte, pianificavano ed eseguivano le loro vendette. Ancora oggi si dice a Palermo «pari un Biatu Paulu» per indicare una persona triste ma solo in apparenza innocua. Tale espressione sta anche ad indicare faccendieri e prezzolati sicari.
L’humus in cui questa societas dunque si sarebbe costituita e fortificata è rappresentato dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che amministravano direttamente nei territori di loro competenza anche la giustizia criminale, utilizzando spesso personaggi violenti e discutibili denominati “bravi” per risolvere senza troppe complicazioni ed in modo a loro favorevole casi che per ragioni di opportunità e prudenza ritenevano preferibile di non far decidere alle loro corti giudiziarie.
Le gesta dei Beati Paoli furono narrate da Luigi Natoli, con lo pseudonimo di William Galt, attraverso l’omonimo romanzo che fu pubblicato in appendice nel Giornale di Sicilia tra il 1909 e il 1910, in quello che divenne uno dei più letti romanzi del tempo. I Beati Paoli, rappresenta l’ideologia del romanzo "popolare", affondando le sue radici nel romanzo ‘gotico’.
Esso per noi oggi rappresenta una delle pochissime fonti utili per poter ricostruire le loro gesta. È difficile, infatti, trovare documentazioni che provino l'esistenza di questa associazione ed il suo operato anche perché i racconti della tradizione popolare erano esclusivamente orali. Ne risultano perciò molte teorie che non concordano tra loro e che vanno da un sicuro fatto storico al convincimento di una invenzione letteraria. Qualche documentazione si trova a partire dalla fine '800, che si basa una convinzione popolare sull'effettiva storicità dei fatti. La fama dei Beati Paoli si estese così tanto da avere in Sicilia maggiore e più stabile diffusione della stessa Carboneria ed assumendo la facies di associazione segreta votata al ripristino della Costituzione, riunendo tra le proprie file molti aristocratici, membri del clero e borghesi oltre a qualche elemento del popolo. Secondo quanto sostiene il Ricotti[1] nella sua «Storia d’Europa» alcuni erano mossi da desiderio di primeggiare mentre altri risultavano mossi da un intimo convincimento. Di certo questi gruppi usavano una condotta circospetta e un segreto inviolabile, pena la morte, per nascondere i propri progetti. Della loro attività oggi ci rimangono due scritti rimasti ancora indecifrabili che, sicuramente in rapporto coi fatti politici di quell’epoca, costituiscono il più prezioso documento che illumini quel periodo storico. Si tratta di due messaggi datati uno dal 1820 e un altro dal 1823, su cui risultano tracciati segni convenzionali sotto uno stemma coll’aquila siciliana, la quale era stata assunta dai Carbonari separatisti come loro emblema, in quanto l’aquila che vola in alto nel cielo simboleggia l’emblema della libertà. I segni incomprensibili dei due documenti potrebbero essere numeri arabici di origine indiana remotissima, che soltanto verso il nono secolo dell’era cristiana gli Arabi presero dall’India chiamandoli cifre indiane. Queste forme vennero diffuse in Europa attorno al tredicesimo secolo dal matematico pisano Leonardo Fibonacci e furono usate per lo più nelle scritture paleografiche. I membri delle società segrete naritane evidentemente se ne servirono come cifrario segreto per i loro messaggi. Ma gli sforzi dei patrioti siciliani, purtroppo, furono vani ed ebbero funeste conseguenze : il moto, infatti, del 1820 degenerato in guerra civile, alla fine dello stesso anno fu sedato e seguito da un periodo di cieca e feroce reazione da parte dei Borboni.
La Sicilia, dunque, reagiva a tale grave situazione di assenza di stato e di sete di giustizia non attraverso una giustizia individuale (che in quanto tale sarebbe risultata debole) ma attraverso un organismo collettivo che agiva nell’ombra e con la massima segretezza, appunto attraverso i Beati Paoli. Essi operarono comunque in particolare a Palermo e le loro tracce più significative in questa città sono individuabili tra il XV ed il XVI secolo. Agivano incappucciati e, nottetempo, si riunivano per ordire vendette e rappresaglie contro coloro che avevano infranto impunemente la legge o intralciato i loro piani. I componenti della setta non si conoscevano tra loro, si riunivano nelle cavità segrete della Palermo sotterranea indossando cappucci neri, ed erano tenuti ad una fedeltà assoluta alla causa. In questo tribunale, l’imputato veniva condotto bendato e sempre e solo a tarda sera, perché le sentenze si pronunciavano a mezzanotte.
Secondo la tradizione di antichi racconti popolari, il luogo di riunione dei componenti la setta dei Beati Paoli fu identificata in una cavità sotterranea (o grotta) esistente nel quartiere del Capo in prossimità della chiesa di Santa Maria di Gesù, detta anche “Santa Maruzza” o “dei canceddi” essendo essa un tempo appartenuta ad una confraternita di conduttori da Basto che per caricare le merci usavano grossi cesti detti “canceddi”. La chiesa esiste ancora oggi e guarda sulla piazza di San Cosmo e sul vicolo degli Orfani. La grotta dei Beati Paoli non è più accessibile in quanto, da tempo, ne sono stati murati gli ingressi, tuttavia la situazione generale dei luoghi è poco mutata. A dire di alcuni abitanti del Capo sino a qualche tempo fa vi si poteva penetrare anche da altre cavità vicine. La fantasia popolare ritenne e ritiene ancora che ogni cavità esistente nel sottosuolo della città sia stata utilizzata dai componenti della società segreta. Tali fantasie trovano sostegno nella presenza nella zona Nord-Ovest del territorio palermitano di vastissime cave di pietra coltivate in galleria che rendono in buona parte vuoto ed anche percorribile il sottosuolo.
I componenti di questa setta furono giustizieri e sicari. Operarono infatti tanto per vendicare delitti impuniti ed impedire soprusi; quanto si prestarono ad eseguire vendette personali. Inoltre, di certo, strumentalizzarono l’alone di mistero che li circondava e dell’indubbio favore popolare per compiere delitti comuni. I più trovano nella setta dei Beati Paoli i prodromi della mafia. A parere di chi scrive non può dirsi di poter riscontrare alcun collegamento storico tra la setta dei Beati Paoli e la Mafia intesa come società segreta: infatti ove si pensi che quest’ultima ha un’origine agraria connessa al disintegrarsi della struttura feudale dell’Isola, avvenuta all’inizio del XIX secolo, quando ormai non si rinvengono più documenti sull’esistenza della setta dei Beati Paoli. Si può invece individuare nella setta dei Beati Paoli l’insorgere del sentimento mafioso inteso come un sentimento medievale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumità della persona e dei suoi averi, indipendentemente dall’azione dell’autorità e della legge, che si accentua nella cosiddetta omertà, per cui si ritiene come primo dovere di un uomo quello di farsi giustizia con le proprie mani dai torti ricevuti.

Pietro Berti
____________________________________________________________
[1] (Ercole Ricotti , Voghera 12.10.1816– Torino 24.2.1883, uomo politico italiano, è stato ottenne nel 1846 la cattedra di storia militare d’Italia all’Università di Torino in breve trasformata in quella di storia moderna )

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