Il Partito Liberale Italiano (PLI) era un partito politico italiano fondato nel 1946 che si ispirava e intendeva essere la continuazione del Partito Liberale costituito nel 1912 da Giovanni Giolitti e Vincenzo Ottorino Gentiloni in base al cosiddetto Patto Gentiloni, in funzione anti-socialista.
Indice[nascondi]
1 Origini: il Partito Liberale precursore del PLI
2 La fase costituente del PLI
3 La costituzione del PLI
4 L'attività politica del PLI
5 Storia
5.1 Le origini
5.2 Il periodo fascista
5.3 La costituzione del PLI
5.4 L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale
5.5 L'adesione al pentapartito
5.6 Lo scioglimento dopo Tangentopoli
5.7 La diaspora liberale
6 Risultati elettorali
7 Segretari
8 Congressi
9 Note
10 Collegamenti esterni
//
Origini: il Partito Liberale precursore del PLI [modifica]
Il Patto Gentiloni (così chiamato dal nome del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni) era stato fortemente voluto da Giolitti in seguito all'approvazione nello stesso anno, il 1912, della riforma elettorale, che introduceva il suffragio universale. Fino ad allora nel Regno d'Italia il suffragio era stato ristretto ad una base elettorale molto ristretta. Giolitti aveva promesso ai socialisti di Leonida Bissolati la riforma elettorale in cambio del loro appoggio alla guerra di Libia. Giolitti e vari esponenti della classe politica che aveva governato il Regno d'Italia nel suo primo sessantennio di vita, temevano però di venire emarginati dalla nuova legge elettorale che concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, indipendentemente dal censo. Per bloccare quindi l'avanzata del Partito Socialista che si riteneva avrebbe riscosso molti consensi nel mondo operaio, Giolitti si rivolse all'Unione Elettorale Cattolica di Gentiloni, una formazione politica che, con l'accordo dell'allora Pontefice (San Pio X), superava il divieto posto fino a quel momento ai cattolici di partecipare alla vita politica (con il Non expedit deciso dal papa il beato Pio IX). In base a tale accordo, nel Partito Liberale di epoca pre-fascista, erano perciò confluiti il filone risorgimentale più istituzionale ed il filone cattolico largamente maggioritario nel paese. I tre punti politici cardine stabiliti al congresso fondativo del Partito Liberale nel 1912 furono: 1) il finanziamento alle scuole private (prevalentemente cattoliche); 2) l'impegno a non permettere l'introduzione del divorzio in Italia; 3) la giurisdizione separata per il clero. Il Partito Liberale dell'epoca pre-fascista ebbe quindi un orientamento monarchico, cattolico e tradizionalista. Su tali basi il partito ottenne nelle Elezioni politiche italiane del 1913, la prima a suffragio universale maschile, una schiacciante vittoria elettorale con il 51 % dei voti espressi e, su 508 seggi, 260 eletti. Con le leggi eccezionali del 1928 il PNF divenne l'unico partito ammesso in Italia ed il Partito Liberale venne perciò sciolto d'autorità.
La fase costituente del PLI [modifica]
Dopo il 25 aprile 1943 alcuni esponenti politici liberali ripresero a partecipare all'attività politica in nome del Partito Liberale sulla base del proprio prestigio personale prima ancora che il partito fosse formalmente ricostituito. Sorse così il desiderio e l'esigenza di rifondare il Partito Liberale sciolto dal fascismo. Alcuni, come ad esempio Leone Cattani, Nicolò Carandini, e Mario Pannunzio, iniziarono, dopo l'8 settembre 1943 a pubblicare in clandestinità un periodico, Risorgimento Liberale. Dopo la liberazione della capitale, Risorgimento Liberale diventò l'organo ufficiale dell'embrione di partito che andava ricostituendosi. Per distinguerlo dal partito precursore sciolto nel 1928 e per analogia con gli altri partiti a base ideologica, venne coniato il termine Partito Liberale Italiano. Rimase però sempre forte il senso di continuità storica, anche se non giuridica, con il partito precursore e la fase costituente del PLI fu vista e vissuta essenzialmente come la riorganizzazione del Partito Liberale. L'attività politica in questa fase iniziò a prendere forme sempre più consistenti con l'adesione al progetto della ricostituzione liberale da parte di alcuni esponenti storici del liberalismo italiano come Benedetto Croce, Alessandro Casati e Marcello Soleri, oltre che di esponeneti più giovani come Manlio Brosio. Grazie soprattutto a Leone Cattani, Alessandro Casati e Marcello Soleri, il Partito Liberale partecipò alla formazione ed all'attività del CLN. Al sud nel 1944 Benedetto Croce, criticato però da Nicolò Carandini, e Mario Pannunzio, fu ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio in rappresentanza dei liberali. Sempre a nome del ricostituedo Partito Liberale fecero parte del Governo Bonomi II Benedetto Croce, Nicolò Carandini, ed Alessandro Casati. Al nord Edgardo Sogno, medaglia d'oro della resistenza e capo dell' Organizzazione Franchi, partecipò al CLNAI in rappresentanza del Partito Liberale. Durante la Resistenza i liberali parteciparono attivamente alle azioni militari partigiane ed ebbero molti caduti tra le loro file.
La costituzione del PLI [modifica]
Il Partito Liberale Italiano venne uffialmente costituito con tale nome nel Congresso che si svolse a Roma dal 9 aprile al 3 maggio 1946. Nell'atto costitutivo approvato in tale occasione si faceva esplicito riferimento al Partito Liberale dell'epoca giolittiana e se ne dichiarava continuatore della linea politica. Il Partito Liberale Italiano (PLI) si qualificò perciò sin dalla sua costituzione come partito di destra, conservatore, nazionalista e tradizionalista, fortemente anti-comunista ed anti-socialista, pur mantenendo a pieno titolo e senza equivoci la qualifica di partito antifascista. Al referendum istituzionale del 1946 la stragrande maggioranza dei liberali fu a favore della Monarchia.
L'attività politica del PLI [modifica]
Il partito partecipò alla formazione di molti governi della Repubblica Italiana, soprattutto in alleanza con la Democrazia Cristiana nell'epoca del centrismo. Con l'avvio da parte della DC dei governi di centrosinistra il PLI, grazie al segretario Malagodi, diede vita ad una forte opposizione alle politiche volute dal Partito Socialista Italiano di Nenni. Alle elezioni politiche del 1963 il partito raggiunse il 7% dei consensi, miglior risultato elettorae della sua storia. In particolare il PLI si oppose alle nazionalizzazioni, soprattutto di quella dell'industrie elettriche ed all'istituzione delle regioni, viste come inutili forme di dissipazione del denaro pubblico. Il cavallo di battaglia era la lotta agli sprechi della pubblica amministrazione ed all'eccessiva tassazione. In generale, il PLI di Malagodi si presentò come il difensore della proprietà privata, della libera impresa e del risparmio individuale. Avversò quindi anche ogni forma di dirigismo economico e la partecipazione delle imprese dello Stato (le imprese statali) ad attività imprenditoriali di mercato. Grazie a queste posizioni il PLI arrivò a più che triplicare i propri consensi elettorali soprattutto al nord.
Il successo elettorale venne man mano diminuendo nel corso degli anni settanta a causa del forte ostracismo dei partiti del centrosinistra e della marcata radicalizzazione a sinistra della politica italiana in quegli anni.
Alle elezioni politiche del 1976 il PLI ebbe un forte calo e la guida del partito passò alla corrente di sinistra favorevole alla collaborazione con i socialisti ed in generale al dialogo con le formazioni di sinistra. Valerio Zanone fu il nuovo segretario del PLI a partire dal 1977 e, in contrasto con la linea politica fino ad allora espressa dal impressa dal Partito Liberale Italiano iniziò gradatamente a riorientarlo verso posizioni diverse dalla sua storia precedente e non più di destra conservatrice.
A partire dal 1981 fu protagonista dell'esperienza politica del cosiddetto Pentapartito. Nel maggio 1986 nuovo segretario del PLI fu nominato Renato Altissimo che continuò ed ampliò lo spostamento a sinistra del partito, tanto che in Puglia il segretario regionale Valentino Stola propose alleanze con il Partito Comunista Italiano. Il 15 marzo 1993 Renato Altissimo ricevette degli avvisi di garanzia. Il 4 dicembre 1993 ammettè di aver ricevuto denaro in maniera illecita, 200 milioni di lire in contanti. Imputato nel processo per la maxi tangente Enimont, è stato definitivamente condannato ad 8 mesi nel giugno 1998.
Travolto in tal modo dalle inchieste di Mani Pulite sui finanziamenti illeciti ai partiti, il PLI si sciolse nel 1994, così come molti partiti della Prima Repubblica.
Storia [modifica]
Le origini [modifica]
Le forze politiche liberali furono le protagoniste del processo che si compì nel 1861 all'Unità d'Italia in alleanza con la Monarchia di Casa Savoia. La natura estremamente elitaria del nuovo Stato italiano fece sì che praticamente l'intero Parlamento divenisse espressione di tale ideologia politica, seppur suddivisa fra una fazione rigidamente conservatrice, e un'altra più progressista e innovatrice. Quest'assoluto predominio, unito ai fenomeni di trasformismo che ben presto caratterizzarono la politica nazionale, impedirono la costituzione di un partito vero e proprio. La breccia di Porta Pia nel 1870, e il conseguente insorgere della Questione romana, scavarono un solco profondissimo fra i liberali e il mondo cattolico, spingendo quest'ultimo all'opposizione del regime sabaudo e dell'ordine politico vigente. Questa forte contrapposizione iniziò a venire meno solo tra la fine Ottocento e l'inizio del Novecento ed in particolare dopo la nomina nel 1909 del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni a capo della dell'Unione Elettorale Cattolica Italiana, UECI. La UECI era succeduta all'Opera dei Congressi, sciolta da San Pio X il 28 luglio 1904 perché troppo contigua alle tesi sostenute dalla Democrazia Cristiana Italiana di Romolo Murri. Il gruppo di Murri era formato da cattolici intransigenti fortemente anti risorgimentali ed anti liberali che sosteneva la necessità di preferire l'accordo tattico con i socialisti ed in generale con la sinistra (politica) piuttosto che appoggiare i liberali. Il conte Gentiloni sosteneva, invece, la fazione cattolica tradizionalista che si schierava con la Monarchia e con il Governo per parare la minaccia socialista, marxista ed anarchica volta non solo verso di essi, ma anche verso tutta o buona parte del patrimonio di valori tradizionali del mondo cattolico. Dopo la riforma elettorale ed il suffragio elettorale allargato l'accordo il connubio tra i cattolici tradizionalisti ed il liberalismo istituzionale giolittiano portò i liberali ad occupare lo spazio tra il centrista dello schieramento politico italiano e le posizioni conservatrici di destra
Il periodo fascista [modifica]
L'introduzione del sistema proporzionale nel 1919 e il conseguente trionfo dei partiti di massa socialista e popolare costrinse anche i liberali a cominciare a porsi il problema di più stabili forme organizzative. Il Partito Liberale, come tutti i partiti in quegli anni, si riorganizzò nel 1922 non più come comitato elettorale, ma in maniera più strutturata. Il modello derivava dell'esperienza e dal successo organizzativo del partito bolscevico di Lenin. Agli eredi della classe dirigente liberale che, da Camillo Benso di Cavour a Giovanni Giolitti, aveva fino a quel momento guidato il governo statale, tale modello organizzativo non risultava però molto congeniale ed in seguito finì per soccombere ad opera di un partito, il PNF che si era dotato di un'organizzazione paramilitare.
Il Partito Liberale così riorganizzato tuttavia continuò ad essere più un punto di riferimento aperto che un partito monolitico in grado di proporsi al paese come la sola espressione della rappresentanza politica liberale. Di fronte all'ascesa del fascismo, i liberali avanzarono sì critiche a difesa delle garanzie statutarie, ma in molti casi collaborarono all'instaurazione del nuovo regime autoritario, sia a livello centrale dove molti esponenti entrarono nel Governo Mussolini all'indomani della Marcia su Roma, sia a livello locale dove in molti casi fornirono al PNF il materiale umano per abbattere le esperienze amministrative socialiste e popolari. In vista delle elezioni del 1924 la maggioranza dei liberali accettò di entrare nel Listone Mussolini, seppur con rilevanti ed autorevoli eccezioni, prima fra tutte quella di Giovanni Giolitti. L'avvento della dittatura comportò lo scioglimento di tutti i partiti all'infuori del PNF, e un certo numero di liberali trovò un modus vivendi con il regime. D'altra parte, il più importante tra gl'intellettuali liberali, Benedetto Croce, fu per tutto il Ventennio, in Italia e all'estero, il simbolo vivente dell'opposizione morale e intellettuale alla dittatura, in nome della "religione della libertà" e del richiamo al Risorgimento nazionale: un'opposizione che, per il grande prestigio internazionale del filosofo, il fascismo fu costretto a tollerare, almeno fino a un certo segno.
La costituzione del PLI [modifica]
Benedetto Croce
Il Partito Liberale Italiano avviò la sua fase di ricostituzione politica nell'inverno del 1944 grazie al prestigio di Benedetto Croce e di Vittorio Emanuele Orlando partecipando, in maniera numericamente ridotta, ma efficace per le iniziative di combattimento sostenute, sia alla Resistenza partigiana che ai governi di unità nazionale guidati da Ivanoe Bonomi e Ferruccio Parri. In questo primo periodo due liberali divennero presidenti della Repubblica: prima Enrico De Nicola (1946-1948) e poi Luigi Einaudi (1948-1955).
Nel referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia, il PLI si schierò per la monarchia.[1]
Il PLI non svolse mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, non raggiungendo mai un ragguardevole consenso di voti, ma ebbe sempre grande prestigio intellettuale, svolgendo il ruolo di pungolo liberale verso tutti i partiti democratici, specialmente sui temi dell'economia. Faceva parte della cultura della sinistra liberale, quella di tendenza più internazionalista ed anticlericale, il settimanale, Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio (1910-1968), che a partire dal 1949 rappresentò un punto di riferimento per il laicismo e libertarismo italiani. Questa corrente di pensiero andò gradatamente distinguendosi dal liberalismo originale per confluire poi nel mondo espresso dal pensiero e dal Partito Radicale.
L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale [modifica]
Luigi Einaudi
Sotto la segreteria di Giovanni Malagodi il partito si orientò su posizioni più coerentemente liberiste, più vicine agli insegnamenti di Einaudi che di Croce, con una durissima e storica opposizione alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e in generale alla formula del Centrosinistra che condusse il Partito ad un periodo felice che vide molto salire i consensi. Il Partito liberale fu uno dei più strenui oppositori della riforma urbanistica ideata dal Ministro Fiorentino Sullo e che cercava di limitare gli effetti negativi della speculazione edilizia. Questa nuova strategia politica non fu apprezzata da alcuni giovani liberali (fra cui Eugenio Scalfari e Marco Pannella - che fu espulso dall'organizzazione giovanile del PLI), ispirati soprattutto dalla redazione del Mondo di Mario Pannunzio. Essi si staccarono dal PLI e fondarono il Partito Radicale nel 1955, su posizioni laiciste ed in certi casi non solo anti-clericali ma anti-cattoliche.
Rimasto all'opposizione per tutti gli anni sessanta, il PLI subì poi una crisi elettorale che lo portò a diventare un partito marginale nello scacchiere politico italiano. Nel 1972 Malagodi si dimise dall'incarico di segretario, e dopo il crollo del 1976 (quando il PLI ottenne solo l'1,6% dei voti alle elezioni politiche) fu scelto come segretario Valerio Zanone.
L'adesione al pentapartito [modifica]
Negli anni ottanta il PLI si spostò più a "sinistra" e fu parte del pentapartito, un'eterogenea coalizione di partiti che metteva insieme la Democrazia Cristiana (all'epoca dominata dalle correnti dorotee e più o meno di destra), il Partito Socialista Italiano, il PSDI e il PRI, uniti solamente dalla strenua volontà di escludere in ogni modo il PCI da qualunque ruolo di governo. La regione coi migliori risultati per il PLI fu il Piemonte, e in particolare la provincia di Cuneo, storico feudo elettorale di Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e, nell'ultimo terzo del XX secolo, Raffaele Costa.
Neanche sotto la segreteria di Zanone il PLI aumentò i suoi consensi, e nel 1985, dopo un ennesimo insuccesso elettorale, il vertice nazionale cambiò ancora: si successero alla segreteria Alfredo Biondi, Renato Altissimo (che portò il partito al 2,8% dei voti durante le elezioni politiche del 1992) e Raffaele Costa.
Lo scioglimento dopo Tangentopoli [modifica]
Partendo da dati elettorali e di militanza così esigui, era inimmaginabile che il PLI avrebbe resistito al ciclone Tangentopoli. Renato Altissimo fu costretto a dimettersi e al suo posto divenne segretario Raffaele Costa. La situazione era ormai difficile ed un congresso furente sancì lo scioglimento del partito il 6 febbraio 1994.
In realtà si trattava di riconoscere la fine di un partito ormai ridotto al minimo. Già nel corso del 1993 alcuni esponenti liberali avevano tentato, pur mantenendo l'appartenenza al partito, di ricostituire una presenza liberale sotto nuovi simboli e nuove formule.
Nel giugno 1993, il presidente dimissionario Valerio Zanone aveva dato vita all'Unione Liberaldemocratica, un movimento di ispirazione liberal-democratica, di stampo non conservatore. Analogamente il segretario in carica Raffaele Costa, sempre nel giugno 1993, aveva fondato l'Unione di Centro inteso a raggruppare attorno a sé l'elettorato moderato di centrodestra, alternativo alla sinistra. Alcuni esponenti del PLI inoltre, come Paolo Battistuzzi e Gianfranco Passalacqua, aderirono sempre nel corso del 1993 al progetto di Alleanza Democratica, con una collocazione più decisamente di centrosinistra.
Il giorno dopo lo scioglimento, alcuni esponenti dell'ex-PLI scelsero di dare vita a un coordinamento dei liberali ormai sparsi in diversi movimenti nella prospettiva di riunificare in futuro le diverse esperienze dei liberali: Raffaello Morelli (su posizioni più progressiste) con l'appoggio di Alfredo Biondi (su posizioni più moderate-conservatrici) fondò così la Federazione dei Liberali Italiani.
Il simbolo della Federazione dei liberale italiani
In occasione delle elezioni politiche del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani non si presentò unitariamente ma si limitò a stendere un documento di indirizzi politico-programmatici cui si invitavano ad aderire i diversi esponenti liberali candidati nei vari schieramenti: Costa e Biondi traghettarono la loro Unione di Centro (UdC), fondata l'anno prima – e da molti giudicata causa della presentazione da parte di Costa della mozione di scioglimento – verso il centrodestra, divenendo una forza del primo governo Berlusconi. Altri liberali come Zanone aderirono invece alla coalizione centrista del Patto per l'Italia e al progetto di Mario Segni, altri ancora scelsero di candidarsi autonomamente sotto le bandiere dei radicali (Lista Pannella e Riformatori).
Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, molti ex esponenti del PLI (come il prof. Antonio Martino, il prof. Carlo Scognamiglio, i consiglieri Gianfranco Ciaurro e Pietro Di Muccio) migrarono verso Forza Italia , che realizzava l'antica ambizione sonniniana [2]del "partito liberale di massa"; altri migrarono verso Alleanza Nazionale come Gabriele Pagliuzzi, Giuseppe Basini e Luciano Magnalbò.
Pochi mesi dopo alle elezioni europee del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani di Morelli spinse affinché fosse possibile, dato anche il sistema elettorale proporzionale, ripresentare una lista che unisse tutti i liberali al di là degli schieramenti e in nome dell'appartenenza al Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR). Tuttavia ciò non fu possibile: i liberali erano ormai dispersi per strade diverse e si rivelò impossibile una lista unitaria. La FdL si presentò comunque in 2 circoscrizioni ma non raccolse risultati significativi (0,16%).
Nel 1996, dopo le elezioni politiche, terminò la breve esperienza dell'UdC dell'ultimo segretario Costa, che confluì definitivamente in Forza Italia.
La diaspora liberale [modifica]
Dopo lo scioglimento del PLI, uomini politici liberali si possono trovare in vari partiti italiani.
Nel 2004 è stato rifondato un nuovo Partito Liberale Italiano sotto la guida di Stefano De Luca (ex-Forza Italia), con vari esponenti ex-PLI come Giuseppe Basini, Renato Altissimo, Gian Nicola Amoretti (presidente dell'Unione Monarchica Italiana), Attilio Bastianini, Salvatore Grillo, Savino Melillo, Carla Martino, Carlo Scognamiglio. Il PLI è rappresentato in Parlamento da Paolo Guzzanti (eletto nel PdL e successivamente migrato).
Alcuni liberali fanno parte del Popolo delle Libertà, come l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, l'associazione Liberalismo Popolare di Raffaele Costa e Alfredo Biondi, il movimento dei Riformatori Liberali e alcuni uomini iscritti ad Alleanza Nazionale come Enzo Savarese e Luciano Magnalbò. In particolare questi liberali si rifanno alle moderne ideologie del conservatorismo liberale, del liberalismo nazionale e del liberismo economico. Molti liberali del PDL sono dentro il Parlamento, come Antonio Martino o Benedetto Della Vedova .
Altri liberali fanno parte del Partito Democratico, come per esempio Federico Orlando, Giovanni Marongiu e Valerio Zanone. Questi liberali si rifanno soprattutto a correnti del liberalismo quali il socialismo liberale, il liberalismo sociale e il liberalismo progressista.
Alcuni liberali, a livello locale, sono entrati nel movimento politico della Lega Nord, come l'ex presidente della provincia di Vicenza Manuela Dal Lago.
Alcuni liberali sono membri della Destra Liberale Italiana (più spostata a destra rispetto al Partito Liberale attuale), altri membri di partiti liberali regionali si sono riuniti in un Coordinamento dei Liberali Italiani.
Indice[nascondi]
1 Origini: il Partito Liberale precursore del PLI
2 La fase costituente del PLI
3 La costituzione del PLI
4 L'attività politica del PLI
5 Storia
5.1 Le origini
5.2 Il periodo fascista
5.3 La costituzione del PLI
5.4 L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale
5.5 L'adesione al pentapartito
5.6 Lo scioglimento dopo Tangentopoli
5.7 La diaspora liberale
6 Risultati elettorali
7 Segretari
8 Congressi
9 Note
10 Collegamenti esterni
//
Origini: il Partito Liberale precursore del PLI [modifica]
Il Patto Gentiloni (così chiamato dal nome del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni) era stato fortemente voluto da Giolitti in seguito all'approvazione nello stesso anno, il 1912, della riforma elettorale, che introduceva il suffragio universale. Fino ad allora nel Regno d'Italia il suffragio era stato ristretto ad una base elettorale molto ristretta. Giolitti aveva promesso ai socialisti di Leonida Bissolati la riforma elettorale in cambio del loro appoggio alla guerra di Libia. Giolitti e vari esponenti della classe politica che aveva governato il Regno d'Italia nel suo primo sessantennio di vita, temevano però di venire emarginati dalla nuova legge elettorale che concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, indipendentemente dal censo. Per bloccare quindi l'avanzata del Partito Socialista che si riteneva avrebbe riscosso molti consensi nel mondo operaio, Giolitti si rivolse all'Unione Elettorale Cattolica di Gentiloni, una formazione politica che, con l'accordo dell'allora Pontefice (San Pio X), superava il divieto posto fino a quel momento ai cattolici di partecipare alla vita politica (con il Non expedit deciso dal papa il beato Pio IX). In base a tale accordo, nel Partito Liberale di epoca pre-fascista, erano perciò confluiti il filone risorgimentale più istituzionale ed il filone cattolico largamente maggioritario nel paese. I tre punti politici cardine stabiliti al congresso fondativo del Partito Liberale nel 1912 furono: 1) il finanziamento alle scuole private (prevalentemente cattoliche); 2) l'impegno a non permettere l'introduzione del divorzio in Italia; 3) la giurisdizione separata per il clero. Il Partito Liberale dell'epoca pre-fascista ebbe quindi un orientamento monarchico, cattolico e tradizionalista. Su tali basi il partito ottenne nelle Elezioni politiche italiane del 1913, la prima a suffragio universale maschile, una schiacciante vittoria elettorale con il 51 % dei voti espressi e, su 508 seggi, 260 eletti. Con le leggi eccezionali del 1928 il PNF divenne l'unico partito ammesso in Italia ed il Partito Liberale venne perciò sciolto d'autorità.
La fase costituente del PLI [modifica]
Dopo il 25 aprile 1943 alcuni esponenti politici liberali ripresero a partecipare all'attività politica in nome del Partito Liberale sulla base del proprio prestigio personale prima ancora che il partito fosse formalmente ricostituito. Sorse così il desiderio e l'esigenza di rifondare il Partito Liberale sciolto dal fascismo. Alcuni, come ad esempio Leone Cattani, Nicolò Carandini, e Mario Pannunzio, iniziarono, dopo l'8 settembre 1943 a pubblicare in clandestinità un periodico, Risorgimento Liberale. Dopo la liberazione della capitale, Risorgimento Liberale diventò l'organo ufficiale dell'embrione di partito che andava ricostituendosi. Per distinguerlo dal partito precursore sciolto nel 1928 e per analogia con gli altri partiti a base ideologica, venne coniato il termine Partito Liberale Italiano. Rimase però sempre forte il senso di continuità storica, anche se non giuridica, con il partito precursore e la fase costituente del PLI fu vista e vissuta essenzialmente come la riorganizzazione del Partito Liberale. L'attività politica in questa fase iniziò a prendere forme sempre più consistenti con l'adesione al progetto della ricostituzione liberale da parte di alcuni esponenti storici del liberalismo italiano come Benedetto Croce, Alessandro Casati e Marcello Soleri, oltre che di esponeneti più giovani come Manlio Brosio. Grazie soprattutto a Leone Cattani, Alessandro Casati e Marcello Soleri, il Partito Liberale partecipò alla formazione ed all'attività del CLN. Al sud nel 1944 Benedetto Croce, criticato però da Nicolò Carandini, e Mario Pannunzio, fu ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio in rappresentanza dei liberali. Sempre a nome del ricostituedo Partito Liberale fecero parte del Governo Bonomi II Benedetto Croce, Nicolò Carandini, ed Alessandro Casati. Al nord Edgardo Sogno, medaglia d'oro della resistenza e capo dell' Organizzazione Franchi, partecipò al CLNAI in rappresentanza del Partito Liberale. Durante la Resistenza i liberali parteciparono attivamente alle azioni militari partigiane ed ebbero molti caduti tra le loro file.
La costituzione del PLI [modifica]
Il Partito Liberale Italiano venne uffialmente costituito con tale nome nel Congresso che si svolse a Roma dal 9 aprile al 3 maggio 1946. Nell'atto costitutivo approvato in tale occasione si faceva esplicito riferimento al Partito Liberale dell'epoca giolittiana e se ne dichiarava continuatore della linea politica. Il Partito Liberale Italiano (PLI) si qualificò perciò sin dalla sua costituzione come partito di destra, conservatore, nazionalista e tradizionalista, fortemente anti-comunista ed anti-socialista, pur mantenendo a pieno titolo e senza equivoci la qualifica di partito antifascista. Al referendum istituzionale del 1946 la stragrande maggioranza dei liberali fu a favore della Monarchia.
L'attività politica del PLI [modifica]
Il partito partecipò alla formazione di molti governi della Repubblica Italiana, soprattutto in alleanza con la Democrazia Cristiana nell'epoca del centrismo. Con l'avvio da parte della DC dei governi di centrosinistra il PLI, grazie al segretario Malagodi, diede vita ad una forte opposizione alle politiche volute dal Partito Socialista Italiano di Nenni. Alle elezioni politiche del 1963 il partito raggiunse il 7% dei consensi, miglior risultato elettorae della sua storia. In particolare il PLI si oppose alle nazionalizzazioni, soprattutto di quella dell'industrie elettriche ed all'istituzione delle regioni, viste come inutili forme di dissipazione del denaro pubblico. Il cavallo di battaglia era la lotta agli sprechi della pubblica amministrazione ed all'eccessiva tassazione. In generale, il PLI di Malagodi si presentò come il difensore della proprietà privata, della libera impresa e del risparmio individuale. Avversò quindi anche ogni forma di dirigismo economico e la partecipazione delle imprese dello Stato (le imprese statali) ad attività imprenditoriali di mercato. Grazie a queste posizioni il PLI arrivò a più che triplicare i propri consensi elettorali soprattutto al nord.
Il successo elettorale venne man mano diminuendo nel corso degli anni settanta a causa del forte ostracismo dei partiti del centrosinistra e della marcata radicalizzazione a sinistra della politica italiana in quegli anni.
Alle elezioni politiche del 1976 il PLI ebbe un forte calo e la guida del partito passò alla corrente di sinistra favorevole alla collaborazione con i socialisti ed in generale al dialogo con le formazioni di sinistra. Valerio Zanone fu il nuovo segretario del PLI a partire dal 1977 e, in contrasto con la linea politica fino ad allora espressa dal impressa dal Partito Liberale Italiano iniziò gradatamente a riorientarlo verso posizioni diverse dalla sua storia precedente e non più di destra conservatrice.
A partire dal 1981 fu protagonista dell'esperienza politica del cosiddetto Pentapartito. Nel maggio 1986 nuovo segretario del PLI fu nominato Renato Altissimo che continuò ed ampliò lo spostamento a sinistra del partito, tanto che in Puglia il segretario regionale Valentino Stola propose alleanze con il Partito Comunista Italiano. Il 15 marzo 1993 Renato Altissimo ricevette degli avvisi di garanzia. Il 4 dicembre 1993 ammettè di aver ricevuto denaro in maniera illecita, 200 milioni di lire in contanti. Imputato nel processo per la maxi tangente Enimont, è stato definitivamente condannato ad 8 mesi nel giugno 1998.
Travolto in tal modo dalle inchieste di Mani Pulite sui finanziamenti illeciti ai partiti, il PLI si sciolse nel 1994, così come molti partiti della Prima Repubblica.
Storia [modifica]
Le origini [modifica]
Le forze politiche liberali furono le protagoniste del processo che si compì nel 1861 all'Unità d'Italia in alleanza con la Monarchia di Casa Savoia. La natura estremamente elitaria del nuovo Stato italiano fece sì che praticamente l'intero Parlamento divenisse espressione di tale ideologia politica, seppur suddivisa fra una fazione rigidamente conservatrice, e un'altra più progressista e innovatrice. Quest'assoluto predominio, unito ai fenomeni di trasformismo che ben presto caratterizzarono la politica nazionale, impedirono la costituzione di un partito vero e proprio. La breccia di Porta Pia nel 1870, e il conseguente insorgere della Questione romana, scavarono un solco profondissimo fra i liberali e il mondo cattolico, spingendo quest'ultimo all'opposizione del regime sabaudo e dell'ordine politico vigente. Questa forte contrapposizione iniziò a venire meno solo tra la fine Ottocento e l'inizio del Novecento ed in particolare dopo la nomina nel 1909 del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni a capo della dell'Unione Elettorale Cattolica Italiana, UECI. La UECI era succeduta all'Opera dei Congressi, sciolta da San Pio X il 28 luglio 1904 perché troppo contigua alle tesi sostenute dalla Democrazia Cristiana Italiana di Romolo Murri. Il gruppo di Murri era formato da cattolici intransigenti fortemente anti risorgimentali ed anti liberali che sosteneva la necessità di preferire l'accordo tattico con i socialisti ed in generale con la sinistra (politica) piuttosto che appoggiare i liberali. Il conte Gentiloni sosteneva, invece, la fazione cattolica tradizionalista che si schierava con la Monarchia e con il Governo per parare la minaccia socialista, marxista ed anarchica volta non solo verso di essi, ma anche verso tutta o buona parte del patrimonio di valori tradizionali del mondo cattolico. Dopo la riforma elettorale ed il suffragio elettorale allargato l'accordo il connubio tra i cattolici tradizionalisti ed il liberalismo istituzionale giolittiano portò i liberali ad occupare lo spazio tra il centrista dello schieramento politico italiano e le posizioni conservatrici di destra
Il periodo fascista [modifica]
L'introduzione del sistema proporzionale nel 1919 e il conseguente trionfo dei partiti di massa socialista e popolare costrinse anche i liberali a cominciare a porsi il problema di più stabili forme organizzative. Il Partito Liberale, come tutti i partiti in quegli anni, si riorganizzò nel 1922 non più come comitato elettorale, ma in maniera più strutturata. Il modello derivava dell'esperienza e dal successo organizzativo del partito bolscevico di Lenin. Agli eredi della classe dirigente liberale che, da Camillo Benso di Cavour a Giovanni Giolitti, aveva fino a quel momento guidato il governo statale, tale modello organizzativo non risultava però molto congeniale ed in seguito finì per soccombere ad opera di un partito, il PNF che si era dotato di un'organizzazione paramilitare.
Il Partito Liberale così riorganizzato tuttavia continuò ad essere più un punto di riferimento aperto che un partito monolitico in grado di proporsi al paese come la sola espressione della rappresentanza politica liberale. Di fronte all'ascesa del fascismo, i liberali avanzarono sì critiche a difesa delle garanzie statutarie, ma in molti casi collaborarono all'instaurazione del nuovo regime autoritario, sia a livello centrale dove molti esponenti entrarono nel Governo Mussolini all'indomani della Marcia su Roma, sia a livello locale dove in molti casi fornirono al PNF il materiale umano per abbattere le esperienze amministrative socialiste e popolari. In vista delle elezioni del 1924 la maggioranza dei liberali accettò di entrare nel Listone Mussolini, seppur con rilevanti ed autorevoli eccezioni, prima fra tutte quella di Giovanni Giolitti. L'avvento della dittatura comportò lo scioglimento di tutti i partiti all'infuori del PNF, e un certo numero di liberali trovò un modus vivendi con il regime. D'altra parte, il più importante tra gl'intellettuali liberali, Benedetto Croce, fu per tutto il Ventennio, in Italia e all'estero, il simbolo vivente dell'opposizione morale e intellettuale alla dittatura, in nome della "religione della libertà" e del richiamo al Risorgimento nazionale: un'opposizione che, per il grande prestigio internazionale del filosofo, il fascismo fu costretto a tollerare, almeno fino a un certo segno.
La costituzione del PLI [modifica]
Benedetto Croce
Il Partito Liberale Italiano avviò la sua fase di ricostituzione politica nell'inverno del 1944 grazie al prestigio di Benedetto Croce e di Vittorio Emanuele Orlando partecipando, in maniera numericamente ridotta, ma efficace per le iniziative di combattimento sostenute, sia alla Resistenza partigiana che ai governi di unità nazionale guidati da Ivanoe Bonomi e Ferruccio Parri. In questo primo periodo due liberali divennero presidenti della Repubblica: prima Enrico De Nicola (1946-1948) e poi Luigi Einaudi (1948-1955).
Nel referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia, il PLI si schierò per la monarchia.[1]
Il PLI non svolse mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, non raggiungendo mai un ragguardevole consenso di voti, ma ebbe sempre grande prestigio intellettuale, svolgendo il ruolo di pungolo liberale verso tutti i partiti democratici, specialmente sui temi dell'economia. Faceva parte della cultura della sinistra liberale, quella di tendenza più internazionalista ed anticlericale, il settimanale, Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio (1910-1968), che a partire dal 1949 rappresentò un punto di riferimento per il laicismo e libertarismo italiani. Questa corrente di pensiero andò gradatamente distinguendosi dal liberalismo originale per confluire poi nel mondo espresso dal pensiero e dal Partito Radicale.
L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale [modifica]
Luigi Einaudi
Sotto la segreteria di Giovanni Malagodi il partito si orientò su posizioni più coerentemente liberiste, più vicine agli insegnamenti di Einaudi che di Croce, con una durissima e storica opposizione alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e in generale alla formula del Centrosinistra che condusse il Partito ad un periodo felice che vide molto salire i consensi. Il Partito liberale fu uno dei più strenui oppositori della riforma urbanistica ideata dal Ministro Fiorentino Sullo e che cercava di limitare gli effetti negativi della speculazione edilizia. Questa nuova strategia politica non fu apprezzata da alcuni giovani liberali (fra cui Eugenio Scalfari e Marco Pannella - che fu espulso dall'organizzazione giovanile del PLI), ispirati soprattutto dalla redazione del Mondo di Mario Pannunzio. Essi si staccarono dal PLI e fondarono il Partito Radicale nel 1955, su posizioni laiciste ed in certi casi non solo anti-clericali ma anti-cattoliche.
Rimasto all'opposizione per tutti gli anni sessanta, il PLI subì poi una crisi elettorale che lo portò a diventare un partito marginale nello scacchiere politico italiano. Nel 1972 Malagodi si dimise dall'incarico di segretario, e dopo il crollo del 1976 (quando il PLI ottenne solo l'1,6% dei voti alle elezioni politiche) fu scelto come segretario Valerio Zanone.
L'adesione al pentapartito [modifica]
Negli anni ottanta il PLI si spostò più a "sinistra" e fu parte del pentapartito, un'eterogenea coalizione di partiti che metteva insieme la Democrazia Cristiana (all'epoca dominata dalle correnti dorotee e più o meno di destra), il Partito Socialista Italiano, il PSDI e il PRI, uniti solamente dalla strenua volontà di escludere in ogni modo il PCI da qualunque ruolo di governo. La regione coi migliori risultati per il PLI fu il Piemonte, e in particolare la provincia di Cuneo, storico feudo elettorale di Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e, nell'ultimo terzo del XX secolo, Raffaele Costa.
Neanche sotto la segreteria di Zanone il PLI aumentò i suoi consensi, e nel 1985, dopo un ennesimo insuccesso elettorale, il vertice nazionale cambiò ancora: si successero alla segreteria Alfredo Biondi, Renato Altissimo (che portò il partito al 2,8% dei voti durante le elezioni politiche del 1992) e Raffaele Costa.
Lo scioglimento dopo Tangentopoli [modifica]
Partendo da dati elettorali e di militanza così esigui, era inimmaginabile che il PLI avrebbe resistito al ciclone Tangentopoli. Renato Altissimo fu costretto a dimettersi e al suo posto divenne segretario Raffaele Costa. La situazione era ormai difficile ed un congresso furente sancì lo scioglimento del partito il 6 febbraio 1994.
In realtà si trattava di riconoscere la fine di un partito ormai ridotto al minimo. Già nel corso del 1993 alcuni esponenti liberali avevano tentato, pur mantenendo l'appartenenza al partito, di ricostituire una presenza liberale sotto nuovi simboli e nuove formule.
Nel giugno 1993, il presidente dimissionario Valerio Zanone aveva dato vita all'Unione Liberaldemocratica, un movimento di ispirazione liberal-democratica, di stampo non conservatore. Analogamente il segretario in carica Raffaele Costa, sempre nel giugno 1993, aveva fondato l'Unione di Centro inteso a raggruppare attorno a sé l'elettorato moderato di centrodestra, alternativo alla sinistra. Alcuni esponenti del PLI inoltre, come Paolo Battistuzzi e Gianfranco Passalacqua, aderirono sempre nel corso del 1993 al progetto di Alleanza Democratica, con una collocazione più decisamente di centrosinistra.
Il giorno dopo lo scioglimento, alcuni esponenti dell'ex-PLI scelsero di dare vita a un coordinamento dei liberali ormai sparsi in diversi movimenti nella prospettiva di riunificare in futuro le diverse esperienze dei liberali: Raffaello Morelli (su posizioni più progressiste) con l'appoggio di Alfredo Biondi (su posizioni più moderate-conservatrici) fondò così la Federazione dei Liberali Italiani.
Il simbolo della Federazione dei liberale italiani
In occasione delle elezioni politiche del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani non si presentò unitariamente ma si limitò a stendere un documento di indirizzi politico-programmatici cui si invitavano ad aderire i diversi esponenti liberali candidati nei vari schieramenti: Costa e Biondi traghettarono la loro Unione di Centro (UdC), fondata l'anno prima – e da molti giudicata causa della presentazione da parte di Costa della mozione di scioglimento – verso il centrodestra, divenendo una forza del primo governo Berlusconi. Altri liberali come Zanone aderirono invece alla coalizione centrista del Patto per l'Italia e al progetto di Mario Segni, altri ancora scelsero di candidarsi autonomamente sotto le bandiere dei radicali (Lista Pannella e Riformatori).
Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, molti ex esponenti del PLI (come il prof. Antonio Martino, il prof. Carlo Scognamiglio, i consiglieri Gianfranco Ciaurro e Pietro Di Muccio) migrarono verso Forza Italia , che realizzava l'antica ambizione sonniniana [2]del "partito liberale di massa"; altri migrarono verso Alleanza Nazionale come Gabriele Pagliuzzi, Giuseppe Basini e Luciano Magnalbò.
Pochi mesi dopo alle elezioni europee del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani di Morelli spinse affinché fosse possibile, dato anche il sistema elettorale proporzionale, ripresentare una lista che unisse tutti i liberali al di là degli schieramenti e in nome dell'appartenenza al Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR). Tuttavia ciò non fu possibile: i liberali erano ormai dispersi per strade diverse e si rivelò impossibile una lista unitaria. La FdL si presentò comunque in 2 circoscrizioni ma non raccolse risultati significativi (0,16%).
Nel 1996, dopo le elezioni politiche, terminò la breve esperienza dell'UdC dell'ultimo segretario Costa, che confluì definitivamente in Forza Italia.
La diaspora liberale [modifica]
Dopo lo scioglimento del PLI, uomini politici liberali si possono trovare in vari partiti italiani.
Nel 2004 è stato rifondato un nuovo Partito Liberale Italiano sotto la guida di Stefano De Luca (ex-Forza Italia), con vari esponenti ex-PLI come Giuseppe Basini, Renato Altissimo, Gian Nicola Amoretti (presidente dell'Unione Monarchica Italiana), Attilio Bastianini, Salvatore Grillo, Savino Melillo, Carla Martino, Carlo Scognamiglio. Il PLI è rappresentato in Parlamento da Paolo Guzzanti (eletto nel PdL e successivamente migrato).
Alcuni liberali fanno parte del Popolo delle Libertà, come l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, l'associazione Liberalismo Popolare di Raffaele Costa e Alfredo Biondi, il movimento dei Riformatori Liberali e alcuni uomini iscritti ad Alleanza Nazionale come Enzo Savarese e Luciano Magnalbò. In particolare questi liberali si rifanno alle moderne ideologie del conservatorismo liberale, del liberalismo nazionale e del liberismo economico. Molti liberali del PDL sono dentro il Parlamento, come Antonio Martino o Benedetto Della Vedova .
Altri liberali fanno parte del Partito Democratico, come per esempio Federico Orlando, Giovanni Marongiu e Valerio Zanone. Questi liberali si rifanno soprattutto a correnti del liberalismo quali il socialismo liberale, il liberalismo sociale e il liberalismo progressista.
Alcuni liberali, a livello locale, sono entrati nel movimento politico della Lega Nord, come l'ex presidente della provincia di Vicenza Manuela Dal Lago.
Alcuni liberali sono membri della Destra Liberale Italiana (più spostata a destra rispetto al Partito Liberale attuale), altri membri di partiti liberali regionali si sono riuniti in un Coordinamento dei Liberali Italiani.
Nessun commento:
Posta un commento