Renato Vallanzasca Costantini (Milano, 4 maggio 1950) è un criminale italiano. Autore negli anni settanta e seguenti di numerose rapine, sequestri, omicidi ed evasioni, attualmente sta scontando una condanna complessiva a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione. Dall'8 marzo 2010 può usufruire del beneficio del lavoro esterno.
Biografia [modifica]
La giovinezza [modifica]
Renato Vallanzasca nasce in via Nicola Antonio Porpora 162, zona Lambrate di Milano, dove la madre aveva un negozio d'abbigliamento. A Renato viene dato il cognome materno, poiché il padre, Osvaldo Pistoia, era già sposato con un'altra donna dalla quale aveva avuto tre figli.
La vita criminale di Vallanzasca comincia fin da bambino. Il suo primo incontro con la giustizia avviene all'età di soli otto anni, non per reato di furto, ma per aver cercato di far uscire dalla sua gabbia la tigre di un circo che aveva piantato il tendone proprio nelle vicinanze di casa sua. Il giorno successivo a quell'atto, Renato viene prelevato direttamente dalla polizia mentre sta giocando a pallone con i propri amici e portato al carcere minorile Beccaria. La vicenda gli costa il successivo trasferimento e affidamento forzato a casa di una zia, in via degli Apuli, nel quartiere del Giambellino, periferia sud-ovest di Milano; praticamente nella parte opposta della città rispetto alla casa dei genitori.
È qui che forma la sua prima combriccola di piccoli delinquenti, ragazzini dediti a furti e taccheggi. Nonostante la giovanissima età, Vallanzasca rivela già il carisma di un capo criminale; comincia a farsi un nome anche negli ambienti della ligera, la vecchia mala milanese, con la quale inizia precocemente ad intrattenere rapporti. In breve tempo però, sentendosi andare strette le regole della malavita vecchio stampo, decide di delinquere autonomamente e di formare una propria banda. La cosiddetta Banda della Comasina diviene probabilmente il più potente e feroce gruppo criminale presente a Milano in quegli anni, contrapponendosi ad una gang altrettanto famosa nel medesimo periodo, la banda di Francis Turatello.
In poco tempo, grazie ai furti e alle rapine, Vallanzasca accumula ingenti ricchezze e inizia a condurre e ad ostentare un tenore di vita molto sfarzoso: vestiti firmati, orologi d'oro, auto di lusso, bella vita e belle donne. È anche un ragazzo dotato di un aspetto particolarmente avvenente e affascinante, con un bel viso dagli occhi cerulei, viene per questo soprannominato "Il bel Renè" (nomignolo da lui detestato). La prima interruzione nell'ascesa della carriera criminale de "Il bel Renè" avviene nel 1972 quando, una decina di giorni dopo una rapina ad un supermercato, viene arrestato dagli uomini della squadra mobile di Milano, all'epoca diretta da Achille Serra.
Lo stesso Serra racconta che, durante la perquisizione in casa del bandito, Vallanzasca si sfila il Rolex d'oro che porta al polso e appoggiandolo sul tavolo della sala gli dice con tono di sfida: "Se riesci a incastrarmi questo è tuo!". Pochi momenti dopo il maresciallo Oscuri trova nel cestino della spazzatura la prova che lo incastrerà, ovvero i pezzettini di un foglietto che, una volta riordinati, mostreranno la lista degli stipendi dei dipendenti del supermercato rapinato [1].
Vallanzasca viene incarcerato inizialmente a San Vittore, trascorrendo i successivi quattro anni e mezzo di prigionia con un unico intento: trovare un modo per evadere. Durante questo periodo non mantiene però un comportamento da detenuto modello. Oltre a rendersi responsabile di vari tentativi d'evasione falliti, di risse e di pestaggi, partecipa attivamente anche a diverse sommosse di detenuti, che, durante questi anni, spesso agitano l'ambiente carcerario italiano. A seguito di ogni pestaggio, rivolta, o tentativo di evasione, viene deciso il suo trasferimento dall'istituto di pena in cui si trova: tutto ciò lo vede cambiare 36 penitenziari. Fino a che non escogita il modo per contrarre volontariamente l'epatite, iniettandosi urine per via endovenosa, ingerendo uova marce e inalando gas propano, con l'intento di essere conseguentemente ricoverato in ospedale. È da lì, grazie ad una vigilanza meno stretta e con l'aiuto di un poliziotto compiacente, che riesce nel suo intento di evadere [2].
Dopo la fuga, durante la sua latitanza, Vallanzasca riesce a ricostituire la sua banda. Con essa mette a segno una settantina di rapine a mano armata che lasciano dietro di sé anche una lunga scia di omicidi, tra cui si contano quelli di quattro poliziotti, un medico e un impiegato di banca. Nel medesimo periodo avviene inoltre un'ulteriore evoluzione nella attività criminale del gruppo, con il passaggio dall'esecuzione delle sole rapine, a quello dei sequestri di persona (saranno quattro, di cui due mai denunciati). Una delle sue vittime è Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese, che viene tenuta segregata per circa un mese e mezzo, dal dicembre 1976 al gennaio 1977, e quindi liberata dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire. A questo episodio criminoso, il 6 febbraio 1977, fa subito seguito l'uccisione di due uomini della polizia stradale che, in un posto di blocco ad un casello autostradale nei pressi di Dalmine, fermano per un controllo la macchina su cui Vallanzasca viaggia; ne segue uno scontro a fuoco in cui gli agenti Luigi D'Andrea e Renato Barborini perdono la vita e in cui il bandito stesso viene colpito. Ferito e braccato, Vallanzasca cerca rifugio a Roma, ma dopo pochi giorni, 15 febbraio 1977, viene rintracciato e catturato. Tutto ciò quando ancora non ha compiuto 27 anni.
Una volta tornato in carcere, decide di sposarsi il 14 luglio del 1979 con Giuliana Brusa, una delle tante ammiratrici che gli scrivono. Come suo testimone di nozze, durante il matrimonio, decide di avere proprio l'ex nemico Francis Turatello, a suggello di un'alleanza tra i due capo banda criminali. Due anni più tardi, quando ancora si trova in carcere, Turatello verrà però ucciso da alcuni sicari incaricati da mandanti ignoti; sarà un'esecuzione dalle modalità estremamente efferate e cruente, di cui ancora sono oscure le ragioni.
Nel frattempo, il 28 aprile 1980, Vallanzasca si rende protagonista di un nuovo tentativo di evasione dal carcere milanese di San Vittore. Durante l'ora d'aria compaiono in mano ai detenuti tre pistole, introdotte misteriosamente. Un gruppo di carcerati, tra i quali anche Vallanzasca, riesce a farsi strada tenendo in ostaggio il brigadiere Romano Saccoccio. Ne segue una sparatoria per le vie di Milano che prosegue persino all'interno del tunnel della metropolitana. Vallanzasca, nuovamente ferito, viene ricatturato assieme ad altri nove compagni di fuga.
Gli anni '80 [modifica]
Nella prigione di Novara, nel 1981, Vallanzasca contribuisce a fomentare un'ennesima rivolta carceraria durante la quale vengono uccisi alcuni collaboratori di giustizia. Fra questi vi è anche un giovane membro della sua banda, Massimo Loi. La vittima, poco più che ventenne, aveva deciso di abbandonare definitivamente la vita criminale, come ricorda anche Achille Serra, per iniziarne una nuova. Il Loi però, un tempo legato da un rapporto fraterno a Vallanzasca, si era reso responsabile di errori e di atti contro di lui ed i suoi genitori che, agli occhi del suo capo, avevano profondamente tradito la fiducia e l'amicizia concessagli. Si racconta che Vallanzasca pertanto, aiutato da alcuni suoi compagni di prigionia, armatosi di coltello, avrebbe approfittato della rivolta in atto per andarsi a vendicare e non dare più modo al ragazzo (che si trovava recluso nel medesimo carcere) di lasciare il penitenziario vivo: dopo averlo raggiunto all'interno di una cella, Vallanzasca lo avrebbe colpito ripetutamente al petto con il coltello, infierendo poi con ulteriori atrocità sul corpo del giovane ormai esanime, arrivando a decapitarlo ed infine a giocare a pallone con la sua testa. Della morte di Loi, Vallanzasca ha però continuato a negarne per decenni la responsabilità diretta e lo sfregio del corpo. Anche in un'intervista concessa a L'Europeo il 2 aprile 2006 [3][4], continua a ribadire la propria estraneità e il legame d'affetto che aveva con il ragazzo, adducendo come testimonianza diretta e a favore, quello che il noto criminale Vincenzo Andraus avrebbe riportato nel proprio libro di memorie, nelle quali quest'ultimo, tra le molte atrocità di cui si dichiara colpevole, confessa il suo ruolo nell'efferata vicenda (Andraus verrà infatti condannato in quanto partecipe come uno degli assassini del Loi); queste dichiarazioni contraddicono però anche la stessa autobiografia, "Il fiore del male. Bandito a Milano", che Vallanzasca scrive attraverso la testimonianza raccolta da Carlo Bonini, giornalista del quotidiano La Repubblica. Nel 2010, però, all'interno di un nuovo libro biografico scritto insieme a Leonardo Coen [5], lo stesso Vallanzasca ammette il proprio atroce delitto, descrivendo nei particolari anche i motivi e il modo in cui si sarebbe compiuto [6].
Dopo la vicenda di tale rivolta, viene condannato al regime di carcere duro. Riesce però ad evadere nuovamente, il 18 luglio 1987, scappando rocambolescamente attraverso un oblò del traghetto che da Genova avrebbe dovuto portarlo al carcere dell'Asinara, in Sardegna. I 5 carabinieri di scorta, tutti con meno di 25 anni vengono successivamente condannati da un tribunale militare. Ricercato e senza fonti di reddito viene comunque fermato ad un posto di blocco neppure tre settimane dopo, mentre cerca di raggiungere Trieste.
L'ultimo tentativo di evasione e gli anni successivi [modifica]
Tornato in galera tenta un'altra volta la fuga, nel 1995, questa volta dal carcere di Nuoro. Per questo tentativo di evasione viene sospettata e accusata di averlo aiutato la sua stessa avvocatessa, con la quale si dice che Vallanzasca abbia stretto un forte legame che andrebbe oltre il semplice rapporto di assistito [7]. Dal 1999 è rinchiuso nel carcere speciale di Voghera.
All'inizio del mese di maggio 2005, dopo aver usufruito di un permesso speciale di tre ore per incontrare l'anziana madre, ha formalizzato la richiesta di grazia, inviando una lettera al ministro di Grazia e Giustizia e al magistrato di sorveglianza di Pavia. Nel luglio del 2006 la madre Maria ha scritto al presidente Napolitano e al Ministro di Giustizia Mastella chiedendo la grazia per il figlio. Il 15 settembre 2007 gli viene notificata la mancata concessione della grazia da parte del Capo dello Stato: Vallanzasca continuerà quindi a scontare la sua pena nel Carcere di Opera a Milano.
L'8 maggio 2008 viene data la notizia del matrimonio con la sua amica d'infanzia Antonella D'Agostino. Il matrimonio è stato formalizzato con rito civile il 5 maggio 2008 e celebrato da Vittorio Sgarbi.
Successivamente Renato Vallanzasca ha aperto un blog, gestito tramite terzi.
Ultimi anni [modifica]
A partire dall'8 marzo 2010 Renato Vallanzasca può usufruire del beneficio del lavoro esterno. Gli viene concesso di uscire dal carcere alle 7.30 per lavorare, e rientrarvi alle 19.00. Presterà servizio in una pelletteria che è anche una cooperativa sociale nel milanese. Vallanzasca usufruisce di una forma di permesso, concesso in base al primo comma dell'articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, valido anche per i detenuti condannati all'ergastolo che siano stati già in reclusione da almeno 10 anni [8].
Influenza sulla società [modifica]
Televisione [modifica]
La storia di Renato Vallanzasca è stata raccontata per la prima volta in televisione da La Storia siamo noi (Rai Edu) in uno speciale curato da Caterina Stagno e Silvia Tortora.
Film [modifica]
Nel 1977 è uscito un film intitolato La banda Vallanzasca, diretto da Mario Bianchi.
Nel 2010 Michele Placido [9] [10] ha realizzato Vallanzasca - Gli angeli del male, un film basato sulla vita del bandito e tratto dalla sua autobiografia: Il fiore del male [11]. L'opera, presentata fuori concorso alla sessantasettesima rassegna cinematografica della Mostra di Venezia, ha suscitato numerose critiche e accese polemiche; ha una colonna sonora originale composta dai Negramaro ed è interpretata da Kim Rossi Stuart, che impersona lo stesso Vallanzasca, Filippo Timi e Valeria Solarino [12].
Libri [modifica]
"Volevo essere Vallanzasca" è il titolo del romanzo recentemente scritto da Federico Riccardo Chendi, edito da Cicorivolta. Il romanzo descrive il quartiere Crescenzago ai giorni nostri ma facendo parecchi riferimenti agli anni in cui "la zona era stata terra di conquista delle diverse bande della ligera, la mala milanese, che controllavano il quartiere più della polizia". Nel 2010 è invece tornato in libreria "Il fiore del male", l'autobiografia di Renato Vallanzasca, scritta a quattro mani con il giornalista Carlo Bonini, pubblicata dalla Marco Tropea Editore [11] ed è uscita un'altra autobiografia scritta sempre da Vallanzasca, questa volta insieme a Leonardo Coen, intitolata "L'ultima fuga. Quel che resta di una vita da bandito" ed edita da Baldini Castoldi Dalai [5].
Altri [modifica]
Nel 2005 è stato presentato anche uno spettacolo teatrale su Vallanzasca, intitolato Settanta Vallanzasca, di Domenico Ferrari e Alessandro Pozzetti.
Al personaggio si ispira il nome di un gruppo ska italiano, i Vallanzaska.
Note [modifica]
^ Achille Serra, Poliziotto senza pistola , Bompiani [2006], 294 pp. ISBN 9788845256226
^ Cristiano Armati, Italia criminale. Personaggi, fatti e avvenimenti di un'Italia violenta , Newton Compton [2006], 238 pp. ISBN 9788854110830
^ [1]
^ Tiziano Marelli. Curriculum Vitae. L'Europeo, 2-4-2006
^ a b Leonardo Coen, L'ultima fuga. Quel che resta di una vita da bandito , Baldini Castoldi Dalai [2010], 256 pp. ISBN 9788860737359
^ "Così ho ammazzato il mio miglior amico". La Repubblica, 6-9-2010
^ Caterina Stagno, Silvia Tortora. La Storia siamo noi - Renato Vallanzasca. Rai 2
^ Renato Vallanzasca esce dal carcere. La Stampa, 2-3-2010
^ [2]
^ Placido: Vallanzasca come Robin Hood. La Repubblica, 6-11-2009
^ a b Carlo Bonini, Il fiore del male , Marco Tropea [2009], 276 pp. ISBN 9788855800792
^ Vallanzasca Story, al via le riprese Solarino: io, la pupa del gangster. La Repubblica, 6-11-2009
Bibliografia [modifica]
L'ultima fuga. Quel che resta di una vita da bandito, di Leonardo Coen e Renato Vallanzasca, Ed. Baldini Castoldi Dalai, 2010, ISBN 9788860737359
Il fiore del male: bandito a Milano, di Carlo Bonini e Renato Vallanzasca, Ed. Marco Tropea, 2009, ISBN 9788855800792
Etica criminale. Fatti della banda Vallanzasca, di Massimo Polidoro, Ed. Piemme, 2007, ISBN 9788838489471
Renato Vallanzasca. Milano calibro velluto, di Francesca Arceri, 2005, ISBN 8888764496
Carlo Lucarelli, Milano calibro 9 in Storie di bande criminali, di mafie e di persone oneste, 1a ed. Einaudi, 2008. pp. 66-118 ISBN 978-88-06-19502-1
Collegamenti esterni [modifica]
Biografia di Vallanzasca su Leonardo.it
Un'intervista a Vallanzasca del 2004
Biografia su Pagine70
Renato Vallanzasca. La storia di un criminale al centro delle cronache degli anni Settanta La storia siamo noi - Rai Educational
Il blog di Renato Vallanzasca
Eventi di malavita e Renato Vallanzasca
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Altri progetti [modifica]
Wikiquote contiene citazioni di o su Renato Vallanzasca
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Vallanzasca"
Categorie: Criminali italiani Nati nel 1950 Nati il 4 maggio Rapinatori Personalità legate a Milano
Categoria nascosta: BioBot
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