Pietro Berti

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VILLA BERTI - IMOLA VIA BEL POGGIO 13

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Anchorage

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domenica 9 gennaio 2011

Dinastie: gli Agnelli




Indice[nascondi]
1 Albero genealogico
2 Note
3 Voci correlate
4 Collegamenti esterni
//
La famiglia Agnelli è una importante famiglia del capitalismo italiano. Sino al 1998 la mancanza di studi sulle origini degli Agnelli e sull'esatta collocazione sociale del fondatore della Fiat ha consentito a vari storici di sbizzarrirsi nella formulazione di teorie contraddittorie e infondate. La stessa indisponibilità dell’archivio della famiglia (forse disperso dopo la morte del senatore Giovanni Agnelli, quando la palazzina che egli abitava a Torino, in Via Giacosa, fu trasformata in sede di uffici) ha agevolato i sostenitori delle tesi più fantasiose. Circa i luoghi d'origine, alcuni autori hanno indicato –citando solo alcune delle ipotesi fatte- Venezia, altri Mantova, altri ancora Napoli. Qualcuno addirittura ha fatto rimbalzare la famiglia, nel corso dei secoli, tra tutte queste città, per poi farla risalire a Chieri e approdare, finalmente, in Val Chisone. Con riferimento all’estrazione sociale e alla situazione economica di Giovanni Agnelli, anteriormente alla fondazione della Fiat, le opinioni sono più uniformi.
Nel 1998 un saggio pubblicato dal Centro Studi Piemontesi, di cui alcuni periodici e quotidiani nazionali hanno discretamente pubblicizzato le risultanze [1], ha ricondotto nell'alveo della realtà storica il percorso genealogico e biografico della famiglia, risalendo nel tempo sino al secolo XVI.
Gli Agnelli sono originari di Racconigi, dove giunsero, con ogni probabilità da Priero, nella prima metà del Settecento, impiantandovi alcune attività di coltivazione dei bachi da seta e filande. Un ramo abbracciò soprattutto le professioni liberali e diede nell'Ottocento medici e giuristi. Un altro ramo sviluppò invece soprattutto le attività imprenditoriali.
In quest'ultimo ramo si colloca Giuseppe Francesco Agnelli, nato in Racconigi il 25 giugno 1789, il nonno del fondatore della Fiat, al quale spetta anche il ruolo di iniziatore di una sempre più evidente ascesa degli famiglia. Poco dopo la Restaurazione egli, residente ormai nella capitale del Regno di Sardegna, figura tra i banchieri torinesi (occorre precisare che a Torino col termine "banchiere" erano chiamati non soltanto coloro che si dedicavano alle operazioni e negoziazioni di cambio e di banca, ma anche coloro che si occupavano della negoziazione delle sete gregge, spesso finanziando il lavoro dei filatori ed occupandosi poi di smerciare il prodotto, tanto grezzo quanto lavorato, sia all'interno dello Stato sabaudo, sia sul mercato estero). Giuseppe Francesco importa e vende spezie all'ingrosso, ricavandone ampi guadagni, che reinveste comprando tenute e terreni agricoli e fondando a Carignano una moderna raffineria di zucchero (la "Agnelli, Pelisseri e Compagnia, Raffinatori") con alta capacità produttiva, già presente con il proprio "zuccaro in pani affinato di primo getto" all'Esposizione nazionale d'industria del 1832 e destinataria di un premio in quella del 1838.
Giuseppe Francesco effettua operazioni immobiliari e fondiarie, dimostrando eccellenti capacità di imprenditore e creando in vari campi, nuovi posti di lavoro. Lucrosissima, in particolare, risulta la compravendita della tenuta Parpaglia (una vasta cascina di quasi seicento giornate piemontesi che si estendeva sui territori di Candiolo e Vinovo) acquistata nel 1840 da Teresa Audifredi. Parpaglia faceva parte anticamente del patrimonio dell'Ordine Mauriziano. Il banchiere Adriano Audifredi l'aveva comperata nel quadro delle alienazioni forzate decise in epoca napoleonica. Agnelli la pagò 310.000 lire e la rivendette dodici anni dopo, in seguito a serrate trattative, allo stesso Ordine Mauriziano, con un cospicuo guadagno, poiché il Re voleva ad ogni costo che fosse reintegrata nella tenuta di caccia di Stupinigi, per restituirle l'originaria consistenza ed estensione.
Nel 1853, grazie alla liquidità derivante dalla cessione della suddetta tenuta, Agnelli acquista dalla famiglia dei Turinetti di Priero, per 220.000 Lire, la splendida villa (da qualcuno attribuita a Filippo Juvara) di Villar Perosa, con annesse circa 300 giornate di terra, considerata una tra le più sontuose "villeggiature" del Piemonte.
Giuseppe Francesco sposò in prime nozze Maria Maggia, da cui ebbe cinque figli, l'ultimo dei quali, Edoardo, nato a Torino il 18 luglio 1831 e morto precocemente, dette tuttavia discendenza alla famiglia. Fu consigliere comunale di Villar Perosa e membro di vari sodalizi torinesi, tra i quali la Società delle Belle Arti. Dal matrimonio con Aniceta Frisetti (appartenente ad una famiglia che aveva a Torino delle cospicue proprietà immobiliari), Edoardo ebbe tre figli: il primogenito, Giovanni, destinato a fondare la Fiat, nacque tra le mura della villa che era stata acquistata dal nonno, il 3 novembre 1866.
Senza nulla togliere ai suoi meriti e alle sue poco comuni capacità personali, Giovanni Agnelli muoveva in realtà una solida situazione finanziaria e patrimoniale, idonea ad aprire molte porte e a progettare nuove imprese. La stessa sua presenza giovanile quale ufficiale nell'arma di Cavalleria, a fianco del fior fiore della nobiltà piemontese, costituiva, già di per sé, un indizio non privo di implicazioni.
Oggi il nucleo del patrimonio degli Agnelli è costituito dall'industria e marcatamente da quella automobilistica (Giovanni Agnelli fu tra i fondatori della FIAT), ma sono molti i settori (dall'editoria al calcio alla finanza) in cui ha delle partecipazioni.
In particolare la famiglia controlla la Giovanni Agnelli e C. S.A.p.A. che a sua volta controlla la holding Exor.
Albero genealogico [modifica]
clicca l'ipertesto azzurro per visualizzare 1 Albero genealogico
Note [modifica]
^ Gustavo Mola di Nomaglio, Gli Agnelli. Storia e genealogia di una grande famiglia piemontese dal XVI secolo al 1866, Torino, 1998
Voci correlate [modifica]
Giovanni Agnelli e C. S.A.p.A.
Exor
IFIL
FIAT
Collegamenti esterni [modifica]
la storia di Edoardo Agnelli
Portale Storia di famiglia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Storia di famiglia
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Agnelli_(famiglia)"
Categoria: Agnelli [altre]
Categorie nascoste: Voci mancanti di fonti - storia di famiglia Voci mancanti di fonti - maggio 2009

Alcuni articoli tratti dai giornali


Settanta Agnellila grande dinastia

TORINO - E' una famiglia estesa quella che oggi viene colpita da lutto per la morte di Edoardo Agnelli. Sono più di settanta, fra figli, nipoti e coniugi, i discendenti del fondatore della Fiat Giovanni Agnelli senior e di sua moglie Clara Boselli.La coppia ebbe due soli figli: Edoardo e Niceta. E' con Edoardo (sposo di Virginia Bourbon del Monte) che la 'dinastia' comincia a ramificarsi: dal suo matrimonio con Virginia Bourbon del Monte nacquero infatti sette figli, tra cui Gianni e Umberto. Niceta sposò invece Carlo Nasi (da cui discende l'omonimo ramo della famiglia).L'Avvocato e la moglie Marella Caracciolo, oltre ad Edoardo, hanno una figlia Margherita, 43 anni, che vive a Parigi con il secondo marito Serge de Phalen. In prime nozze si è unita con Alain Elkann, dal quale ha avuto i figli Jacopo, 22 anni, Lapo, 17 e Ginevra, 15. Dall'attuale marito ha avuto Maria, 11 anni, Pietro, 9, Sophia e Anna, 7, Tatjana, 5. I figli di Umberto Agnelli (oltre a Giovannino, morto tre anni fa) sono Andrea e Anna, nati dal matrimonio con Allegra Caracciolo.L'Avvocato, oltre al fratello Umberto ha quattro sorelle, Clara, Susanna, Maria Sole e Cristina. L'altro fratello, Giorgio, è morto a 36 anni dopo una lunga malattia. Clara è attualmente sposata con il conte Giovanni Nuvoletti e si era unita in prime nozze con Tassilo Fustenberg. Questo ramo della famiglia conta tre figli, Ira, Eduard Egon e Sebastian, e quattro nipoti. Ira si è sposata con Alfonso vonHohenlohe (due figli, Hubertus e Christof); Eduard Egon con Diane Halfin, dalla quale ha avuto i figli Tatjana e Alexander; Sebastian con Elisabetta Guamati.Susanna Agnelli ha sposato Urbano Rattazzi e ha sei figli, Ilaria, Samaritana, Cristiano, Delfina, Lupo e Priscilla, e dieci nipoti.L'elenco, considerati i numerosi matrimoni, di solito tutti fecondi, è intricato. Cristiano, 47 anni, vive a Buenos Aires con la moglie Sonia del Carril (tre figli dai 15 ai 19 anni); altri nipoti di Susanna Agnelli sono: Marella e Martina, 27 e 25 anni, figlie di Ilaria ed Egidio Zampolli; Pietro e Anna, 25 e 18 anni, figli di Samaritana e del primo marito Vittorio Sermonti; Filippo e Thea, 14 e 10, nati dall'unione di Delfina con l'ex marito Carlo Scognamiglio; Maxi, 10 anni, frutto dell'unione di Priscilla con il secondo marito Klaus Mohlmann.Due matrimoni e cinque figli per Maria Sole Agnelli: dall'unione con Ranieri Campello della Spina sono nati Virginia (sposata con Giuseppe della Chiesa), Argenta (sposata con Gian Antonio Bertoli), Cinzia (sposata con Leopoldo Torlonia), Bernardino (sposato con Francesca Rizzo). Dal secondo marito, Pio Teodorani Fabbri, Maria Sole Agnelli ha avuto il figlio Edoardo. Da Cristiana Agnelli e Brando Brandolini d'Adda l'albero genealogico porta altri quattro figli e un nipote. (15 novembre 2000) estratto dal sito web http://www.repubblica.it/online/cronaca/agnelli/famiglia/famiglia.html

Casa Agnelli, storia e personaggi dell’ultima dinastia italiana
di Walter Mariotti
Per gli italiani la vera dinastia cui si perdonava tutto, anche di non avere la corona. Per gli stranieri, critici o celebranti, dei players unici, elegantissimi, spesso misteriosi ma sempre e comunque ingiudicabili. Anche solo per la distanza, l’aura, l’alone esoterico che pareva circondarli. Per tutti la Famiglia italiana con la maiuscola, il simbolo e la cifra di un’identità basata sulla precondizione del denaro, che ha segnato in tutto e per tutto il Novecento politico, economico e sociale.Al tramonto consumato delle grandi figure carismatiche Gianni ed Umberto, nel ricordo delle fulgide comete come Giovannino e l’ascesa della generazione postmoderna degli Jaky, Lapo e Ginevra, il cronista economico de Il Foglio, Marco Ferrante, prova a raccontare il clan di Torino con occhi nuovi, clinici e spesso disincantati. Un vero ritratto di gruppo, che a volte ricorda l’incedere dei Buddenbrock ma realizzato come un’antielegia, per accumulo, assemblaggio di ricordi, frattaglie, flashback e dettagli minuziosi sullo sfondo di temi economici e geopolitici. Dal gran ballo di quasi duecento persone e personaggi, dove anche le terze e quarte file vengono fotografate con l’attenzione del miniaturista, emergono alcuni campioni assoluti: Virginia, madre dei sette eredi Agnelli, i suoi tre figli Gianni, Umberto e Giorgio (quest’ultimo completamente rimosso dopo la scomparsa, nel ’65, in una clinica svizzera) e Edoardo, il figlio di Gianni.Il fulcro, e la novità, del libro sta forse proprio qui. Nell’attenzione alle dinamiche relazionali all’interno del gruppo. Nella descrizione del sottile male di vivere una condizione di privilegio eccezionale che s’innesta su una trama di rapporti intergenerazionali dove il potere e il denaro rivestono sempre e comunque un ruolo decisivo. E’ il caso dell’altro protagonista vincente della generazione dell’Avvocato, Susanna, sorella ammirata, rispettata ma chissà quanto amata. D’altronde, come si attribuiva all’uomo che non parlava di donne ma alle donne, innamorarsi e quindi amare sarebbe stata attività da camerieri.Tra i rivoli spesso ignoti di un’affettività in apparenza glamour ma in realtà costruita su desideri latenti e atti mancati, spicca la vicenda giovanile di Gianni con Pamela Churchill, nuora dell’ex premier britannico Winston, uno che invece di donne parlava eccome. Nella tradizione di Patricia Cromwell, ma con più disincanto, l’entomologo Ferrante ricostruisce dettaglio per dettaglio tutta la vicenda dell’unica donna verso la quale l’Avvocato avvertì un’autentica “forma di interesse”. Ance perché “l’intelligenza di Gianni fu di accettare la sfida che lei gli presentava, cimentarsi con il mondo inteso nella sua globalità, puntare alla vetta”.Autore di Mai alle quatto e mezzo, selezionato al premio Strega, Ferrante ha scritto qualcosa di più di più di una storia di nonni facoltosi, vecchie zie e nipoti un po’ scapestrati con i loro tic, snobismi e idiosincrasie. Un affresco al grigio della Fiat, l’entità che nel XX secolo ha preceduto e diretto il costume nazionale.(Marco Ferrante, Casa Agnelli. Storia e personaggi dell’ultima dinastia italiana, Mondadori, pagg 250- euro 17,50) estratto dal sito web http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2007/06/radiocorlibri-casa-agnelli-ferrante.shtml?uuid=dfd5b874-102f-11dc-a914-00000e251029&DocRulesView=Libero
TORINO – Oltre due anni di riserbo, quasi assoluto. Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron, accusati da Margherita Agnelli de Pahlen di essere stati i gestori del patrimonio del padre (anche di un presunto «tesoro» occulto), si sono difesi con memorie giudiziarie di cui non è mai trapelato nulla. E la madre, Marella, chiamata in causa, ha risposto nello stesso modo, con atti legali. Lì dentro, in quelle pagine durissime, talvolta amare e ironiche, c’è l’altra verità sull ‘affaire Agnelli, quella che finora non è andata sui giornali. Sono le memorie conclusive di Gabetti, Grande Stevens, Maron e Marella Agnelli, consegnate al Tribunale di Torino a fine giugno (della memoria di Margherita si è dato conto ieri). Il Corriere ne è venuto in possesso.
Da sinistra Sergio Marchionne, Gianluigi Gabetti e John Elkann
Ecco il contenuto.
Gianluigi Gabetti Delle quattro memorie è decisamente la più argomentata anche perché il manager, che dal 1972 è al fianco della famiglia Agnelli, è l’obiettivo numero uno di Margherita che lo considera il «grande vecchio» depositario di mille segreti. L’incipit di Gabetti è polemico. «Dopo oltre due anni dall’inizio del procedimento e quasi 200 pagine di scritti di controparte, circa 50 documenti prodotti e decine di interviste a giornali di ogni parte del mondo e trasmissioni televisive, con apparizioni dei suoi legali, cosa si scopre? Che il famoso ‘mandato’ al dott. Gabetti, origine di tante assurde pretese quanto ingiuste illazioni, non può essere prodotto in giudizio da Margherita de Pahlen, perché la sorpresa sarebbe ‘verbale’ (sic!)».
Un ‘incarico verbale’ (citazione dagli atti di Margherita) per gestire un patrimonio così complesso e rilevante? La risposta è implicita. E dunque quelle di Margherita sono pure deduzioni. «La verità sostiene Gabetti è che l’Avvocato gestiva personalmente tutti i beni». E la richiesta di Margherita di ottenere un «rendiconto con ordinanza » è «inammissibile». Ma «giacché si è arrivati si legge nella memoria al redde rationem processuale» Gabetti «intende soffermarsi su ogni singolo fatto denunziato » .
Alkyone e la lettera – Per esempio Alkyone, la fondazione di Vaduz (Liechtenstein) che custodiva buona parte del patrimonio dell’Avvocato. Gabetti con Grande Stevens e Maron aveva il ruolo di protector (garante). Una prova, per Margherita, che i beni del padre erano sotto le loro cure.Il manager afferma di «aver mai dato alcuna istruzione … a nessuno » e che questo Margherita lo sa. Grande Stevens e Maron scrivono nelle rispettive memorie di non aver mai nemmeno saputo della loro nomina a protector. E qui spunta una lettera (consegnata da Gabetti al giudice) in cui la signora de Pahlen l’8 marzo 2004 dichiara «di non aver pretesa di qualunque natura … nei confronti degli organi, impiegati o mandatari della Fondazione Alkyone». L’Opa su Exor del 1999 è stata «essenziale scrivono i legali di Margherita in un atto giudiziario nella costituzione della fortuna offshore di Giovanni Agnelli» e solo Gabetti e Grande Stevens sanno chi sono «gli azionisti sconosciuti» che hanno incassato i soldi dell’Opa. Gabetti, che era amministratore delegato di Exor, ha gioco facile: «Se le azioni sono al portatore i titolari sono ignoti in primis alla società e ai suoi organi » .
la famigila Agnelli
Le «mance» a Margherita- C’è poi il lato privato delle dinamiche Gabetti e la famiglia Agnelli.
La figlia dell’ex presidente Fiat ha sostenuto che il padre avrebbe affidato al manager anche il compito «di amministrare la gestione ordinaria della propria famiglia». Replica degli avvocati di Gabetti: «Mai curato le esigenze amministrative di Donna Marella Caracciolo». Quanto alle «necessità amministrative » dei figli, «Gabetti si prestò talora a ragionare con Margherita di quanto questa avesse bisogno e poi … formulava una richiesta in via amichevole a Marella Caracciolo e/o al consorte. Quanto poi i genitori versassero alla figlia … il dott. Gabetti non sa… Ogni appoggio di Gabetti alle richieste della figlia dell’Avvocato è comunque terminato nel lontano 1998». Le somme «accreditate ai figli provenivano da disponibilità liquide del Senatore Agnelli».La sintesi finale è in questa frase: «L’essere stato vicino per tanti anni all’avv. Agnelli e la naturale conoscenza, mai negata, di tanti fatti, per lo più squisitamente professionali e societari, nulla ha a che vedere con un’attività di gestione di beni personali, di cui il dott. Gabetti mai ha avuto mandato né disponibilità».
Marella Agnelli
La madre di Margherita non ammette dubbi sulla correttezza contabile e fiscale del marito, parla di «supposizioni prive di fondamento e di riscontro, irrilevanti ai fini della causa». E «deplora con profonda amarezza le illazioni che la figlia ha voluto affacciare nei confronti del genitore». Quanto alle ipotesi sull’intestazione fiduciaria della casa di St Moritz, vengono esibiti documenti da cui risulta che «gli immobili sono stati acquistati personalmente da Marella Agnelli a partire dal 1977» e che «la decisione di spostare la residenza dall’Italia alla Svizzera … risale al lontano 1970».
.
Franzo Grande Stevens
I fondi neri Fiat anni ‘90 sono una delle piste inseguite da Margherita alla ricerca del presunto patrimonio nascosto. Anche per questo ha deciso di pagare le spese legali di un ex dirigente Fiat che ha ritrattato le antiche dichiarazioni, in nome della verità (dice lui), chiamando in causa (ma vi è una richiesta di archiviazione) l’ex capo dell’ufficio legale Fiat. Da qui parte l’attacco di Grande Stevens, difeso anche dal genero Andrea Gandini, figlio proprio dell’ex capo del legale Fiat. «Si apprende e si legge in apertura della memoria- che con devoto affetto filiale l’attrice… ha cercato, a sue spese e con sua sollecitazione, di insinuare il sospetto che alla Fiat vi fossero fondi neri a conoscenza ed uso di suo padre! (Per riceverne una parte?)».Per il resto anche Grande Stevens sottolinea come non vi sia «alcun documento che provi l’esistenza di un mandato di gestione » e ironizza sul fatto che potesse essere verbale, «come se si trattasse di bagatelle».
Siegfried Maron
Anche lo svizzero va giù duro sulla questione del «mandato verbale» a gestire i beni dell’Avvocato. «È del tutto inverosimile, per non dire surreale che un mandato estremamente esteso» come quello ipotizzato da Margherita «abbia potuto essere conferito solo verbalmente». Per provare il mandato verbale, da cui poi discenderebbe l’azione di rendiconto sui beni del padre, occorrono molte prove e testimonianze che Margherita si è vista respingere dal giudice. Oggi per lei la strada è molto in salita.
per saperne di più sugli Agnelli e la FIAT vedi il sito-
www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=206
Gli ultimi anni della famiglia segnati dal doloreda Giovannino allo sfortunato Edoardo all'Avvocato Ricchi, potenti e tragiciGli Agnelli, un dinastia in lutto

Giovannino e Umberto Agnelli
TORINO - La morte di Umberto Agnelli è solo l'ultimo dei dolori che hanno colpito la più grande famiglia imprenditoriale italiana. Un destino spietato che ne ha sempre accompagnato le fortune. Poco più di 15 mesi fa, il 24 gennaio 2003, moriva a Torino, a 81 anni, l'avvocato Gianni Agnelli per un tumore che lo aveva colpito alcuni mesi prima e contro il quale aveva combattuto sottoponendosi a cure sia in Italia che negli Stati Uniti. L'annuncio della malattia dell'Avvocato era arrivato nel maggio del 2002, quando lui stesso aveva detto che non avrebbe potuto essere presente all'assemblea degli azionisti, "per la prima volta in sessanta anni", trovandosi negli Stati Uniti per cure. Da quel momento era stato uno stillicidio di notizie, indiscrezioni, smentite. Giovanni Agnelli sempre meno presente sulla scena, apparve per l'ultima volta in pubblico, nel settembre 2002, quando nella Bolla del Lingotto incontrò il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione dell'inaugurazione della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. Poi solo voci, fino al decesso avvenuto il 24 gennaio 2003, lo stesso giorno della riunione dell'accomandita, che doveva nominare presidente Umberto. Seguirono due giornate di grande commozione: Torino aveva perso il suo "re" e, come per ogni sovrano che si rispetti, l'omaggio della città fu grande, immenso. Migliaia di persone salirono sulla pista del Lingotto per l'ultimo saluto all'Avvocato nella Camera ardente allestita nella Pinacoteca e moltissimi seguirono i funerali in Duomo, celebrati alla presenza delle massime autorità dello Stato.
Ma la stessa vita dell'Avvocato era stata contraddistinta da grandi dolori: il 14 luglio 1935, a soli 14 anni, perse il padre Edoardo, il "principe ereditario", morto in un incidente aereo; dieci anni dopo, nel novembre 1945, morì la madre Virginia Bourbon del Monte in un incidente automobilistico. Poi i dolori più recenti per gli Agnelli: di una rara forma di cancro allo stomaco morì ad appena 33 anni colui che era già stato designato come erede dell'impero Fiat: Giovanni Alberto Agnelli, figlio primogenito di Umberto e nipote di Gianni. Fu lo stesso Giovanni Alberto annunciare con un'intervista nell'aprile del 1997, la sua imminente paternità, dopo il matrimonio con l'americana Avery Howe, e la sua malattia che lo ha colpito e che lo portò in America per le cure. Il 13 dicembre, però, due mesi dopo essere diventato papà di Virginia Asia, Giovanni Alberto muore. Le disgrazie per la famiglia non sembrano avere mai fine: il 15 novembre 2000, Edoardo, il figlio primogenito dell'Avvocato, si toglie la vita lanciandosi da un viadotto. E mentre la famiglia subiva questi pesanti dolori anche la Fiat attraversava un difficile momento: erano in molti, dopo la scomparsa dell'Avvocato, a chiedersi che cosa ne sarebbe stato del gruppo torinese. Con l'arrivo del nuovo management, del piano Morchio, del nuovo amministratore delegato dell'auto Demel, del lancio di nuovi modelli che incontrarono il favore del pubblico, negli ultimi mesi le cose per Fiat cominciano a volgere lentamente al meglio. Ma la notizia, riportata l'8 maggio dal quotidiano britannico Financial Times, secondo la quale anche a Umberto Agnelli è stato diagnosticato un tumore, un linfoma, sembra riproporre un ineludibile destino per la grande dinastia degli Agnelli. Le prime notizie parlano di una malattia curabile ma già il 12 maggio Umberto è costretto a disertare l'assemblea dei soci. Cala, quindi, un velo di silenzio sulle sue condizioni di salute che si aggravano improvvisamente negli ultimi giorni fino a questa notte. (28 maggio 2004)
tratto dal sito web http://www.repubblica.it/2004/e/sezioni/economia/agnumb/destino/destino.html
Gli Agnelli-una dinastia al tramonto …..?
Dal senatore fondatore dell’azienda ai bisnipoti una famiglia che continua a segnare il Paese Nelle Grandi Famiglie c’è sempre qualcosa che ritorna. Negli Agnelli anche il nome ritorna. Giovanni Agnelli non è il fondatore della Famiglia. Ma è quello che ha fondato la Fiat nel 1899, e la dinastia comincia da lì. Sono più di 170, tra figli, nipoti e coniugi, i discendenti, una ramificazione così estesa che ci si perde. In realtà, quelli che fanno parte dell’Accomandita Giovanni Agnelli, la cassaforte che sta al vertice della catena di controllo del Gruppo e che ne distribuisce gli utili, sono 70, divisi in 10 rami. Fra di loro non c’è Margherita, perché aveva scelto di uscirne nel 2004. Margherita è nata in Svizzera 52 anni fa, è la figlia di Gianni, l’Avvocato. Ha sempre condotto una vita discreta, lontana dai clamori, si interessa di pittura ed è molto impegnata nel sociale. Era assente alla Messa in suffragio del padre e ai funerali dello zio Umberto. Così nacquero sui giornali le voci di dissidi. C’era invece, il 4 settembre del 2004, al matrimonio del figlio John con Lavinia Borromeo. Si parlò allora di «grande armonia e di rapporti di affetto saldi». Scrissero anche che lei aveva ricevuto immobili a Roma e Torino e liquidi come quota spettante del patrimonio del padre. Adesso, quella disputa sembra tornata.
Tutto cominciò con il Senatore Giovanni Agnelli, il fondatore. Lui era un uomo dal volto quadrato e lo sguardo che tagliava. Fu sindaco di Villar Perosa, prese la Juventus e La Stampa, costruì la prima stazione sciistica italiana sul colle del Sestriere. Tutte cose che ritornano. Sua nipote, Susanna Agnelli, lo descrisse così: «A Villar Perosa, il nonno aspettava in giardino. E’ venuto incontro a mia madre che teneva intorno a sé i suoi figli. Si è fermato in silenzio. Le lacrime gli scendevano sulle guance». Il Grande Patriarca aveva appena perso i suoi, di figli, tutt’e due, Aniceta ed Edoardo. Anche il dolore ritorna sempre in questa Famiglia. Giovanni Agnelli sposò Clara Boselli, che gli dette due figli. Nel 1935, nel primo grande periodo di espansione della Fiat, perse l’erede, Edoardo, che era il padre dell’Avvocato, di Umberto e di Susanna. Quel luglio del 1935, come scrisse ancora Susanna in «Vestivamo alla marinara», «mio nonno, informato che Edoardo aveva avuto un incidente, aveva preso la macchina ed era andato all’ospedale. All’entrata aveva chiesto del ferito Agnelli e gli avevano risposto: “Si accomodi pure alla camera mortuaria”. Entrò, e si fermò da solo, in piedi».
In fondo c’è, in questo racconto, non solo la comunanza indefinita del dolore, ma anche la traccia di un destino, qualcosa che ha sempre unito la Famiglia alla sua gente. Gli Agnelli hanno sempre rappresentato il Potere, ma non un potere così distante dalla nostra vita, pur con tutti i conflitti e le contraddizioni relativi ai rapporti tra una sorta di famiglia reale e i suoi dipendenti. La Fiat ha sovrapposto la sua immagine a quella della città dove è stata costruita, e si è integrata con Torino fino a condizionarne potentemente (e spesso prepotentemente) non soltanto la composizione sociale, la vita politica, i flussi migratori, l’urbanistica, le politiche pubbliche, ma la stessa vita culturale e, volendo, persino la stessa struttura antropologica. Fiat ha significato per Torino centinaia di migliaia di meridionali arrivati qui all’arrembaggio, disperati e volenterosi, ma anche una struttura istituzionale alternativa e parallela a quella pubblica, dalla Mutua aziendale ai servizi per il dopolavoro, dalle colonie alla grande famiglia che andava dagli allievi agli anziani Fiat.
Il fatto è che Fiat significa semplicemente gli Agnelli, una dinastia che si intreccia con questa storia industriale e con la sua città. E anche se ai tempi suoi l’Avvocato non si è mai identificato appieno con Torino, per capire la forza del rapporto coi torinesi basta pensare alla folla accorsa ai suoi funerali. La dinastia degli Agnelli è sempre stata questo, a metà fra noi e loro, fra gli ideali del tempo e l’isolamento del successo. Giovanni Agnelli ha sposato a Strasburgo donna Marella Caracciolo dalla quale ha avuto due figli, Margherita ed Edoardo. Gianni Agnelli aspettò il suo turno alla Fiat fino al 1966, dopo 20 anni della reggenza di Vittorio Valletta, che chiamavano il professore perché aveva insegnato in un istituto di ragioneria. L’Avvocato internazionalizzò la Fiat e segnò la storia del secolo. Quando morì suo fratello, Umberto regnò per pochissimo tempo, e alla sua morte il figlio Andrea sembrava quasi volersi allontanare. Nel 2003, la Famiglia decise di varare un aumento di capitale da 250 milioni di euro per salvare la Fiat. John, Lapo e Ginevra sono i figli di Margherita e Alain Elkann. Il primo si è laureato in ingegneria ed è diventato il nuovo erede.
Nel frattempo molte cose sono cambiate, ma c’è qualcosa che è rimasta sempre, o che è ritornata, come la grandezza della Fiat, proprio quando sembrava finita. Dentro a questo percorso, c’è tutto il resto. Gli Agnelli in questo secolo di vita sono sembrati quasi a metà tra i Buddenbrook e i Kennedy, se si pensa alla loro ascesa e alle loro discese, nel dolore e nel precipizio della vita. Ma hanno segnato il Paese anche con il loro stile, fondato su un cosmopolitismo da Grande Borghese, su una globalizzazione ante litteram, dove la ricchezza era sì potere e profitto, ma era pure investimento, era incontro con finanzieri, con politici, con intellettuali, era cultura. Era stile, appunto.
di Pierangelo Sapegno
( …..dove la ricchezza era sì potere e profitto, ma era pure investimento, era incontro con finanzieri, con politici, con intellettuali, era cultura. Era stile-Ma era anche finanziamento pubblico e sfruttamento sociale, acquisizioni di industrie e terreni a valore simbolico, per non dire poi del ricatto sindacale-g.m.s.)
pos.da g.m.s. dal sito web http://umsoi.org/2009/08/28/gli-agnelli-una-dinastia-al-tramonto/

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