Mauro Rostagno (Torino, 6 marzo 1942 – Lenzi di Valderice, 26 settembre 1988) è stato un sociologo e giornalista italiano. È stato uno dei fondatori del movimento politico Lotta Continua. Di umili origini piemontesi, muore a 46 anni in Sicilia, vittima di un agguato mafioso.[1]
Indice[nascondi]
1 Biografia
1.1 Le prime esperienze
1.2 Le contestazioni del '68
1.3 Da Lotta Continua a Macondo
1.4 Dagli "arancioni" alla Comunità Saman
1.5 Dal giornalismo di denuncia alla morte
1.5.1 Le ipotesi sull'omicidio
1.5.2 Il perché dell'ipotesi Calabresi
2 Note
3 Bibliografia
4 Filmografia
5 Voci correlate
6 Collegamenti esterni
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Biografia [modifica]
Le prime esperienze [modifica]
Figlio di genitori piemontesi, entrambi dipendenti Fiat. Cresciuto a Torino, in una casa popolare nella zona di corso Dante, nel 1960, a diciott'anni, si sposa con una ragazza poco più giovane di lui, dalla quale ha una bambina. Per tale motivo non riuscì subito a conseguire la ormai prossima maturità scientifica.
Dopo pochi mesi lascia la moglie e la prima figlia e si allontana dall'Italia. Si reca prima in Germania, poi in Inghilterra, dove si adatta a svolgere i mestieri più umili. Tornato in Italia, si stabilisce a Milano dove, presa la licenza liceale con il proposito di fare il giornalista, resta coinvolto in un clamoroso gesto di protesta, rischiando di essere investito da un tram mentre sotto il consolato spagnolo si contesta per la morte di un ragazzo ucciso in Spagna dal regime franchista. Questo gesto servirà a fargli capire che la militanza politica sarà attività fondamentale nella sua vita.[2]
Emigra nuovamente, questa volta in Francia, e si stabilisce a Parigi. L'esperienza transalpina, tuttavia, dura poco. Nel corso di una manifestazione giovanile, infatti, viene fermato dalla Polizia e successivamente espulso dalla Francia.
Le contestazioni del '68 [modifica]
A Trento si iscrive alla neonata facoltà di Sociologia, divenendo ben presto uno dei leader di punta del movimento degli studenti attivi a Trento. Insieme ad altri studenti quali Marco Boato, Renato Curcio, Mara Cagol, Marianella Pirzio Biroli, dal 1966 anima il movimento degli studenti dell' Università di Trento, e che culminerà nel 1968 con una pesante stagione di contestazioni. Da un lato si verificherà una esperienza irripetibile nel panorama accademico italiano, determinando una clamorosa rottura dei vecchi schemi didattici, d'altro lato condurrà molti dei suoi protagonisti all'estremismo di sinistra ed alla drammatica esperienza della lotta armata.
A confrontarsi con gli studenti del Movimento sono professori come Francesco Alberoni, Giorgio Galli, Beniamino Andreatta. Non mancano i momenti di tensione, le occupazioni della Facoltà, gli scontri con i missini e le Forze dell'ordine. La fase più creativa della contestazione lascia dunque ben presto il posto a momenti molto aspri.
Mauro, Marxista libertario, fu tra i fondatori del movimento Lotta Continua insieme ad Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Giorgio Pietrostefani, Paolo Brogi, Enrico Deaglio nel 1969.
Nel 1970 Rostagno si laurea in sociologia con una tesi di gruppo su Rapporto tra partiti, sindacati e movimenti di massa in Germania, con una provocatoria discussione nonostante la quale consegue il massimo dei voti e la lode.
Da Lotta Continua a Macondo [modifica]
Dopo l'arresto di Marco Boato in seguito ad alcuni scontri con la polizia (successivamente verrà assolto con formula piena), Rostagno intensifica la propria attività di leader politico di estrema sinistra.
Si trasferisce a Palermo tra il 1972 e il 1975, dove gli viene conferito l'incarico di assistente nella cattedra di sociologia dell' Università di Palermo. In quegli anni si occupa di diffondere il movimento politico di Lotta Continua essendone il responsabile regionale.
Dopo lo scioglimento di Lotta Continua, alla fine del 1976, da lui fortemente voluto, ritorna a Milano ed è fra i fondatori del locale Macondo, un centro culturale che divenne punto di riferimento per l'estrema sinistra alternativa, fino a quando non venne chiuso dalla polizia nel febbraio 1978, per le attività legate a spaccio di sostanze stupefacenti.
Dagli "arancioni" alla Comunità Saman [modifica]
Dopo la chiusura del centro culturale Macondo sceglierà di recarsi in India insieme alla compagna Elisabetta Roveri, che è per tutti Chicca cioè una dolcissima ragazza milanese conosciuta nel 1970 all' università di Milano, ed alla loro figlia: Maddalena.
A Poona si unisce agli "arancioni di Bhagwan Shree Rajneesh (Osho)", prendendo nel 1979, dal suo Maestro il nome di Swami Anand Sanatano.
Nel 1981 fonda vicino a Trapani la “comunità Saman”, insieme a Francesco Cardella ed Elisabetta Chicca Roveri. All'inizio si tratta di una comune arancione, Centro di Meditazione di Osho, e successivamente diviene comunità terapeutica che si occupa tra l'altro del recupero di persone tossicodipendenti.
Durante questo periodo si avvicina al leader socialista Bettino Craxi, che sostiene le attività di “Saman” e degli amici di Rostagno e Cardella.
Dal giornalismo di denuncia alla morte [modifica]
Dalla metà degli anni '80 lavora come giornalista e conduttore anche per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC), dove in seguito si avvale della collaborazione anche di alcuni ragazzi della Saman. Attraverso la TV denuncia le collusioni tra mafia e politica locale.
Il 26 settembre 1988 paga la sua passione sociale e il suo coraggio con la vita: viene infatti assassinato per mano mafiosa, una sera, in un agguato in contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dalla sede della Saman, all'interno della sua auto, una Fiat Duna DS bianca. Rostagno muore così all'età di 46 anni. Il delitto resterà impunito fino al maggio 2009, quando Vincenzo Virga, boss di secondo piano del trapanese, sarà destinatario di un ordinanza cautelare in carcere, con l'accusa di esserne il mandante.
Bettino Craxi e Claudio Martelli, quest'ultimo presente al funerale di Rostagno, indicarono subito la responsabilità della mafia nell'omicidio, ma nel 1996 la procura di Trapani reagì all'indicazione della pista mafiosa, accusando i due esponenti socialisti di voler depistare le indagini.
Le ipotesi sull'omicidio [modifica]
Il delitto mafioso fu la pista percorsa immediatamente dagli inquirenti (carabinieri e polizia) e dal magistrato Franco Messina. Sembrò suffragata dal ritrovamento, otto mesi dopo, del cadavere di un tecnico dell’Enel, Vincenzo Mastrantoni: costui era l’autista del boss mafioso Vincenzo Virga. Mastrantoni aveva tolto l'energia elettrica nella zona, la notte del delitto. Dopo anni, però, non essendoci stati riscontri attendibili, Messina ed il suo successore all'inchiesta, Massimo Palmeri, abbandonarono la pista mafiosa.
Fu percorsa una nuova strada e formulata una nuova ipotesi connessa al delitto del commissario Luigi Calabresi (vedi più avanti il paragrafo "Il perché dell'ipotesi Calabresi"). Anche in questo caso non si raccolsero prove certe.
La procura di Trapani, nel 1996, ipotizzò ancora che il delitto potesse essere maturato all'interno di Saman, per traffico di stupefacenti nella comunità, suscitando forti polemiche. Inviò mandati di cattura ad alcuni ospiti della comunità, individuati come esecutori materiali del delitto, a Cardella come mandante (che si rifugiò in Nicaragua) e alla Roveri, compagna di Rostagno, accusata di favoreggiamento. Anche questa pista fu poi abbandonata.
Francesco Cardella, in seguito, fu indicato come trafficante di armi. Una inquietante teoria, che vedrebbe la morte di Rostagno legata alla scoperta di un traffico d'armi con la Somalia, attraverso due ex dragamine della marina svedese acquistati dal Cardella per la Saman come sede "marina" della comunità, ma che spesso furono visti a Malta e, sembra, nel corno d'Africa. A Pizzolungo, a pochi chilometri da Trapani, nel 1985, tre anni prima della morte di Rostagno, il giudice Carlo Palermo, da pochi mesi in quella procura, dopo essere stato trasferito da Trento, dove indagava su un traffico d'armi, sfuggì a un attentato dinamitardo dove morirono una donna e i suoi due gemellini. Una pista che porta anche alla guerriglia Somala, ad Ilaria Alpi e all'agente del SISMI (i Servizi segreti militari italiani), il maresciallo Vincenzo Li Causi. Quest'ultimo operò in quegli anni per l'organizzazione Gladio a Trapani. Nel 1991 il Sismi lo aveva poi inviato ripetutamente in Somalia dove il 12 novembre 1993 morì in un agguato compiuto da banditi, come successe anche alla Alpi il 20 marzo 1994. In sintesi, l'ipotesi suggerisce che Rostagno avesse scoperto un traffico di armi in cui fosse coinvolto Cardella ed i Servizi deviati e volesse farne pubblica denuncia. Non furono mai trovate prove e si tornò nel 1998 ad indagare su Cosa nostra siciliana, ma non più al Palazzo di Giustizia trapanese, bensì alla DDA della Procura antimafia di Palermo, che iscrisse nel registro degli indagati l'allora latitante Vincenzo Virga.
Nel gennaio 2007 il giudice Antonio Ingroia ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta inerente alla pista mafiosa.
A fine 2007, appena trascorso il diciannovesimo anniversario dalla sua uccisione, uno spiraglio di luce iniziò a riflettere sull'oscurità dell'omicidio, infatti, varie associazioni promossero una raccolta di firme da inviare al Presidente della Repubblica per chiedere la riapertura delle indagini. Sono state raccolte 10.000 firme.
Il delitto è rimasto impunito fino al maggio 2009, quando a Vincenzo Virga, boss di primo piano del trapanese, è stato inviato un mandato di custodia cautelare in carcere, con l'accusa di esserne il mandante.
Il perché dell'ipotesi Calabresi [modifica]
Gli ultimi mesi di Rostagno: all'inizio del 1988 era andato a Trento per il ventennale della "rivoluzione studentesca del '68" e si era incontrato con alcuni ex compagni di militanza. Poi aveva ricevuto una comunicazione giudiziaria a suo carico. Il pentito "politico" Leonardo Marino, che si era allora autoaccusato dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, aveva tirato in ballo i dirigenti di Lotta Continua come mandanti dell’assassinio. Lotta Continua, nata da Potere Operaio nel 1969, fu costituita da un gruppo dirigente omogeneo fino al novembre del 1976, quando fu sciolta. I principali esponenti furono Rostagno, Adriano Sofri, Luigi Bobbio, Guido Viale, Marco Boato e poi Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. La guerra tra Lotta Continua ed il commissario Luigi Calabresi era cominciata con la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (detto "Pino"), precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario la notte del 15 dicembre del 1969. La versione ufficiale fu "suicidio", ma Lotta Continua indicò come assassino Calabresi.
Ci fu un processo, intentato da Calabresi contro Lotta Continua, che non ebbe vincitori (la condanna a Lotta Continua per diffamazione arriverà solo dopo la morte del commissario, nell'ambito di un nuovo processo[3]). Lotta Continua si schierò apertamente contro la lotta armata, ma agli occhi della sinistra extraparlamentare Calabresi incarnava l'assassino protetto dal Sistema che non solo rimaneva impunito ma, anzi, faceva carriera. Movente perfetto per l'omicidio del commissario, poi avvenuto nel maggio del 1972.
Comunque, quell'estate del 1988, poco prima di essere ucciso, Rostagno ricevette un avviso di comparizione davanti ai giudici che indagavano sulla morte del commissario. Come reazione, si arrabbiò molto. Corse in redazione e dalla sua televisione trasmise un editoriale in cui, tirandosi fuori da ogni responsabilità, promise che avrebbe raccontato ai telespettatori del suo telegiornale, per filo e per segno, i termini dell'interrogatorio non appena il giudice lo avesse sentito.Commentò con amici e colleghi, con rabbia, più volte: "Marino è uno che nell'organizzazione non ha mai contato un ca..o. Ci perseguitano. È manovrato. Gli fanno dire quello che vogliono". "Anche i Servizi continuano a perseguitarmi". Poi la frase chiave che avrebbe portato i magistrati a valutare l’ipotesi Calabresi: "Mi hanno rotto i cogl...i! Non vedo l’ora di andare a raccontare un bel po’ di cosette".
Note [modifica]
^ fonte: Mauro Rostagno: prove tecniche per un mondo migliore
^ fonte: Mauro Rostagno: prove tecniche per un mondo migliore.
^ Articolo di Enrico Deaglio su Cuore, 5 luglio 1992: "Nel 1975 venne fatto un nuovo processo che si concluse con la condanna di Lotta Continua colpevole di aver diffamato il commissario Calabresi."
Bibliografia [modifica]
Mauro Rostagno, Macondo, con Claudio Castellacci, SugarCo, 1978.
Mauro Rostagno, Parole contro la mafia, a cura di Salvatore Mugno, Ravenna, C.V.U.R., 1992.
Sergio Di Cori, Delitto Rostagno Un teste Accusa, Re Nudo Edizioni & Macro Edizioni, Siena, 1997.
Attilio Bolzoni, Giuseppe D'Avanzo, Rostagno: un delitto tra amici, Milano, Mondadori, 1997.
Salvatore Mugno, Mauro Rostagno story. Un'esistenza policroma, Massari, Viterbo, 1998.
Salvatore Mugno, Mauro è vivo. L'omicidio Rostagno dieci anni dopo, un delitto impunito, Trapani, Coppola, 1998 (nuova ed. aggiornata, 2004).
Aldo Ricci, Il Tonto, Germano Edizioni, 2001
Carlo Lucarelli, Trapani, coppole e colletti bianchi in Storie di bande criminali, di mafie e di persone oneste, 1a ed. Einaudi, 2008. pp. 332-395 ISBN 978-88-06-19502-1
Antonella Mascali, Lotta civile.Contro le mafie e l'illegalità, Chiarelettere, 2009.
Nico Blunda, Marco Rizzo, Giuseppe Lo Bocchiaro, Mauro Rostagno: Prove tecniche per un mondo migliore, Becco Giallo, 2010.
Filmografia [modifica]
Documentario su Mauro Rostagno: "Una voce nel vento" regia di A.Castiglione, 2005
Vita e morte di Mauro Rostagno, Luci ed ombre di Gianni Lo Scalzo
Macondo a Milano 1977-78, di M.Sordillo, 2004,
Le due città, il '68 a Trento, di L. Pevarello, 2008.
Voci correlate [modifica]
Vittime di Cosa Nostra
Lotta Continua
Sessantotto
Collegamenti esterni [modifica]
Dedicato a Mauro Rostagno, di Francesco Genovese
Associazione Ciao Mauro
Associazione Saman
Centro studi Impastato
Quella notte che uccisero Mauro Rostagno
Alpi, Li Causi, Rostagno: intrecci sospetti, da Famiglia Cristiana n. 21/2000
Delitto Rostagno Un Teste Accusa. di Sergio Di Cori
Ricordare Rostagno. di Andrea Valcarenghi
Re Nudo
Portale Biografie
Portale Giornalismo
Portale Sociologia
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Rostagno"
Categorie: Sociologi italiani Giornalisti italiani del XX secolo
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1 Biografia
1.1 Le prime esperienze
1.2 Le contestazioni del '68
1.3 Da Lotta Continua a Macondo
1.4 Dagli "arancioni" alla Comunità Saman
1.5 Dal giornalismo di denuncia alla morte
1.5.1 Le ipotesi sull'omicidio
1.5.2 Il perché dell'ipotesi Calabresi
2 Note
3 Bibliografia
4 Filmografia
5 Voci correlate
6 Collegamenti esterni
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Biografia [modifica]
Le prime esperienze [modifica]
Figlio di genitori piemontesi, entrambi dipendenti Fiat. Cresciuto a Torino, in una casa popolare nella zona di corso Dante, nel 1960, a diciott'anni, si sposa con una ragazza poco più giovane di lui, dalla quale ha una bambina. Per tale motivo non riuscì subito a conseguire la ormai prossima maturità scientifica.
Dopo pochi mesi lascia la moglie e la prima figlia e si allontana dall'Italia. Si reca prima in Germania, poi in Inghilterra, dove si adatta a svolgere i mestieri più umili. Tornato in Italia, si stabilisce a Milano dove, presa la licenza liceale con il proposito di fare il giornalista, resta coinvolto in un clamoroso gesto di protesta, rischiando di essere investito da un tram mentre sotto il consolato spagnolo si contesta per la morte di un ragazzo ucciso in Spagna dal regime franchista. Questo gesto servirà a fargli capire che la militanza politica sarà attività fondamentale nella sua vita.[2]
Emigra nuovamente, questa volta in Francia, e si stabilisce a Parigi. L'esperienza transalpina, tuttavia, dura poco. Nel corso di una manifestazione giovanile, infatti, viene fermato dalla Polizia e successivamente espulso dalla Francia.
Le contestazioni del '68 [modifica]
A Trento si iscrive alla neonata facoltà di Sociologia, divenendo ben presto uno dei leader di punta del movimento degli studenti attivi a Trento. Insieme ad altri studenti quali Marco Boato, Renato Curcio, Mara Cagol, Marianella Pirzio Biroli, dal 1966 anima il movimento degli studenti dell' Università di Trento, e che culminerà nel 1968 con una pesante stagione di contestazioni. Da un lato si verificherà una esperienza irripetibile nel panorama accademico italiano, determinando una clamorosa rottura dei vecchi schemi didattici, d'altro lato condurrà molti dei suoi protagonisti all'estremismo di sinistra ed alla drammatica esperienza della lotta armata.
A confrontarsi con gli studenti del Movimento sono professori come Francesco Alberoni, Giorgio Galli, Beniamino Andreatta. Non mancano i momenti di tensione, le occupazioni della Facoltà, gli scontri con i missini e le Forze dell'ordine. La fase più creativa della contestazione lascia dunque ben presto il posto a momenti molto aspri.
Mauro, Marxista libertario, fu tra i fondatori del movimento Lotta Continua insieme ad Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Giorgio Pietrostefani, Paolo Brogi, Enrico Deaglio nel 1969.
Nel 1970 Rostagno si laurea in sociologia con una tesi di gruppo su Rapporto tra partiti, sindacati e movimenti di massa in Germania, con una provocatoria discussione nonostante la quale consegue il massimo dei voti e la lode.
Da Lotta Continua a Macondo [modifica]
Dopo l'arresto di Marco Boato in seguito ad alcuni scontri con la polizia (successivamente verrà assolto con formula piena), Rostagno intensifica la propria attività di leader politico di estrema sinistra.
Si trasferisce a Palermo tra il 1972 e il 1975, dove gli viene conferito l'incarico di assistente nella cattedra di sociologia dell' Università di Palermo. In quegli anni si occupa di diffondere il movimento politico di Lotta Continua essendone il responsabile regionale.
Dopo lo scioglimento di Lotta Continua, alla fine del 1976, da lui fortemente voluto, ritorna a Milano ed è fra i fondatori del locale Macondo, un centro culturale che divenne punto di riferimento per l'estrema sinistra alternativa, fino a quando non venne chiuso dalla polizia nel febbraio 1978, per le attività legate a spaccio di sostanze stupefacenti.
Dagli "arancioni" alla Comunità Saman [modifica]
Dopo la chiusura del centro culturale Macondo sceglierà di recarsi in India insieme alla compagna Elisabetta Roveri, che è per tutti Chicca cioè una dolcissima ragazza milanese conosciuta nel 1970 all' università di Milano, ed alla loro figlia: Maddalena.
A Poona si unisce agli "arancioni di Bhagwan Shree Rajneesh (Osho)", prendendo nel 1979, dal suo Maestro il nome di Swami Anand Sanatano.
Nel 1981 fonda vicino a Trapani la “comunità Saman”, insieme a Francesco Cardella ed Elisabetta Chicca Roveri. All'inizio si tratta di una comune arancione, Centro di Meditazione di Osho, e successivamente diviene comunità terapeutica che si occupa tra l'altro del recupero di persone tossicodipendenti.
Durante questo periodo si avvicina al leader socialista Bettino Craxi, che sostiene le attività di “Saman” e degli amici di Rostagno e Cardella.
Dal giornalismo di denuncia alla morte [modifica]
Dalla metà degli anni '80 lavora come giornalista e conduttore anche per l'emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC), dove in seguito si avvale della collaborazione anche di alcuni ragazzi della Saman. Attraverso la TV denuncia le collusioni tra mafia e politica locale.
Il 26 settembre 1988 paga la sua passione sociale e il suo coraggio con la vita: viene infatti assassinato per mano mafiosa, una sera, in un agguato in contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dalla sede della Saman, all'interno della sua auto, una Fiat Duna DS bianca. Rostagno muore così all'età di 46 anni. Il delitto resterà impunito fino al maggio 2009, quando Vincenzo Virga, boss di secondo piano del trapanese, sarà destinatario di un ordinanza cautelare in carcere, con l'accusa di esserne il mandante.
Bettino Craxi e Claudio Martelli, quest'ultimo presente al funerale di Rostagno, indicarono subito la responsabilità della mafia nell'omicidio, ma nel 1996 la procura di Trapani reagì all'indicazione della pista mafiosa, accusando i due esponenti socialisti di voler depistare le indagini.
Le ipotesi sull'omicidio [modifica]
Il delitto mafioso fu la pista percorsa immediatamente dagli inquirenti (carabinieri e polizia) e dal magistrato Franco Messina. Sembrò suffragata dal ritrovamento, otto mesi dopo, del cadavere di un tecnico dell’Enel, Vincenzo Mastrantoni: costui era l’autista del boss mafioso Vincenzo Virga. Mastrantoni aveva tolto l'energia elettrica nella zona, la notte del delitto. Dopo anni, però, non essendoci stati riscontri attendibili, Messina ed il suo successore all'inchiesta, Massimo Palmeri, abbandonarono la pista mafiosa.
Fu percorsa una nuova strada e formulata una nuova ipotesi connessa al delitto del commissario Luigi Calabresi (vedi più avanti il paragrafo "Il perché dell'ipotesi Calabresi"). Anche in questo caso non si raccolsero prove certe.
La procura di Trapani, nel 1996, ipotizzò ancora che il delitto potesse essere maturato all'interno di Saman, per traffico di stupefacenti nella comunità, suscitando forti polemiche. Inviò mandati di cattura ad alcuni ospiti della comunità, individuati come esecutori materiali del delitto, a Cardella come mandante (che si rifugiò in Nicaragua) e alla Roveri, compagna di Rostagno, accusata di favoreggiamento. Anche questa pista fu poi abbandonata.
Francesco Cardella, in seguito, fu indicato come trafficante di armi. Una inquietante teoria, che vedrebbe la morte di Rostagno legata alla scoperta di un traffico d'armi con la Somalia, attraverso due ex dragamine della marina svedese acquistati dal Cardella per la Saman come sede "marina" della comunità, ma che spesso furono visti a Malta e, sembra, nel corno d'Africa. A Pizzolungo, a pochi chilometri da Trapani, nel 1985, tre anni prima della morte di Rostagno, il giudice Carlo Palermo, da pochi mesi in quella procura, dopo essere stato trasferito da Trento, dove indagava su un traffico d'armi, sfuggì a un attentato dinamitardo dove morirono una donna e i suoi due gemellini. Una pista che porta anche alla guerriglia Somala, ad Ilaria Alpi e all'agente del SISMI (i Servizi segreti militari italiani), il maresciallo Vincenzo Li Causi. Quest'ultimo operò in quegli anni per l'organizzazione Gladio a Trapani. Nel 1991 il Sismi lo aveva poi inviato ripetutamente in Somalia dove il 12 novembre 1993 morì in un agguato compiuto da banditi, come successe anche alla Alpi il 20 marzo 1994. In sintesi, l'ipotesi suggerisce che Rostagno avesse scoperto un traffico di armi in cui fosse coinvolto Cardella ed i Servizi deviati e volesse farne pubblica denuncia. Non furono mai trovate prove e si tornò nel 1998 ad indagare su Cosa nostra siciliana, ma non più al Palazzo di Giustizia trapanese, bensì alla DDA della Procura antimafia di Palermo, che iscrisse nel registro degli indagati l'allora latitante Vincenzo Virga.
Nel gennaio 2007 il giudice Antonio Ingroia ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta inerente alla pista mafiosa.
A fine 2007, appena trascorso il diciannovesimo anniversario dalla sua uccisione, uno spiraglio di luce iniziò a riflettere sull'oscurità dell'omicidio, infatti, varie associazioni promossero una raccolta di firme da inviare al Presidente della Repubblica per chiedere la riapertura delle indagini. Sono state raccolte 10.000 firme.
Il delitto è rimasto impunito fino al maggio 2009, quando a Vincenzo Virga, boss di primo piano del trapanese, è stato inviato un mandato di custodia cautelare in carcere, con l'accusa di esserne il mandante.
Il perché dell'ipotesi Calabresi [modifica]
Gli ultimi mesi di Rostagno: all'inizio del 1988 era andato a Trento per il ventennale della "rivoluzione studentesca del '68" e si era incontrato con alcuni ex compagni di militanza. Poi aveva ricevuto una comunicazione giudiziaria a suo carico. Il pentito "politico" Leonardo Marino, che si era allora autoaccusato dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, aveva tirato in ballo i dirigenti di Lotta Continua come mandanti dell’assassinio. Lotta Continua, nata da Potere Operaio nel 1969, fu costituita da un gruppo dirigente omogeneo fino al novembre del 1976, quando fu sciolta. I principali esponenti furono Rostagno, Adriano Sofri, Luigi Bobbio, Guido Viale, Marco Boato e poi Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. La guerra tra Lotta Continua ed il commissario Luigi Calabresi era cominciata con la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (detto "Pino"), precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario la notte del 15 dicembre del 1969. La versione ufficiale fu "suicidio", ma Lotta Continua indicò come assassino Calabresi.
Ci fu un processo, intentato da Calabresi contro Lotta Continua, che non ebbe vincitori (la condanna a Lotta Continua per diffamazione arriverà solo dopo la morte del commissario, nell'ambito di un nuovo processo[3]). Lotta Continua si schierò apertamente contro la lotta armata, ma agli occhi della sinistra extraparlamentare Calabresi incarnava l'assassino protetto dal Sistema che non solo rimaneva impunito ma, anzi, faceva carriera. Movente perfetto per l'omicidio del commissario, poi avvenuto nel maggio del 1972.
Comunque, quell'estate del 1988, poco prima di essere ucciso, Rostagno ricevette un avviso di comparizione davanti ai giudici che indagavano sulla morte del commissario. Come reazione, si arrabbiò molto. Corse in redazione e dalla sua televisione trasmise un editoriale in cui, tirandosi fuori da ogni responsabilità, promise che avrebbe raccontato ai telespettatori del suo telegiornale, per filo e per segno, i termini dell'interrogatorio non appena il giudice lo avesse sentito.Commentò con amici e colleghi, con rabbia, più volte: "Marino è uno che nell'organizzazione non ha mai contato un ca..o. Ci perseguitano. È manovrato. Gli fanno dire quello che vogliono". "Anche i Servizi continuano a perseguitarmi". Poi la frase chiave che avrebbe portato i magistrati a valutare l’ipotesi Calabresi: "Mi hanno rotto i cogl...i! Non vedo l’ora di andare a raccontare un bel po’ di cosette".
Note [modifica]
^ fonte: Mauro Rostagno: prove tecniche per un mondo migliore
^ fonte: Mauro Rostagno: prove tecniche per un mondo migliore.
^ Articolo di Enrico Deaglio su Cuore, 5 luglio 1992: "Nel 1975 venne fatto un nuovo processo che si concluse con la condanna di Lotta Continua colpevole di aver diffamato il commissario Calabresi."
Bibliografia [modifica]
Mauro Rostagno, Macondo, con Claudio Castellacci, SugarCo, 1978.
Mauro Rostagno, Parole contro la mafia, a cura di Salvatore Mugno, Ravenna, C.V.U.R., 1992.
Sergio Di Cori, Delitto Rostagno Un teste Accusa, Re Nudo Edizioni & Macro Edizioni, Siena, 1997.
Attilio Bolzoni, Giuseppe D'Avanzo, Rostagno: un delitto tra amici, Milano, Mondadori, 1997.
Salvatore Mugno, Mauro Rostagno story. Un'esistenza policroma, Massari, Viterbo, 1998.
Salvatore Mugno, Mauro è vivo. L'omicidio Rostagno dieci anni dopo, un delitto impunito, Trapani, Coppola, 1998 (nuova ed. aggiornata, 2004).
Aldo Ricci, Il Tonto, Germano Edizioni, 2001
Carlo Lucarelli, Trapani, coppole e colletti bianchi in Storie di bande criminali, di mafie e di persone oneste, 1a ed. Einaudi, 2008. pp. 332-395 ISBN 978-88-06-19502-1
Antonella Mascali, Lotta civile.Contro le mafie e l'illegalità, Chiarelettere, 2009.
Nico Blunda, Marco Rizzo, Giuseppe Lo Bocchiaro, Mauro Rostagno: Prove tecniche per un mondo migliore, Becco Giallo, 2010.
Filmografia [modifica]
Documentario su Mauro Rostagno: "Una voce nel vento" regia di A.Castiglione, 2005
Vita e morte di Mauro Rostagno, Luci ed ombre di Gianni Lo Scalzo
Macondo a Milano 1977-78, di M.Sordillo, 2004,
Le due città, il '68 a Trento, di L. Pevarello, 2008.
Voci correlate [modifica]
Vittime di Cosa Nostra
Lotta Continua
Sessantotto
Collegamenti esterni [modifica]
Dedicato a Mauro Rostagno, di Francesco Genovese
Associazione Ciao Mauro
Associazione Saman
Centro studi Impastato
Quella notte che uccisero Mauro Rostagno
Alpi, Li Causi, Rostagno: intrecci sospetti, da Famiglia Cristiana n. 21/2000
Delitto Rostagno Un Teste Accusa. di Sergio Di Cori
Ricordare Rostagno. di Andrea Valcarenghi
Re Nudo
Portale Biografie
Portale Giornalismo
Portale Sociologia
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Rostagno"
Categorie: Sociologi italiani Giornalisti italiani del XX secolo
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