Pietro Berti

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Non nobis Domine, non nobis, sed Nomini Tuo da gloriam

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Anchorage

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mercoledì 12 gennaio 2011

Le dimissioni di Giovanni Leone





La storia del sesto presidente della Repubblica Italiana, Giovanni Leone. Il 15 giugno 1978, le sue clamorose dimissioni dalla piu’ alta carica dello Stato chiudono in modo traumatico la carriera di uno dei padri della Costituzione, tre volte Presidente della Camera, due volte Presidente del Consiglio, giurista di fama mondiale e penalista tra i piu’ apprezzati d’Italia. Un’indagine per capire i retroscena di quelle ingiuste dimissioni, attraverso la testimonianza esclusiva della moglie di Giovanni Leone, Vittoria Michitto Leone, e attraverso le Memorie inedite del Presidente della Repubblica. Da Presidente della Repubblica Leone è stato sottoposto a diverse accuse: come quella di prendere tangenti, di abuso edilizio o di frode fiscale. Tutte insinuazioni poi rivelatesi infondate, ma che durante gli ultimi mesi del suo mandato hanno fatto sì che si creasse contro di lui una campagna d'informazione spietata. Le ultime parole pubbliche del Presidente Leone, prima di lasciare il Quirinale, sono state: “La mia scelta non poteva essere che questa. Voi cittadini italiani avete avuto come Presidente della Repubblica un uomo onesto.”A combatterlo allora sfurono giornalisti (su tutti, Camilla Cederna) e politici, con i radicali in prima fila, cui si aggiunsero i comunisti. Che si prepararono a chiedere le dimissioni del capo dello Stato, ma quasi controvoglia. «La direzione era molto perplessa», racconta a La storia siamo noi Emanuele Macaluso. In seguito sia la giustizia che la storia hanno dato ragione all'ex Presidente. Qui ne fuoriesce il ritratto di una persona straordinaria, ricca di sentimenti e di humor, privo di odio verso le prossimo; un padre affettuoso, un uomo legatissimo alla moglie e un attento studioso. La sua vita politica Giurista eccellente e penalista, a soli 38 anni, nel 1946, viene eletto nelle liste della DC all'Assemblea Costituente: è l'inizio della sua carriera. Come membro della cosiddetta Commissione dei 75, ha l'importante funzione di scrivere i primi articoli della Costituzione. Il 10 maggio 1955 Leone diviene Presidente della Camera, secondo Francesco Cossiga.“ il più grande Presidente della Camera della Repubblica italiana”. Nel giugno del '68 è Presidente del Consiglio. Ma quasi più importante per lui rimane l'insegnamento e la sua carriera di giurista. Il suo Corso di Procedura Penale è stato studiato da decine di generazioni. Viene nominato senatore a vita dal Presidente Saragat il 27 agosto 1967. Un anno dopo, dal giugno al novembre 1968 guida il suo secondo governo. Continua la carriera universitaria come ordinario di diritto processuale; è autore di numerosi studi e svolge un'intensa attività forense fino al 21 dicembre del 1971, quando Leone si presenta all'appuntamento più importante della sua carriera politica: il Parlamento deve eleggere il Presidente della Repubblica. Dopo molte fumate nere, la DC si riunisce per proporre un nuovo candidato: la scelta è tra Aldo Moro e Giovanni Leone. Leone viene eletto ma con il voto determinante del Movimento Sociale. Già nel 1962 i voti dell'MSI avevano definito l'elezione del Presidente Segni. I primi anni del settennato di Leone sono un successo. Ad amarlo non è solo la gente comune. Giornalisti e politici di fama internazionale sembrano mostrare un'affettuosa simpatia nei confronti del Presidente partenopeo. Sull'Europeo Oriana Fallaci scrive: “Ora mi chiedevo perché mi piacesse. […] l'assenza di ogni presunzione.” Sono però anni difficili: gli anni della crisi economica, delle stragi, del terrorismo. Il 14 ottobre 1975 il Presidente Leone invia un messaggio importante alle camere di cui riportiamo qui un frammento (il testo completo nella voce “materiali”) : “Se la crisi che attraversiamo non sarà superata per volontà comune, non vi saranno vincitori, ma solo sconfitti perchè nessuna forza politica che si sia sottratta ad un impegno costruttivo, può pensare di poter dare assetto domani, con i mezzi che il sistema democratico consente, ad una società disarticolata e sconvolta.” La presidenza Leone, infatti, coincide con la crisi petrolifera, con l'austherity, con il referendum sul divorzio ma anche con l'escalation del terrorismo. Il 16 marzo del 1978 le brigate rosse rapiscono Aldo Moro, amico e collega di partito di Giovanni Leone. Per il Presidente della Repubblica è un colpo durissimo da sopportare, soprattutto di fronte alla presa di posizione, al muro della linea della fermezza da parte delle forze politiche. Giovanni Leone si rivelerà un battitore: dal Quirinale farà tutto il possibile per contribuire alla salvezza di Aldo Moro riferendo alla sua famiglia di essere pronto a firmare qualsiasi trattativa, qualsiasi grazia per la liberazione del suo amico democristiano. «Ho già la penna in mano», spiega Leone a Eleonora Moro, che gli aveva chiesto un intervento in extremis. «La telefonata- racconta Leone nelle sue memorie- mi dava l' opportunità di un intervento diretto. Io ero nel mio studio e c' era con me Cossiga. Gli dissi che stavo per telefonare a Zaccagnini. Cossiga mi bloccò la cornetta, dicendomi che tutto era registrato e che bisognava valutare bene il peso della mia telefonata».Ma gli eventi andarono diversamente. Le dimissioni del 15 giugno 1978 Nelle memorie riservate di Leone si legge: «Politicamente le mie dimissioni furono volute dal Pci e accettate, o subite, dalla Dc, che mi lasciò solo, mi abbandonò». Un esempio di quella solitudine affiora dalle annotazioni sui giorni più difficili, quando il capo dello Stato già in bilico chiede aiuto al segretario del partito, che gli nega perfino il diritto di difendersi cestinando una sua intervista all' Ansa. Leone continua: «Sono convinto che Zaccagnini agì in quell' occasione in maniera ostile e che alla base del suo atteggiamento, oltre alla malcelata ostilità politica di sempre, ci fu anche il risentimento per il forte contrasto che avevamo avuto nella conduzione di tutta la vicenda Moro» Quel 15 giugno Leone “uscì dal quirinale con la pioggia battente e nessuno andò a salutarlo”, racconta Francesco Cossiga. Secondo la moglie Vittoria quella fu “la pagina più brutta della storia italiana”. Le accuseAl Presidente veniva addebitata la sostanziale familiarità con i fratelli Lefevbre, rappresentanti italiani della Lockheed. Lo scandalo Lockheed- come venne chiamato- fu il primo grande scandalo nazionale. Finì in galera il ministro socialdemocratico Mario Tanassi e fu costretto alle dimissioni il suo collega dc Luigi Gui. L’accusa era di aver incassato mazzette dagli americani perché l'Italia acquistasse i grandi aerei da trasporto di truppa Hercules, i famosi C-130. Il sospetto era fondato su un appunto degli ufficiali pagatori venuti dall'America per foraggiare, tra gli altri, un misteriosissimo uomo politico nascosto sotto il nomignolo di Antelope Cobbler. Traduzione: ciabattino di antilopi, che, in realtà, non significava nulla. La parola cobbler venne scambiata con gobbler: in questo senso la frase si trovò ad assumere un altro significato: sbranatore di antilopi, cioè un leone. Le copertine dei più importanti giornali nazionali iniziarono infatti a rappresentarlo a metà tra uomo ed un animale. La campagna stampa fu spietata – alimentata dal settimanale Op di Mino Pecorelli - che coinvolse anche i familiari del Presidente.Arrivarono anche voci su presunte irregolarità fiscali e immobiliari. A soffiare sul fuoco furono i radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino e un libro di Camilla Cederna Giovanni Leone - Carriera di un presidente. Il libro venne accusato di diffamazione, sequestrato, tolto dalla circolazione. Venne querelata la Cederna e il direttore dell'Espresso Livio Zanetti. Il processo si rivelerà però un boomerang che culminerà con plateali manifestazioni dei Radicali davanti al Quirinale, invocando le dimissioni del Presidente. Anche il segretario del Pci Enrico Berlinguer fece sapere al segretario della Dc Benigno Zaccagnini che per il bene comune e delle istituzioni, era necessario che Piazza del Gesù agisse immediatamente per spingere Leone alle dimissioni. Quella mattina del 15 giugno del '78 Leone chiamò la Rai per il commiato e lasciò il Quirinale. Negli anni, la giustizia gli darà ragione. Tutte le accuse contro la sua persona saranno messe a tacere. Il Presidente verrà “riabilitato”- come scrissero i giornali- molti anni dopo con una cerimonia solenne al Senato per i suoi 90 anni.
testo estratto dal sito http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=596 ove è possibile vedere la puntata dedicata al Presidente Leone
Le memorie inedite a 100 anni dalla nascita
Giovanni Leone e il «complotto» «Il Pci volle le mie dimissioni Ma fu la Dc ad abbandonarmi»

«Onorevoli colleghi, non mi fate dubitare della vostra saviezza... la Democrazia Cristiana non si lascerà processare nelle piazze». Era l' 8 marzo 1977 quando Aldo Moro pronunciò in Parlamento, con toni tra il liquoroso e il minaccioso, questa difesa del proprio partito, stretto nella morsa dello scandalo Lockheed. Un anno dopo sarebbe stato rapito e processato dalle Br, e condannato poi a morte. Destino che, qualche settimana più tardi, sarebbe toccato a un altro eccellente della Dc chiamato in causa per lo stesso affaire, il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Il quale sarebbe stato anch' egli processato (nella piazza mediatica e al chiuso delle segreterie di partito, anzitutto il suo) e condannato politicamente a morte. Costretto cioè a dimettersi e a sparire dalla scena. E' un intreccio di cronologie e misteri quello che lega le sorti di Moro e Leone. E se sulla fine del primo si pretende che ogni interrogativo abbia avuto risposta - sul piano processuale - sulla parabola del secondo certi dubbi sono rimasti a lungo irrisolti. La verità è affiorata poco per volta in tempi recenti. Una verità a pezzi che è giusto rimettere insieme almeno in parte alla vigilia del centenario della nascita, che cade domani, e dei trent' anni dalla cacciata dal Quirinale. Mentre il Senato sta per onorarlo solennemente (il 12 novembre, presenti Napolitano, Schifani e Fini), La storia siamo noi gli dedica una puntata (in onda mercoledì alle 23.30 su Rai Due), nella quale affiorano stralci delle memorie inedite dell' ex capo dello Stato, incrociati con le testimonianze di alcuni protagonisti di quella stagione: da Andreotti a Cossiga e Macaluso. Le domande attorno alle quali ruota quest' ambiguo capitolo della storia repubblicana restano le stesse di sempre. Perché Leone entrò nel mirino? Erano fondate i sospetti contro di lui? Ci fu un complotto per farne il capro espiatorio di un sistema in crisi, mettendo nel tritacarne addirittura la sua famiglia? E se fu così, chi guidò la cospirazione e diede la spallata definitiva? Dopo che le accuse (corruzione, abusivismo edilizio, frode fiscale) caddero in fretta, una replica senza appelli alla questione di fondo la offre ora Cossiga, per il quale egli fu «dopo Moro, la più grande vittima della Dc». Una lettura confermata dalle stesse memorie riservate di Leone: «Politicamente le mie dimissioni furono volute dal Pci e accettate, o subite, dalla Dc, che mi lasciò solo, mi abbandonò». Un esempio di quella solitudine affiora dagli annotazioni sui giorni più difficili, quando il capo dello Stato già in bilico chiese aiuto al segretario del partito, che gli negò perfino il diritto di difendersi cestinando una sua intervista all' Ansa e suggerendo in tal modo che Leone era sacrificabile: «Sono convinto che Zaccagnini agì in quell' occasione in maniera ostile e che alla base del suo atteggiamento, oltre alla malcelata ostilità politica di sempre, ci fu anche il risentimento per il forte contrasto che avevamo avuto nella conduzione di tutta la vicenda Moro». Ecco: il caso Moro si conferma lo snodo di una partita dura e spregiudicata. Nella quale i vertici dello scudo crociato sono bloccati sulla linea della fermezza nel confronto con i terroristi, mentre il Quirinale «era pronto a firmare la grazia per la brigatista Besuschio o anche per altri», nella convinzione che quella mossa evitasse la morte dell' ostaggio. «Ho già la penna in mano», spiegò Leone a Eleonora Moro, che gli aveva chiesto un intervento in extremis. «La telefonata mi dava l' opportunità di un intervento diretto. Io ero nel mio studio e c' era con me Cossiga. Gli dissi che stavo per telefonare a Zaccagnini. Cossiga mi bloccò la cornetta, dicendomi che tutto era registrato e che bisognava valutare bene il peso della mia telefonata». C' era il rischio che il Quirinale fosse criticato per «interferenze», fu l' ammonimento di Cossiga. Senza contare che la Besuschio aveva mandati di cattura per vari reati e poteva dunque restare in carcere anche se parzialmente graziata, chiosò Andreotti, ciò che alle Br «sarebbe sembrata una provocazione». Due obiezioni tra le tante. Che comunque non fermarono il pressing del Colle sulla Dc, anche se era ormai troppo tardi per Moro. Poche settimane e, nel Paese ancora sotto shock, la campagna contro Leone divenne martellante. A combatterla furono giornalisti (su tutti, Camilla Cederna) e politici, con i radicali in prima fila, cui si aggiunsero i comunisti. Che si prepararono a chiedere le dimissioni del capo dello Stato, ma quasi controvoglia. «La direzione era molto perplessa», racconta a La storia siamo noi Emanuele Macaluso. «Ho avuto dei dubbi anch' io, poi però la logica del Pci era unitaria... Il passo fu fatto d' accordo con Andreotti e la segreteria della Dc. Non si pensi che il partito comunista da solo potesse fare questo passo, che era una cosa eccezionalissima». Inghiottito in un gorgo di intrighi nel quale compare perfino l' ombra di Gelli e senza che per lui valesse mai il minimo garantismo, Leone si arrese. Ma non senza lasciare scritto, a futura memoria: «Spero che chi non mi ha conosciuto possa cominciare a riconsiderare chi è stato veramente, dal 1971 al ' 78, il presidente della Repubblica». Marzio Breda
dal sito web http://archiviostorico.corriere.it/2008/novembre/02/Giovanni_Leone_complotto_Pci_volle_co_9_081102044.shtml
Opinioni su di lui nel 2001
Muore uno dei protagonisti della Prima Repubblica Leone, presidente notaio Dallo scandalo Lockheed alla riabilitazione morale e politica

Con Giovanni Leone scompare una delle figure più controverse della storia repubblicana. Antifascista, dc tutto d'un pezzo, presidente della Camera, del Consiglio e infine della Repubblica venne travolto dallo scandalo Lockheed e fu costretto alle dimissioni. Vent'anni dopo la piena riabilitazione morale e politica. La vita e la carriera di un emblema di cinquant'anni di potere democristiano.

Un politico di un'altra era Giovanni Leone è un classico esponente della "Prima Repubblica". Nel senso che, pur essendo un giurista affermato, ha sempre rivendicato con orgoglio la sua passione per la politica. Uno stile assai diverso da quello della "Seconda Repubblica", in cui sembra prevalere un atteggiamento più distaccato da parte di molti professionisti o intellettuali "prestati alla politica". Leone era sia un professionista che un intellettuale. Ma anche un politico, non uno "prestato alla politica".Il Presidente dimissionario Gli italiani lo ricordano soprattutto per le dimissioni rassegnate il 15 giugno 1978 sull'onda dello scandalo Lockheed. Un addio amaro, ma pieno di orgoglio. In tv dichiara: "In sei anni e mezzo avete avuto un uomo onesto!". Oggi in molti rivalutano la sua politica.Il giudizio degli storiciSecondo lo storico Arturo Carlo Jemolo la presidenza Leone fu assolutamente ineccepibile da un punto di vista politico e giuridico. Si limitò ad un ruolo notarile, senza uscite clamorose. L'unica decisione "politica" è lo scioglimento anticipato delle camere nel 1972, il primo nella storia della Repubblica. La difficoltà dei partiti a costituire un governo stabile era un dato accertato, ma in molti gli rimproverano ancora oggi di aver sciolto il Parlamento perché la Democrazia cristiana cercava di rimandare il referendum sul divorzio, che si terrà, infatti, solo nel 1974. Perché Leone viene scelto nel 1971Una scelta faticosa. Leone viene eletto solo al ventitreesimo scrutinio, con i voti determinanti di parte del Movimento sociale. Sette anni prima Leone era stato sconfitto dal socialdemocratico Giuseppe Saragat, sostenuto dalle sinistre. Leone fallisce il primo appuntamento con il Quirinale a causa delle divisioni all'interno della Dc. Tra lui è il Colle più alto ci sono cento "franchi tiratori" democristiani che non lo votano.La Malfa “king maker”Il vero "king maker" di Leone presidente fu, però, Ugo La Malfa che vedeva nel giurista partenopeo un candidato ideale perché non riconducibile a nessuna corrente democristiana. La Malfa (dopo aver affossato il candidato delle sinistre Nenni e strenuo oppositore di una candidatura Moro), antico antifascista, finiva per essere così il maggior sponsor elettorale di un presidente eletto coi voti determinate dei neofascisti. I comunisti non esitarono minimamente a rinfacciarglielo: anzi il solito irruento Giancarlo Pajetta (che nelle carceri fasciste e nella guerra partigiana aveva trascorso la gioventù) aggredì il leader repubblicano gettandogli addosso, in segno di disprezzo, un sacchetto di monetine da 10 lire.Il suo settennatoLa Presidenza Leone inizia nel 1971 e termina nel 1978 con sei mesi di anticipo sulla scadenza naturale del mandato a seguito delle dimissioni richieste e ottenute da parte del Pci (entrato nell'area di maggioranza dopo le elezioni del 1976 per fronteggiare la crisi economica e l'emergenza rappresentata dal terrorismo) a seguito degli scandali e del nepotismo che da più parti si imputava agli ambienti del Quirinale e dei suoi inquilini. Uno dei sostenitori delle dimissioni anticipate di Leone fu il suo stesso grande elettore Ugo La Malfa che aspirava al Colle. A spingerlo, quegli ambienti laici progressisti favorevoli ad una partecipazione dei comunisti al governo dell'Italia, guidati da Eugenio Scalfari e dal suo nuovo quotidiano la Repubblica. Venne invece eletto presidente della Repubblica il socialista Sandro Pertini che da lì a poco dette a La Malfa l’incarico di formare il governo. Ma il leader repubblicano venne “bruciato” da uno scalpitante Bettino Craxi.Lo scandalo LockheedE’ il primo grande scandalo nazionale. Finisce in galera il ministro socialdemocratico Mario Tanassi ed è costretto alle dimissioni il suo collega dc Luigi Gui. L’accusa è di aver incassato mazzette dagli americani perché l'Italia acquistasse i grandi aerei da trasporto di truppa "Hercules", i famosi C-130.Le “colpe” di LeoneAl Presidente viene addebitata la sostanziale familiarità con i fratelli Lefevbre, rappresentanti italiani della Lockheed: possibile che Leone non sapesse dei loro traffici? Il sospetto è fondato su un appunto degli ufficiali pagatori venuti dall'America per foraggiare, tra gli altri, un misteriosissimo uomo politico nascosto sotto il nomignolo di "Antelope Cobbler". Traduzione: "ciabattino di antilopi", che non significa niente. Ma significa tante cose se, nell'appunto, c'è un errore, se invece di "cobbler" la parola inglese giusta è "gobbler". Allora la frase avrebbe un altro senso: "sbranatore di antilopi", cioè proprio un leone. E il Leone sul Colle, comincia a vacillare. Parte una campagna stampa furente – alimentata dal settimanale Op di Mino Pecorelli - che coinvolge anche i familiari del Presidente. Arrivano voci su presunte irregolarità fiscali e immobiliari. A soffiare sul fuoco sono i radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino e un libro di Camilla Cederna Giovanni Leone - Carriera di un presidente. Il libro è accusato di diffamazione, sequestrato, condannato al rogo, tolto dalla circolazione. Viene querelata la Cederna e il direttore dell'Espresso Livio Zanetti. Il processo si rivela però un boomerang. Causa una feroce campagna di stampa che culmina con plateali manifestazioni dei Radicali davanti al Quirinale, che invocano le dimissioni del Presidente. Anche il segretario del Pci Enrico Berlinguer fa sapere al segretario della Dc Benigno Zaccagnini che per il bene comune, per il bene delle istituzioni, è necessario e urgente che Piazza del Gesù agisca immediatamente per spingere Leone alle dimissioni. E la “Balena bianca” lo molla. Soltanto Giulio Andreotti è contrario, ma è messo in minoranza. Leone fa chiamare la Rai-tv per il commiato e se ne va in punta di piedi. Non saranno mai provati in alcun Tribunale i sospetti sulla sua persona. E il Presidente verrà “riabilitato” molti anni dopo con una cerimonia solenne al Senato per i suoi 90 anni.E se ci fosse stato Moro...E pensare che un anno prima, il 3 marzo 1977, Aldo Moro era intervenuto alla Camera proprio sullo scandalo Lockheed (che aveva già squassato il sistema di potere centrista) difendendo accanitamente Luigi Gui: "Non ci lasceremo processare né intimidire", erano state le sue celebri parole. Ma quando è Leone sott’accusa, Moro è stato ammazzato, e la situazione politica ormai precipitata.Lo stile eccentricoMa contro Leone ha pesato il suo stesso "stile" personale, il suo modo tutto partenopeo d'atteggiarsi in pubblico, magari "facendo le corna" a un avversario, o cantando a squarciagola, spalancando le braccia, ’O sole mio in mezzo a un migliaio d'emigrati, nel Circolo italiano in Calle Florida a Buenos Aires, in una sua visita ufficiale in Argentina.Oggi – vista la propensione allo spettacolo di molti esponenti delle istituzioni – sarebbero motivo di popolarità e segno di vicinanza con la gente. Nell’Italia grigia e ancora bigotta degli anni Settanta, furono una colpa.Nasce nella borghesia partenopeaGiovanni Leone nasce a Napoli il 3 novembre del 1908 da un'antica famiglia della borghesia partenopea da sempre famosa negli ambienti forensi. Anche il giovane Giovanni decide di continuare "l'attività di famiglia" e intraprende la carriera nel mondo dell'avvocatura divenendo uno dei più stimati e vincenti "principi del foro" dei tribunali italiani, soprattutto nel centro e nel sud d'Italia. Milita clandestinamente nel movimento cattolico antifascista e nel referendum istituzionale monarchia o repubblica del 1946 si schiera, come la maggior parte dei suoi concittadini, a favore della continuazione del regno dei Savoia. Il padre è uno dei fondatori della Democrazia Cristiana a Napoli e, anche in questo caso, il figlio ne segue le orme candidandosi. La costituente del ‘46Viene eletto alla Costituente nelle liste del partito bianco. E’ uno dei rappresentanti dell'ala più conservatrice della Dc. Membro della commissione dei Settantacinque, si occupa di Giustizia e magistratura. Storici gli scontri con la costituente comunista Nilde Jotti. Leone era per il mantenimento di tutte le norme di ostracismo verso la carriera femminile in magistratura e avvocatura allora in vigore. La Jotti si batteva per un regime di pari opportunità per ambo i sessi anche nel mondo forense. Lo scontro con le sinistre e con le parti più avanzate del suo stesso partito furono duri, anche se tutti gli avversari gli riconobbero una correttezza encomiabile.Presidente a MontecitorioNel 1948 viene eletto deputato per la Democrazia Cristiana a Napoli e verrà riconfermato a Montecitorio per tutte le successive legislature fino alle elezioni del 1963. Nel 1955 il Presidente della Camera in carica Giovanni Gronchi viene eletto alla Presidenza della Repubblica e, il 10 maggio, Giovanni Leone gli subentra alla presidenza di Montecitorio dove rimarrà fino al 1963. I governi “balneari”Il Presidente della Repubblica Antonio Segni ricorre a Leone per la formazione di un governo monocolore democristiano (l'ennesimo, ma non l'ultimo) di transizione che permetta il trascorrere di alcuni mesi. Passano alla storia come “governi balneari” e Leone ne guidò più d’uno. Resta a Palazzo Chigi fino al dicembre del 1963 quando lascerà il posto a Aldo Moro e al suo primo governo di centro-sinistra organico con Pietro Nenni alla vicepresidenza del Consiglio dei Ministri.La proposta di TogliattiLeone è un uomo fedele al suo partito e alle istituzioni. Lo dimostra un episodio avvenuto nel 1962. Si deve eleggere il successore di Gronchi e nel penultimo scrutinio il candidato ufficiale dei partiti centristi (Dc, Pri, Pli e Psdi su cui convergevano in maniera determinate monarchici e missini) era il dc Antonio Segni, gradito e voluto dal segretario democristiano Aldo Moro. In tale scrutinio furono ritrovate schede in sovrannumero rispetto al numero dei votanti e si andò ad un nuovo voto. Il leader comunista Palmiro Togliatti (che temeva una Presidenza Segni nata con i voti determinanti della destra monarchica e missina) chiede di essere ricevuto da Leone e gli promette l'appoggio di comunisti e (forse) socialisti qualora si fosse rinviato al giorno successivo le votazioni, invece di farle immediatamente in notturna come volevano Moro e i capi dc per paura di ulteriori defezioni nelle file moderate. A Leone il Quirinale non dispiaceva, ma temendo di essere accusato di utilizzare la carica ricoperta per avvantaggiare la propria carriera rifiutò la proposta di Togliatti. La Dc e Moro ne furono molto soddisfatti e riuscirono a far eleggere Segni. Sconfitto da SaragatNel 1964 sembra arrivare il suo turno. Il presidente Segni si dimette in anticipo. Leone è il candidato ufficiale della Dc per la successione, ma sconta le lotte intestine alla Dc. Al Colle aspira Amintore Fanfani, ma i veti incrociati fanno sì che al Quirinale risulti eletto, con i voti delle sinistre unite dal Pci al Pri, dal Psi al Psdi, il socialdemocratico Giuseppe Saragat. E proprio Saragat nel 1968 ricorre alle doti di mediatore di Leone, da pochi mesi senatore a vita, per un nuovo governo di transizione. L’ascesa al ColleLeone ce la fa nel ’71, bruciando le aspirazioni di Fanfani e Moro. Al primo risulta fatale una campagna stampa del quotidiano Il Manifesto, al secondo le “aperture” a sinistra. La Dc, infatti, temeva anche a livello nazionale quelle emorragie di voti moderati a favore del Msi di Giorgio Almirante che c’erano state in molte consultazioni elettorali amministrative nel centro-sud e in Sicilia in particolare. Così la spunta l’avvocato partenopeo. Dopo 23 scrutini viene eletto con una maggioranza di centro-destra e con la minore percentuale di voti mai ottenuta da un candidato fino ad ora: 518 voti su 996 elettori. I voti provengono dalla Dc, dal Pri, dal Pli e, in maniera determinante, dal Msi di Almirante che afferma di aver avuto "una richiesta" (mai specificata, ma riconducibile a molti probabili richiedenti) di appoggio a favore di Leone. Durante il suo settennato ci saranno alcuni degli episodi più drammatici della Repubblica, dall’ascesa delle Br (culminata con l’uccisione di Moro) allo scandalo del finanziamento occulto ai partiti, dai traffici di Sindona all’avvolgimento delle istituzioni con le trame della P2. Una delle colpe politiche che gli sono state mosse, è quella di aver sostanzialmente ignorato queste emergenze, riservandosi un ruolo troppo notarile, in contrasto con quello che sarà lo stile dei suoi successori, in primis il vulcanico Pertini.Il dopo settennatoAbbandonata la Presidenza della Repubblica torna al Senato come senatore a vita. In polemica con il suo partito non si iscrive al gruppo democristiano, ma a quello Misto. Solo nel 1987, Leone torna a dare la propria adesione al gruppo senatoriale della Dc. Nel 1994 aderisce al neonato Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli e Rosa Russo Jervolino. Dopo le elezioni del ’94 e la vittoria delle destre di Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Gianfranco Fini dà il voto al nuovo governo Berlusconi. Abbandona il gruppo del Ppi per tornare in quello misto. Dopo le elezioni del 1996 vota la fiducia al governo di centro-sinistra dell'Ulivo di Romano Prodi. Novant’anni al SenatoForse il giorno più felice dopo quel terribile 15 giugno ‘78, Leone l’ha vissuto vent’anni dopo, il 3 novembre 1998. Al Senato si celebrano i suoi 90 anni. Non è soltanto un compleanno: è una riabilitazione morale e politica. A battergli le mani, tutto l’establishment italiano di allora: il presidente Oscar Luigi Scalfaro, il presidente del Senato Nicola Mancino, il senatore a vita Giulio Andreotti, il ministro dell'Interno Rosa Russo Jervolino, il ministro del Lavoro Antonio Bassolino, Giorgio Napolitano, Gianni Letta, Maria Pia Fanfani e il vicepresidente del Csm Giovanni Verde. L’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema manda un affettuoso telegramma e Marco Pannella ed Emma Bonino recitano il mea culpa con un articolo sul Corriere della sera nel quale chiedono scusa a Giovanni Leone per eventuali “eccessi” nella loro battaglia che 20 anni fa, nel 1978, costrinse il presidente alle dimissioni. Nella lettera aperta, riconoscono a Leone di essere stato “ineccepibile nei confronti della Costituzione e delle istituzioni”.Stretto intorno alla moglie Vittoria e ai tre figli Mauro, Paolo e Giancarlo, Leone si è commosso: “Tutto questo dimostra che non è sempre necessario dover aspettare la conclusione di una vita per restituire dignità a chi ha sempre operato con correttezza”.Ancora protagonistaA marzo del 2001, un malore fa temere per la sua salute, ma Leone riesce ancora a farcela e ad essere protagonista della scena politica: seppur convalescente partecipa in giugno alle consultazioni con il presidente Carlo Azeglio Ciampi per il varo del nuovo governo Berlusconi. Il 3 novembre 2001 aveva compiuto 93 anni e gli erano arrivati i messaggi d'auguri delle massime istituzioni. Muore sei giorni dopo, il 9 novembre 2001.

Grandinotizie.it/ 09/novembre/2001 dal sito web http://grandinotizie.com/daz/1085.htm
L'ex capo dello Stato aveva appena compiuto 93 anniDopo le dimissioni dal Quirinale si ritirò dalla vita politicaMorto Giovanni Leoneil presidente del caso MoroLa camera ardente è stata allestita al Senato mentre i funerali si svolgeranno lunedì prossimo
ROMA - Giovanni Leone è morto questa mattina nella sua casa romana. L'ex presidente della Repubblica aveva compiuto 93 anni sabato scorso. La camera ardente sarà allestita a Palazzo Madama a partire dalle 16.30 e rimarrà aperta fino alle 20 di oggi e nelle giornate di sabato e domenica dalle 9 alle 20. I familiari dell'ex presidente hanno preferito ricevere in casa, la villa alle Rughe, solo i parenti più stretti. I funerali si terranno lunedì 12 novembre alla Chiesa Nuova in Corso Vittorio Emanuele. Una delle prime telefonate di cordoglio alla vedova, Vittoria Michitto, è arrivata dal capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi e da sua moglie Franca. Giovanni Leone è stata una figura emblematica della storia della Repubblica: costituente, deputato e senatore, giurista di fama, presidente della Repubblica. La sua ascesa e la sua eclissi fanno parte di un periodo storico in cui la Dc era padrona assoluta della scena politica e sembrava destinata ad esercitare il suo potere ancora per lunghissimo tempo.Leone era nato a Napoli il 3 novembre del 1908, suo padre, Mauro, era avvocato e aveva partecipato alla fondazione del Partito popolare in Campania. Dopo la maturità classica, dove risultò primo su 300 candidati, riscattandosi così dagli insuccessi scolastici collezionati al ginnasio, Leone si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e, dopo la laurea, cominciò a lavorare a fianco di altri due futuri grandi protagonisti della vita nazionale. Entrò infatti nello studio di Enrico De Nicola, dove ebbe come collega Francesco De Martino. A 23 anni era già assistente universitario, a 32 ebbe l'incarico a Bari, dove tra i suoi assistenti c'era Aldo Moro.Dopo la caduta del fascismo fu tra i fondatori della Dc napoletana (fu il primo segretario cittadino) e cominciò a muovere i primi passi in politica. Bruciò tutte le tappe: nel '46, l'anno in cui sposò Vittoria Michitto, fu eletto alla Costituente dove si occupò della parte della Costituzione relativa al Csm. Alle elezioni del '48 fu eletto alla Camera, di cui nel '50 fu eletto vicepresidente. Nel '55 fu scelto dalla Dc e dai partiti di centro come presidente della Camera, incarico che mantenne fino al '63. La sua carriera politica continuava a svolgersi al di fuori delle correnti della Dc, anche se poteva collocarsi tra i moderati del partito. A Leone furono affidati due governi "balneari", come si chiamavano allora: esecutivi di breve durata (uno del '63, l'altro nel '68) che servivano a far calare le tensioni politiche e a preparare il terreno a governi più solidi.Già nel '64 Leone si era trovato a un passo dal Quirinale; dopo una lotta all'ultimo sangue nella Dc, il suo nome era stato preferito a quello di Amintore Fanfani come candidato da contrapporre a Giuseppe Saragat, appoggiato dalla sinistra. Ma a Leone mancarono circa 100 voti di "franchi tiratori" dc e decise di ritirarsi, consentendo così la vittoria di Saragat (che poi lo nominò nel '67 senatore a vita). Sette anni dopo riuscì a conquistare il Colle: dopo due settimane di votazioni andate a vuoto (candidato della Dc era Fanfani), il vertice dello Scudocrociato lo indicò come nuovo candidato e fu eletto di misura la mattina della vigilia di Natale, grazie anche all'aiuto di alcuni missini.Il settennato di Leone al Quirinale non fu certo pirotecnico come quelli dei suoi successori: Leone fu l'ultimo capo dello Stato a vivere fuori dalla luce dei riflettori. Dopo di lui arrivò Sandro Pertini e cominciò l'era delle esternazioni. Ciò non toglie che Leone abbia esercitato il suo ruolo politico: egli stesso rivelò il 19 marzo 1998 che il giorno prima dell'uccisione di Moro aveva deciso di concedere la grazia alla brigatista Paola Besuschio, nella speranza che servisse per salvare la vita del leader democristiano prigioniero delle BR. Era il maggio del 1978; ma da lì a poco più di un mese la situazione precipitò e lo portò alle dimissioni, sull'onda dello scandalo Lockheed. Le dimissioni furono date il 15 giugno, subito dopo che il Pci aveva deciso di chiedere l'impeachment. Leone era oggetto da due anni di una campagna di stampa, portata avanti soprattutto dall'Espresso e dai giornalisti Camilla Cederna e Gianluigi Melega, che contestavano al capo dello Stato di aver tratto benefici economici dallo scandalo Lockheed, che allora riempiva le prime pagine dei giornali. C'era il nome in codice "Antelope Cobbler", che si diceva indicasse proprio il presidente della Repubblica, c'erano i rapporti della famiglia con Antonio Lefebvre. Leone scelse una linea prudente, evitando di reagire pubblicamente; si aspettava forse il sostegno pieno della Dc, che però non ci fu e, quindi, preferì dimettersi.Leone, ritiratosi nella sua villa a Formello, vicino Roma, ha passato il resto della sua vita lontano dalla politica. Al Senato si iscrisse al gruppo Misto e non a quello della Dc, probabilmente in polemica con il partito per avergli dato un appoggio troppi tiepido nel momento delle sue dimissioni. Ma, alla fine, ha avuto almeno la soddisfazione di ricevere, nel novembre 1998, le scuse di Marco Pannella ed Emma Bonino, all'epoca del caso Lockheed in prima fila nella polemica. "Tutto ciò - commentò Leone - dimostra che non è sempre necessario dover aspettare la conclusione di una vita per restituire dignità a chi ha sempre operato con correttezza".(9 novembre 2001) dal sito web http://www.repubblica.it/online/politica/leone/leone/leone.html

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