Silvia Baraldini (Roma, 12 dicembre 1947) è una attivista italiana.
Ha operato negli anni sessanta, settanta e ottanta negli Stati Uniti. Componente di un partito rivoluzionario (Black Panther Party) che combatteva per i diritti civili dei neri, fu condannata nel 1983 a una pena cumulativa di 43 anni di carcere negli Stati Uniti per concorso in evasione, associazione sovversiva, due tentate rapine e ingiuria al tribunale. Dopo la condanna si sono sviluppati negli Stati Uniti e in Italia gruppi di appoggio che la ritenevano sproporzionata e persecutoria.
Il forte sostegno alla sua causa da parte dei partiti di sinistra ha portato alla estradizione in Italia nel 1999. Secondo alcuni tale concessione è stata una contropartita ottenuta dal governo D'Alema per l'appoggio alla guerra degli USA in Kosovo. Dopo alcuni anni di arresti domiciliari Silvia Baraldini è stata scarcerata il 26 settembre 2006 per effetto dell'indulto.
Indice[nascondi]
1 Elementi giovanili
2 Attività politica
3 L'arresto
4 Il processo
4.1 I capi d'accusa
4.2 La condanna
5 Il carcere
5.1 Le tappe
5.2 La malattia
5.3 Il movimento di sostegno
5.4 Ritorno in Italia
6 Voci correlate
7 Bibliografia
8 Collegamenti esterni
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Elementi giovanili [modifica]
Nata in Italia, Silvia si trasferì nel 1961 (a quattordici anni) negli Stati Uniti per seguire il padre, inizialmente dipendente della Olivetti a New York e successivamente funzionario della ambasciata italiana a Washington.
Negli Stati Uniti frequentò una scuola superiore, dove, all'ultimo anno, iniziò a occuparsi di politica, entrando a far parte di un gruppo studentesco a favore dei diritti politici dei neri. Si iscrisse alla fine degli anni sessanta all'Università statale del Wisconsin, una delle più impegnate degli Stati Uniti dal punto di vista politico.
Attività politica [modifica]
Silvia Baraldini iniziò la sua attività politica sull'onda del movimento sessantottino, protestando e manifestando per tutti gli obiettivi che si prefiggeva quella generazione, quindi per i diritti civili dei neri statunitensi, contro la guerra del Vietnam e per i diritti delle donne. In seguito la sua attività si focalizzò contro l'apartheid e il nuovo colonialismo in Africa.
Con il progredire degli anni la sua attività si rivolse a favore dei movimenti politici radicali statunitensi. Prima di tutto mise in luce il programma illegale COINTELPRO dell'FBI che spiava e infastidiva gli oppositori politici interni. In seguito diventò un'assidua sostenitrice del Black Liberation Army (BLA). La Baraldini, infatti, dal 1975 apparteneva all'organizzazione comunista "19 maggio", un'organizzazione legalmente riconosciuta dal governo statunitense, che fiancheggiava appunto il movimento BLA. L'attività della Baraldini nel BLA era molto forte; divenne membro del Committee to Free the Panther 21 e sostenne assiduamente le ragioni di Mumia Abu-Jamal, un giornalista afroamericano condannato a morte in Pennsylvania.
Il 2 novembre 1979 un commando di cui faceva parte aveva realizzato l'evasione di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard, "l'anima" del Black Liberation Army (BLA), che stava scontando una condanna all'ergastolo per omicidio di un agente di polizia stradale. Il commando di cui faceva parte la Baraldini si introdusse nella prigione, liberò la Shakur, prese in ostaggio una donna poliziotto e un autista di un furgone e fuggì. Il commando liberò i due ostaggi sequestrati successivamente.
L'arresto [modifica]
Silvia Baraldini venne per la prima volta arrestata il 9 novembre 1982 per associazione sovversiva, legata al suo attivismo politico comunista e di appoggio ai movimenti afro-americani di liberazione. Scarcerata sotto cauzione, venne arrestata nuovamente cinque mesi dopo, il 25 maggio 1983. L'arresto era indirettamente legato ad una rapina messa a segno dalla formazione comunista cui era organica.
Il colpo, conosciuto come la "Brink's Robbery", avvenne il 20 ottobre 1981 a danno di un furgone blindato della Brink's Bank di Nyack, Long Island. I rapinatori uccisero una guardia giurata autista del furgone blindato e due poliziotti della polizia di Nyack (l'Ufficiale di Polizia Waverly Brown e il Sergente Edward O’Grady). Altre due guardie furono ferite. La rapina rese 900.000 dollari. I partecipanti alle azioni si denominavano “May 19th Communist Organization”, Weatherpersons, Weather Underground, Black Liberation Army (BLA). Alla rapina parteciparono Mutulu Shakur, fratello di Assata Shakur, Kuwasi Balagoon, David Gilbert, Samuel Brown, Judith Alice Clark, e Kathy Boudin; quest'ultima fu rilasciata sulla parola nel 2003.
Il processo [modifica]
I capi d'accusa [modifica]
Silvia Baraldini fu processata con i seguenti capi di accusa:
Il 2 novembre 1979 aveva concorso con altri all'evasione di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard, "l'anima" del Black Liberation Army (BLA), che stava scontando una condanna all'ergastolo per omicidio di un agente di polizia stradale;
Fu accusata di essere un'ideologa sia del movimento "19 maggio" e di altri movimenti afro-americani di liberazione tra cui "La famiglia" che forniva appoggio logistico;
Fu accusata di aver preso parte ai preparativi di rapina, mai portata a termine, di un furgone blindato a Danbury nel Connecticut;
Fu accusata di aver preso parte 19 maggio 1981 ai preparativi di rapina, mai portata a termine, di un furgone blindato alla Chemical Bank di Nanuet, a New York;
Ingiuria al tribunale (nel diritto USA Contempt of Court), per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento "19 maggio".
La condanna [modifica]
Il processo si concluse con una sentenza del luglio 1983 che può essere riassunta in questi punti:
20 anni per concorso in evasione, appunto di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard;
20 anni per associazione sovversiva, con applicazione della legge Rico, originariamente usata per casi di criminalità mafiosa e organizzata, per la quale venivano pagati dalla persona le accuse contestate al gruppo di appartenenza, (cosiddetta associazione a delinquere), e per i due preparativi di rapina;
3 anni per ingiuria al tribunale (nel diritto USA Contempt of Court), per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento "19 maggio".
Al primo arresto del 9 novembre 1982 l'FBI aveva offerto una forte somma di denaro alla Baraldini per denunciare i compagni e l'offerta le fu rinnovata in carcere con una contropartita che corrispondeva alla sua liberazione. Il rifiuto di collaborare non fece altro che inasprire la pena qualificando la Baraldini come detenuta pericolosa. Venne quindi trasferita nel durissimo carcere di Lexington e le condizioni detentive divennero più aspre.
Il principale testimone a carico fu il pentito Tyrone Rison. Il principale coimputato fu Sekou Odinga.
Il carcere [modifica]
Le tappe [modifica]
La Baraldini venne prima rinchiusa nel carcere di New York, poi in quello di Pleasanton in California e poi, a Lexington, dove fu sottoposta al carcere duro con isolamento, censure nella posta e limitazioni nelle visite, sorveglianza continua anche nei momenti più intimi.
Il regime carcerario venne ridotto e l'unità di sicurezza di Lexington chiusa dopo la lotta della Baraldini e di altre carcerate sostenuta anche da Amnesty International.
La malattia [modifica]
La Baraldini ha visto peggiorare le sue condizioni carcerarie anche a causa di un peggioramento del suo stato di salute. Nel 1988, dopo aver avvertito forti dolori addominali, le era stato diagnosticato un tumore maligno. L'amministrazione penitenziaria non si dimostrò molto attenta alle esigenze della carcerata e tendeva ad ostacolare e limitare le cure di cui la Baraldini aveva bisogno.
Dopo alcuni interventi chirurgici nel 1990, la Baraldini venne trasferita nel carcere di massima sicurezza di Marianna in Florida. Si è voluto vedere in questo gesto un tentativo dell'amministrazione statunitense di isolare ancora di più la Baraldini dal movimento d'opinione a favore che si stava formando in quegli anni, infatti il carcere si trova in una località isolata.
L'ultimo trasferimento fu a Danbury, nel Connecticut.
I gruppi a sostegno della Baraldini esagerarono la gravità della malattia arrivando ad affermare che, sul finire degli anni novanta, fosse in fase terminale.[senza fonte] Ciò al fine di ottenere l'estradizione in Italia per motivi umanitari.
Il movimento di sostegno [modifica]
In Italia il movimento di sostegno si intensificò soprattutto dopo la malattia della Baraldini. I vari episodi locali confluirono nel "Coordinamento Nazionale Silvia Baraldini" e vi aderirono diverse personalità di spicco come Dario Fo, Franca Rame, Antonio Tabucchi, Umberto Eco mentre Francesco Guccini le dedicò nel 1993 la "Canzone per Silvia" nell'album "Parnassius Guccinii".
Il movimento si batteva per far rimpatriare la Baraldini ritenendo l'accusa statunitense fittizia e comunque esagerata rispetto alle reali colpe. Uno dei punti focali della lotta era la richiesta dell'applicazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per il trasferimento dei condannati. Il problema era che tale accordo non obbliga i paesi interessati né fissa dei tempi da rispettare.
Nel 1992 l'accordo e l'estradizione sembravano vicini ma la Baraldini ricevette dalla magistratura americana lo status di pericolosità altissima e tutto sfumò.
Ritorno in Italia [modifica]
Silvia Baraldini nel 2008
I tentativi di rimpatrio ebbero infine successo nel 1999, quando, il 24 agosto Silvia Baraldini è stata rimpatriata per scontare in Italia il resto della sua pena, grazie all'impegno dell'allora ministro della giustizia Oliviero Diliberto che andò ad accoglierla all'aeroporto accompagnando anche la madre di lei con l'auto blu. Ad accoglierla c'era anche Armando Cossutta che le portò rose rosse. Questa accoglienza assunse così un significato politico e scatenò una bufera di polemiche in parlamento.
Il rimpatrio ha avuto diverse polemiche anche per l'accordo diplomatico tra l'Italia e gli USA. Si è parlato degli eccessivi costi legati al viaggio di rimpatrio, richiesti dalle autorità statunitensi per ragioni di sicurezza, e si sono fatte congetture su un possibile scambio tra il rimpatrio e la strage del Cermis. Comunque un caposaldo è che il Ministro della Giustizia americano aveva chiesto garanzie affinché non si procedesse alla liberazione o a uno sconto della pena come la libertà vigilata. Infatti l'Italia ha dovuto associare al rimpatrio una sentenza della Corte d'Appello per recepire quella americana. In pratica la Baraldini non è stata giudicata in Italia per i reati commessi negli Stati Uniti, ma è stata estradata con il vincolo di dover scontare in Italia la pena irrogatale negli Stati Uniti.
Su queste garanzie si è sviluppata la polemica da parte di chi ritiene che questo vincolo costituisca una riduzione della sovranità nazionale italiana. Tuttavia è raro che un Paese abbia giurisdizione per i reati commessi da suoi cittadini in un altro paese in cui siano residenti. È un principio giurisprudenziale assai discusso e importante tenuto conto dell'elevato numero di emigranti italiani all'estero e stranieri in Italia.
Dall'aprile 2001, alla Baraldini vennero concessi gli arresti domiciliari, a causa delle sue condizioni di salute; dopo il suo rimpatrio, ha scelto il silenzio e non ha più rilasciato interviste ai media.
Nel 2003 la Baraldini ottiene, non senza polemiche, una collaborazione con il Comune di Roma per occuparsi di un progetto di ricerca sull'occupazione femminile.
Per effetto dell'indulto, Silvia Baraldini è stata infine scarcerata il 26 settembre 2006.
Nel 1998 ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Cazzago San Martino "quale ulteriore Atto istituzionale al solo fine di raggiungere in tempi brevi una soluzione dignitosa per la sua vita" attraverso l'applicazione dei diritti civili sanciti nella Convenzione di Strasburgo. Negli stessi anni riceveva analogo riconoscimento dal comune di Mola di Bari e di Castagneto Carducci. Nel 2007, dopo la scarcerazione, ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Venaria (TO).
Attualmente vive a Roma.
Voci correlate [modifica]
Assata Shakur
AK47
Bibliografia [modifica]
E.Mancinelli, Il caso Baraldini, Datanews, 1995, ISBN 8879810596
G.Bugani, Liberate Silvia (DVD + Libro), Bacchilega Editore, 2005, ISBN 888877525
Collegamenti esterni [modifica]
(EN) Accordo tra governi USA e ITALIA per suo trasferimento in Italia
(IT) cronografia
(EN) Attivisti prigionieri
(IT) Vicende giudiziarie
Testo e informazioni della canzone Radio Manisco/0516490872 degli AK47
Biografia a cura del sito dell'emigrazione molisana
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Il forte sostegno alla sua causa da parte dei partiti di sinistra ha portato alla estradizione in Italia nel 1999. Secondo alcuni tale concessione è stata una contropartita ottenuta dal governo D'Alema per l'appoggio alla guerra degli USA in Kosovo. Dopo alcuni anni di arresti domiciliari Silvia Baraldini è stata scarcerata il 26 settembre 2006 per effetto dell'indulto.
Indice[nascondi]
1 Elementi giovanili
2 Attività politica
3 L'arresto
4 Il processo
4.1 I capi d'accusa
4.2 La condanna
5 Il carcere
5.1 Le tappe
5.2 La malattia
5.3 Il movimento di sostegno
5.4 Ritorno in Italia
6 Voci correlate
7 Bibliografia
8 Collegamenti esterni
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Elementi giovanili [modifica]
Nata in Italia, Silvia si trasferì nel 1961 (a quattordici anni) negli Stati Uniti per seguire il padre, inizialmente dipendente della Olivetti a New York e successivamente funzionario della ambasciata italiana a Washington.
Negli Stati Uniti frequentò una scuola superiore, dove, all'ultimo anno, iniziò a occuparsi di politica, entrando a far parte di un gruppo studentesco a favore dei diritti politici dei neri. Si iscrisse alla fine degli anni sessanta all'Università statale del Wisconsin, una delle più impegnate degli Stati Uniti dal punto di vista politico.
Attività politica [modifica]
Silvia Baraldini iniziò la sua attività politica sull'onda del movimento sessantottino, protestando e manifestando per tutti gli obiettivi che si prefiggeva quella generazione, quindi per i diritti civili dei neri statunitensi, contro la guerra del Vietnam e per i diritti delle donne. In seguito la sua attività si focalizzò contro l'apartheid e il nuovo colonialismo in Africa.
Con il progredire degli anni la sua attività si rivolse a favore dei movimenti politici radicali statunitensi. Prima di tutto mise in luce il programma illegale COINTELPRO dell'FBI che spiava e infastidiva gli oppositori politici interni. In seguito diventò un'assidua sostenitrice del Black Liberation Army (BLA). La Baraldini, infatti, dal 1975 apparteneva all'organizzazione comunista "19 maggio", un'organizzazione legalmente riconosciuta dal governo statunitense, che fiancheggiava appunto il movimento BLA. L'attività della Baraldini nel BLA era molto forte; divenne membro del Committee to Free the Panther 21 e sostenne assiduamente le ragioni di Mumia Abu-Jamal, un giornalista afroamericano condannato a morte in Pennsylvania.
Il 2 novembre 1979 un commando di cui faceva parte aveva realizzato l'evasione di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard, "l'anima" del Black Liberation Army (BLA), che stava scontando una condanna all'ergastolo per omicidio di un agente di polizia stradale. Il commando di cui faceva parte la Baraldini si introdusse nella prigione, liberò la Shakur, prese in ostaggio una donna poliziotto e un autista di un furgone e fuggì. Il commando liberò i due ostaggi sequestrati successivamente.
L'arresto [modifica]
Silvia Baraldini venne per la prima volta arrestata il 9 novembre 1982 per associazione sovversiva, legata al suo attivismo politico comunista e di appoggio ai movimenti afro-americani di liberazione. Scarcerata sotto cauzione, venne arrestata nuovamente cinque mesi dopo, il 25 maggio 1983. L'arresto era indirettamente legato ad una rapina messa a segno dalla formazione comunista cui era organica.
Il colpo, conosciuto come la "Brink's Robbery", avvenne il 20 ottobre 1981 a danno di un furgone blindato della Brink's Bank di Nyack, Long Island. I rapinatori uccisero una guardia giurata autista del furgone blindato e due poliziotti della polizia di Nyack (l'Ufficiale di Polizia Waverly Brown e il Sergente Edward O’Grady). Altre due guardie furono ferite. La rapina rese 900.000 dollari. I partecipanti alle azioni si denominavano “May 19th Communist Organization”, Weatherpersons, Weather Underground, Black Liberation Army (BLA). Alla rapina parteciparono Mutulu Shakur, fratello di Assata Shakur, Kuwasi Balagoon, David Gilbert, Samuel Brown, Judith Alice Clark, e Kathy Boudin; quest'ultima fu rilasciata sulla parola nel 2003.
Il processo [modifica]
I capi d'accusa [modifica]
Silvia Baraldini fu processata con i seguenti capi di accusa:
Il 2 novembre 1979 aveva concorso con altri all'evasione di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard, "l'anima" del Black Liberation Army (BLA), che stava scontando una condanna all'ergastolo per omicidio di un agente di polizia stradale;
Fu accusata di essere un'ideologa sia del movimento "19 maggio" e di altri movimenti afro-americani di liberazione tra cui "La famiglia" che forniva appoggio logistico;
Fu accusata di aver preso parte ai preparativi di rapina, mai portata a termine, di un furgone blindato a Danbury nel Connecticut;
Fu accusata di aver preso parte 19 maggio 1981 ai preparativi di rapina, mai portata a termine, di un furgone blindato alla Chemical Bank di Nanuet, a New York;
Ingiuria al tribunale (nel diritto USA Contempt of Court), per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento "19 maggio".
La condanna [modifica]
Il processo si concluse con una sentenza del luglio 1983 che può essere riassunta in questi punti:
20 anni per concorso in evasione, appunto di Assata Shakur, alias Joanne Chesimard;
20 anni per associazione sovversiva, con applicazione della legge Rico, originariamente usata per casi di criminalità mafiosa e organizzata, per la quale venivano pagati dalla persona le accuse contestate al gruppo di appartenenza, (cosiddetta associazione a delinquere), e per i due preparativi di rapina;
3 anni per ingiuria al tribunale (nel diritto USA Contempt of Court), per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento "19 maggio".
Al primo arresto del 9 novembre 1982 l'FBI aveva offerto una forte somma di denaro alla Baraldini per denunciare i compagni e l'offerta le fu rinnovata in carcere con una contropartita che corrispondeva alla sua liberazione. Il rifiuto di collaborare non fece altro che inasprire la pena qualificando la Baraldini come detenuta pericolosa. Venne quindi trasferita nel durissimo carcere di Lexington e le condizioni detentive divennero più aspre.
Il principale testimone a carico fu il pentito Tyrone Rison. Il principale coimputato fu Sekou Odinga.
Il carcere [modifica]
Le tappe [modifica]
La Baraldini venne prima rinchiusa nel carcere di New York, poi in quello di Pleasanton in California e poi, a Lexington, dove fu sottoposta al carcere duro con isolamento, censure nella posta e limitazioni nelle visite, sorveglianza continua anche nei momenti più intimi.
Il regime carcerario venne ridotto e l'unità di sicurezza di Lexington chiusa dopo la lotta della Baraldini e di altre carcerate sostenuta anche da Amnesty International.
La malattia [modifica]
La Baraldini ha visto peggiorare le sue condizioni carcerarie anche a causa di un peggioramento del suo stato di salute. Nel 1988, dopo aver avvertito forti dolori addominali, le era stato diagnosticato un tumore maligno. L'amministrazione penitenziaria non si dimostrò molto attenta alle esigenze della carcerata e tendeva ad ostacolare e limitare le cure di cui la Baraldini aveva bisogno.
Dopo alcuni interventi chirurgici nel 1990, la Baraldini venne trasferita nel carcere di massima sicurezza di Marianna in Florida. Si è voluto vedere in questo gesto un tentativo dell'amministrazione statunitense di isolare ancora di più la Baraldini dal movimento d'opinione a favore che si stava formando in quegli anni, infatti il carcere si trova in una località isolata.
L'ultimo trasferimento fu a Danbury, nel Connecticut.
I gruppi a sostegno della Baraldini esagerarono la gravità della malattia arrivando ad affermare che, sul finire degli anni novanta, fosse in fase terminale.[senza fonte] Ciò al fine di ottenere l'estradizione in Italia per motivi umanitari.
Il movimento di sostegno [modifica]
In Italia il movimento di sostegno si intensificò soprattutto dopo la malattia della Baraldini. I vari episodi locali confluirono nel "Coordinamento Nazionale Silvia Baraldini" e vi aderirono diverse personalità di spicco come Dario Fo, Franca Rame, Antonio Tabucchi, Umberto Eco mentre Francesco Guccini le dedicò nel 1993 la "Canzone per Silvia" nell'album "Parnassius Guccinii".
Il movimento si batteva per far rimpatriare la Baraldini ritenendo l'accusa statunitense fittizia e comunque esagerata rispetto alle reali colpe. Uno dei punti focali della lotta era la richiesta dell'applicazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per il trasferimento dei condannati. Il problema era che tale accordo non obbliga i paesi interessati né fissa dei tempi da rispettare.
Nel 1992 l'accordo e l'estradizione sembravano vicini ma la Baraldini ricevette dalla magistratura americana lo status di pericolosità altissima e tutto sfumò.
Ritorno in Italia [modifica]
Silvia Baraldini nel 2008
I tentativi di rimpatrio ebbero infine successo nel 1999, quando, il 24 agosto Silvia Baraldini è stata rimpatriata per scontare in Italia il resto della sua pena, grazie all'impegno dell'allora ministro della giustizia Oliviero Diliberto che andò ad accoglierla all'aeroporto accompagnando anche la madre di lei con l'auto blu. Ad accoglierla c'era anche Armando Cossutta che le portò rose rosse. Questa accoglienza assunse così un significato politico e scatenò una bufera di polemiche in parlamento.
Il rimpatrio ha avuto diverse polemiche anche per l'accordo diplomatico tra l'Italia e gli USA. Si è parlato degli eccessivi costi legati al viaggio di rimpatrio, richiesti dalle autorità statunitensi per ragioni di sicurezza, e si sono fatte congetture su un possibile scambio tra il rimpatrio e la strage del Cermis. Comunque un caposaldo è che il Ministro della Giustizia americano aveva chiesto garanzie affinché non si procedesse alla liberazione o a uno sconto della pena come la libertà vigilata. Infatti l'Italia ha dovuto associare al rimpatrio una sentenza della Corte d'Appello per recepire quella americana. In pratica la Baraldini non è stata giudicata in Italia per i reati commessi negli Stati Uniti, ma è stata estradata con il vincolo di dover scontare in Italia la pena irrogatale negli Stati Uniti.
Su queste garanzie si è sviluppata la polemica da parte di chi ritiene che questo vincolo costituisca una riduzione della sovranità nazionale italiana. Tuttavia è raro che un Paese abbia giurisdizione per i reati commessi da suoi cittadini in un altro paese in cui siano residenti. È un principio giurisprudenziale assai discusso e importante tenuto conto dell'elevato numero di emigranti italiani all'estero e stranieri in Italia.
Dall'aprile 2001, alla Baraldini vennero concessi gli arresti domiciliari, a causa delle sue condizioni di salute; dopo il suo rimpatrio, ha scelto il silenzio e non ha più rilasciato interviste ai media.
Nel 2003 la Baraldini ottiene, non senza polemiche, una collaborazione con il Comune di Roma per occuparsi di un progetto di ricerca sull'occupazione femminile.
Per effetto dell'indulto, Silvia Baraldini è stata infine scarcerata il 26 settembre 2006.
Nel 1998 ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Cazzago San Martino "quale ulteriore Atto istituzionale al solo fine di raggiungere in tempi brevi una soluzione dignitosa per la sua vita" attraverso l'applicazione dei diritti civili sanciti nella Convenzione di Strasburgo. Negli stessi anni riceveva analogo riconoscimento dal comune di Mola di Bari e di Castagneto Carducci. Nel 2007, dopo la scarcerazione, ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Venaria (TO).
Attualmente vive a Roma.
Voci correlate [modifica]
Assata Shakur
AK47
Bibliografia [modifica]
E.Mancinelli, Il caso Baraldini, Datanews, 1995, ISBN 8879810596
G.Bugani, Liberate Silvia (DVD + Libro), Bacchilega Editore, 2005, ISBN 888877525
Collegamenti esterni [modifica]
(EN) Accordo tra governi USA e ITALIA per suo trasferimento in Italia
(IT) cronografia
(EN) Attivisti prigionieri
(IT) Vicende giudiziarie
Testo e informazioni della canzone Radio Manisco/0516490872 degli AK47
Biografia a cura del sito dell'emigrazione molisana
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Silvia_Baraldini"
Categorie: Attivisti italiani Comunismo negli Stati Uniti d'America Casi giudiziari FBI
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