Pietro Berti

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Anchorage

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sabato 26 febbraio 2011

lo smemorato di Collegno

Il caso Bruneri/Canella, noto anche come lo smemorato di Collegno è un famoso caso di cronaca accaduto in Italia a partire dal 1926, riguardante la riapparizione di un uomo ritenuto disperso in guerra.
L'identità dell'uomo fu oggetto di un caso di cronaca e di un procedimento giudiziario.
Due furono le identità, al centro della controversia, attribuite allo smemorato:
il professor Giulio Canella dato per disperso durante la prima guerra mondiale, studioso e docente di filosofia, nato a Padova nel 1881, figlio di un letterato. Si trasferì una volta finiti gli studi classici a Verona, dove divenne direttore di una Scuola Magistrale. Nel 1909 fondò con Agostino Gemelli la Rivista di filosofia neoscolastica, e nel 1916 fondò il quotidiano Corriere del mattino, una testata di stampo cattolico. Nello stesso anno ebbe la sua seconda figlia; pochi mesi dopo venne richiamato nell'esercito. Canella era sposato con la propria cugina, Giulia Concetta Canella, figlia di un ricco proprietario terriero che aveva grossi interessi economici in imprese brasiliane.
Mario Bruneri tipografo torinese nato nel 1886. Bruneri era un anarchico che viveva senza fissa dimora, ed era ricercato dal 1922 per via di alcune condanne precedenti per truffa e lesioni.
Indice[nascondi]
1 L'inizio della vicenda
1.1 Canella disperso
1.2 Compare lo smemorato
1.3 Gli incontri al manicomio
1.4 L'arresto
1.5 Le indagini
2 La vicenda giudiziaria
2.1 Cronologia sintetica
2.2 Il processo
2.3 L'opinione pubblica
2.4 La sentenza definitiva
2.5 L'esilio in Brasile
3 Testimonianze successive
3.1 La presunta testimonianza sull'incontro tra Canella e Bruneri
3.2 Le lettere di Bruneri
3.3 La negazione: gli eredi e la Chiesa
4 Nella cultura
4.1 L'interesse politico
4.2 Rilevanza per il mondo scientifico
4.3 La vicenda nei media
5 Note
6 Bibliografia
L'inizio della vicenda [modifica]
Canella disperso [modifica]
La storia dello smemorato cominciò il 25 novembre 1916, quando sul fronte della Macedonia, presso Nikopole, una compagnia di fanti guidata dal capitano Giulio Canella ed impegnata nella conquista della collina di Monastir cadde in un'imboscata da parte di soldati bulgari armati di mitragliatrici.
L'imboscata causò numerose vittime e feriti: tra questi ultimi vi fu Canella stesso, che fu poi visto dai superstiti mentre veniva catturato e trascinato via dai nemici, forse con una ferita alla testa ed in gravi condizioni.
Dopo l'agguato, i soldati italiani contrattaccarono, riuscendo a prendere il colle, pur con numerose perdite. Una volta conquistate le postazioni, vennero recuperati i corpi dei soldati, ma non fu trovato quello di Canella. Vennero interrogati i prigionieri bulgari, che però affermarono che Canella non era nemmeno tra i prigionieri.
Il capitano Canella venne quindi inserito nelle liste dei "dispersi" stilate dal Ministero della guerra.
La moglie di Canella venne avvertita del fatto dal Ministero, e visse da quel momento nella speranza del ritorno del marito.
Compare lo smemorato [modifica]
Circa 11 anni dopo, il 6 febbraio 1927, su La Domenica del Corriere, fu pubblicata sulla rubrica Chi li ha visti? la foto di un uomo ricoverato al manicomio di Collegno dal 10 marzo 1926, dopo essere stato arrestato dai Carabinieri mentre vagava per Torino urlando e minacciando il suicidio, essendo stato colto in flagrante dal custode del cimitero israelita della città mentre tentava di rubare un vaso in rame.[1] L'uomo in fotografia mostrava circa 45 anni e portava la barba.
L'uomo era affetto da amnesia, e non ricordava nulla di sé. Fu internato d'ufficio per ordine del questore di Torino, ed in manicomio mantenne una condotta esemplare e molto tranquilla. Durante il ricovero, i medici si resero conto che si trattava di una persona istruita e ben educata, ma che aveva un forte blocco mentale che gli impediva di ricordarsi della propria identità.
Nel manicomio, lo sconosciuto (Inconnu) venne identificato col numero 44170.
Giulia Concetta Canella vide la foto sul giornale, e riconobbe nello smemorato il marito disperso. Richiese al manicomio il permesso di visitare lo smemorato, e il 27 febbraio 1927 le fu permesso di entrare nella struttura e incontrarlo.
Gli incontri al manicomio [modifica]
L'incontro fu preparato nei dettagli per non far capire allo smemorato che si trattava di una visita organizzata, per evitargli lo stress e l'ansia che manifestava durante i tentativi di riconoscimento. Giulia Canella, così, incontrò "casualmente" lo smemorato durante una passeggiata nel chiostro del manicomio, ma questi non diede segno di accorgersi di lei. La donna invece ritenne di riconoscere il marito senz'ombra di dubbio.
In un secondo incontro, il giorno successivo, lo smemorato diede un vago segno di riconoscere la donna, e affermò che alla vista di lei stavano emergendo confusi ricordi del passato.
Il terzo incontro fu più esplicito: la Canella venne presa dall'emozione, e i due si abbracciarono, apparentemente riconoscendosi.
Un quarto incontro, il pomeriggio stesso, confermò il riconoscimento: lo smemorato apparve ricordare di avere dei figli, e cominciarono una serie di incontri per ricostruire la memoria perduta.
Lo smemorato ai primi di marzo 1927 venne quindi ufficialmente identificato, e dimesso, tornò a Verona, ad abitare con la moglie. La storia del disperso che tornava a casa dopo dieci anni venne pubblicata su tutti i maggiori giornali, diventando un simbolo di speranza per altre persone che attendevano il ritorno di amici e familiari. La Stampa, testata torinese, titolò Un grido, un tremito, un abbraccio, la luce!, con un'enfasi insolita per l'epoca.
Nonostante la grande attenzione sulla vicenda, non fu concesso a nessuno di intervistare lo smemorato, e nessuno seppe ricostruire i nove anni di cui non si sapeva nulla di lui.[2]
L'arresto [modifica]
Il 3 marzo 1927, pochi giorni dopo l'apparente conclusione della vicenda, una lettera anonima venne recapitata alla questura di Torino, indirizzata all'attenzione del Regio Questore di Torino. Nella lettera si sosteneva che lo smemorato non fosse Giulio Canella, bensì Mario Bruneri, tipografo torinese nato nel 1886.
Bruneri era un anarchico che viveva senza fissa dimora, ed era ricercato dal 1922 per via di alcune condanne precedenti per truffa e lesioni. Bruneri era già stato in carcere, per falso in bilancio e appropriazione indebita, per cui la scheda presso la questura risultava completa e corposa. Bruneri, inoltre, risultava essere stato avvistato in altre città, tra cui Pavia e Milano, insieme ad una donna bresciana, tal Camilla Ghidini, anch'essa con precedenti per reati contro il patrimonio e la morale.[2]
La descrizione del fascicolo di Bruneri combaciava, secondo la Questura, con l'aspetto e con il carattere dello "smemorato".
Domenica 6 marzo, il questore dispose l'arresto per lo smemorato, che infatti fu prelevato il giorno stesso e condotto in questura a Torino per l'identificazione.
L' 8 marzo 1927 cominciò il riconoscimento da parte dei Bruneri. La prima a riconoscerlo fu Rosa Negro, che disse: "Il mio marito è proprio lei!". Poi fu riconosciuto dal figlio Giuseppino, quattordicenne, che da 6 anni non vedeva il padre. Venne riconosciuto anche dalle sorelle Maria e Matilda e dal fratello Felice. Dopo iniziali proteste, lo smemorato ebbe uno svenimento. Venne riconosciuto anche dall'amante Milly.[1][3]
Alla madre, Eugenia Mantaud, venne risparmiato il riconoscimento perché malata al cuore, per cui non incontrò lo smemorato. La donna morì il 4 luglio 1929, due giorni dopo che un difensore dei Canella aveva dubitato della sua malattia, sostenendo che avesse volontariamente ostacolato il suo incontro con lo smemorato. I Canella, nel loro memoriale, accusarono i Bruneri di essere stati manovrati dalla Polizia.
Le indagini [modifica]
Su ordine del questore, si procedette al rilievo delle impronte digitali, e lo smemorato venne avviato alla detenzione all'interno delle strutture del manicomio.
Nel marzo 1927 le impronte digitali dello "smemorato" arrestato dai carabinieri come ladro del cimitero furono inviate al casellario centrale di Roma dove la legge prevedeva dovessero essere conservate tutte le impronte digitali e fotografie dei pregiudicati.
La risposta fu negativa. Dopo lo scoppio del caso, il carcere di Torino fornì le impronte del pregiudicato Bruneri, senza firme e senza fotografie. Queste impronte, insieme a quelle prese nel 10 marzo 1926 furono inviate a Roma per un confronto e la risposta arrivò nello stesso giorno.
La Scuola di Polizia Scientifica di Roma con un telegramma datato 10 marzo confermò l'identità dello smemorato: le impronte corrispondevano a quelle di Bruneri Mario, latitante, che fu quindi arrestato per scontare la pena residua di due anni, rimanendo inizialmente internato nel manicomio di Collegno in attesa di accertamenti.
Giulia Canella si oppose al riconoscimento, e cominciò una lunga campagna di raccolta di prove a sostegno della tesi secondo cui lo smemorato sarebbe stato il marito disperso. Presentò un ricorso presso il Tribunale penale di Torino, con cui chiedeva la revoca dell'arresto. Le posizioni della Canella vennero difese in tribunale dal noto avvocato e giurista Francesco Carnelutti e dal gerarca fascista Roberto Farinacci.
Lo smemorato venne scarcerato, a seguito dell'ordinanza, il 23 dicembre 1927, del tribunale che dichiarava non raggiunta la prova dell'identificazione di Mario Bruneri nella persona dello smemorato.
Se da una parte Giulia Canella non ebbe dubbi sull'identità dello smemorato, la stessa madre di Bruneri, stando alle parole del figlio Felice, era certa che l'intera operazione fosse una nuova truffa architettata dal figlio.
Rosa Negro e Felice Bruneri quindi, per preservare il buon nome della famiglia e per rivendicare gli obblighi verso la moglie ed il figlio, si rivolsero al Tribunale Civile di Torino, per stabilire ancora una volta l'identità dello smemorato.
La vicenda giudiziaria [modifica]
Cronologia sintetica [modifica]
Il tribunale penale di Torino, nell'ordinanza del 28 dicembre 1927, sulla base delle testimonianze ed informazioni fornite dalla Questura e della perizia Coppola, dichiarò non raggiunta l'identificazione di Mario Bruneri nello smemorato.
Azione civile da parte della famiglia Bruneri, per far riconoscere nello smemorato Mario Bruneri e ricondurlo agli obblighi familiari..
Il tribunale civile di Torino, con sentenza del 5 novembre 1928, basandosi sulle stesse prove, testimonianze e perizie, respinse la richiesta dei Canella di nuove eccezioni ed accertamenti, e considerò intanto raggiunta l'identificazione di Bruneri nello smemorato.
Ricorso dei Canella.
La Cassazione, nel 24 marzo 1930, annullò la sentenza di Torino, qualificando come un errore inescusabile il fatto che ai Canella non fosse stato concesso il diritto alla prova contraria, considerato che le prove e i documenti furono raccolte in uno "speciale processo sommario".
La corte d'Appello di Firenze, contrariamente, con sentenza del 2 maggio 1931, ignorò gli ammonimenti della Cassazione, respinse ancora la richiesta dei Canella e confermò la sentenza di Torino.
Altro ricorso dei Canella.
La Cassazione, con sette giudici contro e sette favorevoli al ricorso, prese la decisione con il voto del presidente del tribunale, D'Amelio, dopo che il ministro della Giustizia Rocco da lui consultato, gli ordinò di finire il processo respingendo il ricorso: la Cassazione, il 25 dicembre 1931, respinse il ricorso, confermando la sentenza di Firenze.
Nel dopoguerra, nel 1946, una richiesta d'annullamento del processo, basata sulla legge che annullava le sentenze politiche emesse dalla magistratura fascista, venne respinta.
Nel 1964, un'altra richiesta di revisione del processo, fatta da Giuseppe Canella, figlio primogenito di Giulio Canella, è stata di nuovo respinta.
Il processo [modifica]
Il processo cominciò il 22 ottobre 1928, e si protrasse per oltre due anni: il risultato del processo di primo grado fu chiaro, lo smemorato stando a prove e testimonianze, era in realtà Mario Bruneri.
Tra i testimoni che hanno escluso categoricamente che lo smemorato potesse essere Canella vi erano padre Agostino Gemelli e il conte Giuseppe della Torre: entrambi avevano lavorato con Canella, il primo nella pubblicazione della Rivista di Filosofia Neoscolastica, dalla quale Canella era stato estromesso nel 1910, mentre il secondo, direttore dell'Osservatore Romano, aveva partecipato alla fondazione del Corriere del Mattino.[2]
Gemelli e Dalla Torre, persone molto importanti nella gerarchia cattolica, essendosi recati a Collegno senza essere invitati o convocati, furono accusati dai Canella di proteggere interessi occulti, senza che l'accusa fosse mai comprovata. Anche l'Esercito Italiano non rettificò lo status di disperso, sostenendo che non vi erano indizi che facessero pensare ad un ritrovamento del capitano Canella.
Il ricorso che la signora Canella produsse venne respinto dalla Corte d'appello il 7 agosto 1929. La famiglia ricorse alla Corte di Cassazione, che l'11 marzo dell'anno successivo accolse la richiesta di Giulia Canella di un nuovo processo da tenersi presso la Corte d'Appello di Firenze. La motivazione addotta per l'annullamento del processo fu che era stato un "errore inescusabile" dei giudici di Torino aver negato ai Canella l'esercizio della prova contraria, dato che le prove presentate al tribunale di Torino non provenivano da una istruttoria penale, ma da un incidente probatorio, cioè raccolte con uno "speciale processo sommario" privo di ogni rigore formale: la Cassazione aveva contestato il fatto che ai Canella fosse stata respinta la richiesta di nuove perizie, eccezioni, accertamenti e testimonianze.
Intanto lo smemorato continuò a vivere a casa di Giulia Canella. La coppia ebbe tre figli, oltre ai due nati prima del 1916: Elisa nacque il 21 novembre 1928, Camillo il 31 dicembre 1929 e Maria il 12 settembre 1931. Per la legge italiana essi non risultavano figli di Giulio Canella, per cui vennero registrati in Brasile, con l'aiuto del padre di Giulia.[2]
A Firenze il processo si concluse di nuovo con il medesimo risultato negativo. Il tribunale, contrariamente a quanto ammonito dalla Cassazione, respinse la richiesta dei Canella e confermò la sentenza di Torino. Lo smemorato, così, venne di nuovo identificato con Bruneri, senz'ombra di dubbio secondo il tribunale. Fu incarcerato presso le Carceri Nuove e dopo venti giorni inviato al Reclusorio di Pallanza, per scontare la condanna residua.
Giulia Canella, aiutata dal capitano Giuseppe Parisi e dal sacerdote Germano Alberti, ricorse nuovamente in Cassazione.
L'opinione pubblica [modifica]
L'11 marzo 1927, pochi giorni dopo lo scoppio del caso in seguito alla lettera anonima fatta pervenire alla Questura di Torino, l'Agenzia Stefani, organo di censura e voce del Partito Fascista, diramò un comunicato in cui affermava che lo smemorato era un emerito simulatore, in quanto risultava essere il pregiudicato Mario Bruneri. Questo comunicato, pertanto, indusse tutti i principali quotidiani a schierarsi a favore della tesi Bruneri. Tali direttive, conosciute come veline, dovevano essere eseguite.
Per anni i giornali avevano dato ampio spazio alla vicenda, stimolando l'opinione pubblica a favore o contro l'identificazione dello sconosciuto con Canella. Cominciarono, così, a formarsi due gruppi distinti: canelliani e bruneriani.[2]
I canelliani sostenevano l'identificazione con Canella, principalmente per via del grado di cultura mostrata dallo sconosciuto, che non sarebbe stato compatibile con il passato di Bruneri. I bruneriani, invece, sottolineavano che anche Bruneri era una persona colta e ben educata, con un'istruzione compatibile con quanto mostrato dallo sconosciuto.
A favore della tesi "bruneriana" deponevano gli esami scientifici delle impronte digitali e le testimonianze di personaggi di primissimo livello, quali Gemelli e Della Torre. Bruneri, come Canella, si dilettava di filosofia, ma con pessimi risultati.
A favore della tesi "canelliana" deponevano il riconoscimento di 25 parenti tra i quali la moglie, i due fratelli e la sorella, e più di 145 conoscenti.
Nel 1931, il neuropsichiatra ed esperto di traumi di guerra Alfredo Coppola, pubblicò Il caso Bruneri-Canella all'esame neuropsichiatrico (studio psicobiografico e medico-legale): nel testo si sosteneva che lo smemorato fosse Bruneri, che simulava un'amnesia retrograda. L'analisi venne condotta con metodi di valutazione cognitiva che per l'epoca erano molto avanzati. L'opera, ritenuta ancora oggi un testo fondamentale della neuropsichiatria, diede grande fama a Coppola che fu chiamato nel 1936 a dirigere il Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell'Università degli Studi di Palermo.
Coppola era convinto che lo smemorato fosse un simulatore anche prima di incontrare lo smemorato. Chiamato dal tribunale per chiarire se lo smemorato fosse malato o no concluse affermando che lo smemorato fosse Bruneri e dunque un simulatore e che quindi non fosse malato. Il tribunale di Torino nella sua sentenza dichiarò utilissima la perizia Coppola per stabilire l'identità dello smemorato.
Anche altri grandi studiosi dell'epoca, tra i quali Mario Carrara (genero di Cesare Lombroso e suo successore nella cattedra di Medicina legale) ed Ernesto Lugaro, confermarono la "tesi Bruneri". Mentre altri grandi studiosi diedero parere contrario, favorevole alla tesi Canella, come Giovanni Mingazzini, Calligaris, Perrando e Pellegrini.
La sentenza definitiva [modifica]
Nel 1931 giunse l'ultima sentenza, emessa dalla Cassazione a sezioni unite: lo smemorato era Bruneri, che avrebbe dovuto quindi scontare le residue condanne.
Il giudizio venne deciso sul filo del rasoio, con sette giudici pro e sette contro, cui si aggiunse il voto del presidente della commissione che si espresse a sfavore della Canella solo dopo aver chiesto al ministro della Giustizia Alfredo Rocco tre giorni in più di camera di consiglio per riesaminare le prove ed aver visto seccamente rifiutata la proposta ("Non le concedo nemmeno un'ora. Chiudiamo subito questa buffonata").[1]
La corte dichiarò "illegittimi" i figli avuti dalla Canella con lo smemorato e dichiarò "immorale" la loro unione. Nei cinque processi che furono celebrati, non vi fu alcuna decisione che riconoscesse nello smemorato il capitano Canella. Tutti i giudizi, eccetto il primo e le due sentenze di Cassazione, che giudicavano soltanto i ricorsi, identificarono il misterioso personaggio con il piccolo criminale e truffatore Mario Bruneri.
Alcuni giornali trovarono ulteriore conferma dell'identità del personaggio con Bruneri, e non col capitano Canella, in una semplice constatazione: lo smemorato non riportava alcuna traccia di ferite alla testa, contrariamente a quanto doveva risultare secondo il racconto dei commilitoni. La prova non fu mai portata in tribunale da nessuna delle parti interessate.
L'esilio in Brasile [modifica]
Il fatto che la Canella avesse vissuto more uxorio con lo smemorato divenne oggetto di scandalo e diede adito a chiacchiere di malelingue sulla donna. La sua condizione divenne intollerabile, tanto che, su insistenza del padre, si trasferì in Brasile, insieme con il presunto marito, non appena questi ebbe scontata la pena carceraria.
Alcuni giornali avanzarono l'ipotesi che la stessa Giulia Canella ormai non credesse più al fatto che lo smemorato fosse il marito, ma che continuasse a fingerlo per proteggersi dallo scandalo che sarebbe sorto a causa della convivenza con l'uomo.[1][2] Questa condizione valse alla Canella insinuazioni maliziose e persino diffamatorie sulla stampa dell'epoca.
Il governo brasiliano invece iscrisse i tre figli della coppia con il cognome Canella, e registrò lo Smemorato col nome di Giulio Canella, riconoscendogli il titolo di professore. La famiglia andò a vivere a Rio de Janeiro, dove lo Smemorato cominciò a collaborare saltuariamente con alcuni giornali locali.
A Rio de Janeiro lo Smemorato riprese lo studio della filosofia, arrivando a scrivere a Pio XI alcune sue riflessioni: la segreteria vaticana gli rispose, intitolando la lettera e la relativa benedizione all'"Ill.mo signor dottor Giulio Canella".[2] In Brasile lo Smemorato, che imparò il portoghese in brevissimo tempo, tenne conferenze, collaborò a giornali e pubblicò diversi saggi.
Bruneri morì a Rio de Janeiro il 12 dicembre 1941, registrato con il nome di Julio Canella.
Giulia Canella continuò la lotta per riaprire il processo e far riconoscere lo smemorato come proprio marito. Dopo 50 anni di questa lotta morì anche lei, nel 1977, sostenendo sino all'ultimo di non aver mai dubitato che lo smemorato fosse il suo amato Giulio.
Testimonianze successive [modifica]
La presunta testimonianza sull'incontro tra Canella e Bruneri [modifica]
Solo una volta conclusa la vicenda giudiziaria una nobildonna inglese si presentò col nome "signora Taylor" ai giudici milanesi con un'ulteriore deposizione.[2]
La Taylor affermò che nel 1923 aveva accolto un mendicante, ritrovato per le strade in stato confusionale e in vecchi abiti militari. Lo aveva sfamato e gli aveva fornito abiti e cibo. La donna aveva più volte incontrato questo mendicante, da lei soprannominato "il randagio", ed era entrata in confidenza con lui, attiratane dall'aspetto mite.
Il mendicante avrebbe raccontato alla donna di aver combattuto in guerra e di avere una famiglia: era però traumatizzato e sotto shock, e non ricordava molti dettagli della propria vita, tra i quali quello dove abitasse. Anche una lattaia milanese avrebbe riconosciuto il mendicante, e tramite lui sarebbe entrata in contatto con la nobildonna.
Le due donne erano meravigliate dagli occasionali cambiamenti di umore e di modi del mendicante, tra un incontro e l'altro, e arrivarono a dedurre che si trattasse di due persone distinte. Queste due persone, di cui una era Giulio Canella e l'altra Mario Bruneri (che in quel periodo viveva a Milano in compagnia della ricercata bresciana Camilla Ghidini), erano senza dubbio in contatto tra loro: lo dimostrava il fatto che una giacca donata dalla Taylor fosse passata di mano tra i due personaggi.[2]
Stando alla testimonianza della Taylor, la conoscenza tra il mendicante Canella e il truffatore Bruneri sarebbe stata l'inizio di uno scambio di informazioni che avrebbe concesso a quest'ultimo di venire a conoscenza di molte informazioni sulla famiglia e sulla vita del Canella, senza però permettergli di costruire un quadro completo a causa dei vuoti nei ricordi di Canella.
Bruneri dunque, una volta prossimo alla cattura, si sarebbe fatto ricoverare come pazzo per nascondersi in manicomio: in quest'occasione, avrebbe avuto la possibilità di sfruttare consapevolmente la sua somiglianza con il Canella ed i racconti di quest'ultimo per costruirsi una nuova identità e sfuggire alla legge.
Le lettere di Bruneri [modifica]
Quella che è comunemente definita la prova finale per la soluzione del caso emerse nel 1960, quando Felice Bruneri presentò cinque lettere inviate, secondo lui, dal fratello Bruneri alla madre durante la sua permanenza come "smemorato" non identificato, nelle quali affermava di essere rinchiuso a Collegno come "sconosciuto" ed invocava l'aiuto della famiglia e il perdono per aver commesso crimini, mosso dalla fame.[1]
L'esistenza di queste lettere, mai sottoposte a perizia, emerse solo a caso concluso e ben dopo la morte dello Smemorato avvenuta nel 1941, ma rappresenta a tutt'oggi, insieme con la prova delle impronte digitali, un indizio a favore dell'identificazione dello "Sconosciuto" con il personaggio di Mario Bruneri.
Felice Bruneri giustificò il fatto di non aver presentato a suo tempo, cioè molti anni prima, le lettere del fratello Mario per proteggere la madre, morta nel 1929. Queste lettere provocarono forti proteste da parte dei Canelliani, che avevano organizzato un Comitato per la revisione del processo e le considerarono false.
La negazione: gli eredi e la Chiesa [modifica]
Tuttavia, ancora nel 1964, Beppino Canella, figlio primogenito di Giulio Canella, in una conferenza stampa sostenne che lo smemorato fosse in realtà il padre Giulio.[1]
Don Germano Alberti, amico di Giulia Concetta Canella, promosse una causa di beatificazione in favore di Giulio Canella, finita nel nulla.
Il 10 giugno 1970, la Chiesa cattolica tramite il cardinale Segretario di Stato Giovanni Benelli precisò che riconosceva nello sconosciuto il professor Giulio Canella, e che pertanto i figli nati dalla coppia erano da considerarsi legittimi: questo nonostante quanto stabilito dal tribunale.[1]
Nella cultura [modifica]
L'interesse politico [modifica]
Dal punto di vista politico, la vicenda esplose in un momento delicato, quando il nuovo regime stava affrontando le prime questioni complesse di politica sociale.
Il mondo intellettuale fu spaccato in due. Coi "bruneriani" si schierarono personaggi di rilievo del mondo cattolico (nonostante la posizione ufficiale della Chiesa, dichiarata in seguito, fosse simmetricamente contraria), mentre coi "canelliani" militavano personaggi del mondo politico e giornalistico liberale vicini alle posizioni liberali.
Se da una parte la vicenda faceva comodo al mondo politico di allora, allontanando i riflettori dalle procedure di istruzione del Concordato, che sarebbe stato firmato nel 1929 e che avrebbe potuto trovare ostacoli da una parte dell'opinione pubblica, dall'altra era un terreno di scontro pericoloso proprio per via della struttura delle fazioni, che rischiava di trasformare il dibattito in una battaglia tra "religiosi" e "politici". L'importanza politica della vicenda come "arma di distrazione" venne sottolineata anche da Leonardo Sciascia ne Il teatro della memoria.
Anche la contrapposizione tra la figura del pio e religiosissimo Canella e quella dell'ateo, anarco-socialista Bruneri contribuì a infiammare gli animi.
Mussolini era preoccupato dalla vicenda e cercò di ridurne l'esposizione mediatica per evitare l'insorgere di tensioni anticlericali, arrivando a ordinare ai giornali di non parlare della faccenda.[3]
Rilevanza per il mondo scientifico [modifica]
Il caso segnò una svolta anche per il mondo giuridico: con questa vicenda, il peso della Scienza all'interno dei tribunali divenne sempre più rilevante. Si trattò di una delle prime volte in cui la prova scientifica delle impronte digitali acquisì rilevanza incontestabile, e le perizie psichiatriche divennero strumenti di lavoro per giudici ed avvocati.
Il caso Bruneri/Canella fu un punto di svolta per il giovane mondo della Psicologia in Italia: alcuni studiosi, tra i quali Stefano Zago, hanno sottolineato l'importanza di questo caso per la nascita di importanti teorie, in particolare riguardo alle strategie di valutazione cognitiva sviluppate da Coppola, che sono tuttora considerate valide.
La vicenda nei media [modifica]
Pirandello si ispirò alla vicenda del caso Bruneri-Canella per comporre Come tu mi vuoi, un dramma in tre atti rappresentato per la prima volta a Milano nel 1930.[1]
Nel 1936 l'attore Angelo Musco interpretò Lo Smemorato, una versione romanzata della vicenda.
Nel 1962 fu pubblicato Lo smemorato di Collegno, film di Sergio Corbucci con Totò, vagamente ispirato alla vicenda.
Nel 1970 la RAI mandò in onda due puntate della serie Processi a porte aperte, l'11 agosto e il 13 agosto, sulla stessa vicenda. I figli di Felice Bruneri, nipoti di Mario, cercarono di bloccare la trasmissione, considerata lesiva della memoria di Mario Bruneri. Anche don Germano Alberti, amico di Giulia Concetta Canella, promosse una raccolta di firme contro la trasmissione, raccogliendo però solo trecento aderenti.
Il film di Pasquale Festa Campanile Uno scandalo perbene del 1984, in concorso al Festival di Venezia, analizzò il caso mantenendo però aperto il finale a diversi risultati.
Nel 1988 a Collegno fu organizzata una mostra dal titolo Sconosciuto a me stesso, incentrata sulle vicende legate al caso Canella/Bruneri.
Lo scrittore francese Jean Giraudoux si ispirò alla vicenda per il suo Sigfrid et le Limousin.
Sin dagli anni trenta, lo smemorato di Collegno divenne una locuzione tipica per indicare una persona colpita da amnesia.
Il personaggio ha ispirato una parodia radiofonica, eseguita da Fiorello su Radio Due: il personaggio in questione è stato trasformato nello Smemorato di Cologno e la parodia consisteva in un'imitazione di Silvio Berlusconi, che perdeva la memoria ogni qualvolta veniva pronunciata una parola che avesse a che fare col Comunismo, con gli avversari politici o con questioni "scomode".
Rai Uno ha prodotto una miniserie TV sulla vicenda, Lo smemorato di Collegno diretta da Maurizio Zaccaro.
Il 1º aprile 2009 il programma televisivo Chi l'ha visto, trasmesso da Rai 3 ha ripreso in esame il caso, affidando ai RIS dei Carabinieri le lettere inviate da Canella alla moglie dal fronte, e le lettere scritte dallo "smemorato" durante la detenzione in carcere. L'obiettivo è di cercare e comparare eventuali tracce di DNA. Gli esami non hanno ancora avuto un esito.
Note [modifica]
^ a b c d e f g h «Smemorato e sconosciuto» sul sito dei Carabinieri
^ a b c d e f g h i http://www.storiain.net/arret/num8/mattcol8.html
^ a b http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=706&ID_sezione=80&sezione=
Bibliografia [modifica]
Parisi Giuseppe, Giulio e Giulia Canella nel fosco dramma giudiziario dello "Sconosciuto di Collegno", ed. Bettinelli, Verona, 1946
Milo Julini, Paolo Berruti, Maurizio Celia, Massimo Centini, Indagine sullo smemorato di Collegno, Ananke editore, Torino 2004
Recluso n.5027, Lettere del reclusorio, con prefazione di Francesco Carnelutti, Padova, 1931; in 8, pp. 94, Carteggio tra Giulio Canella e i suoi familiari.
Malingering and retrograde amnesia: The historic case of the collegno amnesic, Zago Stefano, Sartori Giuseppe, Scarlato Guglielmo, ed. Masson, Milano, in Cortex n.40, pp. 519–32, 2004. [1]
Felice Bruneri, La vita dell’uomo di Collegno narrata da suo fratello, Venezia, Avaldo Grassi, 1931.
Francesco Canella, Lettera aperta al signor Ugo Sorrentino della scuola scientifica di polizia di Roma su la tragica beffa di Collegno, Rio de Janeiro, Graphica Sauer, 1938
Alfredo Coppola , Il caso Bruneri-Canella all'esame neuropsichiatrico. Studio psico-biografico e medico-legale sullo Sconosciuto di Collegno, Siena, Stabilimento tipografico San Bernardino, 1931
Benedetto Ferretti, Le impronte culturali dopo le impronte digitali ovvero Mario Bruneri svelato da se stesso. Appunti sulle cosiddette memorie del cosiddetto smemorato prof. Giulio Canella, Milano, Arti Grafiche Mario Sejmand, 1931
Giulio Canella, Alla ricerca di me stesso - Autodifesa, Verona, Edizione R. Cabianca, 1930
Vincenzo Vescovi, Una causa celebre. Bruneri – Canella. Ricordi e curiosità, Treviso, Longo & Zoppelli Editori, 1942
Germano Alberti, Eppure...era Canella, Verona, Libreria Dante, 1960
Leonardo Sciascia Il teatro della memoria, Milano, Adelphi, 1981
Lisa Roscioni, Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un'identità contesa, Torino Einaudi, 2007
g. gh. L'enigma Bruneri-Canella alla ribalta della pretura, Torino, La Stampa, 16 ottobre 1953, pag 6
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Caso_Bruneri-Canella"

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