Introduzione
Capitolo ILa disciplina giuridica
I diritti dei minori
1.1.
I diritti dei minori nelle dichiarazioni internazionali
1.1.1.
Le iniziative internazionali a tutela del minore abusato e/o sfruttato
1.2.
Gli interventi europei
1.3.
Profili comparatistici in materia di pedofilia
Le fonti italiane
2.1.
La Costituzione italiana
2.2.
La legge n. 66 del 15 febbraio 1996 «Norme contro la violenza sessuale»
2.2.1.
Un primo sguardo alla legge
2.2.2.
Il nuovo assetto strutturale
2.2.3.
Il cuore della legge
2.2.3.1.
I profili di illegittimità costituzionale
2.2.4.
Art. 609 quater. Atti sessuali con minorenne
2.2.5.
Il bene giuridico
2.2.6.
La non punibilità degli atti sessuali fra minorenni
2.2.7.
Il reato di corruzione di minorenni
2.2.8.
Il regime di procedibilità
2.3.
Legge n. 269 del 3 agosto 1998 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»
2.3.1.
La prostituzione minorile
2.3.1.1.
La fattispecie del primo comma dell'art. 600 bis
2.3.1.2.
La fattispecie del secondo comma dell'art. 600 bis
2.3.1.3.
L'articolo 2, comma 2, Legge 269/98
2.3.2.
La pornografia minorile
2.3.2.1.
La fattispecie del primo e secondo comma dell'art. 600 ter
2.3.2.2.
La fattispecie del terzo comma dell'art. 600 ter
2.3.2.3.
La fattispecie del quarto comma dell'art. 600 ter
2.3.3.
La responsabilità dei Providers.
2.3.4.
La detenzione di materiale pornografico
2.3.5.
Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della pornografia minorile
2.3.6.
Circostanze aggravanti ed attenuanti
2.3.6.1.
Minore degli anni 14 (primo comma)
2.3.6.2.
Particolari qualità dell'autore del fatto o della vittima (comma 2)
2.3.6.3.
Violenza o minaccia (comma 3)
2.3.6.4.
Ravvedimento operoso (comma 4)
2.4.
Legge n. 154 del 05 aprile 2001 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»
2.4.1.
Un'azione civile: l'ordine di protezione
2.4.2.
Spunti critici e riflessioni conclusive
2.5.
Proposta di legge n. 3235 presentata alla Camera dei deputati l'8 ottobre 2002
Capitolo III fenomeni della pedofilia
La violenza presunta ma negata
1.1.
Dal Pedophile Liberation Front a Danish Pedophile Association
1.1.1.
Cosa conteneva il sito oscurato
Le violenze sessuali compiute sui minori
La pedofilia e l'abuso sessuale sui minori
L'abuso sessuali sui minori
4.1.
La classificazione della violenza sui minori
4.2.
La definizione di "abuso sessuale sui minori"
4.3.
I protagonisti dell'abuso sessuale
4.4.
Gli indicatori della violenza sessuale
Pedofilia: il punto di vista sociale
5.1.
La non univoca definizione di pedofilia
5.2.
Uno studio pilota
5.3.
Conclusioni
Il fenomeno dell'incesto
6.1.
Un accenno alla storia
6.2.
La definizione giuridica dell'incesto
La prostituzione minorile e il turismo sessuale
7.1.
La prostituzione minorile in Italia
7.2.
I tentativi di proteggere i minori in tutti i paesi
7.3.
Il fenomeno della prostituzione minorile e del turismo sessuale
7.4.
Le organizzazioni che alimentano lo sfruttamento sessuale e quelle che tentano di combatterlo
Il fenomeno virtuale: la pedopornografia
8.1.
L'ingresso della pedofilia nelle reti informatiche
8.2.
Le tipologie di impiego
8.3.
Pedofilia e pornografia
8.4.
Cosa possiamo trovare in rete.
8.5.
Il progetto STOP-IT
8.5.1.
I dati forniti dal progetto Stop-It
Capitolo IIILa pedofilia
La cultura della pedofilia: la storia
1.1.
La pedofilia nella Grecia classica
1.2.
La pedofilia nel mondo romano
1.3.
Paganesimo, cristianesimo e i diritti del bambino
1.4.
La pedofilia nel Medioevo
1.5.
La pedofilia tra Ottocento e i primi del Novecento
1.6.
Le visioni giustificatrici
Violenza sessuale sui minori e psicoanalisi
2.1.
La cultura della pedofilia: i miti e le leggende
2.2.
La pedofilia nelle fiabe
L'interpretazione psicologica della pedofilia
3.1.
Cenni storico-psicologici sulle perversioni sessuali
3.2.
I fattori psicologici che condizionano la pedofilia
3.3.
Le conseguenze della pedofilia sulla vittima
3.4.
In particolare, le conseguenze della vittima sessuale sui bambini
3.5.
Il danno psicologico
3.6.
Mezzi e strumenti per valutare le conseguenze e il danno psicologico
Il trattamento terapeutico del bambino abusato sessualmente
4.1.
La relazione terapeutica con il minore vittima di abuso sessuale
4.2.
Alcuni principi generali sulla relazione terapeutica
Capitolo IVDue manifestazioni della violenza sessuale sui minori: l'incesto e lo sfruttamento sessuale
L'incesto e gli aspetti psicodinamici
1.1.
La tragedia di Edipo
1.2.
L'incesto e la famiglia
1.3.
Le proibizioni dell'incesto
1.4.
Una possibile causa: la trasformazione sociale del ruolo della donna
1.5.
Il ruolo della madre e la presenza dei fratelli
1.6.
Le conseguenze dell'incesto
Lo sfruttamento sessuale minorile ed il turismo sessuale
2.1.
La prostituzione minorile in Italia
2.2.
La prostituzione minorile nel resto del mondo
2.3.
Cosa rende i bambini vulnerabili allo sfruttamento sessuale?
2.4.
Il turismo sessuale in Romania: i bambini delle fogne di Bucarest
Capitolo VLe interpretazioni e le soluzioni psichiatriche
Pedofilia: i criteri diagnostici
1.1.
I criteri diagnostici del D.S.M
1.2.
I criteri diagnostici di Groth, Lanning, Holmes e St. Holmes e O'Connor
Interpretazioni psicoanalitiche della pedofilia
2.1.
Le relazioni oggettuali e lo sviluppo psicosessuale del bambino dal punto di vista clinico
2.2.
Le relazioni oggettuali e lo sviluppo psicosessuale del bambino dal punto di vista fisiologico
2.3.
Il bambino come oggetto improprio
2.4.
Le conseguenze dell'abuso sessuale
La personalità del pedofilo: aspetti clinici
3.1.
La perizia psichiatrica del pedofilo
3.2.
Un caso triste e terribile: il "mostro di Foligno", Luigi Chiatti
3.2.1.
La storia
3.2.2.
Il rapporto con il sesso
3.2.3.
I delitti
3.2.4.
La sentenza della Corte d'Assise di Perugia
3.2.5.
Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo di primo grado
3.2.6.
La sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia
3.2.7.
Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo d'Appello
Le strategie terapeutiche per la pedofilia
4.1.
Prevenire (in termini terapeutici) la pedofilia, si può?
4.2.
Strategie terapeutiche nell'approccio del pedofilo
4.2.1.
Terapia chirurgica
4.2.2.
Terapia psico-cognitiva-comportamentale
4.2.3.
Trattamento psicoterapeutico
4.2.4.
Terapia farmacologica
Due progetti: l'inglese programma S.T.O.P. e l'italiano programma W.O.L.F
5.1.
Il programma WOLF
5.2.
Il progetto In.Tra. For Wolf nella Casa Circondariale di Prato
5.2.1.
Il Team del progetto In.Tra. For Wolf: intervista alla Dott.ssa Alessandra Scotto
Capitolo VILe strategie di contrasto
I siti e le associazioni antipedofili in rete
I meccanismi di filtraggio
Le agenzie di Rating.
Il contrasto degli organi istituzionali
4.1.
Gli Uffici minori istituiti in ogni Questura
4.2.
La polizia postale e delle comunicazioni
4.2.1.
Il programma O.L.D.PE.PSY
4.2.2.
Intervista al Primo Dirigente della Polizia di Stato, Dott. Diego Buso e all'Agente della Polizia postale e delle comunicazioni di Firenze, Daniele Ciresa
I centri antiviolenza
5.1.
L'Associazione Artemisia di Firenze
5.2.
Il Centro per il Bambino Maltrattato di Milano
5.3.
Le varie associazioni
E noi? Cosa possono la famiglia, la società e la scuola
6.1.
L'educazione come difesa
Conclusioni
Appendice
Bibliografia
fonte: http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/furfaro/
La pedofilia
Un gelo si apprese al loro cuore,e lasciarono cadere le ali.
Saffo
Il termine pedofilia (dal greco pais che significa fanciullo, e philìa amore) potrebbe significare predisposizione naturale dell'adulto verso il fanciullo o intendersi come forma educativa o pedagogica. (1) Esiste un confine sottilissimo tra le intenzioni delle persone e i loro comportamenti. Attenzioni, che in apparenza sembrano dettate da amore e dedizione, possono in realtà mascherare un'inquietante perversione.
Intesa come devianza del comportamento, l'attrazione sessuale di un adulto verso un bambino, sarebbe più appropriata se venisse indicata con l'espressione rapporto pedosessuale. Clinicamente, come verrà meglio analizzato più aventi, la pedofilia viene classificata tra le parafilie, ossia tra i disordini psicosessuali in cui si riscontra una devianza dai comportamenti generalmente accettati e in cui si devono verificare particolari condizioni per suscitare l'eccitazione. (2) La cultura della pedofilia tende a strumentalizzare dati storici ed etnologici, trasformando periodi storici in una pericolosa altalena di mancanze di rispetto dell'infanzia e delle sue prerogative, mescolate all'attrazione sessuale e all'amore educativo, in una sorta di età dell'oro della pedofilia in cui gli adulti potevano dare corso alle loro scorribande amorose con bambini felicemente consenzienti, senza alcun limite. Ecco quindi, che l'antica Grecia viene rappresentata come il luogo storico ideale per gli amori pedofili da contrapporre alla realtà contemporanea, contrassegnata dal furore barbaramente repressivo dell'attuale cultura legislativa.
Per alcuni autori, i comportamenti di abuso sessuale su minori sono sempre esistiti in ogni gruppo umano, ragione per cui non possono essere considerati un incidente storico, ma vanno inscritti e letti all'interno delle relazioni sociali e culturali, assumendo un significato differente a seconda del periodo storico considerato e della cultura dominante. Infatti, come sostiene Schinaia:
Il diverso significato che viene ad assumere la relazione pedofila, la sua relatività storica, prescinde dalla constatazione che c'è la costante presenza di un minimo comune denominatore, che consiste nella dissimmetria esistente nel rapporto tra l'adulto e il bambino o l'adolescente. Tale asimmetria si costituisce in ogni caso come il cardine di una relazione di abuso, al cui interno si determina un divario di potere che nessuna passiva acquiescenza, scambiata o contrabbandata per consenso, potrà annullare o ridurre. (3)
Altri autori (4) hanno pensato di definire la pedofilia non come una perversione, ma come un «pervertimento sociale», in quanto la pedofilia è considerata perversa soltanto in alcune società e in alcuni periodi storici, ma non in altri nei quali invece è considerata un comportamento del tutto naturale. La definizione di pervertimento sociale è sviante e sostanzialmente giustificazionista, perché non tiene conto della complessità e della conflittualità del fenomeno pedofilia anche in quelle società in cui è stato consentito e nomato. Al contrario, se prendiamo in considerazione alcune pennellate storiche, potremo facilmente mostrare come alcune tesi relativiste circa le relazione sessuali con i minori, non hanno tutto quel sostegno storico che dicono di avere, anzi, spesso sono fabbricate allontanandosi dalla verità storica.
1. La cultura della pedofilia: la storia
1.1. La pedofilia nella Grecia classica
La pedofilia ebbe la massima diffusione tra il vi e il iv secolo a.C. a Sparta e Atene. Essa consisteva in una relazione sessuale tra adulti maschi e adolescenti, spesso all'interno di un'esperienza spirituale e pedagogica attraverso la quale l'amante adulto trasmetteva le virtù del cittadino. Il coinvolgimento di molti maestri del tempo, tra cui Socrate e Platone, così come la poesia di Alceo e Anacreonte rendono possibile un'ingente quantità di documenti sulla pederastia - intesa come relazione sessuale di un adulto e un minore in età compresa tra i dodici e i diciotto anni -, considerata lecita e riconosciuta come forma pedagogico-educativa; a differenza della concezione della pedofilia, intesa invece come relazione sessuale con minore di dodici anni, illegale e socialmente riprovevole (5).
Platone aveva indicato come presupposto filosofico dell'insegnamento l'eros, che è nello stesso tempo desiderio, piacere e amore. L'eros avrebbe permesso di tenere a bada il piacere legato al potere a vantaggio del piacere legato al dono (6). In realtà, la mancata elaborazione del rischio seduttivo insito in ogni relazione didattica può aprire le porte alla concretizzazione sessuale dell'eros, come sostiene Weitbrecht:
Tra l'eros paedagogos (cioè l'amore psichico e spirituale dell'adulto verso il giovane discepolo da lui educato e formato) e il graduale scivolamento verso la pedofilia sensuale il passo è breve (7).
L'erastes era l'amante, colui che prendeva l'iniziativa e organizzava il corteggiamento, che si fondava su una serie di diritti, come il godimento di un piacere rapido e rapinoso e di obblighi, quali la protezione e, talvolta, il sostentamento economico del ragazzo. L'eromenion era invece l'amato, il corteggiato, che non doveva essere troppo arrendevole, da non provare direttamente il piacere sessuale, ma godere del piacere procurato all'altro. Il ruolo dell'amato era passivo, si trattava di un contenitore amorfo che avrebbe potuto prendere forma solo attraverso la relazione pederastica con l'erastes.
Per le pratiche amorose esisteva un tempo ben individuato nella vita del ragazzo che doveva essere pubere (i rapporti sessuali con bambini impuberi dovevano essere severamente puniti dalla legge), l'età degli eromenoi, degli amati non doveva essere inferiore a 12 anni. Proteggere l'infanzia, distinguendo la pederastia dalla pedofilia, era costante preoccupazione degli Atenesi, il cui ordinamento prevedeva una complessa normativa per i reati di violenza sessuale sui paides:
se il minore non aveva raggiunto i dodici anni ti età, colui che intratteneva con lui rapporti sessuali di qualunque tipo, commetteva sempre un illecito. Erano previste pene severissime per gli adulti che girovagavano all'interno o presso gli edifici riservati ai minori;
se il paìs aveva un'età compresa tra i dodici e i quattordici anni, il rapporto era consentito, ma solo all'interno di un legame affettivo duraturo e soprattutto mirato ad insegnare al paìs amato le virtù del futuro cittadino; si rientra quindi nel concetto di pederastia (8);
tra i quindici e i diciotto anni, ormai prossimi alla maturità e consapevoli delle loro scelte, i paides potevano scegliere i propri amanti liberamente, ma la società vigilava affinchè essi non fossero tentati di assumere prematuramente un ruolo virile, deleterio per una crescita armoniosa della personalità e per la stessa società. (9) Plutarco però, afferma che nonostante le norme, le violenze sessuali su bambini di età inferiore ai 12 anni da parte di pedagoghi e insegnanti dovevano avvenire regolarmente.
Inoltre, nonostante fosse considerato infame intrattenere relazioni con bambini piccoli, per quanto è dato di conoscere nessuna sanzione penale ha trovato mai applicazione, nonostante i ripetuti abusi su bambini con meno di dodici anni. (10)
Analizzando i testi più attentamente però, possiamo notare che la legittimazione della pratica pederastica è oggetto di opinioni conflittuali: da un lato sembra che essa fosse valorizzata da grandi Opinion Makers, che ne celebravano l'accettazione culturale e sociale, l'eccellenza intellettuale e l'estrema necessità nell'educazione di ogni ragazzo; dall'altra sembra esserci regioni, come la Jonia, dove tale pratica veniva combattuta, un'affermazione questa, desumibile dalla virulenza con cui Platone, nel Simposio, si oppose a tale divieto: "Dove si è decretato che è vergognoso concedersi agli amanti, ciò viene stabilito per la bassezza dei legislatori, per l'arroganza dei dominatori, per la viltà dei sudditi" (11).
A un'apparente accettazione sociale, si accompagnavano atteggiamenti assai diversi quali il disprezzo per i giovani troppo facili o troppo interessati e la disistima degli uomini effeminati. Inoltre, veniva punita l'omosessualità a carattere pornografico o mercenario.
La pratica pederastica, sebbene diffusa, appare attraversata da un intricato gioco di valorizzazioni e svalorizzazioni, tali da rendere difficilmente decifrabile sia la morale che la regola. Se da un lato è incoraggiata, dall'altro, però, si vede la cura che mettono i padri nel proteggere i figli dalle tresche o nell'esigere dai pedagoghi che le impediscano e si sentono i coetanei e i compagni biasimarsi fra loro "se vedono accadere qualcosa di simile" (12). Da una serie di particolari presenti nell'opera di Platone più volte citata, emerge, seppur a fatica, una vigorosa ostilità rispetto alle pratiche pedofile, che, se da un lato vengono idealizzate come viatico formativo alla sapienza e alla cultura, dall'altro vengono temute come fonte di sopraffazione, anche se spesso ammantata di sapere e cultura. Come sostiene Calasso:
L'intreccio tra un corpo da conquistare come una fortezza e il volo metafisico è, per Platone, l'immagine stessa dell'eros. Infatti l'amato si concederà perché desidera educazione e sapienza di ogni specie (13).
L'introiezione del sapere passa anche attraverso l'annullamento fisico, la passività, lo scambio tra sapere e piacere. L'amato esiste soltanto in funzione dell'amante, non ha una sua psicologia, una sua autonomia, ma si connota soltanto come fonte e oggetto di piacere, pronto a ripagare con il suo corpo l'offerta di sapienza e cultura che gli viene porta dal maestro o dal comandante militare (14).
In una nota aggiunta nel 1909 ai Tre saggi sulla teoria sessuale, Freud scrive:
La differenza più incisiva tra la vita amorosa del mondo antico e quella nostra risiede nel fatto che l'antichità sottolineava la pulsione, noi invece sottolineiamo il suo oggetto. Gli antichi esaltavano la pulsione ed erano disposti a nobilitare con essa anche un oggetto inferiore, mentre noi stimiamo poco l'attività pulsionale di per sé e la giustifichiamo soltanto per le qualità eminenti dell'oggetto (15).
Le parole di Freud sull'evoluzione culturale legata anche alla capacità di stabilire relazioni oggettuali possono essere sottoscritte ancora oggi ed esprimono una critica a pratiche in cui sono evidenti l'asimmetria di potere e la totale assenza di considerazione del mondo emotivo del ragazzo nobilitato e valorizzato non per le proprie qualità, ma dalla pulsione sessuale dell'adulto. Un aspetto interessante della questione è rappresentata dal fatto che la relazione omosessuale del tempo, non era a senso unico, naturalmente con motivazioni molto diverse nell'approccio amoroso. (16) Saffo ci parla delle pene severissime previste per gli adulti che venivano sorpresi all'interno delle scuole e che non fossero genitori o parenti stretti degli alunni. (17) Saffo, che era a capo di una comunità di giovanette, oltre ad essere maestra all'interno dell'intelletto, lo era anche del corpo; alla sua scuola, aperta al fascino della bellezza e del sesso, le ragazze si amavano intensamente ed in modo appassionato. Questa dimestichezza tra donne adulte e fanciulle assumeva a Sparta, Lesbo e Mitilene, tutti gli aspetti di una preparazione al matrimonio che si qualificava con tutti i caratteri della pedofilia. (18) A Sparta, Lesbo e Mitilene e in altre zone della Grecia, donne adulte usavano avere delle amanti tra le adolescenti, ed era costume unirsi alle ragazze prima del matrimonio, nello stesso modo in cui questi riti iniziatici venivano fatti con i ragazzi da parte di adulti maschi. Per le minori, il legame omoerotico era di esclusivo uso prematrimoniale. Nell'antica Grecia assumeva quindi rilevanza una relazione che oggi potremmo definire pedofilia.
1.2. La pedofilia nel mondo romano
Presso i Romani, la pederastia ha continuato a essere praticata, ma, in un certo senso, ha subito una sorta di disinvestimento filosofico; il ragazzino libero è sostituito dallo schiavo e dal figlio dello schiavo e, talvolta, dal nemico sconfitto, andando così persa, come ci spiega Foucault, l'eredità della grande speculazione greca sull'amore per i ragazzi, sostituita dalla tendenza alla brutalità e alla sopraffazione (19). Ed è Cantarella che, nella sua opera Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, offre una chiarificazione di quanto sostenuto da Foucault:
Il giovane romano veniva educato, sin dalla più tenera età, a essere un conquistatore. Imporre la propria volontà, assoggettare tutti, dominare il mondo: questa la regola di vita del romano. E la sua etica sessuale, a ben vedere, altro non era che un aspetto della sua etica politica...
...Cicerone nelle sue invettive moralistiche, non condanna l'omosessualità in quanto tale: condanna solo quella forma particolare di omosessualità che è la pederastia, nel senso ellenico del termine, vale a dire l'amore per i ragazzi liberi (20)...
All'omosessualità in definitiva, veniva posto un solo limite: mai ragazzi liberi, che da grandi avrebbero dovuto imparare a imporsi e non a subire i desideri altrui. Infatti, racconta Plutarco che i romani usavano mettere al collo dei figli una bulla d'oro, affinchè, «quando giocavano nudi, non venissero scambiati per degli schiavi e fatti oggetto di tentativi di seduzione» (21). Il problema non tanto era andare con uno schiavo, ma «assumere un modello di vita non consono al modello austero e rigoroso che i romani continuarono ad esaltare e propagandare, anche quando l'aumento della ricchezza introdusse nella città nuovi lussi e nuove mollezze» (22). Oppure avere una relazione con lo schiavo di un altro, perché ciò avrebbe comportato una diminuzione di rendimento della forza - lavoro rappresentata dallo schiavo.
È famosa la Lex Scatinia, in materia di pederastia, secondo la quale in caso di rapporto fra adulti e puer o praetextati (da praetexta, la tunica bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi ancora non maturi sessualmente) veniva punito solo l'adulto (23). L'omosessualità e la pedofilia, non erano condannate se praticate con schiavi e liberti (in quanto era dovere di questi, compiacere in tutto e per tutto le volontà del loro padrone), era considerato deprecabile solo che un cittadino libero assumesse un ruolo passivo nei confronti di un altro suo pari. Della Lex Scatinia, nata a seguito di un episodio di "stupro" del quale fu vittima il figlio dell'edile Claudio Marcello, non è mai pervenuto il testo ed in relazione alle fonti che la richiamano, si è potuto dedurre che, in caso di omosessualità tra due cittadini liberi, veniva punito quello che tra i due assumeva l'atteggiamento passivo. La multa era molto salata e ammontava a circa 10.000 sesterzi (24).
La successiva Lex Iulia de adulteriis (18 a.C.) puniva lo stupro solo nei confronti degli uomini liberi, per i servi vi era una sorta di risarcimento in favore del dominus "ex Lege Aquilia". (25)
Con l'imperatore Dominiziano, si cercò di intervenire indirettamente sui rapporti fra padroni e servi, con l'imposizione del divieto di "facere eunichos" castrazione "libidibis causa", cercando in tal modo di eliminare quelle condizioni che favorivano i rapporti contro natura. Il Cristianesimo fornì le basi religiose per la condanna di ogni comportamento non eterosessuale ed in quanto tale "contra naturam", non naturalmente preordinato alla procreazione.
Nel Codex Theosodianus vennero recepite due "constitutiones" (databili rispettivamente al 342 e 390 d.C.), che reprimevano l'omosessualità in genere con previsione della pena capitale o di quella mutilante. Con Giustiniano (483-565 d.c.), imperatore cristiano, ogni manifestazione di omosessualità fu bandita perché in ogni caso offendeva il Signore (26), con riordino del sistema della persecuzione criminale e con pena di morte per "infanda libido", formulando anche un giudizio morale (infanda = innominabile).
1.3. Paganesimo, cristianesimo e i diritti del bambino
Il mondo pagano in generale, non riuscì a comprendere l'identità umana e la dignità del fanciullo, e non poteva comprenderla, perché partiva dal presupposto che il fanciullo non fosse persona e non godesse di conseguenza, dei relativi diritti. Una concezione questa che condusse al disprezzo e ad ogni forma di abuso verso i minori. Oggi è diffusa la convinzione che l'ordine ed il progresso morale di un popolo, la pratica fedele e costante della giustizia, la rettitudine e l'onestà nelle vicendevoli relazioni sociali, dipendono in gran parte dal giusto concetto della persona umana e dal riconoscimento dei suoi diritti. (27) È quasi fisiologico che il disprezzo della persona umana e gli attentati ai suoi valori, producano squilibri e sconvolgimenti nella compagine sociale. Di questo atteggiamento furono vittime nel mondo pagano soprattutto la donna, lo schiavo e il fanciullo. Scrive Baudrillart:
Non vi è forse materia, in cui tra la società antica e pagana e la società cristiana e moderna, l'opposizione sia più accentuata che i loro modi rispettivi di considerare il fanciullo. (28)
L'opposizione si riduce in sostanza al fatto che il mondo pagano non tutelò sufficientemente i diritti del fanciullo, mentre la tutela piena di questi diritti è stata uno dei cardini della restaurazione morale operata dal Cristianesimo. La filosofia pagana, con i suoi sofismi e con i suoi errori, consacrava spietate tradizioni e teorie giuridiche innaturali, così che, ad esempio per il sommo Aristotele l'aborto è un obbligo sociale: ciò che importa è troncare la vita del nascituro prima che questi abbia la sensibilità; solo da ciò può dipendere se l'atto sia onesto o delittuoso.
Platone teme quanto Aristotele la sovrappopolazione ed è pronto ad ammettere l'aborto, cioè il mezzo per evitarla (l'aborto era largamente diffuso e praticato con cinismo nell'antichità pagana). (29) Alle teorie dei filosofi e dei legislatori della società pagana, vengono contrapposte le dottrine della società cristiana, i principi della nuova religione. I Padri e gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli sono unanimi nel condannare l'infanticidio, l'esposizione, la vendita dei fanciulli. (30) Agli dei, maestri crudeli di infanticidio e agli uomini imitatori di questi dei, Tertulliano oppone la condotta dei cristiani e scrive:
A noi cristiani l'omicidio è espressamente vietato, e quindi non ci è permesso neppure di sopprimere il feto nell'utero materno. Impedire la nascita è un omicidio anticipato. Nulla importa che si sopprima una vita già nata o la si stronchi sul nascere: è già essere umano quello che sta per nascere. Ogni frutto è già nel suo seme. (31)
L'argomento dei diritti del fanciullo come "persona", soggetto di diritto, è trattato da Sant'Agostino con notevole ampiezza: il suo pensiero riassume al parte migliore e più sicura delle fonti patristiche (32).La dottrina dei Padri, forma dunque una barriera impenetrabile posta a difesa e protezione della vita del fanciullo. La Chiesa ve ne aggiunge una seconda. Per mettere sempre più al sicuro la vita e l'innocenza del fanciullo, stabilisce gravissime pene contro coloro che abusano della debolezza della giovane età.
Quella che è vissuta come l'eccessiva severità della Chiesa, sembra spiegarsi con il tempo e le circostante. I primi periodi del Cristianesimo, quando i neofiti uscirono dal paganesimo (dove ogni giorno erano stati testimoni dell'infanticidio), l'esposizione e l'abuso sessuale dei bambini dovevano essere considerate condotte da reprimere e perseguire penalmente con forza e decisione. Le innovazioni del Cristianesimo, pur rimanendo apparentemente entro la cerchia etica e religiosa, esercitarono una decisa influenza sull'ordine giuridico, animando a poco a poco di uno spirito evangelico le leggi civili, specialmente quando il Cristianesimo ottenne il riconoscimento ufficiale dallo Stato. Declina così lentamente l'assolutismo della patria potestas, che diviene paterna pietas. (33) Già alcuni imperatori romani, ancor prima di Costantino, avevano mitigato la precedente tradizione e normativa sui minori, apportando delle modifiche (34) che taluni attribuiscono in parte all'influsso del pensiero cristiano, anche se la religione di Cristo andava ancora sviluppandosi nelle catacombe.
Fu soprattutto Costantino Magno che pervase le sue leggi sull'infanzia di un sentimento di carità cristiana sconosciuto ai suoi predecessori. Per riabilitare il fanciullo, egli pone nel numero dei delitti sociali ogni attentato alla vita o alla libertà dei minori ed estese il castigo del parricida, al padre che uccide il proprio figlio. Ma l'imperatore andò oltre: per togliere ogni pretesto di vendere i figli, ordinò che i parenti poveri ricevessero alimenti dal tesoro pubblico:
Tutte le città d'Italia abbiano conoscenza di questa legge, che ha per oggetto di distogliere la mano dei genitori dal parricidio e di ispirare loro migliori sentimenti. Se dunque un padre e una madre hanno figli e per l'estrema indigenza non possono nutrire e vestire, il tesoro dell'impero ed il mio particolare vi provvedano senza ritardo, perchè i bisogni di un neonato sono troppo urgenti. (35)
La legislazione di Costantino in alcuni punti è ancora incerta e fluttuante, specialmente per quanto riguarda l'usanza di vendere e di esporre i fanciulli. (36)
Ma verrà compiuta e perfezionata dai suoi successori e il tempo man mano svilupperà le conseguenze pratiche dei suoi principi. (37) A questo sviluppo coopererà sempre la Chiesa invocando, spronando, suggerendo, diffondendo un'adeguata cultura di difesa e basandosi su nuovi principi giuridici che andavano modificando l'indirizzo di potere, presente nel diritto romano e barbaro. Se poi, nonostante le leggi divine e umane, genitori snaturati continuano ad abbandonare i propri figli, la Chiesa viene prontamente in loro soccorso allestendo asili, orfanotrofi che sorgono all'ombra dei suoi templi e dei monasteri. (38) In realtà c'è anche da considerare il rovescio della medaglia. Spesso l'abuso si nasconde dietro ad un silenzio, il silenzio ottenuto con minacce e con ritorsioni e spesso percosse, silenzio dei vicini (39), un silenzio che viene dal passato, in molti casi più che voluto.
Un silenzio, frutto della distruzione dei testi che documentavano la pedofilia. Senza dubbio, ebbe parte non trascurabile l'opera degli amanuensi cristiani che, probabilmente a corto di pergamena sui cui trascrivere i testi sacri o di autori cristiani, raschiarono le testimonianze letterarie "scandalose", mai più pervenute ai posteri. E per valutare la portata di questa circostanza, basti pensare a quello che traspare, ad esempio, dai resti di scarse testimonianze in materia, che si possono, invece, raccogliere nelle Vite dei Dodici Cesari di Sventonio (40) o in qualche altro testo pervenuto a noi dalla letteratura libertaria greca e latina. Nonostante la volontà di tutelare i bambini, dichiarata, ribadita, quasi urlata, è mantenuto questo antico silenzio, che si spiega soprattutto perché legato al presupposto che, trattandosi - nel caso della pedofilia - di una cosiddetta "perversione sessuale", doveva relegarsi tra le aberrazioni non soltanto innominabili, ma necessariamente limitate nei suoi termini quantitativi. E può anche essere interessante, oltre che significativo, registrare che, negli stessi manuali o dizionari di teologia morale cristiana e cattolica mancava, fino a qualche decennio fa, la voce "pedofilia", menzionata appena - e neppur sempre - tra le cosiddette "perversioni sessuali".
Comunque, anche l'associazione "pedofilia-violenza" può spiegare il silenzio, fino a tempi recenti, della stessa Chiesa cattolica, la cui morale, peraltro, non è certamente scarsa in materia di sessualità. (41) Sarà stato senz'altro difficile per la Chiesa tutelare i diritti del fanciullo, quando non aveva nemmeno il coraggio di chiamare con il loro nome certi comportamenti.
1.4. La pedofilia nel Medioevo
La tradizione giudaico-cristiana, pur costituendo un deterrente nei confronti della pedofilia omosessuale (in quanto considerava naturali i rapporti eterosessuali e "contro natura" i rapporto omosessuali sia nella posizione attiva che in quella passiva), risultava meno incisiva nella difesa delle bambine. In pieno Medioevo infatti, il matrimonio tra una bambina di 10 anni e un uomo molto più anziano non rappresentava un'eccezione, anche se la legge fissava a 12 anni l'età minima per contrarre un matrimonio (42). Nonostante di pedofilia non si potesse neanche parlare a causa delle convinzioni etico-religiose del tempo, nel xiii secolo la scoperta di numerosi contratti con cui si affittavano bambini a padroni prova quanto fosse diffusa l'usanza di un apprendistato in casa di estranei, dove normalmente si stabiliva una sorta di promiscuità relazionale che facilitava la possibilità di contatti sessuali tra adulti e bambini.
È nell'ambito di questa dimensione socioeducativa che va inquadrata la vita del bambino all'interno della bottega d'arte, dove l'artista assumeva contemporaneamente diversi ruoli: padre putativo, maestro, padrone.
Gli apprendisti (noti come "garzoni" o "discepoli") avevano di solito meno di quattordici anni e potevano averne anche soltanto sette. Abitualmente essi imparavano il mestiere traendo copie dai disegni della collezione di bottega [...]. Usavano inoltre fare lavori occasionali, come macinare i colori, fino a quando non fossero pronti ad assistere i più anziani nelle imprese più difficili (43).
La relazione maestro-discepolo, allontanandosi da ogni idealizzazione, si dipana in una continua e feconda oscillazione tra i poli dell'autenticità e dell'inautenticità, della creatività e della ripetitività, della dialogicità e del potere, della seduzione e della scoperta di sé, del fare umanità e del fare disumanità (44). Lo slittamento verso una di queste polarità porta a uno sbilanciamento e, talvolta, a un pervertimento della relazione, che acquisisce connotazioni che la trasformano e la deformano (45). L'asimmetria rispetto alle esperienze, ai saperi, all'autorità e al potere non può essere negata o rimossa, ma è una delle costituenti della relazione didattica ed entra in oscillazione con la tendenza alla simmetria, all'unisono, alla magica intesa, per cui l'uno realizza il desiderio dell'altro nell'essere proprio lì dove l'altro si aspetta (46). Ogni relazione docente-discente contiene in sé il rischio dell'investimento narcisistico da un lato e dell'idealizzazione acritica dall'altro.
Il maestro, confortato dalla potenzialità pura del gesto infantile, vede nel discepolo se stesso idealizzato, e tende a porre in lui ogni speranza di superamento dei propri limiti con vissuti risarcitori proiettati nel discepolo. I rapporti possono diventare simbiotici, privi di ogni spazio dialogico, dove l'altro, il bambino, esiste solo come proiezione del sé ideale del docente, come sua estrema propaggine. D'altro canto, per l'allievo il maestro può rappresentare l'oggetto d'identificazione, il porto sicuro, il padre onnipotente, portatore di ogni bene e di ogni male in opposizione al padre cattivo, quello che concretamente lo ha allontanato da casa, sottraendolo alla sua protezione e alle cure materne.
La particolare e rarefatta qualità estetica che caratterizza gli umori, le emozioni e, quindi, gli affetti all'interno dei rapporti che si stabiliscono nelle botteghe d'arte rappresenta un ulteriore elemento da prendere in considerazione come favorente la possibilità d'instaurarsi di relazioni amorose, talvolta francamente sessuali tra adulti e ragazzi. La bellezza del corpo infantile e adolescenziale, così spesso riprodotta nelle opere d'arte, la sua levigatezza, quel tratto di potenzialità pura che precede la costituzione delle caratteristiche sessuali secondarie, facilitano la sensualità dei rapporti e il desiderio di possesso anche corporale della Bellezza, suprema e inarrivabile aspirazione dell'artista del tempo (47). La bottega di Leonardo da Vinci (1452 - 1519), in cui venivano respirati meraviglia, fascino e ammirazione per i prodotti artistici, ma anche per le grandi scoperte scientifiche, è un esempio in cui appare chiara la trasformazione dal rapporto didattico a relazione omosessuale pedofila, già subita sembra, dallo stesso Leonardo che a sedici anni fu mandato nella bottega di Andrea Verrocchio, il migliore pittore, orafo e scultore che Firenze offriva in quel periodo.
Le relazioni pedofile non possono, però, essere concentrate soltanto nello spazio apparentemente rarefatto, talvolta greve e sordido, delle botteghe d'arte, luogo sostanzialmente provvisto di una sorta di extraterritorialità etica, come molti aspetti dell'esistenza degli artisti. Vi sono forme di pedofilia meno sublimate, meno investite. Nella Firenze del xiv secolo pullulavano ragazzini e ragazzine che vendevano il loro corpo (48). Le Roy Ladurie, ricostruendo la storia di un villaggio occitanico del 1300, chiarisce l'iniziazione all'omofilia di un bambino di 12 anni, che:
era andato a studiare grammatica presso un prete. Successivamente il bambino, violentato, diventa pederasta attivo [...]. Questi scolari più o meno ingenui, sono posseduti dall'ex scolare che un tempo era stato sedotto a scuola: riproduzione culturale (49).
Le Roy Ladurie sembra rilevare che la sodomia e la pederastia sono pratiche che si svolgono nelle città, anche se gli scolari sedotti sono generalmente di nascita campagnola, ma di famiglia abbastanza agiata che, pertanto, ha motivi e possibilità per mandarli a studiare in città. Deduzione opinabile a mio avviso, anche se sicuramente l'allontanamento precoce dal nucleo familiare, comunque si realizzi, è un elemento che favorisce la fragilità, la minore capacità di difesa contro gli attacchi seduttivi dell'adulto, la minore protezione del bambino.
Una delle differenze tra i comportamenti pedofili dell'antichità e quelli dal Medioevo in poi risiede nella variabile denaro, che bene si inserisce via via nel contesto socioeconomico di un Occidente sempre più ricco e industrializzato (50). L'abuso sessuale sul bambino non assume un grande significato di riprovazione sociale, in quanto, come sottolinea Ariès, è proprio il sentimento dell'infanzia che risulta carente, se non assente, in questo periodo storico (51).
L'invenzione dell'infanzia come mondo separato, categoria concettuale, problema sociale e fase della vita (e non come mera fase di transizione) ha fatto storicamente notizia a partire dal xiv secolo. La comparsa di uno specifico atteggiamento nell'adulto nei confronti del bambino va ricercata in età moderna con l'affermazione della famiglia borghese. Quel poco che si sa del passato del non - adulto è relativo per lo più ai maschi e ai bambini dei ceti elevati, ma riguarda maggiormente una condizione collettiva, tutto sommato anonima, oppure singoli fatti eccezionali e non rappresentativi di una condizione bambina (52). Negli scritti dei Padri della Chiesa la parola fanciullo designava il luogo dell'imperfezione. Le debolezze infantili erano la prova vincente dell'esistenza del peccato originale e della viziosità della natura umana.
Sant'Agostino chiamava "peccati" tutte quelle azioni che nei fanciulli rivelavano fragilità e malizia: avidità, prepotenza, ribellione, gelosia ed egoismo (53). L'infanzia, soprattutto la prima infanzia, era una mancanza, un non essere, una privazione, un'anormalità, un'infermità. Soltanto nei secoli della rinascita la riscoperta dell'uomo nella sua naturalità aprirà la porta al riconoscimento delle potenzialità infantili e a un maggior senso di tenerezza.
Partendo da questi elementi contraddittori si combinarono norme preventive e provvedimenti repressivi, che abituavano fin dalla nascita a una certa estraneità del corpo e che proibivano gesti affettuosi da parte di genitori, maestri e adulti in genere verso i bambini e fra bambini stessi. De Mause (54) scrive:
Purtroppo la concezione del bambino come essere innocente e incorruttibile è la più comune difesa adottata da coloro che li molestano, per negare che le loro violenze gli rechino danno (55).
Nel tratteggiare il clima familiare in questo periodo storico, Ariès ricorda che la mancanza di riserbo per le cose sessuali nei confronti dei bambini era totale; era frequente un certa
licenza di linguaggio, peggio ancora gesti audaci, contatti di cui è facile immaginare cosa direbbe un moderno psicoanalista, ma lo psicoanalista avrebbe torto. L'atteggiamento davanti alle cose del sesso, e senza dubbio la sessualità stessa, variano in rapporto all'ambiente e, di conseguenza, in rapporto alle epoche e alle mentalità (56).
Nel sottolineare la necessità di evitare qualunque interpretazione che non tenga conto delle abitudini comunicative del tempo, Ariès entra in diretta polemica con le concezioni psicostoriche di De Mause (57), che descrive la storia dell'infanzia come un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci.
Più si va indietro nella storia, più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali. Per De Mause il meccanismo centrale di tutta l'evoluzione storica è la psicogenesi, una forza spontanea presente in ogni relazione adulto-bambino che permette agli adulti di rivivere il proprio trauma infantile nei propri figli e di soddisfare i bisogni infantili e le relative ansie di indipendenza, in condizioni migliori della prima volta.
Ed è ancora De Mause a sostenere che le violenze sessuali sui bambini abbondavano e che in esse, sostanzialmente, il bambino era solo una vittima casuale, in misura del ruolo da lui sostenuto nell'apparato difensivo dell'adulto:
l'utilizzazione dei bambini come capri espiatori per alleviare il conflitto interno individuale fu la strada per mantenere la nostra omeostasi psicologica collettiva. Coloro che osarono opporsi a questa fantasia collettiva corsero il rischio di essere dichiarati sacrileghi e considerati perturbatori della pace mondiale (58).
Certamente è importante il valore che ciascuna delle due teorie assegna ai comportamenti pedofili nel Medioevo; resta, però, in ogni caso la sensazione di un bambino poco difeso, non riconosciuto nella sua individualità, negato nei suoi bisogni specifici, oppure trasformato in oggetto passivo transeunte, di volta in volta vittima, ma anche protagonista di una violenza diffusa (59). Una sensazione questa, rafforzata anche dall'accentuazione che, in alcune fasi storiche e in differenti luoghi dell'Europa, assunse la violenza nei confronti dei bambini, che ritenuti posseduti dal demonio, vennero torturati e spesso bruciati vivi affinchè potessero espiare le loro colpe. Questi bambini furono sacrificati sull'altare di un meccanismo inquisitorio crudele e aberrante. Eveline Hasler ha rintracciato le fonti che documentano due di questi episodi, accaduti a Lucerna nel 1652 e nell'Alta Svevia nel 1658, e ne ha ricavato un romanzo di notevole suggestione, La strega bambina (60). Il primo caso espone la vicenda di una bambina undicenne arsa sul rogo perché si era vantata di saper "fare uccelli". Il secondo riguarda due fratellini riconosciuti colpevoli di stregoneria e di commercio con il demonio, che vennero custoditi per quattro anni in un convento femminile fino al raggiungimento della pubertà, vale a dire della "capacità" di subire le conseguenze penali delle loro presunte azioni; soltanto allora furono uccisi. In un periodo di oscurantismo religioso, l'immaginazione e i voli di fantasia tipici dell'infanzia in ogni tempo e in ogni paese diventarono un reato passibile di condanna capitale. Questi bambini non furono altro che i capri espiatori su cui sfogare libidini, autoritarismo, risentimenti politico-religiosi, superstizioni e paure. Nel romanzo, l'autrice stabilisce un felice confronto tra l'animo incorrotto dei fanciulli e il mondo della natura, esposti rispettivamente all'aggressione delle perversioni e allo sfruttamento economico degli adulti.
1.5. La pedofilia tra fine Ottocento e i primi del Novecento
Nell'ottocento è possibile individuare in modo netto due rappresentazioni sociali prevalenti del bambino. Al bambino innocente e all'infanzia intesa come sinonimo di bontà dell'Emile di Rousseau (61), un impasto di primitivismo e di irrazionalismo, si contrappongono il bambino colpevole secondo la dottrina cristiana, del peccato originale, e l'infanzia come luogo dell'imperfezione secondo il pensiero di Agostino (62).
Le debolezze infantili non volontarie e coscienti sono la prova dell'esistenza del peccato originale e della viziosità intrinseca alla natura umana. La convinzione prevalente che la natura del bambino fosse più incline al male che al bene implicava la necessità di svolgere una continua azione di correzione, che si espletava anche attraverso modalità violente, per sviluppare il carattere e la ragione. Tale convinzione favorì il consolidarsi di un sistema educativo incentrato sulla necessità di reprimere, frenare e rettificare la naturale inclinazione dei bambini al male, che fu vincente sulle teorie rousseauniane, secondo le quali i bambini dovevano essere lasciati crescere liberi e indipendenti. Rousseau, reinterpretando la dottrina del peccato originale, insisteva sulla dimensione naturale umana e sulla sua basilare importanza nell'arte di formare gli uomini (63). Questa dicotomia si perpetuò anche nel Novecento, anzi fu proprio l'immagine luciferina, delinquenziale a prendere il sopravvento scientifico, nonostante le fotografie, la pubblicità e tanta letteratura tendessero a favorire il vissuto di innocenza angelicata dell'infanzia. Il bambino nelle fotografie del tempo andava travestito da adulto in miniatura, con tutti i connotati dell'eleganza e del distacco, o da Cupido giocosamente impertinente, o da dolce fatina.
Amodeo (64), sostiene che l'innocenza è assente nella storia del bimbo fotografato e che la storia della fotografia colta, è piena di bimbi che sembrano alieni, esseri stranieri, maschere, travestiti, trasfigurati. Per Cesare Lombroso (65) l'innocente inteso come sinonimo di fanciullo non aveva senso, in quanto l'uomo nasce come criminale assoluto e l'educazione consiste sostanzialmente nel recupero del bambino in un tipo sociale, dimostrandogli che nuocere agli individui della sua stessa specie e medesimo ambiente nuoce in definitiva a ciascuno:
Il senso morale manca certo ai bambini nei primi mesi ed anche nel primo anno di vita. Per essi il bene e il male è ciò che è permesso o proibito dal papà e dalla mamma, ma non una volta sentono da per sé quando una cosa sia male...
...i fanciulli hanno in comune coi selvaggi e coi criminali la nessuna previdenza; un avvenire che non sia immediato o non paia tale. Avere un piacere dopo otto giorni o dopo un anno per loro è uguale. (66)
Sostanzialmente, la conclusione che Lombroso sembra trarre dunque, è che la tendenza generale dei fanciulli è criminosa e solo la buona educazione può spiegare la normale metamorfosi che avviene nella maggioranza dei casi. È l'immagine di un bambino cattivo da correggere e redimere, pertanto, a prevalere nella cultura del tempo e a informare di sé non solo le teorie pedagogiche, ma anche le teorie psicologiche e la stessa psicoanalisi.
Nel pensiero di Freud si rilevano movimenti non lineari, dissimmetria e anche contraddizioni, che testimoniano dell'intenso lavoro che fu alla base della costruzione di un coerente pensiero psicoanalitico. Il bambino freudiano assume una sua grandiosità quando alberga all'interno dell'adulto, quando si muove nelle pieghe del suo inconscio e se ne fa rappresentante, quando cioè, viene costruito come bambino psicoanalitico e diventa protagonista dell'interrogazione scientifica, mentre diventa un oggetto di scarsa rilevanza e considerazione, quando viene osservato nella sua realtà anagrafica, nella concretezza dei quotidiani bisogni e limiti, nella relazione con l'adulto.
Anche Anna Freud (la più famosa dei sei figli di Sigmund Freud e Martha Bernays, che continuò le ricerche del padre nell'ambito della psicoanalisi infantile), sostiene che sovente l'uomo ama di più i bambini teorici dei suoi modelli, che non quelli reali (67). Se però, Sigmund Freud, nella sua opera Casi Clinici, 3: Dora: frammento di un'analisi d'isteria: 1091 (68) tratta Dora, la protagonista, con evidenti atteggiamenti autoritari e impositivi, questi si stemperano e lasciano il posto a una nuova sensibilità che Freud dimostra in un'altra opera, Casi clinici, 4: il piccolo Hans: analisi della fobia di un bambino di cinque anni, (69). Tale notevole modificazione di atteggiamento rimanda alla concomitante autoanalisi di Freud, attraverso cui riallaccia i fili della sua infanzia (70). Il bambino che affiora dalle annotazioni successive è un bambino sano e dotato di una risposta intelligente e curiosa, orientata alla realtà e alla relazione e aperta alla vita e alla novità; un bambino spesso costretto a sottrarsi al confronto con gli adulti a causa del loro non ascolto, della loro inattendibilità e talora lampante nocività, con grave perdita e danno per il suo ulteriore sviluppo (71). Se nel primo Freud possiamo notare un intento preventivo ed educativo, quando esplicitamente rimprovera i genitori per le scarse attenzioni rivolte al rischio che i bambini corrono di subire abusi sessuali da parte degli adulti (72), nei Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905 (73) il bambino viene definito come "perverso polimorfo", indicando nella perversione una specie di primo sviluppo della sessualità, e ancora in Un bambino viene picchiato del 1919 (74), ci viene detto che la fantasia perversa attrae il bambino e lo conquista nell'infanzia. Questa intuizione è stata utile perché ha contribuito a depatologizzare la perversione permettendone una comprensione aliena da condanne sociali, però ha introdotto un elemento di forte ambiguità (75).
Caper (76) sottolinea che è erroneo equiparare il primitivo e il patologico. La perversione attiene al campo del sessuale ma, diversamente dal polimorfismo (77), contiene una caratteristica distruttiva non sessuale. Già Meltzer, (78) aveva differenziato la sessualità polimorfa da quella perversa: mentre la seconda rimanda a un attacco distruttivo alla simbolizzazione della coppia genitoriale, la sessualità polimorfa appartiene al regno della sessualità indifferenziata.
Nel Disagio della civiltà (79), Freud descrive la naturalità della condizione umana come un coacervo di violenza e aggressività, seppure fantasticate, mai completamente imbrigliate però, dal Super-Io. Istinti aggressivi e passioni primitive che portano allo stupro, all'incesto, all'omicidio costituiscono un inconscio per sua natura immorale e sono tenute a freno in maniera imperfetta dalle istituzioni sociali e dal senso di colpa. L'infelicità umana deriva dal fatto che, a causa della civiltà, l'individuo è costretto ad aderire a un sistema che entra in conflitto con quello primitivo. Le nevrosi e le perversioni sarebbero figlie dell'eterno conflitto natura-cultura, della socialmente necessaria censura delle pulsioni sessuali primitive. Bisognerà attendere la psicoanalisi moderna per attribuire al bambino riconoscimento e conservazione dell'integrità e della sua capacità relazionale. Tra il bambino angelico e il bambino perverso, trova una sua collocazione un nuovo bambino, il bambino relazionale, che verrà osservato in una dimensione evolutiva che si realizza in rapporto alla presenza della madre.
Green (80) parla di rèverie del legame che intercorre fra i genitori e fra il bambino e il padre, una rèverie del ricongiungimento triangolare, di cui la madre è il luogo comune. Il bambino quindi, assume le caratteristiche di persona integra, seppure in via di sviluppo, e integrata all'unità materna.
Per Masud Khan (81), quando la madre depressa non è in grado di stimolare adeguatamente il potenziale libidico, il bambino è costretto a utilizzare sostitutivamente la superficie corporea e gli orifizi: in tal modo l'erotizzazione prende il sopravvento nel processo di crescita. La naturale perversione presente nelle prime formulazioni freudiane lascia il posto alla naturale integrità del bambino, che può essere messa in questione dalla incapacità contenitiva della madre.
Un gelo si apprese al loro cuore,e lasciarono cadere le ali.
Saffo
Il termine pedofilia (dal greco pais che significa fanciullo, e philìa amore) potrebbe significare predisposizione naturale dell'adulto verso il fanciullo o intendersi come forma educativa o pedagogica. (1) Esiste un confine sottilissimo tra le intenzioni delle persone e i loro comportamenti. Attenzioni, che in apparenza sembrano dettate da amore e dedizione, possono in realtà mascherare un'inquietante perversione.
Intesa come devianza del comportamento, l'attrazione sessuale di un adulto verso un bambino, sarebbe più appropriata se venisse indicata con l'espressione rapporto pedosessuale. Clinicamente, come verrà meglio analizzato più aventi, la pedofilia viene classificata tra le parafilie, ossia tra i disordini psicosessuali in cui si riscontra una devianza dai comportamenti generalmente accettati e in cui si devono verificare particolari condizioni per suscitare l'eccitazione. (2) La cultura della pedofilia tende a strumentalizzare dati storici ed etnologici, trasformando periodi storici in una pericolosa altalena di mancanze di rispetto dell'infanzia e delle sue prerogative, mescolate all'attrazione sessuale e all'amore educativo, in una sorta di età dell'oro della pedofilia in cui gli adulti potevano dare corso alle loro scorribande amorose con bambini felicemente consenzienti, senza alcun limite. Ecco quindi, che l'antica Grecia viene rappresentata come il luogo storico ideale per gli amori pedofili da contrapporre alla realtà contemporanea, contrassegnata dal furore barbaramente repressivo dell'attuale cultura legislativa.
Per alcuni autori, i comportamenti di abuso sessuale su minori sono sempre esistiti in ogni gruppo umano, ragione per cui non possono essere considerati un incidente storico, ma vanno inscritti e letti all'interno delle relazioni sociali e culturali, assumendo un significato differente a seconda del periodo storico considerato e della cultura dominante. Infatti, come sostiene Schinaia:
Il diverso significato che viene ad assumere la relazione pedofila, la sua relatività storica, prescinde dalla constatazione che c'è la costante presenza di un minimo comune denominatore, che consiste nella dissimmetria esistente nel rapporto tra l'adulto e il bambino o l'adolescente. Tale asimmetria si costituisce in ogni caso come il cardine di una relazione di abuso, al cui interno si determina un divario di potere che nessuna passiva acquiescenza, scambiata o contrabbandata per consenso, potrà annullare o ridurre. (3)
Altri autori (4) hanno pensato di definire la pedofilia non come una perversione, ma come un «pervertimento sociale», in quanto la pedofilia è considerata perversa soltanto in alcune società e in alcuni periodi storici, ma non in altri nei quali invece è considerata un comportamento del tutto naturale. La definizione di pervertimento sociale è sviante e sostanzialmente giustificazionista, perché non tiene conto della complessità e della conflittualità del fenomeno pedofilia anche in quelle società in cui è stato consentito e nomato. Al contrario, se prendiamo in considerazione alcune pennellate storiche, potremo facilmente mostrare come alcune tesi relativiste circa le relazione sessuali con i minori, non hanno tutto quel sostegno storico che dicono di avere, anzi, spesso sono fabbricate allontanandosi dalla verità storica.
1. La cultura della pedofilia: la storia
1.1. La pedofilia nella Grecia classica
La pedofilia ebbe la massima diffusione tra il vi e il iv secolo a.C. a Sparta e Atene. Essa consisteva in una relazione sessuale tra adulti maschi e adolescenti, spesso all'interno di un'esperienza spirituale e pedagogica attraverso la quale l'amante adulto trasmetteva le virtù del cittadino. Il coinvolgimento di molti maestri del tempo, tra cui Socrate e Platone, così come la poesia di Alceo e Anacreonte rendono possibile un'ingente quantità di documenti sulla pederastia - intesa come relazione sessuale di un adulto e un minore in età compresa tra i dodici e i diciotto anni -, considerata lecita e riconosciuta come forma pedagogico-educativa; a differenza della concezione della pedofilia, intesa invece come relazione sessuale con minore di dodici anni, illegale e socialmente riprovevole (5).
Platone aveva indicato come presupposto filosofico dell'insegnamento l'eros, che è nello stesso tempo desiderio, piacere e amore. L'eros avrebbe permesso di tenere a bada il piacere legato al potere a vantaggio del piacere legato al dono (6). In realtà, la mancata elaborazione del rischio seduttivo insito in ogni relazione didattica può aprire le porte alla concretizzazione sessuale dell'eros, come sostiene Weitbrecht:
Tra l'eros paedagogos (cioè l'amore psichico e spirituale dell'adulto verso il giovane discepolo da lui educato e formato) e il graduale scivolamento verso la pedofilia sensuale il passo è breve (7).
L'erastes era l'amante, colui che prendeva l'iniziativa e organizzava il corteggiamento, che si fondava su una serie di diritti, come il godimento di un piacere rapido e rapinoso e di obblighi, quali la protezione e, talvolta, il sostentamento economico del ragazzo. L'eromenion era invece l'amato, il corteggiato, che non doveva essere troppo arrendevole, da non provare direttamente il piacere sessuale, ma godere del piacere procurato all'altro. Il ruolo dell'amato era passivo, si trattava di un contenitore amorfo che avrebbe potuto prendere forma solo attraverso la relazione pederastica con l'erastes.
Per le pratiche amorose esisteva un tempo ben individuato nella vita del ragazzo che doveva essere pubere (i rapporti sessuali con bambini impuberi dovevano essere severamente puniti dalla legge), l'età degli eromenoi, degli amati non doveva essere inferiore a 12 anni. Proteggere l'infanzia, distinguendo la pederastia dalla pedofilia, era costante preoccupazione degli Atenesi, il cui ordinamento prevedeva una complessa normativa per i reati di violenza sessuale sui paides:
se il minore non aveva raggiunto i dodici anni ti età, colui che intratteneva con lui rapporti sessuali di qualunque tipo, commetteva sempre un illecito. Erano previste pene severissime per gli adulti che girovagavano all'interno o presso gli edifici riservati ai minori;
se il paìs aveva un'età compresa tra i dodici e i quattordici anni, il rapporto era consentito, ma solo all'interno di un legame affettivo duraturo e soprattutto mirato ad insegnare al paìs amato le virtù del futuro cittadino; si rientra quindi nel concetto di pederastia (8);
tra i quindici e i diciotto anni, ormai prossimi alla maturità e consapevoli delle loro scelte, i paides potevano scegliere i propri amanti liberamente, ma la società vigilava affinchè essi non fossero tentati di assumere prematuramente un ruolo virile, deleterio per una crescita armoniosa della personalità e per la stessa società. (9) Plutarco però, afferma che nonostante le norme, le violenze sessuali su bambini di età inferiore ai 12 anni da parte di pedagoghi e insegnanti dovevano avvenire regolarmente.
Inoltre, nonostante fosse considerato infame intrattenere relazioni con bambini piccoli, per quanto è dato di conoscere nessuna sanzione penale ha trovato mai applicazione, nonostante i ripetuti abusi su bambini con meno di dodici anni. (10)
Analizzando i testi più attentamente però, possiamo notare che la legittimazione della pratica pederastica è oggetto di opinioni conflittuali: da un lato sembra che essa fosse valorizzata da grandi Opinion Makers, che ne celebravano l'accettazione culturale e sociale, l'eccellenza intellettuale e l'estrema necessità nell'educazione di ogni ragazzo; dall'altra sembra esserci regioni, come la Jonia, dove tale pratica veniva combattuta, un'affermazione questa, desumibile dalla virulenza con cui Platone, nel Simposio, si oppose a tale divieto: "Dove si è decretato che è vergognoso concedersi agli amanti, ciò viene stabilito per la bassezza dei legislatori, per l'arroganza dei dominatori, per la viltà dei sudditi" (11).
A un'apparente accettazione sociale, si accompagnavano atteggiamenti assai diversi quali il disprezzo per i giovani troppo facili o troppo interessati e la disistima degli uomini effeminati. Inoltre, veniva punita l'omosessualità a carattere pornografico o mercenario.
La pratica pederastica, sebbene diffusa, appare attraversata da un intricato gioco di valorizzazioni e svalorizzazioni, tali da rendere difficilmente decifrabile sia la morale che la regola. Se da un lato è incoraggiata, dall'altro, però, si vede la cura che mettono i padri nel proteggere i figli dalle tresche o nell'esigere dai pedagoghi che le impediscano e si sentono i coetanei e i compagni biasimarsi fra loro "se vedono accadere qualcosa di simile" (12). Da una serie di particolari presenti nell'opera di Platone più volte citata, emerge, seppur a fatica, una vigorosa ostilità rispetto alle pratiche pedofile, che, se da un lato vengono idealizzate come viatico formativo alla sapienza e alla cultura, dall'altro vengono temute come fonte di sopraffazione, anche se spesso ammantata di sapere e cultura. Come sostiene Calasso:
L'intreccio tra un corpo da conquistare come una fortezza e il volo metafisico è, per Platone, l'immagine stessa dell'eros. Infatti l'amato si concederà perché desidera educazione e sapienza di ogni specie (13).
L'introiezione del sapere passa anche attraverso l'annullamento fisico, la passività, lo scambio tra sapere e piacere. L'amato esiste soltanto in funzione dell'amante, non ha una sua psicologia, una sua autonomia, ma si connota soltanto come fonte e oggetto di piacere, pronto a ripagare con il suo corpo l'offerta di sapienza e cultura che gli viene porta dal maestro o dal comandante militare (14).
In una nota aggiunta nel 1909 ai Tre saggi sulla teoria sessuale, Freud scrive:
La differenza più incisiva tra la vita amorosa del mondo antico e quella nostra risiede nel fatto che l'antichità sottolineava la pulsione, noi invece sottolineiamo il suo oggetto. Gli antichi esaltavano la pulsione ed erano disposti a nobilitare con essa anche un oggetto inferiore, mentre noi stimiamo poco l'attività pulsionale di per sé e la giustifichiamo soltanto per le qualità eminenti dell'oggetto (15).
Le parole di Freud sull'evoluzione culturale legata anche alla capacità di stabilire relazioni oggettuali possono essere sottoscritte ancora oggi ed esprimono una critica a pratiche in cui sono evidenti l'asimmetria di potere e la totale assenza di considerazione del mondo emotivo del ragazzo nobilitato e valorizzato non per le proprie qualità, ma dalla pulsione sessuale dell'adulto. Un aspetto interessante della questione è rappresentata dal fatto che la relazione omosessuale del tempo, non era a senso unico, naturalmente con motivazioni molto diverse nell'approccio amoroso. (16) Saffo ci parla delle pene severissime previste per gli adulti che venivano sorpresi all'interno delle scuole e che non fossero genitori o parenti stretti degli alunni. (17) Saffo, che era a capo di una comunità di giovanette, oltre ad essere maestra all'interno dell'intelletto, lo era anche del corpo; alla sua scuola, aperta al fascino della bellezza e del sesso, le ragazze si amavano intensamente ed in modo appassionato. Questa dimestichezza tra donne adulte e fanciulle assumeva a Sparta, Lesbo e Mitilene, tutti gli aspetti di una preparazione al matrimonio che si qualificava con tutti i caratteri della pedofilia. (18) A Sparta, Lesbo e Mitilene e in altre zone della Grecia, donne adulte usavano avere delle amanti tra le adolescenti, ed era costume unirsi alle ragazze prima del matrimonio, nello stesso modo in cui questi riti iniziatici venivano fatti con i ragazzi da parte di adulti maschi. Per le minori, il legame omoerotico era di esclusivo uso prematrimoniale. Nell'antica Grecia assumeva quindi rilevanza una relazione che oggi potremmo definire pedofilia.
1.2. La pedofilia nel mondo romano
Presso i Romani, la pederastia ha continuato a essere praticata, ma, in un certo senso, ha subito una sorta di disinvestimento filosofico; il ragazzino libero è sostituito dallo schiavo e dal figlio dello schiavo e, talvolta, dal nemico sconfitto, andando così persa, come ci spiega Foucault, l'eredità della grande speculazione greca sull'amore per i ragazzi, sostituita dalla tendenza alla brutalità e alla sopraffazione (19). Ed è Cantarella che, nella sua opera Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, offre una chiarificazione di quanto sostenuto da Foucault:
Il giovane romano veniva educato, sin dalla più tenera età, a essere un conquistatore. Imporre la propria volontà, assoggettare tutti, dominare il mondo: questa la regola di vita del romano. E la sua etica sessuale, a ben vedere, altro non era che un aspetto della sua etica politica...
...Cicerone nelle sue invettive moralistiche, non condanna l'omosessualità in quanto tale: condanna solo quella forma particolare di omosessualità che è la pederastia, nel senso ellenico del termine, vale a dire l'amore per i ragazzi liberi (20)...
All'omosessualità in definitiva, veniva posto un solo limite: mai ragazzi liberi, che da grandi avrebbero dovuto imparare a imporsi e non a subire i desideri altrui. Infatti, racconta Plutarco che i romani usavano mettere al collo dei figli una bulla d'oro, affinchè, «quando giocavano nudi, non venissero scambiati per degli schiavi e fatti oggetto di tentativi di seduzione» (21). Il problema non tanto era andare con uno schiavo, ma «assumere un modello di vita non consono al modello austero e rigoroso che i romani continuarono ad esaltare e propagandare, anche quando l'aumento della ricchezza introdusse nella città nuovi lussi e nuove mollezze» (22). Oppure avere una relazione con lo schiavo di un altro, perché ciò avrebbe comportato una diminuzione di rendimento della forza - lavoro rappresentata dallo schiavo.
È famosa la Lex Scatinia, in materia di pederastia, secondo la quale in caso di rapporto fra adulti e puer o praetextati (da praetexta, la tunica bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi ancora non maturi sessualmente) veniva punito solo l'adulto (23). L'omosessualità e la pedofilia, non erano condannate se praticate con schiavi e liberti (in quanto era dovere di questi, compiacere in tutto e per tutto le volontà del loro padrone), era considerato deprecabile solo che un cittadino libero assumesse un ruolo passivo nei confronti di un altro suo pari. Della Lex Scatinia, nata a seguito di un episodio di "stupro" del quale fu vittima il figlio dell'edile Claudio Marcello, non è mai pervenuto il testo ed in relazione alle fonti che la richiamano, si è potuto dedurre che, in caso di omosessualità tra due cittadini liberi, veniva punito quello che tra i due assumeva l'atteggiamento passivo. La multa era molto salata e ammontava a circa 10.000 sesterzi (24).
La successiva Lex Iulia de adulteriis (18 a.C.) puniva lo stupro solo nei confronti degli uomini liberi, per i servi vi era una sorta di risarcimento in favore del dominus "ex Lege Aquilia". (25)
Con l'imperatore Dominiziano, si cercò di intervenire indirettamente sui rapporti fra padroni e servi, con l'imposizione del divieto di "facere eunichos" castrazione "libidibis causa", cercando in tal modo di eliminare quelle condizioni che favorivano i rapporti contro natura. Il Cristianesimo fornì le basi religiose per la condanna di ogni comportamento non eterosessuale ed in quanto tale "contra naturam", non naturalmente preordinato alla procreazione.
Nel Codex Theosodianus vennero recepite due "constitutiones" (databili rispettivamente al 342 e 390 d.C.), che reprimevano l'omosessualità in genere con previsione della pena capitale o di quella mutilante. Con Giustiniano (483-565 d.c.), imperatore cristiano, ogni manifestazione di omosessualità fu bandita perché in ogni caso offendeva il Signore (26), con riordino del sistema della persecuzione criminale e con pena di morte per "infanda libido", formulando anche un giudizio morale (infanda = innominabile).
1.3. Paganesimo, cristianesimo e i diritti del bambino
Il mondo pagano in generale, non riuscì a comprendere l'identità umana e la dignità del fanciullo, e non poteva comprenderla, perché partiva dal presupposto che il fanciullo non fosse persona e non godesse di conseguenza, dei relativi diritti. Una concezione questa che condusse al disprezzo e ad ogni forma di abuso verso i minori. Oggi è diffusa la convinzione che l'ordine ed il progresso morale di un popolo, la pratica fedele e costante della giustizia, la rettitudine e l'onestà nelle vicendevoli relazioni sociali, dipendono in gran parte dal giusto concetto della persona umana e dal riconoscimento dei suoi diritti. (27) È quasi fisiologico che il disprezzo della persona umana e gli attentati ai suoi valori, producano squilibri e sconvolgimenti nella compagine sociale. Di questo atteggiamento furono vittime nel mondo pagano soprattutto la donna, lo schiavo e il fanciullo. Scrive Baudrillart:
Non vi è forse materia, in cui tra la società antica e pagana e la società cristiana e moderna, l'opposizione sia più accentuata che i loro modi rispettivi di considerare il fanciullo. (28)
L'opposizione si riduce in sostanza al fatto che il mondo pagano non tutelò sufficientemente i diritti del fanciullo, mentre la tutela piena di questi diritti è stata uno dei cardini della restaurazione morale operata dal Cristianesimo. La filosofia pagana, con i suoi sofismi e con i suoi errori, consacrava spietate tradizioni e teorie giuridiche innaturali, così che, ad esempio per il sommo Aristotele l'aborto è un obbligo sociale: ciò che importa è troncare la vita del nascituro prima che questi abbia la sensibilità; solo da ciò può dipendere se l'atto sia onesto o delittuoso.
Platone teme quanto Aristotele la sovrappopolazione ed è pronto ad ammettere l'aborto, cioè il mezzo per evitarla (l'aborto era largamente diffuso e praticato con cinismo nell'antichità pagana). (29) Alle teorie dei filosofi e dei legislatori della società pagana, vengono contrapposte le dottrine della società cristiana, i principi della nuova religione. I Padri e gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli sono unanimi nel condannare l'infanticidio, l'esposizione, la vendita dei fanciulli. (30) Agli dei, maestri crudeli di infanticidio e agli uomini imitatori di questi dei, Tertulliano oppone la condotta dei cristiani e scrive:
A noi cristiani l'omicidio è espressamente vietato, e quindi non ci è permesso neppure di sopprimere il feto nell'utero materno. Impedire la nascita è un omicidio anticipato. Nulla importa che si sopprima una vita già nata o la si stronchi sul nascere: è già essere umano quello che sta per nascere. Ogni frutto è già nel suo seme. (31)
L'argomento dei diritti del fanciullo come "persona", soggetto di diritto, è trattato da Sant'Agostino con notevole ampiezza: il suo pensiero riassume al parte migliore e più sicura delle fonti patristiche (32).La dottrina dei Padri, forma dunque una barriera impenetrabile posta a difesa e protezione della vita del fanciullo. La Chiesa ve ne aggiunge una seconda. Per mettere sempre più al sicuro la vita e l'innocenza del fanciullo, stabilisce gravissime pene contro coloro che abusano della debolezza della giovane età.
Quella che è vissuta come l'eccessiva severità della Chiesa, sembra spiegarsi con il tempo e le circostante. I primi periodi del Cristianesimo, quando i neofiti uscirono dal paganesimo (dove ogni giorno erano stati testimoni dell'infanticidio), l'esposizione e l'abuso sessuale dei bambini dovevano essere considerate condotte da reprimere e perseguire penalmente con forza e decisione. Le innovazioni del Cristianesimo, pur rimanendo apparentemente entro la cerchia etica e religiosa, esercitarono una decisa influenza sull'ordine giuridico, animando a poco a poco di uno spirito evangelico le leggi civili, specialmente quando il Cristianesimo ottenne il riconoscimento ufficiale dallo Stato. Declina così lentamente l'assolutismo della patria potestas, che diviene paterna pietas. (33) Già alcuni imperatori romani, ancor prima di Costantino, avevano mitigato la precedente tradizione e normativa sui minori, apportando delle modifiche (34) che taluni attribuiscono in parte all'influsso del pensiero cristiano, anche se la religione di Cristo andava ancora sviluppandosi nelle catacombe.
Fu soprattutto Costantino Magno che pervase le sue leggi sull'infanzia di un sentimento di carità cristiana sconosciuto ai suoi predecessori. Per riabilitare il fanciullo, egli pone nel numero dei delitti sociali ogni attentato alla vita o alla libertà dei minori ed estese il castigo del parricida, al padre che uccide il proprio figlio. Ma l'imperatore andò oltre: per togliere ogni pretesto di vendere i figli, ordinò che i parenti poveri ricevessero alimenti dal tesoro pubblico:
Tutte le città d'Italia abbiano conoscenza di questa legge, che ha per oggetto di distogliere la mano dei genitori dal parricidio e di ispirare loro migliori sentimenti. Se dunque un padre e una madre hanno figli e per l'estrema indigenza non possono nutrire e vestire, il tesoro dell'impero ed il mio particolare vi provvedano senza ritardo, perchè i bisogni di un neonato sono troppo urgenti. (35)
La legislazione di Costantino in alcuni punti è ancora incerta e fluttuante, specialmente per quanto riguarda l'usanza di vendere e di esporre i fanciulli. (36)
Ma verrà compiuta e perfezionata dai suoi successori e il tempo man mano svilupperà le conseguenze pratiche dei suoi principi. (37) A questo sviluppo coopererà sempre la Chiesa invocando, spronando, suggerendo, diffondendo un'adeguata cultura di difesa e basandosi su nuovi principi giuridici che andavano modificando l'indirizzo di potere, presente nel diritto romano e barbaro. Se poi, nonostante le leggi divine e umane, genitori snaturati continuano ad abbandonare i propri figli, la Chiesa viene prontamente in loro soccorso allestendo asili, orfanotrofi che sorgono all'ombra dei suoi templi e dei monasteri. (38) In realtà c'è anche da considerare il rovescio della medaglia. Spesso l'abuso si nasconde dietro ad un silenzio, il silenzio ottenuto con minacce e con ritorsioni e spesso percosse, silenzio dei vicini (39), un silenzio che viene dal passato, in molti casi più che voluto.
Un silenzio, frutto della distruzione dei testi che documentavano la pedofilia. Senza dubbio, ebbe parte non trascurabile l'opera degli amanuensi cristiani che, probabilmente a corto di pergamena sui cui trascrivere i testi sacri o di autori cristiani, raschiarono le testimonianze letterarie "scandalose", mai più pervenute ai posteri. E per valutare la portata di questa circostanza, basti pensare a quello che traspare, ad esempio, dai resti di scarse testimonianze in materia, che si possono, invece, raccogliere nelle Vite dei Dodici Cesari di Sventonio (40) o in qualche altro testo pervenuto a noi dalla letteratura libertaria greca e latina. Nonostante la volontà di tutelare i bambini, dichiarata, ribadita, quasi urlata, è mantenuto questo antico silenzio, che si spiega soprattutto perché legato al presupposto che, trattandosi - nel caso della pedofilia - di una cosiddetta "perversione sessuale", doveva relegarsi tra le aberrazioni non soltanto innominabili, ma necessariamente limitate nei suoi termini quantitativi. E può anche essere interessante, oltre che significativo, registrare che, negli stessi manuali o dizionari di teologia morale cristiana e cattolica mancava, fino a qualche decennio fa, la voce "pedofilia", menzionata appena - e neppur sempre - tra le cosiddette "perversioni sessuali".
Comunque, anche l'associazione "pedofilia-violenza" può spiegare il silenzio, fino a tempi recenti, della stessa Chiesa cattolica, la cui morale, peraltro, non è certamente scarsa in materia di sessualità. (41) Sarà stato senz'altro difficile per la Chiesa tutelare i diritti del fanciullo, quando non aveva nemmeno il coraggio di chiamare con il loro nome certi comportamenti.
1.4. La pedofilia nel Medioevo
La tradizione giudaico-cristiana, pur costituendo un deterrente nei confronti della pedofilia omosessuale (in quanto considerava naturali i rapporti eterosessuali e "contro natura" i rapporto omosessuali sia nella posizione attiva che in quella passiva), risultava meno incisiva nella difesa delle bambine. In pieno Medioevo infatti, il matrimonio tra una bambina di 10 anni e un uomo molto più anziano non rappresentava un'eccezione, anche se la legge fissava a 12 anni l'età minima per contrarre un matrimonio (42). Nonostante di pedofilia non si potesse neanche parlare a causa delle convinzioni etico-religiose del tempo, nel xiii secolo la scoperta di numerosi contratti con cui si affittavano bambini a padroni prova quanto fosse diffusa l'usanza di un apprendistato in casa di estranei, dove normalmente si stabiliva una sorta di promiscuità relazionale che facilitava la possibilità di contatti sessuali tra adulti e bambini.
È nell'ambito di questa dimensione socioeducativa che va inquadrata la vita del bambino all'interno della bottega d'arte, dove l'artista assumeva contemporaneamente diversi ruoli: padre putativo, maestro, padrone.
Gli apprendisti (noti come "garzoni" o "discepoli") avevano di solito meno di quattordici anni e potevano averne anche soltanto sette. Abitualmente essi imparavano il mestiere traendo copie dai disegni della collezione di bottega [...]. Usavano inoltre fare lavori occasionali, come macinare i colori, fino a quando non fossero pronti ad assistere i più anziani nelle imprese più difficili (43).
La relazione maestro-discepolo, allontanandosi da ogni idealizzazione, si dipana in una continua e feconda oscillazione tra i poli dell'autenticità e dell'inautenticità, della creatività e della ripetitività, della dialogicità e del potere, della seduzione e della scoperta di sé, del fare umanità e del fare disumanità (44). Lo slittamento verso una di queste polarità porta a uno sbilanciamento e, talvolta, a un pervertimento della relazione, che acquisisce connotazioni che la trasformano e la deformano (45). L'asimmetria rispetto alle esperienze, ai saperi, all'autorità e al potere non può essere negata o rimossa, ma è una delle costituenti della relazione didattica ed entra in oscillazione con la tendenza alla simmetria, all'unisono, alla magica intesa, per cui l'uno realizza il desiderio dell'altro nell'essere proprio lì dove l'altro si aspetta (46). Ogni relazione docente-discente contiene in sé il rischio dell'investimento narcisistico da un lato e dell'idealizzazione acritica dall'altro.
Il maestro, confortato dalla potenzialità pura del gesto infantile, vede nel discepolo se stesso idealizzato, e tende a porre in lui ogni speranza di superamento dei propri limiti con vissuti risarcitori proiettati nel discepolo. I rapporti possono diventare simbiotici, privi di ogni spazio dialogico, dove l'altro, il bambino, esiste solo come proiezione del sé ideale del docente, come sua estrema propaggine. D'altro canto, per l'allievo il maestro può rappresentare l'oggetto d'identificazione, il porto sicuro, il padre onnipotente, portatore di ogni bene e di ogni male in opposizione al padre cattivo, quello che concretamente lo ha allontanato da casa, sottraendolo alla sua protezione e alle cure materne.
La particolare e rarefatta qualità estetica che caratterizza gli umori, le emozioni e, quindi, gli affetti all'interno dei rapporti che si stabiliscono nelle botteghe d'arte rappresenta un ulteriore elemento da prendere in considerazione come favorente la possibilità d'instaurarsi di relazioni amorose, talvolta francamente sessuali tra adulti e ragazzi. La bellezza del corpo infantile e adolescenziale, così spesso riprodotta nelle opere d'arte, la sua levigatezza, quel tratto di potenzialità pura che precede la costituzione delle caratteristiche sessuali secondarie, facilitano la sensualità dei rapporti e il desiderio di possesso anche corporale della Bellezza, suprema e inarrivabile aspirazione dell'artista del tempo (47). La bottega di Leonardo da Vinci (1452 - 1519), in cui venivano respirati meraviglia, fascino e ammirazione per i prodotti artistici, ma anche per le grandi scoperte scientifiche, è un esempio in cui appare chiara la trasformazione dal rapporto didattico a relazione omosessuale pedofila, già subita sembra, dallo stesso Leonardo che a sedici anni fu mandato nella bottega di Andrea Verrocchio, il migliore pittore, orafo e scultore che Firenze offriva in quel periodo.
Le relazioni pedofile non possono, però, essere concentrate soltanto nello spazio apparentemente rarefatto, talvolta greve e sordido, delle botteghe d'arte, luogo sostanzialmente provvisto di una sorta di extraterritorialità etica, come molti aspetti dell'esistenza degli artisti. Vi sono forme di pedofilia meno sublimate, meno investite. Nella Firenze del xiv secolo pullulavano ragazzini e ragazzine che vendevano il loro corpo (48). Le Roy Ladurie, ricostruendo la storia di un villaggio occitanico del 1300, chiarisce l'iniziazione all'omofilia di un bambino di 12 anni, che:
era andato a studiare grammatica presso un prete. Successivamente il bambino, violentato, diventa pederasta attivo [...]. Questi scolari più o meno ingenui, sono posseduti dall'ex scolare che un tempo era stato sedotto a scuola: riproduzione culturale (49).
Le Roy Ladurie sembra rilevare che la sodomia e la pederastia sono pratiche che si svolgono nelle città, anche se gli scolari sedotti sono generalmente di nascita campagnola, ma di famiglia abbastanza agiata che, pertanto, ha motivi e possibilità per mandarli a studiare in città. Deduzione opinabile a mio avviso, anche se sicuramente l'allontanamento precoce dal nucleo familiare, comunque si realizzi, è un elemento che favorisce la fragilità, la minore capacità di difesa contro gli attacchi seduttivi dell'adulto, la minore protezione del bambino.
Una delle differenze tra i comportamenti pedofili dell'antichità e quelli dal Medioevo in poi risiede nella variabile denaro, che bene si inserisce via via nel contesto socioeconomico di un Occidente sempre più ricco e industrializzato (50). L'abuso sessuale sul bambino non assume un grande significato di riprovazione sociale, in quanto, come sottolinea Ariès, è proprio il sentimento dell'infanzia che risulta carente, se non assente, in questo periodo storico (51).
L'invenzione dell'infanzia come mondo separato, categoria concettuale, problema sociale e fase della vita (e non come mera fase di transizione) ha fatto storicamente notizia a partire dal xiv secolo. La comparsa di uno specifico atteggiamento nell'adulto nei confronti del bambino va ricercata in età moderna con l'affermazione della famiglia borghese. Quel poco che si sa del passato del non - adulto è relativo per lo più ai maschi e ai bambini dei ceti elevati, ma riguarda maggiormente una condizione collettiva, tutto sommato anonima, oppure singoli fatti eccezionali e non rappresentativi di una condizione bambina (52). Negli scritti dei Padri della Chiesa la parola fanciullo designava il luogo dell'imperfezione. Le debolezze infantili erano la prova vincente dell'esistenza del peccato originale e della viziosità della natura umana.
Sant'Agostino chiamava "peccati" tutte quelle azioni che nei fanciulli rivelavano fragilità e malizia: avidità, prepotenza, ribellione, gelosia ed egoismo (53). L'infanzia, soprattutto la prima infanzia, era una mancanza, un non essere, una privazione, un'anormalità, un'infermità. Soltanto nei secoli della rinascita la riscoperta dell'uomo nella sua naturalità aprirà la porta al riconoscimento delle potenzialità infantili e a un maggior senso di tenerezza.
Partendo da questi elementi contraddittori si combinarono norme preventive e provvedimenti repressivi, che abituavano fin dalla nascita a una certa estraneità del corpo e che proibivano gesti affettuosi da parte di genitori, maestri e adulti in genere verso i bambini e fra bambini stessi. De Mause (54) scrive:
Purtroppo la concezione del bambino come essere innocente e incorruttibile è la più comune difesa adottata da coloro che li molestano, per negare che le loro violenze gli rechino danno (55).
Nel tratteggiare il clima familiare in questo periodo storico, Ariès ricorda che la mancanza di riserbo per le cose sessuali nei confronti dei bambini era totale; era frequente un certa
licenza di linguaggio, peggio ancora gesti audaci, contatti di cui è facile immaginare cosa direbbe un moderno psicoanalista, ma lo psicoanalista avrebbe torto. L'atteggiamento davanti alle cose del sesso, e senza dubbio la sessualità stessa, variano in rapporto all'ambiente e, di conseguenza, in rapporto alle epoche e alle mentalità (56).
Nel sottolineare la necessità di evitare qualunque interpretazione che non tenga conto delle abitudini comunicative del tempo, Ariès entra in diretta polemica con le concezioni psicostoriche di De Mause (57), che descrive la storia dell'infanzia come un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci.
Più si va indietro nella storia, più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali. Per De Mause il meccanismo centrale di tutta l'evoluzione storica è la psicogenesi, una forza spontanea presente in ogni relazione adulto-bambino che permette agli adulti di rivivere il proprio trauma infantile nei propri figli e di soddisfare i bisogni infantili e le relative ansie di indipendenza, in condizioni migliori della prima volta.
Ed è ancora De Mause a sostenere che le violenze sessuali sui bambini abbondavano e che in esse, sostanzialmente, il bambino era solo una vittima casuale, in misura del ruolo da lui sostenuto nell'apparato difensivo dell'adulto:
l'utilizzazione dei bambini come capri espiatori per alleviare il conflitto interno individuale fu la strada per mantenere la nostra omeostasi psicologica collettiva. Coloro che osarono opporsi a questa fantasia collettiva corsero il rischio di essere dichiarati sacrileghi e considerati perturbatori della pace mondiale (58).
Certamente è importante il valore che ciascuna delle due teorie assegna ai comportamenti pedofili nel Medioevo; resta, però, in ogni caso la sensazione di un bambino poco difeso, non riconosciuto nella sua individualità, negato nei suoi bisogni specifici, oppure trasformato in oggetto passivo transeunte, di volta in volta vittima, ma anche protagonista di una violenza diffusa (59). Una sensazione questa, rafforzata anche dall'accentuazione che, in alcune fasi storiche e in differenti luoghi dell'Europa, assunse la violenza nei confronti dei bambini, che ritenuti posseduti dal demonio, vennero torturati e spesso bruciati vivi affinchè potessero espiare le loro colpe. Questi bambini furono sacrificati sull'altare di un meccanismo inquisitorio crudele e aberrante. Eveline Hasler ha rintracciato le fonti che documentano due di questi episodi, accaduti a Lucerna nel 1652 e nell'Alta Svevia nel 1658, e ne ha ricavato un romanzo di notevole suggestione, La strega bambina (60). Il primo caso espone la vicenda di una bambina undicenne arsa sul rogo perché si era vantata di saper "fare uccelli". Il secondo riguarda due fratellini riconosciuti colpevoli di stregoneria e di commercio con il demonio, che vennero custoditi per quattro anni in un convento femminile fino al raggiungimento della pubertà, vale a dire della "capacità" di subire le conseguenze penali delle loro presunte azioni; soltanto allora furono uccisi. In un periodo di oscurantismo religioso, l'immaginazione e i voli di fantasia tipici dell'infanzia in ogni tempo e in ogni paese diventarono un reato passibile di condanna capitale. Questi bambini non furono altro che i capri espiatori su cui sfogare libidini, autoritarismo, risentimenti politico-religiosi, superstizioni e paure. Nel romanzo, l'autrice stabilisce un felice confronto tra l'animo incorrotto dei fanciulli e il mondo della natura, esposti rispettivamente all'aggressione delle perversioni e allo sfruttamento economico degli adulti.
1.5. La pedofilia tra fine Ottocento e i primi del Novecento
Nell'ottocento è possibile individuare in modo netto due rappresentazioni sociali prevalenti del bambino. Al bambino innocente e all'infanzia intesa come sinonimo di bontà dell'Emile di Rousseau (61), un impasto di primitivismo e di irrazionalismo, si contrappongono il bambino colpevole secondo la dottrina cristiana, del peccato originale, e l'infanzia come luogo dell'imperfezione secondo il pensiero di Agostino (62).
Le debolezze infantili non volontarie e coscienti sono la prova dell'esistenza del peccato originale e della viziosità intrinseca alla natura umana. La convinzione prevalente che la natura del bambino fosse più incline al male che al bene implicava la necessità di svolgere una continua azione di correzione, che si espletava anche attraverso modalità violente, per sviluppare il carattere e la ragione. Tale convinzione favorì il consolidarsi di un sistema educativo incentrato sulla necessità di reprimere, frenare e rettificare la naturale inclinazione dei bambini al male, che fu vincente sulle teorie rousseauniane, secondo le quali i bambini dovevano essere lasciati crescere liberi e indipendenti. Rousseau, reinterpretando la dottrina del peccato originale, insisteva sulla dimensione naturale umana e sulla sua basilare importanza nell'arte di formare gli uomini (63). Questa dicotomia si perpetuò anche nel Novecento, anzi fu proprio l'immagine luciferina, delinquenziale a prendere il sopravvento scientifico, nonostante le fotografie, la pubblicità e tanta letteratura tendessero a favorire il vissuto di innocenza angelicata dell'infanzia. Il bambino nelle fotografie del tempo andava travestito da adulto in miniatura, con tutti i connotati dell'eleganza e del distacco, o da Cupido giocosamente impertinente, o da dolce fatina.
Amodeo (64), sostiene che l'innocenza è assente nella storia del bimbo fotografato e che la storia della fotografia colta, è piena di bimbi che sembrano alieni, esseri stranieri, maschere, travestiti, trasfigurati. Per Cesare Lombroso (65) l'innocente inteso come sinonimo di fanciullo non aveva senso, in quanto l'uomo nasce come criminale assoluto e l'educazione consiste sostanzialmente nel recupero del bambino in un tipo sociale, dimostrandogli che nuocere agli individui della sua stessa specie e medesimo ambiente nuoce in definitiva a ciascuno:
Il senso morale manca certo ai bambini nei primi mesi ed anche nel primo anno di vita. Per essi il bene e il male è ciò che è permesso o proibito dal papà e dalla mamma, ma non una volta sentono da per sé quando una cosa sia male...
...i fanciulli hanno in comune coi selvaggi e coi criminali la nessuna previdenza; un avvenire che non sia immediato o non paia tale. Avere un piacere dopo otto giorni o dopo un anno per loro è uguale. (66)
Sostanzialmente, la conclusione che Lombroso sembra trarre dunque, è che la tendenza generale dei fanciulli è criminosa e solo la buona educazione può spiegare la normale metamorfosi che avviene nella maggioranza dei casi. È l'immagine di un bambino cattivo da correggere e redimere, pertanto, a prevalere nella cultura del tempo e a informare di sé non solo le teorie pedagogiche, ma anche le teorie psicologiche e la stessa psicoanalisi.
Nel pensiero di Freud si rilevano movimenti non lineari, dissimmetria e anche contraddizioni, che testimoniano dell'intenso lavoro che fu alla base della costruzione di un coerente pensiero psicoanalitico. Il bambino freudiano assume una sua grandiosità quando alberga all'interno dell'adulto, quando si muove nelle pieghe del suo inconscio e se ne fa rappresentante, quando cioè, viene costruito come bambino psicoanalitico e diventa protagonista dell'interrogazione scientifica, mentre diventa un oggetto di scarsa rilevanza e considerazione, quando viene osservato nella sua realtà anagrafica, nella concretezza dei quotidiani bisogni e limiti, nella relazione con l'adulto.
Anche Anna Freud (la più famosa dei sei figli di Sigmund Freud e Martha Bernays, che continuò le ricerche del padre nell'ambito della psicoanalisi infantile), sostiene che sovente l'uomo ama di più i bambini teorici dei suoi modelli, che non quelli reali (67). Se però, Sigmund Freud, nella sua opera Casi Clinici, 3: Dora: frammento di un'analisi d'isteria: 1091 (68) tratta Dora, la protagonista, con evidenti atteggiamenti autoritari e impositivi, questi si stemperano e lasciano il posto a una nuova sensibilità che Freud dimostra in un'altra opera, Casi clinici, 4: il piccolo Hans: analisi della fobia di un bambino di cinque anni, (69). Tale notevole modificazione di atteggiamento rimanda alla concomitante autoanalisi di Freud, attraverso cui riallaccia i fili della sua infanzia (70). Il bambino che affiora dalle annotazioni successive è un bambino sano e dotato di una risposta intelligente e curiosa, orientata alla realtà e alla relazione e aperta alla vita e alla novità; un bambino spesso costretto a sottrarsi al confronto con gli adulti a causa del loro non ascolto, della loro inattendibilità e talora lampante nocività, con grave perdita e danno per il suo ulteriore sviluppo (71). Se nel primo Freud possiamo notare un intento preventivo ed educativo, quando esplicitamente rimprovera i genitori per le scarse attenzioni rivolte al rischio che i bambini corrono di subire abusi sessuali da parte degli adulti (72), nei Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905 (73) il bambino viene definito come "perverso polimorfo", indicando nella perversione una specie di primo sviluppo della sessualità, e ancora in Un bambino viene picchiato del 1919 (74), ci viene detto che la fantasia perversa attrae il bambino e lo conquista nell'infanzia. Questa intuizione è stata utile perché ha contribuito a depatologizzare la perversione permettendone una comprensione aliena da condanne sociali, però ha introdotto un elemento di forte ambiguità (75).
Caper (76) sottolinea che è erroneo equiparare il primitivo e il patologico. La perversione attiene al campo del sessuale ma, diversamente dal polimorfismo (77), contiene una caratteristica distruttiva non sessuale. Già Meltzer, (78) aveva differenziato la sessualità polimorfa da quella perversa: mentre la seconda rimanda a un attacco distruttivo alla simbolizzazione della coppia genitoriale, la sessualità polimorfa appartiene al regno della sessualità indifferenziata.
Nel Disagio della civiltà (79), Freud descrive la naturalità della condizione umana come un coacervo di violenza e aggressività, seppure fantasticate, mai completamente imbrigliate però, dal Super-Io. Istinti aggressivi e passioni primitive che portano allo stupro, all'incesto, all'omicidio costituiscono un inconscio per sua natura immorale e sono tenute a freno in maniera imperfetta dalle istituzioni sociali e dal senso di colpa. L'infelicità umana deriva dal fatto che, a causa della civiltà, l'individuo è costretto ad aderire a un sistema che entra in conflitto con quello primitivo. Le nevrosi e le perversioni sarebbero figlie dell'eterno conflitto natura-cultura, della socialmente necessaria censura delle pulsioni sessuali primitive. Bisognerà attendere la psicoanalisi moderna per attribuire al bambino riconoscimento e conservazione dell'integrità e della sua capacità relazionale. Tra il bambino angelico e il bambino perverso, trova una sua collocazione un nuovo bambino, il bambino relazionale, che verrà osservato in una dimensione evolutiva che si realizza in rapporto alla presenza della madre.
Green (80) parla di rèverie del legame che intercorre fra i genitori e fra il bambino e il padre, una rèverie del ricongiungimento triangolare, di cui la madre è il luogo comune. Il bambino quindi, assume le caratteristiche di persona integra, seppure in via di sviluppo, e integrata all'unità materna.
Per Masud Khan (81), quando la madre depressa non è in grado di stimolare adeguatamente il potenziale libidico, il bambino è costretto a utilizzare sostitutivamente la superficie corporea e gli orifizi: in tal modo l'erotizzazione prende il sopravvento nel processo di crescita. La naturale perversione presente nelle prime formulazioni freudiane lascia il posto alla naturale integrità del bambino, che può essere messa in questione dalla incapacità contenitiva della madre.
Se guardi a lungo l'Abisso, l'Abisso scruta dentro di te...
Friedrich Wilhelm Nietzsche
1. Pedofilia: i criteri diagnostici
1.1. I criteri diagnostici del D.S.M
I trattati psichiatrici più recenti e accreditati, annoverano il profilo psicologico della personalità pedofilia all'interno delle Parafilie (1). Clinicamente, le parafilie corrispondono ad un disturbo psicopatologico (2) anche se ci sono alcuni autori (3) che ritengono questa definizione estremamente riduttiva rispetto alla generalità della problematica e, soprattutto, rispetto ad una percezione carica di vissuti moralistici riferiti alle parafilie che nella terminologia clinica precedente all'attuale, erano definite "Perversioni Sessuali" (4).
Analizzando nel dettaglio il DSM-IV (5) le parafilie sono «caratterizzate da ricorrenti e intensi impulsi, fantasie o comportamenti sessuali che implicano oggetti, attività o situazioni inusuali e causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento». Esse includono l'esibizionismo, il feticismo, il frotteurismo, la pedofilia, il masochismo sessuale, il sadismo sessuale, il feticismo di travestimento, il voyeurismo, e la parafilia non altrimenti specificata. Sembra dunque, che nel tentativo di non pervadere la definizione delle parafilie con elementi moralistici, il Manuale statunitense suggerisca la restrizione del termine alle situazioni nelle quali vengono utilizzati oggetti non umani o in cui un effettivo dolore od umiliazione vengono inflitti a sé, al proprio partner o, in ultimo, quando vengono coinvolti bambini od adulti non consenzienti (6). Gli autori del DSM-IV per mantenere un margine di tolleranza al continuum tra fantasia ed azione, hanno elaborato uno spettro di gravità, con tre diversi criteri in ordine alle manifestazioni di una o più parafilie:
lieve o tenui, quando vi è un marcato disagio per gli impulsi, ma i pazienti, pur essendo turbati dalle loro spinte sessuali parafiliche, non le mettono in atto;
moderata, quando la spinta pulsionale è messa in atto solo occasionalmente;
grave, che presuppone che i pazienti mettano ripetutamente in atto le loro spinte parafiliche.
Sempre secondo il DSM-IV, la pedofilia viene focalizzata tra le parafilie quando comporta un'attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli) e il pedofilo abbia almeno 16 o più anni e sia almeno di 5 anni maggiore del bambino. Il disturbo avrebbe inizio, secondo il DSM-IV (7), solitamente con l'adolescenza, anche se alcuni soggetti riferiscono di non aver provato eccitamento verso i bambini fino alla mezza età (8). Volendo fare un esempio, il sedicenne che abusa di un undicenne è considerato un pedofilo, ma non se la sua vittima ha raggiunto i 12 anni, così come non è pedofilo il diciannovenne che abusa di un ragazzo di 14 anni. È evidente che la rigidità del modello teorico, seppure necessaria, stride con la realtà sfumata e complessa della sessualità. La frequenza di tale comportamento pedofilo è fluttuante e in relazione agli stress psicosessuali (9). Un limite che i redattori del manuale diagnostico sembrano conoscere è la differenza nei tempi e nei modi con cui la parafilia può manifestarsi (10): alcuni soggetti con pedofilia sono attratti esclusivamente da bambini (tipo esclusivo), mentre altri sono talvolta attratti anche da adulti (tipo non esclusivo); alcuni pedofili sfogano i propri impulsi con bambini e possono limitarsi a spogliare il bambino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza ed ad accarezzarlo. Altri devono fare agire al bambino un ruolo attivo o sottoporlo a pratiche penetrative (11). In tutti i casi l'attività parafilica viene di solito giustificata o razionalizzata, sostenendo o che ha un valore educativo per il bambino, o che il bambino ne ricava piacere sessuale, o che il bambino era sessualmente provocante.
Come anche recenti dati di una ricerca del CENSIS (12) confermano che il pedofilo agisce prevalentemente nella sfera familiare, (i soggetti possono limitare le loro attività ai propri figli, a figliastri o a parenti oppure, possono scegliere come vittime bambini al di fuori della propria famiglia), questa scelta non solo si armonizza con i dati epidemiologici, ma indirettamente prende atto della propensione del bambino a ricercare nel genitore o comunque nell'adulto disponibile, la sedazione di quei bisogni pulsionali che, non ancora definiti, vedono la sessualità e l'affetto strettamente connessi (13). Benché alcuni pedofili minaccino il bambino per evitare che parli, il soggetto può essere attento ai bisogni del bambino per ottenere l'affetto, l'interesse e la fedeltà (14). E sebbene il principato della convenienza possa sembrare mantenuto, non bisogna dimenticare che per il bambino non si tratta di una scelta sessuale, ma di una risposta ad un generico bisogno di soddisfacimento istintuale che nulla ha a che fare con il consenso consapevole.
Dal punto di vista clinico, emerge che molti pedofili soffrono di una patologia narcisistica del carattere, ivi comprese delle varianti psicopatiche del disturbo narcisistico di personalità (15). In questi casi l'attività sessuale con bambini prepuberi ha come finalità oltre che il soddisfacimento della pulsione sessuale, quello di "puntellare" la fragile stima di sé del pedofilo. Per questo motivo, individui con queste perversione scelgono delle professioni nelle quali possono interagire con bambini, infatti queste occupazioni oltre a fornire maggiori occasioni di contatto, offrono ai pedofili la possibilità di ottenere dai bambini risposte idealizzanti che aiutano a mantenere l'immagine positiva del sé stessi (16). D'altra parte, spesso è il pedofilo a idealizzare i bambini e l'attività sessuale con loro, in modo da poter sostenere sia la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale sia quella di ristrutturazione di un Sé giovane e idealizzato: l'ansia dell'invecchiamento e della morte può essere tenuta a distanza attraverso i bambini (17).
Lucia Lavagna (18), psichiatra, sostiene che quando la pedofilia è associata oltre che al disturbo narcisistico di personalità a gravi tratti antisociali, come parte di un'evidente struttura caratteriale psicopatica, le determinanti inconsce del comportamento possono essere strettamente collegate alle dinamiche del sadismo (19). La psichiatra spiega infatti, che la conquista sessuale del bambino è uno "strumento" di vendetta e che il pedofilo è spesso stato a sua volta, vittima di abuso, sperimentando quindi un senso di trionfo, di rivincita e di potere che accompagna la trasformazione «di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente» (20). Per molti, l'aspetto più preoccupante del condensarsi tra fantasie sadiche e pedofiliche non è solo determinato dalla comprensibile brutalità che il crimine assume, ma anche dall'osservazione che, di solito, la gravità degli atti sadici aumenta nel tempo (21). Frequentemente, pedofilia e sadismo sono presenti nello stesso individuo in una difficile spirale: le persone che hanno bisogno di fantasie o azioni sadiche per raggiungere una gratificazione sessuale, stanno spesso inconsciamente cercando di capovolgere gli scenari infantili nei quali sono state vittime di abuso fisico o sessuale: infliggendo ad altri quello che accade a loro quand'erano bambini, ottengono al medesimo tempo vendetta ed un senso di padronanza sulle esperienze infantili di abuso. Con questa finalità alcuni mettono in atto i propri impulsi sessuali sadici con un partner adulto consenziente (che può essere affetto da "masochismo sessuale"), che si sottopone di buon grado a dolore o umiliazioni e in questo caso parlare di psicopatologia è lecito sempre che ci si tenga a distanza dall'idea di cura; altri invece agiscono i propri impulsi sessuali sadici con vittime non consenzienti o bambini: allora l'idea di cura e punizione si confondono (22).
Ma vi è anche chi non considera necessariamente la pedofilia come una perversione sessuale. Secondo Von Fritzläer (23) ad esempio, la pedofilia può essere considerata perversione se esistono tre requisiti:
tutte le volte che rappresenta l'unica forma di sessualità dell'individuo;
quando è complicata da altre perversioni (il sadismo è molto frequente),
ogni volta che si concreta in azioni nocive per il fanciullo.
Lo stesso autore sostiene che non sempre i rapporti sessuali tra adulti e bambini, anche prepuberi, sono negativi per i minori. Sostiene anzi, che è innegabile l'attrattiva sessuale dei prepuberi e, facendo leva sulle società in cui è concessa la poligamia (considerando che gli uomini scelgono lecitamente, le loro compagne tra fanciulle giovanissime e non sempre puberi), dichiara che il motivo per cui la relazione pedofila è bandita nella nostra società è soltanto da ricercare in motivi di ordine sociale e non fisiologico o morale, solo perché al bambino non sono riconosciuti diritti all'autonomia e all'autodeterminazione nel campo sessuale (24).
La maggior parte degli studiosi ed autori (25), ritengono che invece ogni attività sessuale fra prepuberi e adulti sia negativa per il bambino ed addirittura traumatica per lo sviluppo armonico della personalità, causando nel bambino danni legati alla perdita dell'infanzia e ad una crescita improvvisa non adeguata ai vissuti interni dell'Io, che proprio nella fase evolutiva, soprattutto per prepuberi, non può essere in grado di vivere appieno e serenamente la relazione pedofila, comprendendo nel profondo l'agito sessuale. Non è possibile, secondo la maggior parte della dottrina, parlare di amore consensuale, di rapporto basato sul consenso, soprattutto in considerazione del fatto che il bambino prepubere non può arrivare ad una scelta autonoma, essendo dipendente psicologicamente nella relazione (26).
1.2. I criteri diagnostici di Groth, Lanning, Holmes e St. Holmes e O'Connor
Nella nostra società ci sono comportamenti che riscuotono maggiore ostilità rispetto ad altri. Nonostante l'omosessualità sia una normale scelta sessuale (nel DSM-IV (27) è scomparsa la categoria dell'omosessualità come perversione sessuale), i comportamenti sessuali tra persone dello stesso sesso sono ancora, socialmente mal visti. In particolare se si tratta di comportamenti omosessuali messi in atto con persone più giovani e con minori, essendo presunta, non solo giuridicamente, ma anche socialmente, la mancanza di consenso e quindi la presenza di violenza. Una spiegazione di questo fenomeno è offerta dalla psicologia evoluzionistica (28). Il presupposto di questa prospettiva è che il nostro comportamento, in particolare quello sessuale, sia diretto alla massimizzazione del patrimonio genetico e quindi, tutti gli atti sessuali socialmente accettabili, dovrebbero essere finalizzati alla riproduzione (29).
Da qui nascono i tabù, che travolgono fatti come l'omicidio e l'incesto e naturalmente anche il comportamento pedofilo, essendo la pedofilia un'attrazione sessuale verso individui pre-puberi, non ancora capaci a "riprodurre", ed ha tra le sue componenti anche una biologico-genetica. Il punto di vista evoluzionistico e socio-biologico, cerca di comprendere il motivo per cui esiste un "istinto sociale" innato contro la pedofilia. E trova la sua risposta: da una parte, nell'esigenza di tutela e protezione dei "cuccioli" della società, in quanto destinati alla futura riproduzione della specie, dall'altra, tenta di capire il motivo per cui in certi soggetti, (con certe predisposizioni genetiche che interagiscono con l'esperienza ed il contesto in cui sono vissuti) c'è, ed è considerata normale, la tendenza a preferire persone più giovani, anche molto più giovani (30). Tra le diverse distinzioni della pedofilia operate dalla psico-sessuologia (31), una molto importante è quella tra pedofili regrediti (regressed), coloro cioè nei quali l'attrazione verso soggetti pre-puberi è preceduta da forme più mature di attrazione sessuale, e pedofili fissati (fixed), in cui vi è un arresto temporaneo o permanente dello sviluppo psico-sessuale e fin dall'adolescenza un atteggiamento di tipo pedofilo. Mentre i pedofili fissati raramente intrattengono relazioni sessuali -anche- adulte, sono spesso celibi e tendono ad essere attratti da (od a mettere in atto comportamenti sessuali pedofili verso) sconosciuti o vicini di casa, i pedofili regrediti spesso hanno relazioni sessuali adulte e sono sposati, non sono quasi mai omosessuali e tendono a rivolgersi sessualmente ad individui più giovani in conseguenza di frustrazioni e conflitti di relazione con soggetti della loro età, per cui la "scelta pedofila" costituirebbe un mezzo di soddisfazione sostitutivo di "normali" relazioni adultofile (32). Una chiara descrizione del pedofilo fissato, è offerta da Claudio Camarca (33):
Non è sposato, riceve poche amicizie selezionate. Tre camere, bagno, cucina. Una cantina adibita a sala Internet dove è libero di volare ore e ore in rete. Meticoloso, puntuale, puntiglioso. Mai passato con il rosso, mai dato nell'occhio. Beve solo di sabato sera, non ha compagno/a fissa. La sua idea di "fare quattro salti" è passare la notte a masturbarsi davanti alle immagini che dal videoregistratore scorrono in televisione. Quando incontra un bambino gli sudano le mani. Lo segue allontanarsi spiandolo dallo specchietto retrovisore. Si innamora di un bambino veduto una volta di sfuggita. Ci ripensa come al rallentatore fantasticando su un sorriso mai accennato su uno scambio di sguardi inesistente. Un bambino a cui da un nome e che fa viaggiare nella rete con il volto di altri, realmente sodomizzati e costretti a rapporto orali brutalizzanti (34).
Alcuni autori (35), hanno operato una distinzione che differenzia il pedofilo dal Child Molester. Child Molester, termine di derivazione anglosassone utilizzato molto negli studi statunitensi, definisce quel soggetto che «si intrattiene in realtà sessuali illecite con minori, indipendentemente dal sesso, dall'unicità o ripetitività degli atti, dalla presenza o assenza di condotte violente; se la vittima sia pubere o prepubere, conosciuta o meno, legata o meno da vincoli di parentela con l'aggressore» (36). Chiaramente, non tutti i pedofili, di fatto, devono essere considerati Child Molester. I criteri diagnostici del DSM-IV ad esempio, parlano di "fantasie", quindi situazioni non agite; molto spesso i pedofili si limitino ad attività autoerotiche, oppure scelgono di vivere le proprie fantasie con adulti che presentano tratti somatici infantili, con corporatura minuta, caratteri sessuali secondari poco definiti e appariscenti. I Child Molester invece, sono soggetti che agiscono sempre assumendo comportamenti sessuali in danno ai minori (37). Ora, se è dimostrato che il pedofilo può non mettere mai in atto, nella realtà, condotte di prevaricazione, è altrettanto vero che un Child Molester può non essere un pedofilo: ad esempio il molester può essere un soggetto che decide di sperimentare un rapporto con un minore per sola curiosità o casuale disponibilità, preferendo per il resto soggetti adulti come partner sessuali abituali (38). Tuttavia, ovviamente, molti pedofili agiscono i loro impulsi, divenendo Child Molester, così come molti Child Molester sono in realtà pedofili. Rispetto a questa tipologia di comportamento pedofilo, gli stessi autori, hanno proposto una differenziazione di due gruppi, i Child Molester situazionali e i Child Molester preferenziali, a loro volta ripartiti in sottocategorie (39). È stato soprattutto Ken Lannington (40), per circa vent'anni responsabile della sezione dell'FBI che si occupa di delitti rituale e di crimini violenti commessi in danno di minori, a riprendere nel dettaglio, in un suo lavoro del 1992, le tipologie descritte nelle tabelle proponendo un'approfondita analisi delle diverse tipologie.
È opinione di questi autori, che nei soggetti dichiarati Child Molester situazionali, non vi sia reale preferenza sessuale per i minori (41). Gli aggressori situazionali approfittano non solo di minori, ma spesso anche di soggetti appartenenti ad altre fasce deboli, come i disabili, i malati di mente, gli anziani; anche se le loro vittime non rappresentano un numero statisticamente rilevante, la loro schiera è aumentata nel corso degli ultimi anni (42).
All'interno della tipologia situazionale, Lanning (43) in particolare, identifica 4 sottocategorie:
Child Molester regressivi: bassa autostima e scarsa capacità d'adattamento sociale condizionano in questi soggetti la scelta di un minore come sostituto di un partner sessuale adulto, con il quale la relazione appare fonte d'ansia eccessiva; l'azione aggressiva può essere scatenata da eventi stressanti, e condotta anche all'interno del proprio nucleo familiare, quando non si presentino situazioni di facile disponibilità all'esterno. Agiscono soprattutto con modalità coercitive e non raramente collezionano materiale pornografico.
Child Molester moralmente indifferenti: sempre più numerosi, per questi soggetti l'abuso sessuale dei minori è semplicemente una parte di uno schema generale di comportamento, che esercitano quotidianamente in svariati contesti sociali e relazionali. Con modalità seduttive e manipolatorie, cercano di sfruttare indifferentemente familiari, conoscenti, colleghi di lavoro, mentendo con facilità ogni qualvolta ne intravedano un vantaggio personale. Solitamente prediligono vittime sconosciute, ma è possibile che abusino dei loro stessi figli.
Child Molester sessualmente indifferenti: sembra che alla base della spinta sessuale di questi soggetti ci sia un patologico bisogno di sperimentazione; i bambini quindi potrebbero rappresentare solamente un'esperienza nuova e sconosciuta. Questi soggetti, provenienti da categorie socioeconomiche più elevate, possono aggredire un numero rilevante di vittime.
Child Molester inadeguati: in questa categoria si ritrovano situazioni estremamente differenti: psicotici, soggetti affetti da ritardo mentale, da demenza senile, ma anche giovani incapaci di relazionarsi con coetanei o eccentrici e solitari che in età adulta ancora vivono con i genitori. Curiosità e insicurezza sembrano essere il motore primo che innesca e spinge all'azione; talvolta il minore viene scelto in una sorta di sostituzione simbolica dell'adulto al quale è legato, e al quale il molester vorrebbe avvicinarsi, senza averne la capacità.
Alla categoria dei Child Molester preferenziali appartengono soggetti con capacità socioeconomiche (generalmente) più elevate rispetto ai Child Molester situazionali; i loro desideri sono solitamente indirizzati per fasce d'età e sesso (le loro vittime sono soprattutto maschi). (44)
La tipologia preferenziale comprende le seguenti tre sottocategorie:
Child Molester seduttivi: le giovani vittime vengono sedotte attraverso un corteggiamento fitto di attenzioni, affettuosità e doni, per vincere gradualmente le inibizioni sessuali. Molti di questi Molester sono coinvolti con più minori, in quello che viene definito un Child Sex Ring (un gruppo di studenti della stessa classe, di scout, di bambini residenti nello stesso quartieri, ecc.) (45).
Child Molester introversi: tanto quanto i soggetti della precedente categoria sono capaci di sedurre e manipolare, ma gli «introversi» difettano di quelle abilità sociali che consentirebbero loro di avvicinare e stabilire un contatto con l'oggetto del loro desiderio: il bambino. È la loro incapacità relazionale a spingerli verso vittime molto piccole o totalmente sconosciute verso le quali possono indulgere in atti di esibizionismo o tentare approcci osceni al telefono. Sono questi i soggetti che classicamente rappresentano la figura del pedofilo che attende all'uscita della scuola, che frequenta i parchi gioco.
Child Molester sadici: fortunatamente, la tipologia sadica dei Child Molester è numericamente la meno rappresentata. Non solo in questi casi la scelta sessuale si accompagna al piacere di infliggere dolore e sofferenza alla vittima, sia psicologica che fisica, ma spesso la componente sadica rappresenta la prima spinta del comportamento abusante.
Holmes e St. Holmes (46) propongono invece, una suddivisione dei Child Molester in quattro categorie: l'immaturo, il regressivo, il sadico e il fissato. I due ricercatori statunitensi, riproponendo definizioni già utilizzate da Lanning, inseriscono una nuova categoria: il Child Molester fixed (fissato), introducendo quindi un tipo di comportamento pedofilo conosciuto dalla psicoanalisi (dalla psico-sessualogia in particolare, che ritiene si tratti di soggetti che hanno sofferto di un arresto temporaneo o permanente dello sviluppo psico-sessuale) (47). Secondo i due ricercatori statunitensi, il Child Molester fissato è infatti, un soggetto che non ha ben superato la fase dello sviluppo psicosessuale, poco o nulla impegnato in attività con coetanei, solitamente single, spesso infantile nei comportamenti e nello stile di vita, tanto da venire considerato, da quanti lo conoscono, immaturo e inadeguato (48).
Tommas O'Connor (49), infine, suddivide a sua volta i Child Molester in soggetti che operano scelte incestuose e soggetti che agiscono sessualmente al di fuori di legami di parentela. Il Child Molester incestuoso è in genere, un genitore inibito ed introverso, soffre della bassa stima che ha di sé, di un irrealistico senso del sé e della propria identità; spesso proviene da famiglie disgregate, di bassa estrazione sociale, culturale ed economica. Nega quasi sempre i fatti evitando di assumersi responsabilità, le famiglie sono sovente basate su un rapporto di sudditanza, con un padre-padrone e una madre geisha impegnata in un ruolo supportivo. Quando il Child Molester incestuoso è il padre, approfitta spesso di un'assenza prolungata della moglie per molestare i figli, nel tentativo di soddisfare l'assenza del partner sessuale; la vittima dunque, viene indotta a riconoscersi in un ruolo più importante e simile a quello dell'adulto, nel sostituire la figura della madre assente (50). L'offender pedofilo, che agisce al di fuori dei legami parentelari, secondo O'Connor, è invece, un tipo estroverso e che gode di un'alta autostima, è spesso pieno di sé, sicuro e capace di buona espressione. In genere proviene da famiglie di media estrazione sociale, stabili. È in grado di razionalizzare i fatti ed assumersi le proprie responsabilità, non soffre in genere di problemi di alcolismo; se è sposato (o convivente) il matrimonio (o la convivenza) assolve la funzione di "copertura", spesso ha una storia sessuale che include l'omosessualità o forme di devianza e perversione sessuale (51). Le molestie avvengono in risposta allo sviluppo di fantasie sempre più articolate. O'Connor, ritiene infine che l'offender pedofilo abbia una chiara e concreta concezione di ciò che è adeguato a ciascuna fase di sviluppo dell'infanzia e che, ai fini di rendere più facile l'esercizio del suo potete, tenti di indurre la vittima a percepirsi come un bambino molto piccolo (52).
2. Interpretazioni psicoanalitiche della pedofilia
Il comportamento sessuale del pedofilo può raccontare molto sull'infanzia di quel soggetto.
Freud occupandosi di "nevrosi", aveva notato che la "scelta della malattia" poteva essere diversa a seconda che la vittima avesse avuto nell'esperienza sessuale infantile un ruolo attivo oppure passivo, sviluppando una nevrosi ossessiva o un'isteria (53). Questa tesi nel corso degli anni è stata superata: in generale la perversione è oggi considerata un prodotto dell'angoscia, e il comportamento sessuale perverso è cosparso da residui e di tracce nella storia passata dello sviluppo mentale e lipidico dell'individuo, come sostenuto da Stoller (54). In particolare, le teorie freudiane si sono sviluppate considerando che i pedofili non violenti riferiscono esperienze sessuali infantili basate sulla seduzione, mentre i pedofili violenti riferiscono esperienze traumatiche accompagnate dalla paura. Naturalmente sarebbe semplicistico stabilire un rapporto troppo meccanico fra tipo di esperienza sessuale subita nell'infanzia e comportamento perverso nell'età adulta, escludendo altre variabili sia costituzionali che relazionali ed ambientali (55).
2.1. Le relazioni oggettuali e lo sviluppo psicosessuale del bambino dal punto di vista clinico
D'un dodicenne il fiore mi godo; se tredici sono gli anni, più forte il desiderio sento; chi n'ha quattordici spira delizia più forte dell'amore, più che nel terzo lustro va; il sedicesimo è un anno divino: non io lo ricerco l'anno diciassettesimo, ma Zeus. Per chi vagheggi un amasio più vecchio è finito lo scherzo: quello che cerca è "a lui corrispondendo"...
Stratone
L'osservazione clinica e la ricerca sperimentale sulle relazioni oggettuali e sullo sviluppo psicosessuale del bambino hanno permesso di porre l'accento sul diverso livello di maturità dei soggetti coinvolti in una relazione pedofila. Wyss (56) propone una chiara classificazione in base all'età dei bambini, secondo cui essi possono essere così considerati:
tra i 3 e i 7 anni: infanti;
tra gli 8 e i 10 anni: vivono la fase di latenza sessuale;
tra gli 11 e i 12 anni: sono definibili prepubertari;
tra i 13 anni in poi: la pubertà sarà in pieno svolgimento;
a 16 anni: la pubertà potrà essere considerata terminata.
La condizione iniziale della vita mentale infantile appare caratterizzata da uno stato istintuale-emozionale-narcisistico in cui gli unici rapporti con il mondo esterno, si attivano in relazione ai soggetti primari di riferimento (in genere i genitori) (57). Il bambino infatti, dipende totalmente dai genitori, ed in particolare dalla cura materna. La madre, attraverso le attenzioni rivolte al bambino assolve il primario e fondamentale compito di protezione inteso soprattutto nel consentire una graduale distinzione e riconoscimento di un Sé soggettivo da un non Sé. Bowlby (58) ha evidenziato, attraverso numerose osservazioni e ricerche, l'importanza fondamentale dei legami primari affettivamente significativi che si basano sulla funzione di protezione più che sulla nutrizione e sulla sessualità. Nella fase dell'attaccamento, elementi essenziali per un valido funzionamento della personalità e per la salute psichica del bambino, sono dunque, secondo Bowlby, i legami che danno protezione, conforto e sostegno al minore. Caratteristico appare comunque, negli aspetti della sessualità infantile, l'eccitamento autoerotico con la ricerca di un piacere sensuale legato a sentimenti di tenerezza e di cura. Nell'evolversi della relazione verso livelli più differenziati dell'Io, anche in funzione di una maturazione biopsicologica del bambino, un aspetto rimane costante, ciò che Giannotti (59) definisce nella relazione madre-bambino/bambino-madre, la «ricerca continua di un omeostasi narcisistica, che è alla base di ogni attività sessuale». Rinunciare ad una posizione simbiotico-narcisistica è in genere, molto doloroso per il bambino, ma è anche l'opportunità di ampliare le proprie esperienze emotive, collegate al riconoscimento del padre che, se da una parte interrompe lo stato di omeostasi narcisistica, dall'altra partecipa al processo di separazione del sé del bambino alla madre (60). Il padre dovrebbe facilitare lo spostamento dell'attaccamento materno e il consolidamento di una nuova relazione attraverso la quale viene condivisa l'identità di genere e reso più stabile il senso di mascolinità/femminilità che il bambino va sperimentando (61). Il senso di mascolinità/femminilità può essere rintracciato quindi nella componente identificatoria primaria con il padre pre-edipico. I processi identificatori e la ricerca di un'identità sessuale più o meno stabile appaiono altamente correlati all'attività esplorativa del bambino, di fondamentale importanza per i processi di apprendimento. È in questa fase di attività esplorativa legata alla pulsione di sapere e di ricerca, che iniziano le domande dei bambini (il sesso di appartenenza, la differenza sessuale, la provenienza dei bambini ecc.), che i bambini iniziano a mostrare il proprio corpo e a guardare il corpo degli altri (in particolare modo l'area genitale con attitudini esibizionistiche e voyeuristiche e con manifestazioni sessuali autoerotiche e masturbatorie che rientrano negli aspetti dell'attività esplorativa correlata alla sfera sessuale). In quel momento della crescita, gli aspetti educativi assumono una funzione fondamentale rispetto l'interiorizzazione delle figure genitoriali come controllo delle pulsioni primarie (62).
Tornando allo schema di Wyss, tra gli 8 e i 10 anni, il bambino vive il periodo di latenza sessuale, con processi caratterizzati dalla tendenza all'abbandono dell'onnipotenza del pensiero e il consolidarsi dei meccanismi di controllo (63). Questa fase, alla luce degli studi antropologici, appare un momento fondamentale in cui il bambino/bambina, intensifica i suoi legami con oggetti relazionali esterni alle figure genitoriali assumendo uno status e prerogative sessuali maschili/femminili più consolidate e stabili (64). È il momento in cui il bambino si trova a dover bilanciare desideri e bisogni interni e richieste esterne, attivando comportamenti e condotte che, finchè sono legittimate dagli adulti, sono considerate "normali" dal bambino, ma quando i consueti criteri di "controllo dei genitori" non sono per il bambino più rintracciabili, nel bambino vengono a crearsi tendenze a forme regressive, primitive, pulsionali, onnipotenti e fantasmatiche (65).
Lo sviluppo puberale, infine, costituisce un momento cruciale di riorganizzazione e integrazione fisico-psicologica nel contesto dell'evoluzione sessuale: la pulsione, da prevalentemente autoerotica, trova ora l'oggetto sessuale (66). L'interazione tra i processi emozionali (affettività istintiva individuale) e quelli secondari, intesi come adattabilità e socializzazione (affettività-contatto interindividuale), sembra realizzarsi attraverso la continua rielaborazione dell'esperienza interno/esterno (67).
All'interno della tipologia situazionale, Lanning (43) in particolare, identifica 4 sottocategorie:
Child Molester regressivi: bassa autostima e scarsa capacità d'adattamento sociale condizionano in questi soggetti la scelta di un minore come sostituto di un partner sessuale adulto, con il quale la relazione appare fonte d'ansia eccessiva; l'azione aggressiva può essere scatenata da eventi stressanti, e condotta anche all'interno del proprio nucleo familiare, quando non si presentino situazioni di facile disponibilità all'esterno. Agiscono soprattutto con modalità coercitive e non raramente collezionano materiale pornografico.
Child Molester moralmente indifferenti: sempre più numerosi, per questi soggetti l'abuso sessuale dei minori è semplicemente una parte di uno schema generale di comportamento, che esercitano quotidianamente in svariati contesti sociali e relazionali. Con modalità seduttive e manipolatorie, cercano di sfruttare indifferentemente familiari, conoscenti, colleghi di lavoro, mentendo con facilità ogni qualvolta ne intravedano un vantaggio personale. Solitamente prediligono vittime sconosciute, ma è possibile che abusino dei loro stessi figli.
Child Molester sessualmente indifferenti: sembra che alla base della spinta sessuale di questi soggetti ci sia un patologico bisogno di sperimentazione; i bambini quindi potrebbero rappresentare solamente un'esperienza nuova e sconosciuta. Questi soggetti, provenienti da categorie socioeconomiche più elevate, possono aggredire un numero rilevante di vittime.
Child Molester inadeguati: in questa categoria si ritrovano situazioni estremamente differenti: psicotici, soggetti affetti da ritardo mentale, da demenza senile, ma anche giovani incapaci di relazionarsi con coetanei o eccentrici e solitari che in età adulta ancora vivono con i genitori. Curiosità e insicurezza sembrano essere il motore primo che innesca e spinge all'azione; talvolta il minore viene scelto in una sorta di sostituzione simbolica dell'adulto al quale è legato, e al quale il molester vorrebbe avvicinarsi, senza averne la capacità.
Alla categoria dei Child Molester preferenziali appartengono soggetti con capacità socioeconomiche (generalmente) più elevate rispetto ai Child Molester situazionali; i loro desideri sono solitamente indirizzati per fasce d'età e sesso (le loro vittime sono soprattutto maschi). (44)
La tipologia preferenziale comprende le seguenti tre sottocategorie:
Child Molester seduttivi: le giovani vittime vengono sedotte attraverso un corteggiamento fitto di attenzioni, affettuosità e doni, per vincere gradualmente le inibizioni sessuali. Molti di questi Molester sono coinvolti con più minori, in quello che viene definito un Child Sex Ring (un gruppo di studenti della stessa classe, di scout, di bambini residenti nello stesso quartieri, ecc.) (45).
Child Molester introversi: tanto quanto i soggetti della precedente categoria sono capaci di sedurre e manipolare, ma gli «introversi» difettano di quelle abilità sociali che consentirebbero loro di avvicinare e stabilire un contatto con l'oggetto del loro desiderio: il bambino. È la loro incapacità relazionale a spingerli verso vittime molto piccole o totalmente sconosciute verso le quali possono indulgere in atti di esibizionismo o tentare approcci osceni al telefono. Sono questi i soggetti che classicamente rappresentano la figura del pedofilo che attende all'uscita della scuola, che frequenta i parchi gioco.
Child Molester sadici: fortunatamente, la tipologia sadica dei Child Molester è numericamente la meno rappresentata. Non solo in questi casi la scelta sessuale si accompagna al piacere di infliggere dolore e sofferenza alla vittima, sia psicologica che fisica, ma spesso la componente sadica rappresenta la prima spinta del comportamento abusante.
Holmes e St. Holmes (46) propongono invece, una suddivisione dei Child Molester in quattro categorie: l'immaturo, il regressivo, il sadico e il fissato. I due ricercatori statunitensi, riproponendo definizioni già utilizzate da Lanning, inseriscono una nuova categoria: il Child Molester fixed (fissato), introducendo quindi un tipo di comportamento pedofilo conosciuto dalla psicoanalisi (dalla psico-sessualogia in particolare, che ritiene si tratti di soggetti che hanno sofferto di un arresto temporaneo o permanente dello sviluppo psico-sessuale) (47). Secondo i due ricercatori statunitensi, il Child Molester fissato è infatti, un soggetto che non ha ben superato la fase dello sviluppo psicosessuale, poco o nulla impegnato in attività con coetanei, solitamente single, spesso infantile nei comportamenti e nello stile di vita, tanto da venire considerato, da quanti lo conoscono, immaturo e inadeguato (48).
Tommas O'Connor (49), infine, suddivide a sua volta i Child Molester in soggetti che operano scelte incestuose e soggetti che agiscono sessualmente al di fuori di legami di parentela. Il Child Molester incestuoso è in genere, un genitore inibito ed introverso, soffre della bassa stima che ha di sé, di un irrealistico senso del sé e della propria identità; spesso proviene da famiglie disgregate, di bassa estrazione sociale, culturale ed economica. Nega quasi sempre i fatti evitando di assumersi responsabilità, le famiglie sono sovente basate su un rapporto di sudditanza, con un padre-padrone e una madre geisha impegnata in un ruolo supportivo. Quando il Child Molester incestuoso è il padre, approfitta spesso di un'assenza prolungata della moglie per molestare i figli, nel tentativo di soddisfare l'assenza del partner sessuale; la vittima dunque, viene indotta a riconoscersi in un ruolo più importante e simile a quello dell'adulto, nel sostituire la figura della madre assente (50). L'offender pedofilo, che agisce al di fuori dei legami parentelari, secondo O'Connor, è invece, un tipo estroverso e che gode di un'alta autostima, è spesso pieno di sé, sicuro e capace di buona espressione. In genere proviene da famiglie di media estrazione sociale, stabili. È in grado di razionalizzare i fatti ed assumersi le proprie responsabilità, non soffre in genere di problemi di alcolismo; se è sposato (o convivente) il matrimonio (o la convivenza) assolve la funzione di "copertura", spesso ha una storia sessuale che include l'omosessualità o forme di devianza e perversione sessuale (51). Le molestie avvengono in risposta allo sviluppo di fantasie sempre più articolate. O'Connor, ritiene infine che l'offender pedofilo abbia una chiara e concreta concezione di ciò che è adeguato a ciascuna fase di sviluppo dell'infanzia e che, ai fini di rendere più facile l'esercizio del suo potete, tenti di indurre la vittima a percepirsi come un bambino molto piccolo (52).
2. Interpretazioni psicoanalitiche della pedofilia
Il comportamento sessuale del pedofilo può raccontare molto sull'infanzia di quel soggetto.
Freud occupandosi di "nevrosi", aveva notato che la "scelta della malattia" poteva essere diversa a seconda che la vittima avesse avuto nell'esperienza sessuale infantile un ruolo attivo oppure passivo, sviluppando una nevrosi ossessiva o un'isteria (53). Questa tesi nel corso degli anni è stata superata: in generale la perversione è oggi considerata un prodotto dell'angoscia, e il comportamento sessuale perverso è cosparso da residui e di tracce nella storia passata dello sviluppo mentale e lipidico dell'individuo, come sostenuto da Stoller (54). In particolare, le teorie freudiane si sono sviluppate considerando che i pedofili non violenti riferiscono esperienze sessuali infantili basate sulla seduzione, mentre i pedofili violenti riferiscono esperienze traumatiche accompagnate dalla paura. Naturalmente sarebbe semplicistico stabilire un rapporto troppo meccanico fra tipo di esperienza sessuale subita nell'infanzia e comportamento perverso nell'età adulta, escludendo altre variabili sia costituzionali che relazionali ed ambientali (55).
2.1. Le relazioni oggettuali e lo sviluppo psicosessuale del bambino dal punto di vista clinico
D'un dodicenne il fiore mi godo; se tredici sono gli anni, più forte il desiderio sento; chi n'ha quattordici spira delizia più forte dell'amore, più che nel terzo lustro va; il sedicesimo è un anno divino: non io lo ricerco l'anno diciassettesimo, ma Zeus. Per chi vagheggi un amasio più vecchio è finito lo scherzo: quello che cerca è "a lui corrispondendo"...
Stratone
L'osservazione clinica e la ricerca sperimentale sulle relazioni oggettuali e sullo sviluppo psicosessuale del bambino hanno permesso di porre l'accento sul diverso livello di maturità dei soggetti coinvolti in una relazione pedofila. Wyss (56) propone una chiara classificazione in base all'età dei bambini, secondo cui essi possono essere così considerati:
tra i 3 e i 7 anni: infanti;
tra gli 8 e i 10 anni: vivono la fase di latenza sessuale;
tra gli 11 e i 12 anni: sono definibili prepubertari;
tra i 13 anni in poi: la pubertà sarà in pieno svolgimento;
a 16 anni: la pubertà potrà essere considerata terminata.
La condizione iniziale della vita mentale infantile appare caratterizzata da uno stato istintuale-emozionale-narcisistico in cui gli unici rapporti con il mondo esterno, si attivano in relazione ai soggetti primari di riferimento (in genere i genitori) (57). Il bambino infatti, dipende totalmente dai genitori, ed in particolare dalla cura materna. La madre, attraverso le attenzioni rivolte al bambino assolve il primario e fondamentale compito di protezione inteso soprattutto nel consentire una graduale distinzione e riconoscimento di un Sé soggettivo da un non Sé. Bowlby (58) ha evidenziato, attraverso numerose osservazioni e ricerche, l'importanza fondamentale dei legami primari affettivamente significativi che si basano sulla funzione di protezione più che sulla nutrizione e sulla sessualità. Nella fase dell'attaccamento, elementi essenziali per un valido funzionamento della personalità e per la salute psichica del bambino, sono dunque, secondo Bowlby, i legami che danno protezione, conforto e sostegno al minore. Caratteristico appare comunque, negli aspetti della sessualità infantile, l'eccitamento autoerotico con la ricerca di un piacere sensuale legato a sentimenti di tenerezza e di cura. Nell'evolversi della relazione verso livelli più differenziati dell'Io, anche in funzione di una maturazione biopsicologica del bambino, un aspetto rimane costante, ciò che Giannotti (59) definisce nella relazione madre-bambino/bambino-madre, la «ricerca continua di un omeostasi narcisistica, che è alla base di ogni attività sessuale». Rinunciare ad una posizione simbiotico-narcisistica è in genere, molto doloroso per il bambino, ma è anche l'opportunità di ampliare le proprie esperienze emotive, collegate al riconoscimento del padre che, se da una parte interrompe lo stato di omeostasi narcisistica, dall'altra partecipa al processo di separazione del sé del bambino alla madre (60). Il padre dovrebbe facilitare lo spostamento dell'attaccamento materno e il consolidamento di una nuova relazione attraverso la quale viene condivisa l'identità di genere e reso più stabile il senso di mascolinità/femminilità che il bambino va sperimentando (61). Il senso di mascolinità/femminilità può essere rintracciato quindi nella componente identificatoria primaria con il padre pre-edipico. I processi identificatori e la ricerca di un'identità sessuale più o meno stabile appaiono altamente correlati all'attività esplorativa del bambino, di fondamentale importanza per i processi di apprendimento. È in questa fase di attività esplorativa legata alla pulsione di sapere e di ricerca, che iniziano le domande dei bambini (il sesso di appartenenza, la differenza sessuale, la provenienza dei bambini ecc.), che i bambini iniziano a mostrare il proprio corpo e a guardare il corpo degli altri (in particolare modo l'area genitale con attitudini esibizionistiche e voyeuristiche e con manifestazioni sessuali autoerotiche e masturbatorie che rientrano negli aspetti dell'attività esplorativa correlata alla sfera sessuale). In quel momento della crescita, gli aspetti educativi assumono una funzione fondamentale rispetto l'interiorizzazione delle figure genitoriali come controllo delle pulsioni primarie (62).
Tornando allo schema di Wyss, tra gli 8 e i 10 anni, il bambino vive il periodo di latenza sessuale, con processi caratterizzati dalla tendenza all'abbandono dell'onnipotenza del pensiero e il consolidarsi dei meccanismi di controllo (63). Questa fase, alla luce degli studi antropologici, appare un momento fondamentale in cui il bambino/bambina, intensifica i suoi legami con oggetti relazionali esterni alle figure genitoriali assumendo uno status e prerogative sessuali maschili/femminili più consolidate e stabili (64). È il momento in cui il bambino si trova a dover bilanciare desideri e bisogni interni e richieste esterne, attivando comportamenti e condotte che, finchè sono legittimate dagli adulti, sono considerate "normali" dal bambino, ma quando i consueti criteri di "controllo dei genitori" non sono per il bambino più rintracciabili, nel bambino vengono a crearsi tendenze a forme regressive, primitive, pulsionali, onnipotenti e fantasmatiche (65).
Lo sviluppo puberale, infine, costituisce un momento cruciale di riorganizzazione e integrazione fisico-psicologica nel contesto dell'evoluzione sessuale: la pulsione, da prevalentemente autoerotica, trova ora l'oggetto sessuale (66). L'interazione tra i processi emozionali (affettività istintiva individuale) e quelli secondari, intesi come adattabilità e socializzazione (affettività-contatto interindividuale), sembra realizzarsi attraverso la continua rielaborazione dell'esperienza interno/esterno (67).
2.3. Il bambino come oggetto improprio
Ma cosa significa per il bambino essere oggetto di un amore pedofilo? Il pedofilo ha come oggetto d'amore il bambino prepubere (83), il problema sta semplicemente nel fatto che il bambino è un oggetto del tutto improprio, inadeguato. Per due fondamentali ragioni: la prima è che un bambino prepubere non può essere in alcun modo consapevole, e dunque, non può esser consenziente, nei confronti di un rapporto erotico di questo genere. La seconda è che il bambino non può essere un oggetto adatto per questo amore, né fisicamente, né psichicamente. Un bambino prepubere è adeguato a un amore materno, paterno, fraterno, un amore che ha indubbiamente dei risvolti di fisicità, di piacere corporeo, ma che, comunque è ben diverso da un amore che preveda un possesso fisico e una relazione tra due corpi come quella che è implicita in un rapporto sessuale (84). È del tutto pretestuoso, oltre che mistificatorio, sostenere, come fanno gli esponenti dei "Comitati per la difesa dei pedofili", che molti bambini apprezzano le attenzioni del pedofilo o addirittura le cercano. Non è possibile interpretare questi atteggiamenti, qualora anche si verifichino, come delle scelte consapevoli, per il semplice fatto che il bambino non è ancora in grado di compierle (85). È vero, non sono pochi i casi in cui sono stati proprio i bambini a cercare il pedofilo, a lanciargli dei segnali, ma questa eventualità non solo non dimostra che il bambino faccia le sue scelte in modo libero e consapevole e risponda così a un innamoramento, al contrario anzi, dimostra che il bambino agisce in preda a forti condizionamenti che ne stravolgono le azioni. Regolarmente, infatti, i bambini attratti dai pedofili sono bambini abbandonati, materialmente o psicologicamente: bambini che provengono da ambienti affettivamente poveri, o che hanno subito violenze in famiglia, e che si illudono di aver trovato nel pedofilo (anche virtuale) quell'attenzione, quell'amore, quella dedizione che, fino a quel momento, sono stati loro rifiutati. Il bambino, insomma, cerca l'adulto, ne è attratto, proprio perché intuisce in lui un elemento di protezione, la disponibilità del minore nei confronti del pedofilo nasce dalla frustrazione che spinge un bambino privo di calore, affetto e sicurezza all'interno del proprio nucleo familiare, a cercare tutto ciò altrove. Non amore, dunque, non desiderio di sessualità, ma espressione di un abbandono e di una debolezza provocata dall'indifferenza degli adulti, e l'adulto che violenta il bambino, pensando di aver ottenuto in qualche modo il suo consenso, non fa altro che interpretarne i bisogni in maniera cinica ed egoistica, dando loro una risposta del tutto inadeguata.
2.4. Le conseguenze dell'abuso sessuale
Le vittime degli abusi, quando non ne parlano, vivono l'abuso credendolo "normale", come se fosse un'esperienza della vita comune a tutti i bambini. Aldo Gambia, psicologo e psicoterapeuta, consulente tecnico d'ufficio del Tribunale di Napoli, dichiara:
Il trauma, la sofferenza, l'alienazione vengono, al contrario, totalmente interiorizzati in uno "pseudo-autismo", dove le relazioni con gli adulti, i confini generazionali, le sensazioni del corpo diventano un impasto talmente indecifrabile da lasciare il bambino avvolto in una nebbiosa solitudine (86).
Ma, prima di tutto, per poter ben capire le conseguenze derivanti da una violenza sessuale, occorre definire cosa si intende per "trauma". Il trauma psichico, nella concezione psicoanalitica classica, è un evento improvviso ed inatteso che, per la particolare intensità, oltrepassa la capacità di elaborazione psichica dell'Io ed ha effetti patogeni durevoli nell'organizzazione psichica (87). Secondo Freud, il trauma psichico rappresentava una reazione ad un evento reale, oggettivo; in particolare, l'isteria derivava da un trauma sessuale subito nell'infanzia, periodo in cui, più facilmente, a causa della vulnerabilità dell'Io, può verificarsi un evento inducente un trauma psichico:
Le esperienze sessuali dell'infanzia, consistenti in stimolazione dei genitali, pratiche simili al coito eccetera, vanno dunque riconosciute, in analisi, come quei traumi da cui derivano la reazione isterica agli avvenimenti della pubertà e lo sviluppo dei sintomi isterici (88).
Freud, tuttavia, si rese conto con il tempo, che parte dei ricordi che emergevano nel trattamento dei pazienti isterici non potevano essere considerati veri ricordi di eventi realmente accaduti, ma che rispondevano, spesso a costruzioni fantastiche successivamente inventate (89). Il concetto di trauma psichico perde quindi, gradualmente la sua connotazione "economica", assumendo, per la psicoanalisi, un significato più ampio, in cui diventa predominante il ruolo della realtà psichica e della fantasia inconscia (90). Inoltre, oltre al concetto di fantasia, contribuisce ad attenuare l'aspetto "economico" anche il concetto freudiano di "a posteriori": i traumi agiscono propriamente nel momento in cui si esplicano, ma il trauma psichico può manifestarsi anche posteriormente, a partire da ricordi infantili che acquistano poteri traumatici solo molto tempo dopo e in funzione di nuovi eventi. Questo pensiero, che ritroviamo precocemente nell'opera di Sigmund Freud Progetto di una psicologia (91) e successivamente ne Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi) (92), sottolinea come il trauma sessuale si un fenomeno che si svolge in due tempi: la traccia di questo evento, pur rimanendo nella psiche, non costituisce in sé un trauma, nel senso che non produce effetti patogeni fino a quando le condizioni maturative o eventi più tardivi non convertano retroattivamente il primo evento in trauma; solo in questo momento si manifestano le conseguenze patogene (93).
Negli sviluppi psicoanalitici più recenti, il concetto di trauma ha assunto progressivamente, un significato più esteso alla prospettiva freudiana, anche se non ancora univoco: alcuni autori (94) infatti, a proposito delle conseguenze del trauma, ritengono addirittura che possa essere potenzialmente positivo, stimolante delle capacità adattive dell'Io e costruttivo; mentre altri autori (95) ritengono che il trauma possa non solo provocare effetti devastanti, ma indurre un'attiva, masochistica e altrettanto devastante ripetizione.
In ordine ai traumi e shock emotivi, per molto tempo è mancata anche una precisa nosografia dei disturbi psichiatrici conseguenti ad un avvenimento traumatico. Il primo a cercare una definizione è stato Horowitz (96) nel 1976, che delineò alcune caratteristiche comuni delle conseguenze del trauma, indicando addirittura le tematiche psicologiche più frequentemente riscontrabili in soggetti vittime di un grave trauma: dolore e tristezza, paura di diventare distruttivi e colpa per i propri impulsi di rabbia, paura di identificarsi con le vittime e sentimenti di colpa per essere sopravvissuti, paura di ripetere il trauma e vergogna rispetto al sentimento di impotenza e di vuoto. L'inquadramento clinico delle manifestazioni psicopatologiche insorte in relazione ad eventi, è tuttavia, rimasto sempre in una prospettiva abbastanza generica.
Solo oggi, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) (97), è arrivato a distinguere i disturbi conseguenti ad avvenimenti stressanti suddividendoli a seconda della gravità dell'evento causale in due grandi categorie:
Disturbi d'Adattamento, articolati in varie sottocategorie a seconda del quadro psicopatologico prevalente. Si tratta di disturbi nati in relazione a eventi "comuni" ma importanti nella vita e determinano una sintomatologia clinica di entità lieve e moderata, la cui causa è da ricercarsi non tanto nell'evento in sé, quanto piuttosto, nell'incapacità da parte del soggetto di superare ed affrontare con successo l'evento (98).
Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD). Nasce in rapporto ad eventi di maggiore gravità, situazioni estreme che implicano una minaccia per la vita o per l'integrità fisica, che possono coinvolgere sia il singolo che la comunità e che potrebbero determinare in chiunque delle conseguenze traumatiche, temporanee o permanenti.
Gli effetti del trauma sessuale sono facilmente inquadrabili in un Disturbo Post-traumatico da Stress, gli effetti a lungo termine includono sintomi come, secondo alcuni autori (99), pedofilia, personalità immatura e paranoica, disordini di tipo narcisistico, le sociopatie. Molti autori (100) sottolineano quali indicatori di rischio, relativamente gli abusanti, oltre a quelle già elencate, la tossicomania, l'alcolismo e l'insufficienza mentale.
Il Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università degli Studi di Genova ha condotto uno studio che ha avuto come oggetto tutti i pazienti abusati sessualmente, ricoverati in reparti di degenza della clinica, nel corso di un ricovero volontario e i pazienti seguiti presso gli ambulatori o eventualmente pervenuti all'attenzione degli autori della ricerca in pronto soccorso, in un periodo di tre anni e mezzo compreso tra l'1/1/1995 e l'1/6/1998 (101). I risultati, oltre ad evidenziare una correlazione tra traumi, Personalità (102), rilevano, nell'evoluzione del disturbo, una comorbilità statisticamente significativa con i Disturbi dell'Alimentazione e con il Disturbo da Abuso di Sostanze, in accordo con ciò che Goodwin e all. (103) nel 1990 sottolineano nei loro studi, e cioè come gravi storie di abuso sessuale possano portare sia a un Disturbo Borderline di Personalità, sia a sindromi multiple comprendenti disturbi legati all'alimentazione, abuso di alcool e altre sostanze e somatizzazioni. Secondo questo studio, in alcuni pazienti il trauma dell'abuso sessuale, avvenuto in un determinato periodo della vita psichica, (quando cioè è ancora nulla la capacità di contenimento psichico di eventi traumatici), può ostacolare lo stesso sviluppo psichico, e in particolare può agire sulla strutturazione del proprio Sè e sul funzionamento dei meccanismi di difesa determinando lo sviluppo di particolari tratti della personalità quali l'impulsività, lo scarso controllo dell'aggressività, la labilità emotiva; tutti tratti caratteriali che, secondo Everill e Waller (104), potrebbero predisporre ad alcune anomalie del comportamento alimentare come le "abbuffate" e il vomito, o al Craving verso le sostanze (105). Rorty (106) sostiene che il disturbo del comportamento alimentare rappresenta un tentativo di gestire affetti incombenti e di aiutarne la regolazione interiore, nonostante sia ampiamente distruttivo.
È interessante notare inoltre, come i pazienti abusati fisicamente e sessualmente hanno maggiore probabilità di abusare di quasi tutti i tipi di droghe, prevalentemente marijuana ed alcool e per questi ultimi Moncrieff e all. (107) sottolineano anche un più frequente uso di psicofarmaci, soprattutto antidepressivi: l'età di inizio dell'abuso di sostanze è più precoce rispetto ai pazienti non abusati e generalmente questi pazienti vivono la sostanza come un mezzo autoterapeutico per far fronte a sentimenti angosciosi.
In effetti, chi ha subito un abuso può sviluppare fobie in situazioni o in luoghi che ricordano, anche in parte, quell'evento, per esempio la paura del buio, di usare coltelli, dei capelli, dei peli, del fumo di sigaretta. L'abusato può provare paure associate alle minacce da parte dell'abusante, incubi in cui è torturato o ucciso, paura della morte dei genitori, paura di essere mutilato o violentato (108). Può manifestare disturbi di tipo depressivo che si manifestano attraverso pensieri relativi alla morte, senso di vuoto e di inutilità della propria esistenza, sensazione di non essere amati, insoddisfazione, tristezza e fallimento, mancanza di autostima e comportamenti di dipendenza (non solo a droghe o ad alcolici, ma anche alla televisione ad esempio), ed è allora che l'abusato ricorre all'uso di farmaci che possono lenire o anche far scomparire il sintomo, anche se non portano alla luce la causa scatenante e non riescono a liberare per sempre il soggetto dalla sua angoscia.
I problemi maggiori vengono vissuti dagli abusanti nelle relazioni affettive e nella sessualità; ciò è dovuto, ovviamente, al trauma subito che ha determinato una distorsione del rapporto affettivo con l'altro, a un'esperienza sessuale, anche se non violenta, in un'età in cui non vi è maturazione psicofisica per comprenderla (109). Le relazioni sessuali che si stabiliscono sono totalmente condizionate dall'esperienza traumatica, e possono essere vissute con posizioni estreme, senza mai trovare un equilibrio soddisfacente. Certamente è vero che non è facile, anche per chi non ha subito abusi sessuali, trovare una giusta dimensione della propria sessualità.
La sessuofobia sociale ha portato, e porta, a nascondere ai bambini tutto ciò che concerne il sesso, anche la semplice conoscenza della differenza tra i sessi era ed è ancora oggi, appresa in modo disordinato, confuso, talvolta da coetanei più "istruiti" o, qualche volta, da genitori imbarazzati. Allo stesso tempo, televisione e giornali forniscono immagini "sessualizzate", quasi sempre più legate alla pornografica che all'erotismo (110). Una sana educazione sessuale non deve assolutamente disgiungere la sessualità dall'affetto, dall'amore. Certamente la mera descrizione anatomica delle differenze sessuali, della posizione e della forma degli organi, della fisiologia della riproduzione, non basta a far comprendere il significato della sessualità che è generata dall'amore, anzi, come sostiene Gombia, è solo una «medicalizzazione di un processo che relega l'individuo ad un insieme di organi e funzioni» (111). La sessualità ha invece, basi biologiche e spirituali non disgiunte (112).
L'educazione sessuale consiste anche nell'educare agli affetti e alle emozioni, all'amore, solo così potremo considerare l'individuo bambino in senso olistico, nella sua completezza. L'approccio che gli adulti hanno nei confronti della sessualità è contraddittorio: se da una parte hanno la piena coscienza del sesso, dell'approccio relazionale affettivo (che in genere comprende anche quello sessuale) o di un rapporto anche solo semplicemente sessuale, dall'altra parte sembra quasi che parlarne con i bambini sia "difficile", sembra che faccia paura, come se loro per primi non avessero ancora completamente metabolizzato la propria sessualità.
Quindi, se già gli adulti "non abusati" hanno difficoltà a relazionarsi con il sesso (nell'insegnarlo ai minori), a maggior ragione è comprensibile l'atteggiamento che, gli adulti che hanno subito abusi sessuali nell'infanzia, hanno verso il sesso, un atteggiamento cioè che può cadere negli estremi comportamentali.
Ora, secondo Gombia, i comportamenti sessuali possono rientrare in due categorie (113):
comportamenti evitanti;
comportamenti ricercanti.
Per i primi si intendono tutti quegli atteggiamenti che si traducono sia in difficoltà fisiche: difficoltà a toccarsi parti del corpo, soffrire di impotenza psicologica, avere fastidio nell'essere toccati, anche amichevolmente, soffrire di vaginismo (114); sia in situazioni comportamentali più prettamente emotive: non essere in grado di avere rapporto sessuale, non provare piacere dall'attività sessuale, avere difficoltà a praticare sport di gruppo in cui vi siano docce comuni, impossibilità di avere rapporti sentimentali di una certa intensità, non avere un'identità sessuale certa. Il comportamento di ricerca sessuale al contrario, si costituisce in una masturbazione di tipo ossessivo, in una promiscuità sessuale, alla ricerca continua di partner diversi, al masochismo sessuale e alla sessualizzazione di qualsiasi rapporto affettivo.
Tale comportamento, una volta messo in atto, non produce alcuna soddisfazione al soggetto, anzi, spesso egli ne rimane disgustato, con il proposito di non ripeterlo. Invece tale comportamento può diventare una "coazione a ripetere", una necessità alla quale il soggetto non può sottrarsi, quasi una droga che non può più controllare e che lo distrugge mentre, al contrario, crede di curarsi (115).Spesso chi ha subito un abuso sessuale nell'infanzia rivive la violenza anche durante il rapporto sessuale con il partner desiderato; è una forma di allucinazione, un flashback, che riporta il soggetto indietro nel tempo a riprovare gli stessi sentimenti di paura e di odio (116).
Talvolta l'odio viene rivolto alla persona che si ama, in una spirale allucinante che lega passato e presente, dalla quale il soggetto può uscire solamente attraverso la destrutturazione del trauma e la sua elaborazione. La rabbia, l'aggressività, l'odio che per tanto tempo hanno albergato nell'animo dell'abusato dovrebbero emergere, per trovare assieme a persone esperte in grado di aiutare, la strada per una nuova dimensione della sessualità e dell'amore.
3. La personalità del pedofilo: aspetti clinici
Nella letteratura psichiatrica il tema della personalità del pedofilo è stato diffusamente trattato, anche se con risultati non certo univoci. Una delle distinzioni che accomuna più o meno tutti le teorie è rappresentata da quella che suddivide i casi fra non psicopatologici e psicopatologici (117). Alcuni autori (118) riconducono al primo gruppo tratti di immaturità psicosessuale, passività, impotenza e inadeguatezza genitale, infantilismo, segni di compensazione delle carenze affettive ecc. Secondo Renard (119), la manifestazione di un desiderio erotico verso un bambino è «l'atto terminale di un processo complesso di difesa» e tale desiderio per l'autore deve essere considerato come un autentico sintomo nevrotico, in quanto il soggetto pedofilo si identifica con l'oggetto ed ha verso di lui l'atteggiamento che aveva sua madre (o perlomeno che avrebbe voluto che sua madre avesse nei suo riguardi). Lo scopo? Quello di garantire al bambino un godimento erotico, protezione, affetto e tenerezza (120).
Nel secondo gruppo, relativo agli psicopatologici, sono comprese tutte le varie forme di disturbi mentali. Fra gli altri, Nass (121) e Plaut (122), descrivendo concordemente la personalità pedofila come immatura dal punto di vista psicosessuale e con un'affettività non ancora legata agli aspetti erotici, hanno tracciato un profilo dettagliato degli aspetti psicologici e psicopatologici della loro personalità. Nass in particolare, distingue in relazione alla situazione psichica dei suoi casi di pedofilia, alcuni gruppi con diverse caratteristiche:
sviluppo tardivo, inesperienza sessuale, comportamenti simili a quelli della fase puberale;
degenerazione della personalità come manifestazione della senilità, disturbi del sistema ormonale che conducono a disarmonie della vita pulsionale e della personalità;
pulsione sessuale normale o sessualmente sviluppata, ma senza eros. La pressione psicofisica della pulsione sessuale cerca una valvola con l'aiuto di un qualsiasi oggetto, purchè serva al soddisfacimento delle pulsioni. In genere obiettivi di soggetti che presentano questi disturbi sono bambini di ambo i sessi;
abbinamento dell'eros pedagogico con la pulsione sessuale: il reato sessuale degli insegnanti e assistenti di gioventù;
regressione «dell'impulso a trastullarsi nell'abbinamento dello stesso con la pulsione sessuale» (123);
labilità endogena della personalità globale che ha effetto soprattutto sull'ambito sessuale;
labilità della personalità dovuta da cause esogene e azione della stessa in direzione pulsionale falsa (nel senso che si verifica uno "scarico" pulsionale diverso dalla modalità ritenute "normali");
personalità criminale che si soddisfa nella messa in atto di desideri pulsionali;
prolungata incapacità funzionale della pulsione sessuale, sia come conseguenza di distrofia o come per affezioni che interessano la circolazione. In particolare, il ricambio può portare, alla prima ripresa della funzione, a manifestazioni regressive.
Plaut (124) invece, ritiene che i pedofili, semplicemente, siano degli immaturi psicosessuali, incerti nella scelta dell'oggetto d'amore e incapaci di creare una relazione adeguata con l'oggetto. Anche questo autore, vede nella maggior parte dei casi una base di immaturità psicosessuale che non trova nessun'altra possibilità se non quella di una sessualità rudimentale.
Molti altri autori (125) hanno espresso opinioni al riguardo, ma tanto varia e complessa è la natura della personalità del pedofilo che non si rilevano opinioni univoche. Contrastanti sono anche le opinioni in ordine alla possibilità di considerare la pedofilia una autentica perversione o una pseudoperversione. A questo proposito, Wyss (126), studiando una casistica di 169 pedofili condannati, li descrive come soggetti particolarmente infantili, nevrotici sessuali e «deboli di pulsioni ma con forti tensioni pulsionale tanto da giungere ad improvvisi sfoghi senza scelta» (127). Nel cercare di spiegare l'atto pedofilo, Wyss afferma che quelli che lui ha potuto osservare hanno in realtà fantasie sessuali normali, ma falliscono nel rapporto con partners sessualmente maturi. Egli giunge, inoltre, alla conclusione che la pedofilia nella gran parte dei casi, è una pseudoperversione, cioè «sintomo di alterazioni molto eterogenee della personalità» (128), in quanto nel pedofilo eterosessuale esistono fantasie sessuali anche con partner maturi dell'altro sesso. L'esistenza di tali fantasie è secondo Wyss sufficiente per non definire perversione il comportamento pedofilo; esisterebbe invece, un'autentica perversione solo in alcuni casi di pedofilia omosessuale. Wyss sostiene che il pedofilo occupa una «posizione errata contro l'ordine», mentre gli eterosessuali rivestono una «posizione errata nell'ordine», anche se conclude che non esiste un'unica definizione della personalità del pedofilo.
Jaria (129), autore della ricerca probabilmente più significativa in Italia, condotta presso la sezione giudiziaria dell'Ospedale Psichiatrico di Castiglione delle Siviere (MN) su pedofili colpevoli dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume su minori di 14 anni (156 di cui 150 uomini e 6 donne), indica che i 156 casi esaminati, in rapporto alle varie malattie mentali, erano distribuiti in frenastenici, schizofrenici, alcoolisti cronici, soggetti affetti da psicosi dell'età involutiva e soggetti, con frequenza irrilevante, quali paralitici progressivi, epilettici e altre forme di psicosi.
Ma cosa significa per il bambino essere oggetto di un amore pedofilo? Il pedofilo ha come oggetto d'amore il bambino prepubere (83), il problema sta semplicemente nel fatto che il bambino è un oggetto del tutto improprio, inadeguato. Per due fondamentali ragioni: la prima è che un bambino prepubere non può essere in alcun modo consapevole, e dunque, non può esser consenziente, nei confronti di un rapporto erotico di questo genere. La seconda è che il bambino non può essere un oggetto adatto per questo amore, né fisicamente, né psichicamente. Un bambino prepubere è adeguato a un amore materno, paterno, fraterno, un amore che ha indubbiamente dei risvolti di fisicità, di piacere corporeo, ma che, comunque è ben diverso da un amore che preveda un possesso fisico e una relazione tra due corpi come quella che è implicita in un rapporto sessuale (84). È del tutto pretestuoso, oltre che mistificatorio, sostenere, come fanno gli esponenti dei "Comitati per la difesa dei pedofili", che molti bambini apprezzano le attenzioni del pedofilo o addirittura le cercano. Non è possibile interpretare questi atteggiamenti, qualora anche si verifichino, come delle scelte consapevoli, per il semplice fatto che il bambino non è ancora in grado di compierle (85). È vero, non sono pochi i casi in cui sono stati proprio i bambini a cercare il pedofilo, a lanciargli dei segnali, ma questa eventualità non solo non dimostra che il bambino faccia le sue scelte in modo libero e consapevole e risponda così a un innamoramento, al contrario anzi, dimostra che il bambino agisce in preda a forti condizionamenti che ne stravolgono le azioni. Regolarmente, infatti, i bambini attratti dai pedofili sono bambini abbandonati, materialmente o psicologicamente: bambini che provengono da ambienti affettivamente poveri, o che hanno subito violenze in famiglia, e che si illudono di aver trovato nel pedofilo (anche virtuale) quell'attenzione, quell'amore, quella dedizione che, fino a quel momento, sono stati loro rifiutati. Il bambino, insomma, cerca l'adulto, ne è attratto, proprio perché intuisce in lui un elemento di protezione, la disponibilità del minore nei confronti del pedofilo nasce dalla frustrazione che spinge un bambino privo di calore, affetto e sicurezza all'interno del proprio nucleo familiare, a cercare tutto ciò altrove. Non amore, dunque, non desiderio di sessualità, ma espressione di un abbandono e di una debolezza provocata dall'indifferenza degli adulti, e l'adulto che violenta il bambino, pensando di aver ottenuto in qualche modo il suo consenso, non fa altro che interpretarne i bisogni in maniera cinica ed egoistica, dando loro una risposta del tutto inadeguata.
2.4. Le conseguenze dell'abuso sessuale
Le vittime degli abusi, quando non ne parlano, vivono l'abuso credendolo "normale", come se fosse un'esperienza della vita comune a tutti i bambini. Aldo Gambia, psicologo e psicoterapeuta, consulente tecnico d'ufficio del Tribunale di Napoli, dichiara:
Il trauma, la sofferenza, l'alienazione vengono, al contrario, totalmente interiorizzati in uno "pseudo-autismo", dove le relazioni con gli adulti, i confini generazionali, le sensazioni del corpo diventano un impasto talmente indecifrabile da lasciare il bambino avvolto in una nebbiosa solitudine (86).
Ma, prima di tutto, per poter ben capire le conseguenze derivanti da una violenza sessuale, occorre definire cosa si intende per "trauma". Il trauma psichico, nella concezione psicoanalitica classica, è un evento improvviso ed inatteso che, per la particolare intensità, oltrepassa la capacità di elaborazione psichica dell'Io ed ha effetti patogeni durevoli nell'organizzazione psichica (87). Secondo Freud, il trauma psichico rappresentava una reazione ad un evento reale, oggettivo; in particolare, l'isteria derivava da un trauma sessuale subito nell'infanzia, periodo in cui, più facilmente, a causa della vulnerabilità dell'Io, può verificarsi un evento inducente un trauma psichico:
Le esperienze sessuali dell'infanzia, consistenti in stimolazione dei genitali, pratiche simili al coito eccetera, vanno dunque riconosciute, in analisi, come quei traumi da cui derivano la reazione isterica agli avvenimenti della pubertà e lo sviluppo dei sintomi isterici (88).
Freud, tuttavia, si rese conto con il tempo, che parte dei ricordi che emergevano nel trattamento dei pazienti isterici non potevano essere considerati veri ricordi di eventi realmente accaduti, ma che rispondevano, spesso a costruzioni fantastiche successivamente inventate (89). Il concetto di trauma psichico perde quindi, gradualmente la sua connotazione "economica", assumendo, per la psicoanalisi, un significato più ampio, in cui diventa predominante il ruolo della realtà psichica e della fantasia inconscia (90). Inoltre, oltre al concetto di fantasia, contribuisce ad attenuare l'aspetto "economico" anche il concetto freudiano di "a posteriori": i traumi agiscono propriamente nel momento in cui si esplicano, ma il trauma psichico può manifestarsi anche posteriormente, a partire da ricordi infantili che acquistano poteri traumatici solo molto tempo dopo e in funzione di nuovi eventi. Questo pensiero, che ritroviamo precocemente nell'opera di Sigmund Freud Progetto di una psicologia (91) e successivamente ne Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi) (92), sottolinea come il trauma sessuale si un fenomeno che si svolge in due tempi: la traccia di questo evento, pur rimanendo nella psiche, non costituisce in sé un trauma, nel senso che non produce effetti patogeni fino a quando le condizioni maturative o eventi più tardivi non convertano retroattivamente il primo evento in trauma; solo in questo momento si manifestano le conseguenze patogene (93).
Negli sviluppi psicoanalitici più recenti, il concetto di trauma ha assunto progressivamente, un significato più esteso alla prospettiva freudiana, anche se non ancora univoco: alcuni autori (94) infatti, a proposito delle conseguenze del trauma, ritengono addirittura che possa essere potenzialmente positivo, stimolante delle capacità adattive dell'Io e costruttivo; mentre altri autori (95) ritengono che il trauma possa non solo provocare effetti devastanti, ma indurre un'attiva, masochistica e altrettanto devastante ripetizione.
In ordine ai traumi e shock emotivi, per molto tempo è mancata anche una precisa nosografia dei disturbi psichiatrici conseguenti ad un avvenimento traumatico. Il primo a cercare una definizione è stato Horowitz (96) nel 1976, che delineò alcune caratteristiche comuni delle conseguenze del trauma, indicando addirittura le tematiche psicologiche più frequentemente riscontrabili in soggetti vittime di un grave trauma: dolore e tristezza, paura di diventare distruttivi e colpa per i propri impulsi di rabbia, paura di identificarsi con le vittime e sentimenti di colpa per essere sopravvissuti, paura di ripetere il trauma e vergogna rispetto al sentimento di impotenza e di vuoto. L'inquadramento clinico delle manifestazioni psicopatologiche insorte in relazione ad eventi, è tuttavia, rimasto sempre in una prospettiva abbastanza generica.
Solo oggi, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) (97), è arrivato a distinguere i disturbi conseguenti ad avvenimenti stressanti suddividendoli a seconda della gravità dell'evento causale in due grandi categorie:
Disturbi d'Adattamento, articolati in varie sottocategorie a seconda del quadro psicopatologico prevalente. Si tratta di disturbi nati in relazione a eventi "comuni" ma importanti nella vita e determinano una sintomatologia clinica di entità lieve e moderata, la cui causa è da ricercarsi non tanto nell'evento in sé, quanto piuttosto, nell'incapacità da parte del soggetto di superare ed affrontare con successo l'evento (98).
Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD). Nasce in rapporto ad eventi di maggiore gravità, situazioni estreme che implicano una minaccia per la vita o per l'integrità fisica, che possono coinvolgere sia il singolo che la comunità e che potrebbero determinare in chiunque delle conseguenze traumatiche, temporanee o permanenti.
Gli effetti del trauma sessuale sono facilmente inquadrabili in un Disturbo Post-traumatico da Stress, gli effetti a lungo termine includono sintomi come, secondo alcuni autori (99), pedofilia, personalità immatura e paranoica, disordini di tipo narcisistico, le sociopatie. Molti autori (100) sottolineano quali indicatori di rischio, relativamente gli abusanti, oltre a quelle già elencate, la tossicomania, l'alcolismo e l'insufficienza mentale.
Il Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università degli Studi di Genova ha condotto uno studio che ha avuto come oggetto tutti i pazienti abusati sessualmente, ricoverati in reparti di degenza della clinica, nel corso di un ricovero volontario e i pazienti seguiti presso gli ambulatori o eventualmente pervenuti all'attenzione degli autori della ricerca in pronto soccorso, in un periodo di tre anni e mezzo compreso tra l'1/1/1995 e l'1/6/1998 (101). I risultati, oltre ad evidenziare una correlazione tra traumi, Personalità (102), rilevano, nell'evoluzione del disturbo, una comorbilità statisticamente significativa con i Disturbi dell'Alimentazione e con il Disturbo da Abuso di Sostanze, in accordo con ciò che Goodwin e all. (103) nel 1990 sottolineano nei loro studi, e cioè come gravi storie di abuso sessuale possano portare sia a un Disturbo Borderline di Personalità, sia a sindromi multiple comprendenti disturbi legati all'alimentazione, abuso di alcool e altre sostanze e somatizzazioni. Secondo questo studio, in alcuni pazienti il trauma dell'abuso sessuale, avvenuto in un determinato periodo della vita psichica, (quando cioè è ancora nulla la capacità di contenimento psichico di eventi traumatici), può ostacolare lo stesso sviluppo psichico, e in particolare può agire sulla strutturazione del proprio Sè e sul funzionamento dei meccanismi di difesa determinando lo sviluppo di particolari tratti della personalità quali l'impulsività, lo scarso controllo dell'aggressività, la labilità emotiva; tutti tratti caratteriali che, secondo Everill e Waller (104), potrebbero predisporre ad alcune anomalie del comportamento alimentare come le "abbuffate" e il vomito, o al Craving verso le sostanze (105). Rorty (106) sostiene che il disturbo del comportamento alimentare rappresenta un tentativo di gestire affetti incombenti e di aiutarne la regolazione interiore, nonostante sia ampiamente distruttivo.
È interessante notare inoltre, come i pazienti abusati fisicamente e sessualmente hanno maggiore probabilità di abusare di quasi tutti i tipi di droghe, prevalentemente marijuana ed alcool e per questi ultimi Moncrieff e all. (107) sottolineano anche un più frequente uso di psicofarmaci, soprattutto antidepressivi: l'età di inizio dell'abuso di sostanze è più precoce rispetto ai pazienti non abusati e generalmente questi pazienti vivono la sostanza come un mezzo autoterapeutico per far fronte a sentimenti angosciosi.
In effetti, chi ha subito un abuso può sviluppare fobie in situazioni o in luoghi che ricordano, anche in parte, quell'evento, per esempio la paura del buio, di usare coltelli, dei capelli, dei peli, del fumo di sigaretta. L'abusato può provare paure associate alle minacce da parte dell'abusante, incubi in cui è torturato o ucciso, paura della morte dei genitori, paura di essere mutilato o violentato (108). Può manifestare disturbi di tipo depressivo che si manifestano attraverso pensieri relativi alla morte, senso di vuoto e di inutilità della propria esistenza, sensazione di non essere amati, insoddisfazione, tristezza e fallimento, mancanza di autostima e comportamenti di dipendenza (non solo a droghe o ad alcolici, ma anche alla televisione ad esempio), ed è allora che l'abusato ricorre all'uso di farmaci che possono lenire o anche far scomparire il sintomo, anche se non portano alla luce la causa scatenante e non riescono a liberare per sempre il soggetto dalla sua angoscia.
I problemi maggiori vengono vissuti dagli abusanti nelle relazioni affettive e nella sessualità; ciò è dovuto, ovviamente, al trauma subito che ha determinato una distorsione del rapporto affettivo con l'altro, a un'esperienza sessuale, anche se non violenta, in un'età in cui non vi è maturazione psicofisica per comprenderla (109). Le relazioni sessuali che si stabiliscono sono totalmente condizionate dall'esperienza traumatica, e possono essere vissute con posizioni estreme, senza mai trovare un equilibrio soddisfacente. Certamente è vero che non è facile, anche per chi non ha subito abusi sessuali, trovare una giusta dimensione della propria sessualità.
La sessuofobia sociale ha portato, e porta, a nascondere ai bambini tutto ciò che concerne il sesso, anche la semplice conoscenza della differenza tra i sessi era ed è ancora oggi, appresa in modo disordinato, confuso, talvolta da coetanei più "istruiti" o, qualche volta, da genitori imbarazzati. Allo stesso tempo, televisione e giornali forniscono immagini "sessualizzate", quasi sempre più legate alla pornografica che all'erotismo (110). Una sana educazione sessuale non deve assolutamente disgiungere la sessualità dall'affetto, dall'amore. Certamente la mera descrizione anatomica delle differenze sessuali, della posizione e della forma degli organi, della fisiologia della riproduzione, non basta a far comprendere il significato della sessualità che è generata dall'amore, anzi, come sostiene Gombia, è solo una «medicalizzazione di un processo che relega l'individuo ad un insieme di organi e funzioni» (111). La sessualità ha invece, basi biologiche e spirituali non disgiunte (112).
L'educazione sessuale consiste anche nell'educare agli affetti e alle emozioni, all'amore, solo così potremo considerare l'individuo bambino in senso olistico, nella sua completezza. L'approccio che gli adulti hanno nei confronti della sessualità è contraddittorio: se da una parte hanno la piena coscienza del sesso, dell'approccio relazionale affettivo (che in genere comprende anche quello sessuale) o di un rapporto anche solo semplicemente sessuale, dall'altra parte sembra quasi che parlarne con i bambini sia "difficile", sembra che faccia paura, come se loro per primi non avessero ancora completamente metabolizzato la propria sessualità.
Quindi, se già gli adulti "non abusati" hanno difficoltà a relazionarsi con il sesso (nell'insegnarlo ai minori), a maggior ragione è comprensibile l'atteggiamento che, gli adulti che hanno subito abusi sessuali nell'infanzia, hanno verso il sesso, un atteggiamento cioè che può cadere negli estremi comportamentali.
Ora, secondo Gombia, i comportamenti sessuali possono rientrare in due categorie (113):
comportamenti evitanti;
comportamenti ricercanti.
Per i primi si intendono tutti quegli atteggiamenti che si traducono sia in difficoltà fisiche: difficoltà a toccarsi parti del corpo, soffrire di impotenza psicologica, avere fastidio nell'essere toccati, anche amichevolmente, soffrire di vaginismo (114); sia in situazioni comportamentali più prettamente emotive: non essere in grado di avere rapporto sessuale, non provare piacere dall'attività sessuale, avere difficoltà a praticare sport di gruppo in cui vi siano docce comuni, impossibilità di avere rapporti sentimentali di una certa intensità, non avere un'identità sessuale certa. Il comportamento di ricerca sessuale al contrario, si costituisce in una masturbazione di tipo ossessivo, in una promiscuità sessuale, alla ricerca continua di partner diversi, al masochismo sessuale e alla sessualizzazione di qualsiasi rapporto affettivo.
Tale comportamento, una volta messo in atto, non produce alcuna soddisfazione al soggetto, anzi, spesso egli ne rimane disgustato, con il proposito di non ripeterlo. Invece tale comportamento può diventare una "coazione a ripetere", una necessità alla quale il soggetto non può sottrarsi, quasi una droga che non può più controllare e che lo distrugge mentre, al contrario, crede di curarsi (115).Spesso chi ha subito un abuso sessuale nell'infanzia rivive la violenza anche durante il rapporto sessuale con il partner desiderato; è una forma di allucinazione, un flashback, che riporta il soggetto indietro nel tempo a riprovare gli stessi sentimenti di paura e di odio (116).
Talvolta l'odio viene rivolto alla persona che si ama, in una spirale allucinante che lega passato e presente, dalla quale il soggetto può uscire solamente attraverso la destrutturazione del trauma e la sua elaborazione. La rabbia, l'aggressività, l'odio che per tanto tempo hanno albergato nell'animo dell'abusato dovrebbero emergere, per trovare assieme a persone esperte in grado di aiutare, la strada per una nuova dimensione della sessualità e dell'amore.
3. La personalità del pedofilo: aspetti clinici
Nella letteratura psichiatrica il tema della personalità del pedofilo è stato diffusamente trattato, anche se con risultati non certo univoci. Una delle distinzioni che accomuna più o meno tutti le teorie è rappresentata da quella che suddivide i casi fra non psicopatologici e psicopatologici (117). Alcuni autori (118) riconducono al primo gruppo tratti di immaturità psicosessuale, passività, impotenza e inadeguatezza genitale, infantilismo, segni di compensazione delle carenze affettive ecc. Secondo Renard (119), la manifestazione di un desiderio erotico verso un bambino è «l'atto terminale di un processo complesso di difesa» e tale desiderio per l'autore deve essere considerato come un autentico sintomo nevrotico, in quanto il soggetto pedofilo si identifica con l'oggetto ed ha verso di lui l'atteggiamento che aveva sua madre (o perlomeno che avrebbe voluto che sua madre avesse nei suo riguardi). Lo scopo? Quello di garantire al bambino un godimento erotico, protezione, affetto e tenerezza (120).
Nel secondo gruppo, relativo agli psicopatologici, sono comprese tutte le varie forme di disturbi mentali. Fra gli altri, Nass (121) e Plaut (122), descrivendo concordemente la personalità pedofila come immatura dal punto di vista psicosessuale e con un'affettività non ancora legata agli aspetti erotici, hanno tracciato un profilo dettagliato degli aspetti psicologici e psicopatologici della loro personalità. Nass in particolare, distingue in relazione alla situazione psichica dei suoi casi di pedofilia, alcuni gruppi con diverse caratteristiche:
sviluppo tardivo, inesperienza sessuale, comportamenti simili a quelli della fase puberale;
degenerazione della personalità come manifestazione della senilità, disturbi del sistema ormonale che conducono a disarmonie della vita pulsionale e della personalità;
pulsione sessuale normale o sessualmente sviluppata, ma senza eros. La pressione psicofisica della pulsione sessuale cerca una valvola con l'aiuto di un qualsiasi oggetto, purchè serva al soddisfacimento delle pulsioni. In genere obiettivi di soggetti che presentano questi disturbi sono bambini di ambo i sessi;
abbinamento dell'eros pedagogico con la pulsione sessuale: il reato sessuale degli insegnanti e assistenti di gioventù;
regressione «dell'impulso a trastullarsi nell'abbinamento dello stesso con la pulsione sessuale» (123);
labilità endogena della personalità globale che ha effetto soprattutto sull'ambito sessuale;
labilità della personalità dovuta da cause esogene e azione della stessa in direzione pulsionale falsa (nel senso che si verifica uno "scarico" pulsionale diverso dalla modalità ritenute "normali");
personalità criminale che si soddisfa nella messa in atto di desideri pulsionali;
prolungata incapacità funzionale della pulsione sessuale, sia come conseguenza di distrofia o come per affezioni che interessano la circolazione. In particolare, il ricambio può portare, alla prima ripresa della funzione, a manifestazioni regressive.
Plaut (124) invece, ritiene che i pedofili, semplicemente, siano degli immaturi psicosessuali, incerti nella scelta dell'oggetto d'amore e incapaci di creare una relazione adeguata con l'oggetto. Anche questo autore, vede nella maggior parte dei casi una base di immaturità psicosessuale che non trova nessun'altra possibilità se non quella di una sessualità rudimentale.
Molti altri autori (125) hanno espresso opinioni al riguardo, ma tanto varia e complessa è la natura della personalità del pedofilo che non si rilevano opinioni univoche. Contrastanti sono anche le opinioni in ordine alla possibilità di considerare la pedofilia una autentica perversione o una pseudoperversione. A questo proposito, Wyss (126), studiando una casistica di 169 pedofili condannati, li descrive come soggetti particolarmente infantili, nevrotici sessuali e «deboli di pulsioni ma con forti tensioni pulsionale tanto da giungere ad improvvisi sfoghi senza scelta» (127). Nel cercare di spiegare l'atto pedofilo, Wyss afferma che quelli che lui ha potuto osservare hanno in realtà fantasie sessuali normali, ma falliscono nel rapporto con partners sessualmente maturi. Egli giunge, inoltre, alla conclusione che la pedofilia nella gran parte dei casi, è una pseudoperversione, cioè «sintomo di alterazioni molto eterogenee della personalità» (128), in quanto nel pedofilo eterosessuale esistono fantasie sessuali anche con partner maturi dell'altro sesso. L'esistenza di tali fantasie è secondo Wyss sufficiente per non definire perversione il comportamento pedofilo; esisterebbe invece, un'autentica perversione solo in alcuni casi di pedofilia omosessuale. Wyss sostiene che il pedofilo occupa una «posizione errata contro l'ordine», mentre gli eterosessuali rivestono una «posizione errata nell'ordine», anche se conclude che non esiste un'unica definizione della personalità del pedofilo.
Jaria (129), autore della ricerca probabilmente più significativa in Italia, condotta presso la sezione giudiziaria dell'Ospedale Psichiatrico di Castiglione delle Siviere (MN) su pedofili colpevoli dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume su minori di 14 anni (156 di cui 150 uomini e 6 donne), indica che i 156 casi esaminati, in rapporto alle varie malattie mentali, erano distribuiti in frenastenici, schizofrenici, alcoolisti cronici, soggetti affetti da psicosi dell'età involutiva e soggetti, con frequenza irrilevante, quali paralitici progressivi, epilettici e altre forme di psicosi.
L'autore (130) spiega che il gruppo ascrivibile alle personalità psicopatiche (14,10%) è stato volutamente tenuto separato poiché la scelta pedofila di questi soggetti appare, dal punto di vista antropologico, più valida, più libera e carica di significato umano maggiore rispetto a quella dei soggetti che presentavano altre forme di malattie mentali (131). Inoltre, la pedofilia si manifestava prevalentemente in direzione eterosessuale, mentre soltanto negli psicopatici emerge come tendenza indifferenziata (132). Jaria conclude che, secondo lui, rimane insoluto l'ordinamento nosografico della pedofilia perché ritiene che non esistono perversioni, ma solo perversi. Le caratteristiche psicologiche dei pedofili riscontrate da Jaria in quasi tutti i soggetti sono state: ritardo o precocità nello sviluppo sessuale, esplosività, labilità della personalità, notevole aggressività, petulante invadenza, irrequietezza e instabilità (133).
Partendo dal presupposto che non sembra possibile fornire un quadro univoco del profilo psicologico del pedofilo, occorre cercare di approfondire la conoscenza dei singoli casi. Alcuni autori (134), attraverso colloqui clinici e vari test, analizzando alcuni tratti della personalità di alcuni pedofili, sono riusciti a trarre elementi significativi:
Immunità Affettiva. Caratterizzata da scarsa efficienza e rapida esauribilità dei freni inibitori di fronte all'imminenza e all'urgenza degli impulsi sessuali, affettività più egocentrica che adattiva, funzioni affettive coartate e nello stesso tempo labili. Bassa tolleranza alle frustrazioni, ipersensibilità alle critiche.
Identificazione Deficitaria. Caratterizzata da un mancato riconoscimento delle proprie componenti sessuali; il processo di identificazione, connesso alla ricerca di identità che va dalla dipendenza all'autonomia affettiva e sociale, appare non sufficientemente adeguato e non armonico rispetto alla realtà. Il legame oggettuale primario appare patologico ed espresso attraverso l'indifferenziazione e l'idealizzazione dell'oggetto indifferenziato.
Relazioni Interpersonali Inadeguate. Il soggetto è disturbato da deficitaria identificazione, dalla mancanza cioè di un modello chiaro di comportamento, così che il rapporto con l'altro si sviluppa in modo irregolare e superficiale. Tali rapporti non sembrano capaci di svilupparsi su basi adattive, costruttive e mature. Comportamenti ed emozioni nei confronti dell'altro sembrano espressi o in termini oppositivi, o manipolativi, o di dipendenza, o di evitamento.
Sostanzialmente, i vari studi non hanno ancora permesso di capire cosa succede esattamente in una relazione pedofila, se non per ciò che riguarda i ruoli: l'oggetto "amato" è un bambino o una bambina e il rapporto si basa sulla sua massima subordinazione fisica e psicologica (135). Una cosa sembra essere certa: il pedofilo può soffrire di un disturbo psichico così come ne può soffrire qualsiasi altro individuo non pedofilo poiché la perversione non viene vissuta come malattia quanto invece come sintomo e, come tale, non sempre e non necessariamente dovrebbe essere ascritto nella nosografia psichiatrica (136). Un sintomo può comparire nell'arco della vita di una persona, come bisogno di rendere reali fantasie inconsce, agite nell'impellenza del desiderio legato all'eccitamento (naturalmente si parte dal presupposto che sono presenti, nella personalità pedofila, altre problematiche non indifferenti legate allo sviluppo psicosessuale) (137). Jaria e altri autori, (138) ritengono che sia importante anche una distinzione riferita a quanto l'agire pedofilo viene vissuto in modo conflittuale o meno dal soggetto. Sembra effettivamente importante dividere le due situazioni, in quanto nel pedofilo non conflittuale difficilmente emergono preoccupazioni per l'altro, anzi la propria spinta narcisistica è talmente forte che non sembrano esserci possibilità di scambio emotivo con il bambino, ma soltanto un proprio desiderio di soddisfacimento del bisogno. Nell'altro caso invece, il conflitto con le fantasie pedofile e l'agito stesso possono comportare nella persona uno stato di disagio, un vivere in modo negativo le emozioni legate alla relazione pedofila, con «un conflitto continuo ed ambivalente fra tendenze opposte, di evoluzione e regressione, di desiderio e repressione» (139). In quest'ultimo caso, quindi, possono essere presenti sintomi di sofferenza psichica, che nel caso precedente difficilmente emergono (140). Rimane la consapevolezza comunque, che non esiste un profilo psicologico definito ed unico per tutti i pedofili, che si è probabilmente ancora molto lontani dal riuscire a realizzare la pedofilia e quindi la conseguente personalità pedofila e che, infine, la stampa (141) non fa che peggiorare la situazione, mostrando gravi lacune nel rappresentare i comportamenti e le problematiche relativi ai temi pedofili (che fanno poca notizia), preferendo connotare come mostro o maniaco il soggetto autore delle aggressioni o violenze sessuali sui minori, anziché dare spazio agli aspetti maggiormente scientifici e specifici della realtà pedofila.
3.1. La perizia psichiatrica del pedofilo
In psichiatria come già analizzato, riguardo alla pedofilia, si parla di "disturbo" (142). In particolare di un disturbo che causa un disagio clinicamente significativo che può causare la compromissione dell'area sociale o di altre aree importanti del funzionamento (143). Nel Manuale Statistico e Diagnostico statunitense (DSM-IV) (144), si precisa che la frequenza del comportamento pedofilo varia spesso a seconda dello stress psicosociale e il suo decorso è di solito cronico (145). Gli psichiatri distinguono in considerazione della personalità del pedofilo, tra casi non psicopatologici (note di immaturità psicosessuale, inadeguatezza genitale, infantilismo, ecc.) e casi psicopatologici (negli stessi tutte le forme di malattia mentale). In sede criminologica (146) gli studiosi premettono che «lo studio dei fattori che condizionano la pedofilia riporta il problema etiologico delle perversioni» (147), che possono essere riferibili a disturbi psicologici della struttura di personalità, potrebbero ricondursi a «una costituzione ereditariamente tarata» (148), o potrebbero, secondo le formulazioni psicodinamiche di Glueck (149), fondarsi su una arresto dello sviluppo psicosessuale per un trauma precoce o alla «soluzione dei conflitti sessuali senza l'aiuto della fantasia e della sublimazione per un insuccesso o una distorsione nel meccanismo di formazione della coscienza, dovuti, talvolta, a una situazione psicopatologica di varia intensità» (150). Non si perviene mai, sostanzialmente, ad una conclusione univoca, dovendo dare atto che autorevoli opinioni (151) propendono per qualificare la pedofilia come una perversione e altre, altrettanto autorevoli (152), la propongono come pseudoperversione (ipotizzando la «perversione» solo in alcuni casi di pedofilia omosessuale). La personalità del pedofilo appare, in definitiva, eterogenea, il suo comportamento difficilmente delineabile e l'indagine statistica può aiutare solo a individuare i tratti caratterizzati comuni (153). Secondo Jaria e Capri (154), i comportamenti più o meno comuni a più pedofili potrebbero essere i seguenti:
maggiore frequenza dei reati sessuali su minori rispetto a quella dei reati sessuali in genere;
scarsa significatività del rapporto tra malattia mentale e delitto sessuale;
maggiore incidenza del comportamento pedofilo nell'età matura;
netta prevalenza dei celibi;
scarsissima incidenza, (nei limiti dei casi dagli autori analizzati), degli educatori o di coloro che per motivi professionali sono a contatto con bambini;
aggressività (delitti contro la persona) associata raramente all'attività sessuale;
la pedofilia si manifesta prevalentemente in direzione eterosessuale: solo negli psicopatici appare la tendenza indifferenziata.
Gli autori (155) sostengono che i soggetti che vivono relazioni sessuali disturbate (e in particolare i pedofili), o comunque, gli autori di crimini a sfondo sessuale su individui minorenni, al di sotto di un individuato limite di età, sono soggetti pericolosi per la collettività e richiedono una speciale sorveglianza soprattutto in ordine al fatto che uno dei primari compiti oggi attribuiti allo Stato (e che lo Stato ha fatto proprio) è quello della protezione dell'infanzia e della gioventù (156).
Alessandra Berti (157), psichiatra e psicoterapeuta, ritiene che in tutte le perizie psichiatriche si presenta il problema della responsabilità penale e del sintomo in rapporto alla patologia, partendo dal presupposto che la pedofilia è una patologia. Certo è che la perizia psichiatrica è uno strumento importantissimo, sul quale talvolta si basa la decisione giudiziale di applicare la misura detentiva oppure una misura di sicurezza personale detentiva come il ricovero presso un ospedale psichiatrico giudiziario o se occorre prevedere un trattamento medico. Accettare una perizia psichiatrica significa accettare di rimanere nel campo della descrizione clinica, accontentarsi in un certo senso di verità relative, sapendo rimanere nel campo sociale (158). Questo perché il pedofilo di solito, si dichiara malato solo quando si trova di fronte alla legge, ma in sede peritale il pedofilo presenta soltanto dei segni «che per lui nulla hanno a che vedere con dei sintomi» (159). Alessandra Berti sostiene addirittura, che tutto ciò che il pedofilo dice è esatto, ma niente è vero, sostenendo che gli atti che racconta non lo emozionano, non lo chiamano in causa, «non c'è alterazione dello stato di coscienza negli atti compiuti, anzi il suo Io aderisce così bene alle azioni che si potrebbe dire che la sua malattia è l'integrità psichica, un equilibrio raggiunto con la risoluzione del conflitto, con il passaggio all'atto» (160).
Quando gli vengono rivolte domande dirette sugli atti compiuti, infatti, egli descrive la dimensione pedofila spiegando che lui amava i bambini che ha conosciuto, di un amore sincero. E con questo amore giustifica i suoi atti, precisa di non aver mai pensato di turbare la vita dei bambini e che il suo desiderio era di vivere felicemente con loro facendoli contenti. Tutti i pedofili rivendicano il loro amore per i bambini, un amore che sottintende il rapporto sessuale (161). Spesso il pedofilo è in grado di teorizzare che i bambini possiedono una loro sessualità, dichiarando che sono tutt'altro che angeli innocenti, ma piccoli perversi capaci di sedurre sapendo che cosa voler ottenere. E sembra inutile che lo psichiatra sottolinei al pedofilo la differenza tra la sessualità dell'adulto e quella del bambino, indicandogli le conseguenze psichiche che dovrà affrontare la sua vittima, il pedofilo sembrerà crederci ma solo in teoria, come a situazioni vere forse per gli altri casi, ma non per lui che «ai bambini non ha mai fatto nulla di male» (162), ed ha bisogno di ribadire i suoi convincimenti, probabilmente per quando sarà di nuovo libero di agire e per tollerare i suoi gesti, che il perito psichiatra cerca di farglieli elaborare.
Berti (163) sostiene che è impossibile nel caso del perverso, invocare l'inconsapevolezza che permette l'applicazione delle circostanze attenuanti alla responsabilità penale, anche perché quando compie atti sessuali con i minori è talmente consapevole da cercare di nascondere il fatto, da organizzarsi in modo di non essere scoperto: «non esiste nelle parole del pedofilo, angoscia se non quella sociale determinata dalla paura di essere scoperto e il dichiarare di non sapere perché lo fa, è unicamente finalizzato a sfuggire alle conseguenze penali» (164). La perizia psichiatrica è particolarmente importante, non solo dal punto di vista giuridico, in quanto permette di valutare l'imputabilità del soggetto e la sua pericolosità sociale, ma anche perché lo psichiatra deve fare in modo che l'imputato compia un'opera di elaborazione psichica, poiché il momento della perizia, sembra essere l'unico momento di svolta, quando il "mostro" decide di tentare il cambiamento (165). La centralità della perizia psichiatrica è da sottolineare soprattutto pensando che, oltre a fornire una descrizione oggettiva degli aspetti psicopatologici, è in grado di fornire una valutazione globale che tiene conto di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei e successivi all'atto (ad esempio la premeditazione, l'abuso di acool, il tipo di reato, i sentimenti del pedofilo nei confronti della vittima ecc.) (166). Inoltre, la perizia contiene aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale includendo anche le precoci relazioni intrafamiliare l'incidenza di attività e fantasie sessuali devianti e non-devianti ed il comportamento sessuale dell'abusatore nei confronti dei partner consenzienti, dati fondamentali anche per la valutazione del trattamento terapeutico del pedofilo.
3.2. Un caso triste e terribile: il "mostro di Foligno", Luigi Chiatti
Io ti racconto perché tu comprenda qual è il percorso dell'errore umano.
Maria Rita Parsi
La vicenda di Luigi Chiatti è una di quelle maggiormente note agli operatori criminologici, in particolar modo per l'ampio risalto dato dai media al caso in questione a causa del particolare allarme sociale causato dai suoi omicidi. Le vittime di Chiatti, infatti, sono due bambini, elemento che ha provocato, non solo in Umbria dove si sono realizzati gli omicidi, ma anche nel resto d'Italia una sorta di "psicosi pedofila" (come in Belgio per la vicenda Mark Dutroux, il "mostro di Marcinelle" pedofilo omicida di quattro ragazzine: Melissa Russo 8 anni, Julie Lejuene 8 anni, An Marchal 17 anni e Eefie Lambreckds 19 anni). Ho ritenuto opportuno analizzare questa vicenda per dimostrare la centralità delle perizie psichiatriche in fase processuale, sia dal punto di vista giuridico per valutare l'imputabilità del soggetto e la sua pericolosità sociale, sia dal punto di vista clinico perchè la perizia è in grado di fornire una descrizione oggettiva degli aspetti psicopatologici del comportamento, una valutazione generale che tiene conto di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei e successivi all'atto, ed infine un'analisi degli aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale di fondamentale importanza per la scelta dell'eventuale trattamento terapeutico. Nel caso specifico di Luigi Chiatti, nei due processi sono stati determinanti i risultati delle perizie psichiatriche effettuate sull'imputato in ordine alla sua capacità di intendere e volere al momento del compimento dei fatti.
3.2.1. La storia (167)
Luigi Chiatti nasce il 27 maggio del 1968 nell'ospedale di Narni. Il piccolo viene alla luce con un parto cesareo di cui la madre conserva un ricordo atroce, dato che per errore, l'anestesia non aveva avuto effetto. Le condizioni del bambino sono buone e la giovane mamma, Marisa Russo ventiquattro anni, nubile e cameriera in un ristorante decide di non riconoscerlo. Il neonato, a cui è imposto il nome di Antonio Rossi è subito trasferito all'Istituto Assistenza Infanzia, un brefotrofio di religiose. La madre naturale visiterà solo saltuariamente il figlio fino al 1972, mostrandosi sempre molto poco comunicativa ed espansiva. Il bimbo presenta nei primi anni di vita uno sviluppo fisico e un comportamento normale, solo a scuola è piuttosto ribelle ed indisciplinato. Nel 1973 il bambino comincia a manifestare un comportamento che viene definito aggressivo e ribelle, e viene richiesta una valutazione psicologica finalizzata all'adozione. A conclusione della valutazione, per il bambino viene ritenuto utile l'inserimento in una nuova famiglia che dovrebbe dare la «massima disponibilità affettiva, con molta dolcezza e pazienza» (168). Passa un anno e il 24 marzo del 1974, Antonio Rossi (che ha quasi sei anni), viene consegnato ai coniugi Chiatti come affidatari, il padre Ermanno Chiatti, medico, e la madre Giacoma Ponti, ex insegnante elementare. Il padre inizialmente non è convinto di voler adottare un bambino così grande, ma la madre lo persuade. Nel giugno del 1975, viene decretata l'adozione e Antonio Rossi diventa Luigi Chiatti. Del periodo da zero a sei anni sembra che Luigi Chiatti non ricordi nulla.
L'integrazione di Luigi Chiatti con la nuova famiglia non è facile, anzi: il bambino mostra ostilità nei confronti dei genitori sin dal periodo dell'affidamento. Il tempo passa e il piccolo Luigi sembra trovarsi abbastanza bene a scuola, anche se continua a mostrare resistenze nei confronti della casa e dei genitori diventando aggressivo e facendo spesso i capricci. Non vorrebbe mai essere lasciato solo dalla madre, mentre con il padre sembra avere pochi rapporti, anche se mostra verso di lui un grande attaccamento che però, si traduce spesso in aggressività (169). Il Chiatti parlerà sempre senza affetto del rapporto con i genitori e in termini critici:
Mio padre è stato un padre assente. Il suo era un mondo tutto legato al lavoro. La cosa che mi faceva più rabbia era che con i pazienti e gli amici scherzava ed era aperto; in casa, invece, il silenzio assoluto, da lui stesso imposto. A pranzo guardava la televisione, poi si chiudeva in studio. La sera guardava la televisione e a metà film si addormentava. Io qualche volta ho provato a parlargli, ma un po' per motivi miei, un po' per come era fatto lui, sta di fatto che non si parlava. Quindi mi salvavo solo con mia madre, con la quale, almeno agli inizi, potevo parlare. Ma poi è finita anche con lei. Loro erano uniti e concordi, nel senso che non litigavano. Però la mamma lo rimproverava perché non interveniva nei miei confronti, oppure litigavano per piccole incomprensioni. Ma tutto finiva lì, perché lui, quando iniziava una litigata, se ne andava subito nello studio e non diceva una parola (170).
Presto i coniugi Chiatti si accorgono che il figlio ha un comportamento piuttosto strano: non fa amicizie, è molto aggressivo in casa, spesso si chiude in profondi silenzi. A 14 anni Chiatti inizia una psicoterapia con la psicologa Beatrice Li Donnici che lo seguirà per un po' di tempo. Riguardo a lei Luigi Chiatti afferma:
Con lei l'apertura è sempre stata limitata, per la paura che poi riferisse tutto ai miei genitori. Per questo motivo non mi sono mai aperto con lei; lei conosce solo una parte dei miei problemi, ma non conosce quello vero che è molto più vasto. In me c'era il bisogno di aprirmi, però non lo facevo perché avevo paura che le persone con cui potevo parlare riferissero poi ai genitori i miei problemi (171).
Un passaggio importante è stato quello delle scuole medie, dove Luigi Chiatti fonda una sorta di "setta", della quale era, naturalmente, il capo. L'attività di questo gruppo consisteva in giochi sessuali tra i partecipanti e "iniziazione ai piaceri del sesso" (un vero e proprio atto di sodomizzazione) dei ragazzini che chiedevano di poter entrare a far parte del gruppo. Per anni il suo potere rimane incontrastato: è lui che decide chi entra nel gruppo e quali dolorose pratiche devono essergli applicate sui genitali e sulle parti più delicate del corpo. Dopo l'esame di licenzia media, qualcuno raccontò tutto al preside, che mise a tacere la faccenda limitandosi a parlarne con i signori Chiatti.
Luigi Chiatti è convinto che il cattivo rapporto con i genitori abbia condizionato non solo l'infanzia e l'adolescenza, ma anche gli anni successivi, tutta la sua vita, dentro e fuori la famiglia: «io da piccolo la chiusura (verso gli altri) non l'avevo, poi è iniziata, prima verso i genitori, poi verso tutto l'ambiente» (172). Chiatti è diventato grande restando infantile, un bambino in un corpo di adulto. La psichiatra che lo aveva in analisi formulò una diagnosi di "marginalità e di iposocializzazione". Rilevava un Io debole, una certa anaffettività, uno scarso controllo degli impulsi e dispersione dell'identità. Tuttavia, poiché le analisi a quell'età risultano particolarmente mobili e dinamiche, si orientò verso un disturbo di personalità borderline. Questa diagnosi ha suscitato, soprattutto nei periti processuali, una serie di reazioni negative.
Acquisito il diploma da geometra nel 1987, Luigi Chiatti svolge il praticantato obbligatorio di due anni per potersi iscrivere all'ordine dei geometri e questa fu la sua unica esperienza lavorativa. Il 13 dicembre 1989 parte per il servizio militare, dove ha le prime esperienze omosessuali con partner adulti. Luigi Chiatti si trasformerà nel "mostro di Foglino" molto tempo dopo, quando il 4 ottobre 1992 incontra Simone Allegretti.
3.2.2. Il rapporto con il sesso
Luigi Chiatti soffre sin dall'adolescenza di una dermatite inguinale che lascia delle tracce di sangue sulle mutande. O forse non è dermatite, ma il risultato di uno sfregamento, uno strofinamento compulsivo del pube (173). Non ne parla né con il padre (nonostante sia medico) né con la madre, che però trova sparse in giro per la casa le mutande lasciate da Luigi Chiatti, nel tentativo, neppure troppo riuscito, di nasconderle. A parte la masturbazione, che è la sua principale attività sessuale, Chiatti sembra avere difficoltà ad avere rapporti con le ragazze, anzi, mostra un certo imbarazzo, addirittura vergogna nei confronti di una possibile relazione, sostiene invece che con i ragazzi è un'altra cosa.
[ ...] non ricordo neppure quando ho iniziato a masturbarmi. A 13 anni mi sono innamorato di una ragazza, mentre trascorrevo un periodo di vacanza in montagna. Manco le parlai. Soffrii dentro. Poi ricordo un episodio con una ragazza più grande di me che mi propose di giocare al dottore. È successo tanti anni fa, andammo di sopra, in camera mia, ci scambiavamo le parti facendo finta per gioco di farci le iniezioni. Ci siamo divertiti, non ero imbarazzato, il gioco mi ha eccitato sessualmente. Non ho mai toccato però una ragazza sulle parti intime o sul seno. [ ...] Mi sono reso conto della mia omosessualità in modo chiaro solo successivamente. Ho scoperto di essere attratto dai ragazzi. Anche adesso se guardo una partita in tv, mi sento attratto dai giocatori. Ma non ho mai avuto rapporti sessuali, né con uomini, né con donne e non farei mai un rapporto: lo vedo come una cosa sporca. La sessualità per me è solo contatto fuori dal rapporto, può essere anche il solo toccare una persona vestita o la parte sessuale, ma sempre a distanza dai due corpi, senza congiunzione. Tutte le miei esperienze omosessuali con i miei coetanei, o al militare, si sono però limitate a brevi toccamenti, nulla più (174).
Chi veramente lo attrae sessualmente sono i bambini. I bambini, sostiene,
appartengono a una categoria completamente a parte. Sono quasi fatti di una "sostanza" diversa, sono puliti e puri, e tutto ciò che con una donna o un uomo sarebbe disgustoso, con un bambino diventa possibile. Il bambino non lo vedo sporco, il pene di una persona grande è sporco, quello di un bambino no (175).
Ha il suo primo rapporto erotico con un bambino a diciannove anni, il bambino ha tre anni, i suoi genitori, amici dei genitori di Luigi, trascorrono le vacanze con la famiglia Chiatti. Luigi stabilisce con questo bambino una relazione molto intensa, i due giocano, si toccano e si accarezzano nelle parti intime ed egli ricorderà il periodo trascorso con questo bambino come una relazione ideale, di grande affetto e trasporto. Chiatti è molto preso e non si preoccupa di nascondersi, tutto avviene alla luce del sole, nella casa che le due famiglie condividono, ma nessuno sembra accorgersi di niente (176).
Intorno al 1992 Luigi Chiatti concepisce l'idea di rapire uno o due bambini molto piccoli e di tenerli con sé fino all'età di otto anni. Il motivo è chiarissimo nella mente di Chiatti: «avrei dimostrato al mondo come si allevano i bambini, sarei diventato un novello Rousseau e avrei indicato ai genitori, agli insegnanti, a tutti gli educatori presuntuosi quali errori avrebbero dovuto evitare per consentire una crescita serena ai ragazzini» (177). Chiatti ribadisce che non avrebbe rinunciato ai giochi sessuali che lo eccitavano, ma sostiene che il sesso fa parte della crescita, perché «certi riti del corpo aiutano a diventare grandi, a conoscere e a conoscersi attraverso l'intimità e il contatto» (178). A questo fine fa tutta una serie di preparativi, acquista moltissimi capi di vestiario, giochi e accessori per l'igiene intima, che poi vengono ritrovati sotto sua indicazione, ben stipati e in ordine in una serie di scatole e borse sepolte sotto un traliccio. L'idea di rapire uno o due bambini per educarli «senza mai punirli perché ritengo che i bambini debbano solo giocare, ed essere educati attraverso il gioco» (179), nasce prima del 1992, poiché nel 1989 i coniugi Chiatti trovarono nella stanza di Luigi, una scatola contenente indumenti per bambini piccoli.
Dopo aver ricevuto molti cazzotti dal padre, riuscì a convincere il padre, la madre e il pediatra (chiamato tempestivamente dalla madre, che impedì al padre di ucciderlo massacrandolo di botte) che aveva raccolto tutti quegli oggetti per inviarli ad alcune organizzazioni umanitarie che si prendevano cura dei bambini. Evidentemente fu convincente perché gli chiesero tutti scusa. Luigi aveva allora ventun anni e aveva ripreso ad andare dalla psicologa che lo aveva avuto in cura sette anni prima. La psicologa interpreta la scatola come un tentativo di recuperare in sé quell'infanzia che gli era stata negata, diagnosi corretta secondo Andreoli (180) (noto psichiatra che ha studiato la psiche di Luigi Chiatti per ben tre mesi nel carcere di Verona attraverso colloqui personali come consulente tecnico del pubblico ministero nel processo di primo grado), ma che avrebbe potuto dare origine a una riflessione più approfondita, e forse a un intervento terapeutico mirato. Cosa che non accadde. Ogni tanto Luigi sente il bisogno di stare con un bambino, esce in macchina a cercarlo, ed è così che, nel corso di una delle sue scorribande in auto, una domenica pomeriggio, incontra per caso Simone Allegretti, che gioca a pochi passi dalla sua casa.
Andreoli riscontra in Chiatti due tipi di desiderio sessuale nella sua storia: quello di vivere insieme ad un bambino di un anno fino a quando avesse raggiunto l'età di sette, in un luogo intimo e appartato, e il desiderio di avere contatti fisici con un bambino, dettati da un'esigenza propriamente erotica. Ma c'è un terzo tipo di desiderio che si manifesta in Chiatti, un desiderio che Andreoli definisce "di lotta con un maschio". La fantasia era quella di vedersi aggredito da qualcuno fino al tentativo di venire ucciso. Altre volte era lui ad aggredire un bambino fino ad ucciderlo. È un evidente caso di sadismo sessuale con il raggiungimento del massimo piacere nel momento in cui si uccide. Lo psichiatra ci spiega che «la sua violenza è dunque un'espressione sessuale, si mescola a veri e propri vissuti di amore e possesso. In questo dinamismo il soggetto che manifesta il suo amore in modo violento non sa distinguersi dal suo oggetto amato: colui che agisce si mescola con colui che patisce, in un circolo di reciproca sottomissione e dominazione» (181).
Tale violenza si lega per il geometra, al rapporto con i bambini. In Chiatti è anche molto presente il richiamo a fantasie masturbatorie in cui egli immagina di essere, in qualche modo, aggredito e poi strangolato. Le fantasie erotiche normalmente non trovano realizzazione sul piano concreto, ma sono comuni e spesso violente. In un soggetto con sviluppo normale, spiega Andreoli (182), le fantasie vengono sempre nettamente distinte dalla realtà, mentre in certi stadi dello sviluppo infantile e anche in certe condizioni patologiche, il rapporto tra fantasia e realtà è molto più labile. In Chiatti avviene,
un continuo rimbalzo tra il sé interno e il sé percepito nel mondo esterno e quindi un meccanismo che lo porta a sentirsi alcune volte aggressore, altre aggredito: le fantasie divengono difficili da controllare e spingono per essere realizzate. La fantasia diventa un vero e proprio stimolo interiore all'azione e agisce come un'energia che si consuma nella propria espressione attuale, in una specie di modello di condizionamento; ciò impedisce ogni sviluppo verso un'identità coerente e promuove una diminuzione di contatti tra il paziente e la realtà esterna (183)
Andreoli inoltre, affronta il tema della pedofilia in Chiatti partendo da un'impostazione psicoanalitica: Freud sosteneva che il comportamento pedofilo si lega alla scelta di un oggetto sessuale immaturo. I pedofili presentano, un'immaturità psicosessuale e in alcuni casi risposte fobiche nei confronti delle donne. In effetti Chiatti presenta una vera e propria avversione verso la donna adulta, verso i rapporti eterosessuale e verso il corpo femminile. Come nei soggetti pedofili è presente una notevole componente violenta, almeno nell'ambito della loro espressione attrattiva per i bambini, in Chiatti è presenta una grave forma di sadomasochismo sessuale. Per Andreoli, questa diagnosi sembra che non si limiti alla considerazione dei gesti sessuali del periziando, ma si basa su tutta una seri di caratteristiche e tendenze comportamentali tra cui i rilievi narcisistici, la bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni, e soprattutto, l'ossessività che ha sempre un riferimento alla sessualità. La situazione psicopatologica di Luigi Chiatti, conclude Andreoli «non si colloca tra le caratteristiche di personalità che influenzano la sua dinamica ma non escludono o limitano grandemente la capacità di intendere e di volere e dunque l'esercizio dell'intelligenza e della volontà. Non creano stati di necessità o automatismi» (184). Sostanzialmente Andreoli, nella sua perizia (185), evidenzia la componente della eccitazione sessuale al momento delle due azioni omicidiarie, una marcata considerazione del collegamento tra fantasie sessuali e morte, del clima di conflittualità con la famiglia, del senso di umiliazione in Chiatti nei confronti di chi lo prendeva in giro per il suo carattere, la sensazione di auto piacere e di stima, nonché di odio nei confronti di chi lo sfruttava, ma soprattutto emerge una maggiore specificazione del sentimento di vergogna che ritiene essere causa della sua solitudine, e del rapporto con le norme sociali, che egli ignora se contrarie ai bisogni.
3.2.3. I delitti
Simone Allegretti, quattro anni, accetta di salire sull'auto di Luigi che lo porta nella sua casa di Foligno dove in quel periodo vive da solo poiché i genitori sono rimasti in città. Forse Chiatti pensa di poter rivivere l'esperienza ideale che aveva avuto a diciannove anni, forse immagina di trovare in Simone quel bambino con cui parlare, cui spiegare i problemi e a cui insegnare l'educazione, con cui fare l'amore in modo pulito. Chiede a Simone di spogliarsi e il bambino accondiscende alla richiesta, ma quando Chiatti si avvicina e gli prende il pene in bocca, Simone si mette a piangere. Chiatti comincia a perdere il controllo, è eccitato emozionato e improvvisamente impaurito che i vicini possano sentire il rumore del pianto. È a quel punto che mette le mani sul collo del bambino e, mentre si allontana da lui, continua a stringere fino ad uccidere. Dirà al processo che non pensava che lo stava uccidendo, aveva solo voglia di «troncare tutto», far cessare la sua sofferenza e fare come se non fosse accaduto niente (186). Racconta nei minimi dettagli il suo operato, in un raccapricciante assenza di emozioni:
Cercai dei sacchetti di plastica per mettervi il bambino e gli indumenti. Presi un coltellino perché non ero convinto che fosse del tutto morto; lo misi nel baule dell'auto e andai a cercare un posto adatto per nasconderlo. Durante il tragitto sentii il rumore della plastica, capii che Simone si muoveva ancora. Trovato il posto, posi il bambino sul ciglio della strada, presi il coltello e lo colpii due volte al collo, ma senza guardare; mi pulii le mani dal poco sangue e poi lo feci rotolare nella discarica e sparsi all'intorno i vestiti, così che si pensasse che fosse stato ucciso in quel posto (187).
Dopo l'omicidio Luigi riesce a far sparire ogni traccia, fa di tutto per non farsi scoprire, pulisce e asciuga l'urina che Simone ha perso quando lo strozzava, apre la finestra per cambiare aria, brucia nel caminetto gli stracci usati per pulire, getta il coltello in un tombino e pulisce bene l'auto, dentro e fuori. Non si sente in colpa ma non vuole che il corpo di Simone rimanga insepolto, per questo scrive il primo biglietto anonimo in cui dà indicazioni precise su dove andare a ritrovare il piccolo corpo senza vita.
AIUTO!AIUTATEMI PER FAVOREIL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO.SONO PENTITO ORA, ANCHE SE NON MI FERMERO' QUI.IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE (FRAZ. DI FOLIGNO) E SCOPOLI.È NUDO E NON HA L'OROLOGIO COL CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO.PS NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A QUESTO PUNTO.HO USATO DEI GUANTI.SALUTI AL PROSSIMO OMICIDIO.
IL MOSTRO.
Pochi giorni dopo la scomparsa di Simone Allegretti, un giovane agente immobiliare di Milano, Stefano Spilotros, si costituisce dichiarandosi autore dell'omicidio, ma le indagini accertarono poi che si trattava di un mitomane: emergono infatti contraddizioni e l'indagato non sa nemmeno dichiarare dove ha celato il cadavere. Egli stesso, infatti, ritrattò dicendo "la mia ragazza voleva lasciarmi e io volevo essere ucciso, per questo ho inventato tutto" (188). Chiatti scrive allora, un altro biglietto, lasciato nella stessa cabina telefonica in cui scagiona Spilotros e annuncia un nuovo omicidio di lì a poco.
AIUTO!
NON RIESCO A FERMARMI.L'OMICIDIO DI SIMONE È STATO UN OMICIDIO PERFETTO.CERTO, È DURO AMMETTERE CHE SIA COSÌ DA PARTE DELLE FORZE DELL'ORDINE, MA ANALIZZIAMO I FATTI.1º IO SONO ANCORA LIBERO.2º AVETE IN MANO UN RAGAZZO CHE NON HA NULLA A CHE FARE CON L'OMICIDIO.3º NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA, PERCHÉ NON HO EFFETTUATO NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO VERDE SBAGLIA.4º LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI SIMONE, PERCHÉ NON CI SONO ANDATO.SIETE QUINDI FUORI STRADA;VI CONSIGLIO SI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE.NON POLTRITE.MUOVETEVI.CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI.USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO DAL MANCATO USO.N.B. PERCHÉ HO DETTO DI SBRIGARVI?PERCHÉ HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA.VOLETE SAPERNE DI PIU'? VI HO GIA' DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI EVITARE CHE SUCCEDA.
IL MOSTRO (189).
Passa un anno e nell'agosto 1993 Luigi Chiatti trascorre i fine settimana con i suoi genitori a Casale, nei dintorni di Foligno. Lorenzo Paolucci ha tredici anni e Luigi lo nota mentre gioca con i ragazzi del paese. Tra i due sembra stabilirsi un legame particolare: si lanciano reciproci segnali, probabilmente perchè entrambi sono molto timidi, riservati. Mentre Luigi sente di aver conosciuto una persona con i suoi stessi problemi di solitudine, Lorenzo confida agli amici che secondo lui, Chiatti ha tendenze omosessuali perché in precedenza l'aveva accarezzato sulle mani, sul viso e anche sugli organi genitali. I due si vedono spesso, ed è proprio Lorenzo ad andare a cercare Luigi, per giocare a carte, per parlare. È il 7 agosto 1993, quando Lorenzo Paolucci scompare da casa. Marcella Sebastiani, verso le 14.20 di quel giorno segnala al 113 che il nipote manca da casa da circa tre ore.
La polizia e tutto il paese, memori dell'omicidio dell'anno precedente, partono immediatamente alla ricerca del bambino. Vengono organizzate squadre di volontari per esplorare i dintorni a cui partecipa anche Luigi Chiatti, che accompagna il nonno della vittima, Feliciano Sebastiani alla ricerca dello scomparso, dirigendosi verso il laghetto dove lo stesso Chiatti dice di voler controllare se ci sono tracce di Lorenzo. Durante il tragitto il "mostro di Foligno" ne approfitta per sbarazzarsi di alcune buste di plastica dove, in seguito, verranno trovati dei vestiti sporchi di sangue e la foto del piccolo Simone, trafugata quattro mesi prima dal cimitero (190). Il cadavere viene ritrovato, dal nonno della vittima, vicino al ciglio di una strada, da dove evidenti scie di sangue fresco e tracce di trascinamento del corpo, conducono proprio ad una finestra dell'abitazione di Chiatti. La polizia fa subito irruzione nella casa: il pavimento del salone sembra esser stato lavato, ma in maniera grossolana tanto da lasciar intravedere ancora macchie di sangue; tracce ematiche sono presenti anche su un muro, su un davanzale, sul prato prospiciente la casa. Nella cucina viene trovato un secchio di plastica giallo contenente uno strofinaccio ancora umido e uno spazzolone con il manico di legno. Tutto questo viene sequestrato, insieme a un orologio al quarzo, digitale, senza marca, rinvenuto lungo il percorso esterno alla casa segnato dalle tracce. Chiatti viene invitato a seguire gli agenti. Tutti i suoi indumenti vengono sequestrati. Sulla sua cute si notano alcuni segni, in particolare sulla schiena, dove sono presenti cinque ferite lineari e parallele. I genitori del piccolo Lorenzo confermano che l'orologio ritrovato è quello del figlio, dono dello zio Renato per la prima comunione. Il pubblico ministero, con un provvedimento immediatamente notificato all'interessato, avvisa il geometra che si sarebbe proceduto a suo carico per i reati di omicidio a danno di Lorenzo Paolucci e di Simone Allegretti. L'8 agosto 1993, il giorno successivo al ritrovamento del corpo di Lorenzo, Chiatti confessa al magistrato che lo interroga di essere l'omicida.
La confessione di Chiatti è lucida, agghiacciante, «racconta quei delitti come se fossero una scampagnata, senza mai una parola di dolore, di pentimento, niente» dice Nicola Cavaliere, capo della Criminalpol (191). Dice di «essersi fatto prendere", di "non essere scappato", tratti narcisistici di chi vuole rimanere protagonista anche nella sconfitta. Dell'omicidio di Lorenzo, Chiatti parlò in questi termini:
Lorenzo è arrivato a casa mia senza che neppure l'aspettassi: l'ho fatto entrare. Ci siamo messi seduti e ci siamo messi a parlare di varie cose. Mi disse anche che era timido e mi parlò di una ragazza che gli piaceva. Fin lì non c'erano problemi, poi ci siamo messi a giocare a carte. Abbiamo fatto due partite a briscola e lui le ha vinte tutte e due. Poi abbiamo giocato alle due carte, io ho vinto due mani su tre, lui una su due; rimaneva da fare l'ultima mano.
Poi è scattato qualche cosa che non so, forse un sentimento di invidia che già altre volte avevo provato, perché sentivo Lorenzo in qualche modo simile a me, ma al tempo stesso migliore e più fortunato. Lorenzo era un po' timido, ma lui gli amici li aveva comunque. In più non mi ha detto che aveva un fratellino piccolo, io lo immaginavo solo, non l'avrei mai ucciso. Così per Simone, poi si è scoperto che aveva una sorellina, ecco, io non l'avrei mai ucciso. Avrei pensato che non era simile a me, solo come me, quindi non l'avrei mai ucciso. Sotto la spinta di questo sentimento, in un lampo ho preso la decisione di colpirlo. Ho preso un forchettone che avevo vicino e l'ho colpito al tronco. C'è stata una specie di lotta; io non vedevo Lorenzo, era come se fossi accecato, era come se non avessi pensieri. Io stavo sopra di lui e lui cercava di impedirmi di colpirlo; poi lui mi ha detto: "perché mi vuoi uccidere?". Le sue parole mi hanno momentaneamente bloccato, ma non sono state sufficienti per fermarmi, è prevalsa la considerazione che ormai non potevo tornare indietro. In quel momento ho cominciato a riflettere su quello che stava accadendo. Vedevo la disperazione dipinta sul volto del bambino. Mi vergognavo del suo sguardo. Avevo fatto del male ad un bambino, era la prima volta. Mi è parso che mi rimanesse un'unica strada, quella di ucciderlo, e ritenevo seriamente che questa fosse la migliore soluzione anche per lui. Non era morto e allora l'ho colpito con una coltellata al collo. Dopo che l'ho colpito è iniziato il panico, il terrore, come se incominciassi a svegliarmi. Cercai di mettere il corpo in un sacco per trasportarlo da qualche parte e nasconderlo, ma era troppo pesante. Allora l'ho trascinato giù dalla finestra e quindi per pochi metri fino al margine della strada, dove l'ho lasciato. Ho cercato poi di mettere in ordine e di pulire, ma ad un certo punto mi sono reso conto che non ce la facevo a pulire tutto e allora mi sono arreso (192).
Dirà al processo che, ucciso Lorenzo, si masturbò sul suo cadavere.
3.2.4. La sentenza della Corte d'Assise di Perugia
La Corte d'Assise di Perugia emette il verdetto il 28 dicembre del 1994 (193), condannando alla pena dell'ergastolo con isolamento per due anni Luigi Chiatti, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, all'interdizione legale durante il periodo di espiazione della pena, alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani locali e nazionali, nonché presso l'albo dei comuni di Perugia e Foligno. Il verdetto della corte prevede altresì, la confisca e la restituzione degli oggetti delle vittime di cui si era impossessato, la distruzione di quanto altro in sequestro, il risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituitesi, liquidate in 500 milioni delle vecchie lire e in lire 150 milioni per ciascun avo, nonché il pagamento delle spese processuali. La motivazione della sentenza si basa in particolar modo sulla questione riguardante l'imputabilità del "mostro di Foligno". La Corte ritiene Luigi Chiatti gravemente danneggiato dalla presenza di «plurimi disturbi di personalità sia della sfera psichica propriamente detta sia della sfera affettiva ed in particolare di quella sessuale». Sostanzialmente i giudici ritengono la personalità del geometra, sotto il profilo strettamente psicologico, disturbata grandemente, perché egli è affetto da un conclamato e grave disturbo narcisistico di personalità (senso grandioso di sé, reazioni alle critiche con sentimenti di rabbia, vergogna, umiliazione, sfruttamento per i suoi scopi delle persone che con cui ha un qualche rapporto. Chiatti crede che i suoi problemi siano speciali e possono essere risolti solo da persone speciali, richiede costante attenzione e ammirazione, manca completamente di empatia ed è pervaso da un forte sentimento di invidia) e tratti marcati di altri disturbi della personalità, mentre sotto l'aspetto affettivo sessuale è affetto da pedofilia e da sadismo sessuale. Al riguardo l'organo giudicante, osserva che il nostro ordinamento non considera tra le cause di esclusione della responsabilità penale le forme di degenerazione del sentimento, per cui le psicopatologie sessuali possono avere rilievo solo se esse sono il sintomo di uno stato patologico suscettibile di alterare la sfera intellettiva in modo tale da escludere o grandemente scemare la capacità di intendere e di volere. In base a quanto detto, i giudici ritengono che per Chiatti non possa parlarsi di infermità tale da configurare il concetto di malattia mentale rilevante. Occorre precisare che, per poter superare questo ostacolo, i difensori dell'imputato sostengono che i disturbi di cui egli è portatore, pur non inquadrabili nel disturbo borderline, sono di tale gravità e complessità da integrare il concetto di infermità.
Secondo la tesi difensiva, nel momento in cui uccideva, l'imputato non sapeva di colpire una persona umana ma riteneva in quel momento di dover soddisfare una sua esigenza fondamentale. La Corte ritiene ammissibile tale teoria, perché il concetto giuridico di infermità è un concetto più vasto di quello di malattia mentale, ma non la ritiene applicabile al Chiatti che non solo è in grado di ricordare tutte le sequenze dei due omicidi, ma anche i pensieri che in quei momenti attraversavano la sua mente. È chiaro dunque che al momento del compimento di quei terribili atti egli fosse vigile e presente, quindi la Corte ritiene che in Chiatti erano integre le capacità di «cognizione, progettazione, previsione, decisione, esecuzione e giudizio delle proprie azioni». Per quanto concerne la motivazione dei delitti, la molla dell'agire di Chiatti secondo i giudici, è stata in entrambi i casi la sua pedofilia. Tale disturbo, però, non è da solo sufficiente a spiegare i delitti. Infatti nel primo omicidio, l'elemento scatenante deve essere ricercato nel disturbo narcisistico di cui egli è affetto a cui si sono aggiunti motivi utilitaristici, quali impedire che fosse scoperto, la susseguente punizione e riprovazione sociale. Inoltre, gran impatto nel compimento del reato, ha avuto la sensazione di eccitazione e di godimento sessuale che l'atto ha comportato; giova a questo proposito ricordare comunque che questo aspetto è emerso esclusivamente nei colloqui personali che l'imputato ha avuto con il consulente del P.M. Vittorino Andreoli nel carcere di Verona.
L'omicidio di Lorenzo Paolucci, a parere dei giudici di primo grado, è addebitabile esclusivamente al sadismo sessuale, perché non risulta che vi sia stato contatto sessuale o quanto meno un approccio da parte dell'imputato a cui sia stato opposto un rifiuto da parte della giovane vittima. Luigi Chiatti è dunque capace di intendere e volere e viene condannato alla pena dell'ergastolo.
3.2.5. Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo di primo grado
Chiatti davanti al processo della Corte d'Assise di Perugia, ha confessato con novizia di particolari entrambi i delitti. Il punto cruciale del processo, su cui si è basata la linea difensiva è stata, la valutazione della sua capacità di intendere e di volere (mentre il PM chiedeva l'ergastolo per Chiatti in quanto colpevole di tutti i reati ascrittigli - l'omicidio di Simone Allegretti, il sequestro di persona, occultamento di cadavere e, analogamente, l'omicidio di Lorenzo Paolucci, il sequestro di persona e il relativo occultamento di cadavere -, i difensori dell'imputato chiedevano di assolvere il Chiatti per incapacità d'intendere e di volere). A questo fine, Chiatti è stato sottoposto a una serie considerevole di test (194) da cui risulta che ha un'intelligenza superiore alla media e una memoria indenne in tutte le sue sfaccettature, una fantasia sbrigliata in cui anima il suo mondo interiore e da cui emerge una scarsa considerazione dei dati della realtà, una forte conflittualità con le figure genitoriali ed una situazione in cui gli aspetti formali e razionali prevalgono su quelli affettivo-relazionali. Sembra non risultare una patologia psichica, ma soltanto una condizione paranoica e di psiconevrosi ossessiva, un disturbo di evitamento da cui si evidenziano tratti ossessivi, narcisistici e relativi al disturbo borderline, ma senza configurare il relativo disturbo. In base all'interpretazione dei dati forniti da test, vi sono in Chiatti tratti orientati in senso depressivo, in un soggetto generalmente fiducioso di sé e sicuro del proprio agire, con scarsa plasticità e contatti interpersonali limitati, tendenzialmente portato allo sviluppo di fantasie che consistono in una forte tendenza all'azione in taluni momenti; in Chiatti prevale il principio di piacere su quello di realtà.
Il test della figura umana e il test di Rosenweig (195) hanno permesso di rilevare l'esistenza di problematiche legate al vissuto corporeo e probabilmente alla sfera sessuale, nonché un rigido controllo sulla sfera emozionale da parte di quella cognitiva e uno scarso adattamento sociale oltre alla tendenza a dar la colpa agli altri per le proprie frustrazioni. Interessante invece, il risultato del test di Rorschach (196) i cui risultati trovano discordi i periti: secondo i periti d'ufficio, emergono: assenza di alterazioni significative dell'affettività, basso senso di autostima, conflittualità nei confronti dell'aggressività, notevole grado di inibizione della sessualità; secondo il consulente del P.M., Vittorino Andreoli, i processi razionali appaiono coerenti, il pensiero rimane poco definito o soggetto a dei non funzionamenti di fronte ad un carico emotivo elevato, appare scollato il funzionamento affettivo e rilevante il bisogno di valorizzazione narcisistica e l'esistenza di una personalità disarmonica e infantile; per i consulenti di parte il risultato del test di Rorschach rivela l'esistenza di una serie di indicatori che fanno presumere la presenza di un quadro di tipo borderline; i consulenti delle parti civili infine, segnalano la presenza di un meccanismo di sdoppiamento come corollario dell'ideazione che sarebbe alla base di eventuali manifestazioni di rabbia narcisistica. Nei vari colloqui sostenuti con i consulenti tecnici, Luigi Chiatti appare molto compiaciuto di parlare di sé, più volte dichiara di sentirsi un individuo speciale ("il fatto è che sono troppo perfetto" dirà spesso durante i colloqui) e pretende che anche gli altri gli dedichino un'attenzione particolare: solo un altro essere speciale può essere in grado di capirlo. Racconta facilmente dei delitti e dei motivi per i quali li ha commessi, ma solo perché così può parlare di sé. Le due vittime restano sfuocate nel suo racconto, è come se quasi non fossero come persone: ciò che costituisce il centro dei suoi interessi sono solo i suoi problemi (197).
Secondo Andreoli (198), Chiatti era perfettamente consapevole di quel che ha fatto e della gravità della sua posizione giudiziaria, però il suo principale interesse non si concentra sui delitti o sugli anni di carcere che l'attendono, ma solo sui suoi problemi psicologici e chiede che gli vengano risolti dai periti, dall'amministrazione carceraria o comunque dalla società. È un po' questa la chiave di volta di tutta la sua organizzazione difensiva e non solo processuale. Chiatti si presenta ai periti senza alcuna colpa per aver ucciso due bambini, proprio perché egli è un individuo che ha dei problemi che sono così gravi da averlo "costretto" ad uccidere, quindi moralmente assolvibile. Egli dunque non si sente responsabile e, come tale, in credito verso il mondo, essendo i suoi problemi psicologici i veri responsabili dei suoi delitti. Il suo interesse è concentrato solo in questa prospettiva: ha questi disturbi e tutti si devono far carico di risolverglieli (dirà ai periti che "voi siete obbligati a risolvere i miei problemi").
Dai molti colloqui avuti con tutti i consulenti nel carcere di S. Vittore sono emersi dati importanti per comprendere la psiche del periziando. In primo luogo si riscontra una sorta di aggressività di ambientazione, poi trasformatasi in astio, al suo ingresso nella famiglia adottiva; un sentimento di vergogna nei confronti della madre perché non riusciva a manifestarle affetto, un cattivo rapporto con i genitori che lo bloccavano quando accennava ai suoi problemi o inviava loro messaggi; la sua successiva chiusura verso l'esterno, l'incapacità di confidarsi con chiunque ed il senso di importanza sentito quando si parlava dell'omicidio del piccolo Simone; infine, per risolvere il problema dell'incomunicabilità aveva fantasticato di fuggire da casa con uno o più bambini.
I colloqui psichiatrici diretti, invece, hanno fornito i seguenti dati: comportamento accattivante e tendente a conquistare la simpatia degli osservatori, bisogno di parlare e compiacimento di sentirsi finalmente al centro dell'attenzione. Andreoli in particolare, cerca di analizzare gli elementi chiave dell'infanzia del geometra, ritenendo possibile pensare che il periodo ipotetico di setti anni che il Chiatti aveva intenzione di trascorrere con i bambini rapiti «rappresentasse proprio il tempo trascorso in orfanotrofio, da ricordare e rivivere» (199). Secondo Andreoli «appare evidente che la rappresentazione del mondo di Luigi è rimasta assolutamente infantile. Anche i suoi film preferiti hanno come protagonisti i bambini. Il suo amore per i bambini diviene la migliore metafora dell'amore di se stesso come bambino. Esso rappresenta quello stesso bambino che ha cancellato, ma che vuole comunque ripossedere, riconquistare, persino rubare. Per questo arriva a rapire Simone, a ucciderlo come ha ucciso se stesso. Simone è il suo Antonio dimenticato, ucciso» (200). Il mondo interiore di Chiatti, afferma il consulente tecnico del P.M., si accompagna ad una straordinaria povertà di vita sociale, tale da non permettergli alcuna percezione al di fuori del proprio Io. Non ha mai fatto esperienza di gruppo, né nella scuola, né nella famiglia, si è sempre percepito solo con i propri bisogni. Chiatti ha i caratteri di una soggettività autocentrata e narcisistica, rigida e ossessiva. Nasce un'opposizione soltanto quando egli avverte, narcisisticamente, un comportamento come ingiusto, offensivo, sottovalutante nei suoi confronti (201). La percezione della norma sociale, specifica Andreoli, viene allontanata o addirittura ignorata nel momento in cui essa contrasta con i suoi bisogni: l'imputato pensa di non aver infranto la legge nemmeno quando rapisce Simone.
In conclusione, la percezione delle regole sociali è in esclusiva funzione del suo vissuto e delle sue necessità. La società può affermare che egli ha compiuto due omicidi, ma in realtà, secondo la sua prospettiva, egli ha semplicemente risolto, in quel momento, un suo problema. Il suo senso di colpa segue dinamiche del tutto personali: affiora come dolore narcisistico per un corpo che lui ama e non vuole che rimanga insepolto.
Un altro aspetto che emerge chiaramente nel periziando, è la grave difficoltà di relazione e di comunicazione, che ha trovato un ostacolo decisivo nel distacco e nella poca amorevolezza incontrati nella sua famiglia adottiva. È lo stesso Chiatti ad offrirne un'analisi, secondo il perito Andreoli, quando afferma che: «c'era un conflitto dentro di me. Io mi stimo e poi mi piaccio fisicamente. Una delle mie paure è quella di rimanere solo anche nel futuro; un'altra, è l'attenzione verso i bambini, perché non riesco a comunicare con i grandi ... tutte cose legate ai miei problemi ... ma poi penso che, se anche avessi un bambino, finirei con il restare solo» (202). Ciò di cui il giovane di Foligno aveva estremo bisogno era una relazione affettuosa, una figura materna e paterna che sapessero dimostrargli amore, una casa accogliente che potesse comunicargli calore e attenzione.
Secondo i periti nominati dai difensori di Chiatti, egli soffre di un grave disturbo della personalità, ma nel senso di «un'organizzazione di personalità di tipo borderline, connotata da una grave compromissione della sfera dell'Io e dal ricorso a meccanismi difensivi primitivi in peculiari situazioni emotive-affettive, con incapacità a far fronte all'angoscia e a tollerare le frustrazioni e impossibilità a controllare gli impulsi» (203). Si tratta, in sostanza, di una vera e propria infermità mentale ai sensi della legge, che ha inciso tanto profondamente sulle capacità di intendere e di volere del Chiatti, da annullarle del tutto al momento dei reati commessi. Tali consulenti tecnici si sono avvalsi del parere di un noto criminologo americano, George Palermo, interpellato sulle condizioni psichiche dell'imputato. Il criminologo americano ritiene che l'imputato sia seminfermo di mente, parlando a proposito di borderline personality; il periziando non è dunque, secondo il criminologo, sano di mente: «è estremamente lucido, ma in realtà si tratta di una persona che ha una specie di cancro nella psiche. E non credo che sia in nessun modo recuperabile» (204), continua Palermo. Lo descrive come una persona incapace di relazionarsi con gli altri, che cercava se stesso nei bambini, anche nelle sue vittime, sperava di non essere rifiutato un'altra volta. I suoi interlocutori non potevano essere adulti, che temeva, ma esseri più deboli e indifesi. Questo suo infantilismo lo portava, sempre secondo Palermo, a fare progetti deliranti come quello di rapire un bambino per crescerlo ed averlo a sua disposizione. Sia Palermo che Andreoli non escludono la possibilità che in brefotrofio abbia avuto esperienze sessuali traumatiche che poi ha rimosso. Palermo nella sua diagnosi, ritiene Chiatti genericamente in grado di intendere e di volere, lo ritiene in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto. Non è folle nel senso comune del termine, anche se quando ha agito «sapeva che uccidere è male, ma non era in grado di valutare esattamente i propri gesti per quello che erano. Ha agito in base ad impulsi coatti, senza rendersi conto delle conseguenze» (205). Il criminologo americano resta del parere che il geometra non abbia progettato i delitti. Quando si è sentito rifiutato, o ha avuto il timore di esserlo, anche dai due bambini, è esploso, ammettendo di aver provato piacere mentre uccideva Simone e Lorenzo. Sempre secondo Palermo comunque, Chiatti rimane un individuo molto pericoloso, che non dovrebbe tornare in libertà altrimenti commetterebbe nuovi delitti. Soggetti come lui, continua Palermo, sono
[...] per lo più paranoici, feticisti, ossessivo-compulsivi, sadici. Hanno comportamenti antisociali, anche se appaiono normalissimi, in quanto hanno complessi non risolti di identificazione personale e di relazione con le figure importanti della loro vita. Hanno una profonda ostilità, un desiderio di vendetta a volte, che non riescono a controllare e hanno un'aggressività distruttiva perché il rifiuto subito negli affetti scatena odi ingestibili verso di sé e verso gli altri (206).
Palermo, infine, ritiene che un trattamento psicoterapeutico e farmacoterapeutico solo in teoria potrebbe guarire Luigi Chiatti. Ritiene che dovrebbe vivere in un luogo in cui possa proteggersi anche da se stesso perché è estremamente probabile che il suo comportamento aggressivo non si plachi con l'età e che possa tornare ad uccidere una volta libero. Senza un'adeguata terapia si scatenerebbe di nuovo se fosse rimesso in libertà. Palermo asserisce, infatti, che «uccidere dà a questi soggetti un orgasmo psichico, che altrimenti non raggiungono. Un piacere che dura pochi minuti e il cui effetto, come quello della droga, deve essere ripetuto. Più il "mostro" ha successo, più torna ad uccidere anche se a volte può passare molto tempo fra un delitto e l'altro» (207).
Anche la Corte d'Assise nomina dei consulenti tecnici che, nei vari colloqui con Chiatti, si rendono conto prima di tutto che il sentimento che è molto presente nel geometra è un sentimento di solitudine, di vuoto e di incapacità a comunicare che Chiatti riconduce al cattivo rapporto con i genitori adottivi. In secondo luogo, i periti indagano sul suo bisogno inappagato di essere accettato ed amato. Chiatti spiega chiaramente il suo bisogno di affetto "Io ho bisogno del contatto fisico, perché ho molto bisogno di affetto, di una persona che mi stia vicina, che mi guidi, che mi ami" (208). Il periziando non ha conosciuto l'amore della madre e non ha conosciuto il calore continuativo e sicuro dei genitori. A proposito della responsabilità penale, i periti d'ufficio, concludono la perizia affermando che Chiatti non è affetto da alcuna psicosi, né da altre malattie della mente. Dopo aver cercato di ricostruire i percorsi attraverso i quali si è andata formando la personalità del periziando, dopo aver individuato il cammino delle dinamiche psicologiche che lo hanno portato a compiere così crudeli delitti; dopo aver cercato di individuare i suoi sentimenti, i suoi stati d'animo, i suoi pensieri, i consulenti tecnici della Corte, hanno tracciato un profilo psicologico, ma non hanno trovato tracce di "follia". I periti hanno constatato, inoltre, che Luigi Chiatti ha agito lucidamente, che quando ha ucciso la sua coscienza era vigile, che aveva consapevolezza di quello che stava facendo e ne conosceva la gravità. Ha ucciso Simone perché non voleva essere scoperto. Ha colpito reiteratamente le due vittime finché non si è reso conto che due testimoni pericolosi erano morti. È stato attento a cancellare le tracce del primo delitto. Lo ha fatto solo in parte nel secondo perché gli eventi sono precipitati; ha cercato di stornare i sospetti, si è preso gioco degli investigatori, si è sentito importante ed eroico nel recitare la parte del "mostro". I consulenti tecnici della Corte non individuano in Chiatti alcuna malattia mentale, ma solo sentimenti e pensieri egoistici ed egocentrici. Egli era pertanto ben cosciente di quello che stava compiendo, in grado di operare una scelta. I periti affermano che Chiatti presenta un disturbo narcisistico di personalità, al quale si accompagnano tratti sadici, anche qualche aspetto del disturbo paranoide di personalità e condotte parafiliche (pedofile). Si tratta però disturbi che non configurano un'infermità di mente, perché non sono espressioni di psicosi o di altra patologia psichiatrica (209). In tal senso Chiatti era, ed è, capace di intendere e volere (210).
Il collegio dei consulenti tecnici nominati dalle parti civili, pur dichiarandosi, sul piano della diagnosi della personalità, pienamente concorde con i periti d'ufficio nel giudicare Luigi Chiatti portatore di un disturbo narcisistico di personalità, evidenziano, tuttavia, che tale disturbo,
sia da mettere in relazione con tratti isterici o, come il DSM IV recita, con un disturbo istrionico di personalità, come sembrano coincidere meglio con il disturbo paranoide alle osservazioni effettate, soprattutto per la costante ricerca di approvazione o addirittura di lodi implicite nel suo modo di raccontare i fatti (211).
Il collegio dei periti nominati dalla parte civile, definisce Chiatti come un soggetto pienamente imputabile, in quanto portatore di un disturbo narcisistico della personalità con tratti isterici e comportamenti parafilici.
La Corte, analizzate le perizie cui è stato sottoposto l'imputato, conclude che Luigi Chiatti è sano di mente e capace di partecipare coscientemente al processo. Ritiene presente in lui un disturbo narcisistico di personalità, al quale si accompagnano tratti sadici, qualche aspetto del disturbo paranoide di personalità e condotte di tipo pedofilo, ma non tali da inficiare la capacità di intendere e di volere.
3.2.6. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia
La Corte d'Assise d'Appello di Perugia, con sentenza datata 11 aprile 1996 (212), pronuncia il verdetto: condanna a Luigi Chiatti a trenta anni di reclusione, alla misura di sicurezza del ricovero in una Casa di Cura e di Custodia per un periodo non inferiore a tre anni e dispone la rifusione delle spese a favore della parti civili in 50 milioni 998 mila delle vecchie lire per ciascuno dei due gruppi di parti civili costituite.
La Corte, basandosi sui risultati delle perizie e, in particolar modo, su quelle dei consulenti da essa nominata, in parte smentisce le conclusioni in precedenza formulate riconoscendo che Luigi Chiatti presentava al momento in cui ha commesso i delitti un grave disturbo mentale con tratti di personalità narcisistici, schizoidi, paranoici, componenti sadiche, ossessivo-compulsive e fobiche, all'interno di una personalità immatura; un disturbo mentale che ha inciso sulla sfera cognitiva, affettiva, sul piano del funzionamento interpersonale tanto da riconoscergli il vizio parziale di mente. Luigi Chiatti era per i giudici d'Appello parzialmente capace di intendere e volere al momento dei fatti. I giudici infatti, affermano che l'imputato non era nella pienezza delle sue facoltà mentali, in quanto affetto da una complessa sindrome psicopatologica, caratterizzata da un conclamato disturbo narcisistico di personalità e da una costellazione di tratti di numerose altre abnormità psichiche. Inoltre, precisa, che tali disturbi vanno ad innestarsi su una condizione di profonda immaturità affettiva ed etica, strettamente connessa con una tendenza sessuale pedofila. Questo complesso quadro patologico configura una vera e propria infermità psichica, idonea a pregiudicare in maniera rilevante, anche se non del tutto, il comportamento dell'imputato, non solo sul piano cognitivo e affettivo, ma anche e soprattutto sul piano del funzionamento interpersonale e del controllo degli impulsi. Questo risulta in indissolubile rapporto causale con i due omicidi. Da qui il riconoscimento del vizio parziale di mente.
Per quanto riguarda il movente degli omicidi, la prima Corte, sulla scorta delle conclusioni del consulente del P.M. Andreoli, afferma che i due eventi hanno caratteristiche che sono assolutamente identiche, in quanto dovuti al piacere sessuale che l'atto di uccidere procurava al Chiatti (fatto, come ricordato, emerso soltanto nei colloqui avuti con l'esperto in questione). I giudici di secondo grado, al contrario, ritengono i due episodi sensibilmente diversi. Nel primo omicidio la morte è causata da asfissia, con secondaria ininfluente emorragia dovuta alla ferita da arma da taglio, per il secondo, invece, si deve parlare di morte per emorragia con secondaria ininfluente emorragia, quindi ritengono assente la motivazione di sadismo sessuale alla base dei delitti. In virtù di tutto quanto detto, la Corte d'Assise d'Appello di Perugia, condanna Luigi Chiatti a trent'anni di reclusione e la misura di sicurezza predetta, confermando le pene accessorie previste in primo grado e le statuizioni civili.
La prima sezione penale della Corte di Cassazione (213) il 4 marzo 1997 ha confermato in pieno la decisione della suddetta Corte, ritenendo pertanto Chiatti seminfermo di mente e mettendo la parola fine alla vicenda del "mostro di Foligno".
3.2.7. Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo d'Appello
Anche in questo grado di giudizio l'esito del processo è condizionato dai risultati delle perizie psichiatriche effettuate sull'imputato. Come nel processo di primo grado vi è divergenza di opinioni tra i consulenti tecnici nominati dal procuratore generale, quello nominato dalle parti civili e quelli nominati dai legali di Chiatti. I periti del P.G. e delle parti civili si sono espressi in ordine alla piena capacità di intendere e volere del Chiatti al momento dei fatti, i consulenti tecnici nominati dai suoi avvocati, hanno escluso la possibilità che il loro assistito, fosse, al momento dei delitti, in tal stato di mente da possedere la capacità di intendere e volere ai sensi dell'art. 88 c.p. ritenendo, che gli stessi delitti sono chiare manifestazioni psicotiche e perciò segni inequivocabili di infermità mentale idonei ad annullare del tutto la capacità di intendere e volere.
Fondamentale risulta quindi, la posizione assunta dai periti nominati dalla Corte, i quali hanno espresso l'avviso che Chiatti, all'epoca in cui commise i fatti, «era per infermità in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderle, le capacità di intendere e di volere» (214), in quanto affetto da «grave e profonda immaturità delle strutture della personalità, che si manifesta attraverso il disturbo narcisistico di personalità, con pedofilia e con tratti sadici, schizoidi, paranoici, ossessivi e fobici». (215) In particolare i consulenti tecnici nominati dal procuratore generale, sebbene si siano espressi in sintonia con il consulente tecnico del pubblico ministero nel giudizio di primo grado Vittorino Andreoli, per la piena imputabilità di Chiatti, sul piano della diagnosi clinica, si sono sensibilmente discostati dal giudizio espresso da Andreoli, avendo giudicato il periziando «affetto da pedofilia con attrazione omosessuale, da annoverare nel quadro più generico delle parafilie». Il collegio dei periti nominati da P.G. qualifica riduttivamente il periziando quindi come un pedofilo con attrazione omosessuale, dichiarandosi però incapace di spiegare i due terribili omicidi.
Il consulente tecnico delle parti civili, modificando il giudizio espresso in primo grado dal collegio dei consulenti del quale egli stesso faceva parte, ha, da un lato, giudicato il periziando affetto da pedofilia e disturbo narcisistico di personalità (216) e che non presenta nè elementi di aggressività nè tratti di personalità immatura (217); dall'altro, ha dichiarato di essere, a differenza di quanto espresso nel primo grado di giudizio, del parere che il Chiatti non sia un serial killer, ma soltanto un pluriomicida.
4. Le strategie terapeutiche per la pedofilia
4.1. Prevenire (in termini terapeutici) la pedofilia, si può?
In medicina, la diagnosi è la valutazione dei sintomi avvertiti dal paziente e degli elementi oggettivi a disposizione dei medici, specialmente attraverso analisi di laboratorio, al fine di determinare la natura dei processi morbosi in atto e la sua sede nell'organismo. Molti clinici hanno una certa riluttanza a formulare una diagnosi di pedofilia, perché l'individuo porterebbe per tutta la sua vita un marchio tremendo. Spesso quando incontra una situazione che presenta delle caratteristiche della pedofilia, il professionista preferisce usare un'altra diagnosi come ad esempio una forte depressione (218).
Eliminare il "come" e il "perché" di un atto giudicato colpevole è stata la tentazione di una certa dottrina criminologa (219). La prima risposta implacabile e parodistica, fu la teoria del "delinquente nato" di Cesare Lombroso (220), il quale invece di individuare l'atto in sé, cercò di identificarlo con il suo autore e così nacque il tentativo di studiare quest'ultimo e classificarlo in un primo tempo come risultato, inizialmente, di una tara biologica, e poi di un alterato processo psichico circoscrivibile in precise categorie patologiche. Quando si parla di prevenzione, occorre precisare che esistono diversi modelli teorici di riferimento: giuridico, di protezione comunitaria e clinico (221). L'analisi giuridica è volta alla difesa della libertà individuale, si basa sui principi di causalità, determinazione e uguaglianza di fronte alla legge, reputa il pedofilo responsabile, sano di mente e considera gli atti compiuti precedentemente sia in funzione di aggravanti che di attenuanti. Questo modello, primariamente indirizzato verso la ricerca di una pena che sia prima di tutto giusta, applica il concetto di pericolosità al criminale più che al crimine sebbene la pena debba basarsi sul delitto che è stato perpetrato piuttosto che sugli atti che lo stesso autore potrà commettere in futuro. Il modello di protezione comunitaria, al contrario, focalizza la sua azione sulla difesa dei diritti della vittima e quindi con azioni preventive mirate in modo particolare alla tutela delle fasce a rischio, in questo specifico caso dei bambini. Il modello clinico, infine, focalizza come area di azione la personalità dell'individuo deviante ed essendo aderente ad un criterio che traduce "l'anormale" in patologico in teoria si oppone ad ogni forma punitiva anche se non esclude la possibilità dell'isolamento e della reclusione nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario (222).
Bandini e altri autori (223) sostengono che chi aderisce al modello clinico si trova in unanime accordo sull'opportunità di privilegiare le attività di prevenzione piuttosto che di repressione, in quanto si ritiene che, in generale, la prevenzione sia più efficace, meno costosa, maggiormente rispettosa delle esigenze dei cittadini. Quando tuttavia si deve specificare quale tipo di prevenzione sia da preferire, l'accordo sfuma ed i pareri sono estremamente differenziati. Esistono numerosi metodi di prevenzione e la difficoltà della scelta è condizionata dai risultati delle ricerche valutative, sviluppate soprattutto in questi ultimi anni in particolar modo nei paesi nord-americani, e che hanno permesso di accumulare un notevole bagaglio di conoscenze sull'efficienza, sull'efficacia, sugli effetti collaterali, sui costi e benefici di molti programmi di prevenzione (224).
Il punto cruciale che rende difficile la scelta però, dà luogo ad un problema etico ed uno giuridico, da una parte si tratta di attuare il tentativo di modificare il comportamento umano attraverso l'intrusione nella vita delle persone con l'intenzione di cambiarla, dall'altra occorre particolare attenzione alle possibili violazioni dei diritti delle persone. Questo limite assume particolare consistenza quando si prende in esame la prevenzione della pedofilia tenendo conto anche del fatto che qualsiasi programma di intervento preventivo ha in sé un altro grave problema etico: la produzione, al fianco o al posto degli effetti desiderati, di alcuni effetti collaterali o effetti non desiderati, la cui dannosità potrebbe superare i potenziali benefici (225). Un altro problema, come già accennato, è quello dei costi, in quanto un programma generalizzato può richiedere dei finanziamenti molto elevati, ma questa difficoltà può essere in parte superata tenendo presente che all'interno di un programma di prevenzione generalizzato, non tutti gli individui o le famiglie devono essere oggetto di interventi identici, ma si possono prevedere interventi più intensivi per le situazioni più problematiche (226). La possibilità di modulare l'intervento a seconda delle necessità può anche evitare il rischio, da molti segnalato, che un programma di prevenzione universale finisca per giovare maggiormente a quelli che ne hanno meno bisogno ed incida poco su quelli che più ne necessitano.
Una prima distinzione deve essere fatta tra programmi cosiddetti "universali" e quelli Target (227). Mentre i primi sono rivolti a tutti i componenti di una comunità, indipendentemente dalla presenza di fattori individuali di rischio, i secondi sono rivolti a soggetti particolari e si distinguono in Selected", quando indirizzati a soggetti ad alto rischio al fine di evitare l'emergere del problema che si vuole prevenire, e Indicated, quando organizzati per prevenire la recidiva di un comportamento indesiderato che si è già manifestato (228). L'unico metodo apparentemente in grado di assicurare un programma preventivo sostenibile appare quello del tipo Target e più precisamente la forma che abbiamo designato come Selective sebbene ad adesso sia connesso un inevitabile processo di stigmatizzazione: definizioni come soggetto a rischio di atteggiamenti pedofili, potenziale pedofilo, ecc. che permetterebbero di restringere il campo di azione preventiva, possono costituire, infatti, etichette estremamente pericolose per lo sviluppo sociale, specialmente in caso di programmi rivolti a soggetti adolescenti particolarmente vulnerabili a profezie negative.
Sicuramente la prima domanda da porsi in caso di voler realizzare un progetto di prevenzione su soggetti specificati, è chi sia in grado di dare delle indicazioni sufficientemente attendibili e chi debba raccoglierle. Tenendo conto che la più alta incidenza di abusi si realizzano dentro le mura domestiche (in Italia, dal 1995 al 1997 i reati di abuso sessuale sono passati da 946 a 1.582 ed in particolare quelli che hanno avuto come oggetto un minore sono aumentati da 205 a 470) (229) spetterebbe proprio al medico di famiglia chiedere ed eventualmente segnalare se le lesioni riscontrate possono essere la conseguenza di un maltrattamento. E secondo Mintz (230) sarebbero soprattutto i ginecologi a dover essere sensibilizzati in questo senso dato che la maggior parte delle donne richiede visite mediche proprio di questo tipo, piuttosto che in altre specialità mediche. La connessione tra abusi sessuali sulla moglie e atti pedofili incestuosi (e non incestuosi) è alta dal momento che si tratta di comportamenti che hanno alla base la spinta sadica a dominare l'oggetto sessuale e donne e bambini rappresentano senza dubbio soggetti deboli e più facilmente dominabili. Questa è una realtà di cui il ginecologo, in un'ottica di prevenzione, deve tener conto fondamentalmente per due motivi: quello di mettere sull'avvio la paziente, qualora abbia dei figli affinché acuisca il controllo e, nel caso in cui la violenza sui figli sia già manifesta, fornire l'input necessario alla denuncia del fatto.
È importante ricordare la centralità della perizia psichiatrica che, oltre a fornire elementi psicopatologici, è in grado di fornire una valutazione globale che tenga conto degli aspetti sociali, cognitivi, affettivi ma anche i livelli fisiologici di funzionamento. Importante inoltre, ai fini preventivi, un'attenta raccolta di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei o successivi l'atto (abuso di alcool, premeditazione, tono dell'umore) e gli aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale includendo anche le precoci relazioni intrafamiliari, l'incidenza di attività e fantasie sessuali devianti e non, il comportamento sessuale dell'abusatore nei confronti dei partners consenzienti ecc., tutti fattori che permettono di decidere come agire, sempre che sia possibile, agire.
4.2. Strategie terapeutiche nell'approccio del pedofilo
La legislazione in tema di abusi su minori fa riferimento quasi esclusivamente a pene detentive e pecuniarie, non tenendo conto in alcun modo degli aspetti preventivi legati ai trattamenti che potrebbero essere messi in atto cogliendo la situazione che si viene a creare proprio in occasione della condotta, cioè il riconoscimento di una condotta sessuale inaccettabile e lesiva. Attualmente la quasi totalità dei pedofili riconosciuti come tali, non viene sottoposta (e nemmeno viene loro suggerito) ad alcun tipo di trattamento, vuoi perché negano il loro reato e non lo vedono come un problema sessuale ma come una scelta, vuoi perché in questo senso la legge non offre delle precise indicazioni. Prima di analizzare nel dettaglio le varie proposte di trattamento della pedofilia, ci sono due considerazioni da fare: la prima è che, considerando quello pedofilo un comportamento parafilico risultante da una soluzione vantaggiosa di un conflitto psichico, il pedofilo, anche dopo aver scontato la condanna rimane tale a meno che non intervenga un fattore di cambiamento (231). Il secondo assunto parte dal presupposto che il bambino è, per principio evolutivo, un perverso polimorfo ed è solo all'adulto, e a questi soltanto, che spetta l'assunzione della responsabilità dell'atto. Per cui, la prevenzione intesa in termini terapeutici di cura, può avere un senso solo per l'adulto e solo quando questi sia consenziente al trattamento e consapevole dell'aspetto patologico della propria sessualità (232). È chiaro che dal trattamento nessuno si aspetta che il pedofilo si trasformi in un filantropo dedito alla protezione dell'infanzia, ma almeno al riconoscimento delle conseguenze dannose che tale condotta può suscitare sulla vittima e quindi all'astensione da questo tipo di sessualità. In particolare, il programma terapeutico scelto, ha come primo obiettivo il riconoscimento da parte dell'abusatore del proprio problema, l'assumersi la responsabilità delle proprie azioni, "reimpostare" il proprio atteggiamento sia nei confronti della sessualità sia verso l'aggressività e riconoscere che l'abuso sessuale è un atto compulsivo sul quale va esercitato un controllo. Le problematiche con cui terapeuta e paziente dovranno confrontarsi sono (233):
educazione sessuale, comprensione dell'abuso sessuale, l'impatto dello stesso sulla vittima;
risocializzazione dell'individuo tenendo conto delle relazioni interpersonali, il controllo dell'aggressività;
"tecniche" personalizzate per evitare l'abuso (234).
Secondo alcuni autori (235) occorre tenere presente che la pedofilia ha, rispetto a conflitti interni, un aspetto risolutivo che necessita un intervento con uno specifico trattamento che riesca a far fronte al passaggio da una situazione di apparente equilibrio in cui il sintomo è vantaggioso per il perverso, ad una condizione psichica per così dire «fluttuante, in cui il conflitto ritorna ad essere attuale, irrisolto e, inevitabilmente, angosciante» (236).
4.2.1. Terapia chirurgica
Negli ultimi anni, a causa dei clamorosi casi di pedofilia sadica in Italia, sono state invocate da più fonti degli interventi terapeutici per i pedofili e, tra questi, anche la castrazione chirurgica. Tale "risoluzione", in paesi non troppo lontani dal nostro, ha avuto nel passato un grande impiego nel trattamento degli autori di crimini sessuali, nell'ipotesi che riducesse sensibilmente il rischio di recidiva. Certamente, il comportamento sessuale di un soggetto sottoposto a castrazione non può che modificarsi, tuttavia numerosi studi hanno dimostrato l'estrema variabilità nelle risposte individuali al trattamento (237). In alcuni casi, si è assistito, ad esempio, a una ripresa dei reati sessuali successiva all'intervento, ancora più caratterizzati in termini di sadismo. La castrazione chirurgica, come trattamento del pedofilo, si propone ovviamente, finalità di prevenzione sociale, più che di cura e di recupero del soggetto "malato". Eppure c'è chi si richiama persino ad un manuale di Psichiatria Pastorale del Dott. Bless (238) che consigliava come ultimo rimedio nei casi di deviazioni sessuali, la castrazione, ammessa, secondo Bless, dai teologi moralisti. Bless, riportato da Bonafiglia (239) ritiene che «l'anormalità sessuale è nell'ordine naturale del male, una malattia causata dal cattivo funzionamento degli organi sessuali (per un disturbo della secrezione interna)» (240). In argomento intervenne addirittura papa Pio XI che, nel 1930, parlando nell'enciclica Casti Connubi (241) della sterilizzazione, scriveva:
la dottrina cristiana insegna che i singoli individui non hanno essi stessi altro dominio sulle membra del corpo all'infuori di quello che spetta al loro fine naturale e non possono distruggerle o mutilarle o per altro modo renderli inetti alle funzioni naturali, se non nel caso in cui non si possa provvedere in altro modo al bene di tutto il corpo (242).
Secondo Coresi, l'interpretazione di Bless è troppo semplicistica, tanto che scrisse «la castrazione non è una mutilazione, ma solo l'amputazione di una parte ammalata del corpo. Con questo criterio, ad un pazzo dovrebbe potersi amputare la testa» (243). Secondo Vittorino Andreoli (244), la castrazione fisica (e anche quella chimica) non serve a niente per diverse ragioni. Prima di tutto perché l'atto sessuale pedofilico non richiede necessariamente né l'erezione né tantomeno la penetrazione (anzi, di solito la penetrazione non è nemmeno una costante della violenza sessuale sui bambini). Andreoli ci pone un parallelo: «così come gli eunuchi degli harem riuscivano benissimo a prendersi piacere con le donne che gli ingenui sultani affidavano loro senza violare la loro l'intimità, così il pedofilo castrato fisicamente, potrebbe benissimo continuare a insidiare i bambini» (245), anzi probabilmente lo farebbe anche meglio dato che vista la sua condizione, è supposta l'incapacità di nuocere. In secondo luogo tale rimedio è inutile perché la pedofilia non ha affatto soltanto una dimensione brutalmente genitale. La pedofilia è un amore totale, non è un mero desiderio di penetrazione, ma è una brama di possesso nei confronti del bambino come persona nella sua globalità. Infine perché la pedofila non è una patologia del corpo ma della psiche, e quindi non potrà mai venir risolta attraverso un intervento mirato esclusivamente sul corpo.
4.2.2. Terapia psico-cognitiva-comportamentale
Nel corso degli anni, il trattamento dell'abusatore sessuale si è "evoluto" da un intervento ispirato al modello clinico in cui il colpevole di reato sessuale è visto come un malato, all'attuale diffuso approccio di tipo cognitivo-comportamentale che dà maggiore spazio al problema relativo alla prevenzione delle recidive. In molti programmi questo aspetto è inteso come la possibilità di mantenere ed incentivare i cambiamenti ottenuti con il programma in modo da assicurarsi che l'individuo in esame continui ad utilizzare ciò che ha appreso una volta che il trattamento sia formalmente concluso. L'obiettivo di questi programmi di intervento è la modificazione della sessualità deviata, pur tenendo conto che spesso è associata al maladattamento sociale e a distorsioni comportamentali e cognitive, identificando due bersagli fondamentali (246):
ridurre l'eccitamento sessuale in rapporto a pratiche o partners "inusuali";
promuovere o rafforzare l'eccitamento sessuale in rapporto ad adeguate pratiche o partners.
A questo scopo possono essere utilizzate diverse tecniche, spesso combinate tra loro:
condizionamento masturbatorie (247),
sensibilizzazione nascosta (248),
terapia dell'avversione (249).
La tecnica del Condizionamento Masturbatorio implica una sostituzione nel soggetto della fantasie devianti con fantasie non devianti. Per esempio, l'abusatore tiene un diario in cui annota le tipiche fantasie masturbatorie devianti. Con l'aiuto del terapeuta dovrà elaborare e annotare una fantasia non deviante che consenta comunque il raggiungimento dell'orgasmo con la masturbazione. Quando insorge l'eccitamento in rapporto ad una fantasia deviante, il soggetto non dovrebbe masturbarsi, ma verbalizzare immediatamente tutte le modificazioni che può immaginare di questa fantasia o pratica deviante, in modo che l'orgasmo che seguirà (con la masturbazione) sarà connesso alla fantasia non deviante. La Sensibilizzazione Nascosta prevede che il soggetto venga aiutato ad immaginare una scena che potrebbe stimolarlo alla recidiva e ad immaginare subito dopo le conseguenze spiacevoli come, per esempio, l'arresto. La terapia dell'Avversione, infine, consiste nell'accomunare gli stimoli ed i comportamenti attualmente eccitanti, ma inaccettabili con un'esperienza fisica spiacevole (per esempio una scossa elettrica al polpaccio del soggetto, od un odore sgradevole come l'ammoniaca) (250).
Una variante di questa tecnica è quella proposta da Serber (251) definita "terapia della vergogna" utilizzata dallo stesso Serber e che si è rilevata utile nel trattamento per i pedofili: il soggetto è invitato a mettere in atto il suo comportamento deviante di fronte a collaboratori dei terapeuti, i quali vengono opportunamente istruiti a mostrare nei confronti del soggetto un atteggiamento di scherno e disapprovazione. Tutte e tre queste tecniche, che dovrebbero portare il soggetto a conoscere una serie di metodi che gli impediscono di avere ricadute, sono state usate da Pithers (252) all'interno di un programma di prevenzione specifico per stupratori e pedofili in cui, per esempio, dopo la ricaduta, intesa anche come la presenza di fantasia deviante, il soggetto viene esposto ad una situazione estremamente "pericolosa" come quella di chiedergli di fare da baby-sitter. In questo modo il soggetto avrebbe la possibilità di verificare che l'atto sessuale deviante in sé non è inevitabile aumentando anche la consapevolezza di non essere affetto da un disturbo incurabile e la situazione stimolerebbe altri mezzi per risolvere il problema. Pithers ritiene che per prevenire le recidive si devono individuare tutti i fattori predisponesti all'atto deviante così come le situazioni "pericolose", il soggetto dovrebbe astenersi da tutti quei fattori istituzionali che potrebbero maggiormente esporlo al rischio di recidiva, come l'uso di stupefacenti, di alcool, visioni pornografiche ecc.
Accanto alle tecniche che si basano sul comportamento del soggetto, ne esistono altre che hanno come fulcro di intervento il ruolo sociale e le distorsioni comportamentali che un individuo affetto da parafilia tende ad acquisire. Nel ruolo sociale, in particolare, vengono prese in considerazione una serie di qualità come l'empatia, il comportamento interpersonale, il modo di affrontare rabbia ed ansia, la capacità di conversazione e quella di mantenere relazioni stabili ecc (253). Esistono programmi specifici che mirano alla riduzione dei deficit presenti in queste aree che si avvalgono di diverse tecniche e che includono l'educazione sessuale e l'acquisizione di nozioni "pratiche" circa la possibilità di risolvere problemi della vita quotidiana (254). Ritornando ad una distinzione poco sopra descritta (programmi Target all'interno dei quali si suddividono programmi rivolti ai Selected o agli Indicated), si può concludere che questi tipi di programmi, indirizzati agli Indicated al fine di prevenire la recidiva, aiutano il pedofilo a comprendere ed a riconoscere, in modo comportamentale, le variabili psicologiche e situazionali che lo espongono al rischio di commettere di nuovo il reato. Il pedofilo dovrebbe essere aiutato a riconoscere gli eventi capaci di innescare la sequenza di alterazioni cognitive, affettive e comportamentali che lo portano a commettere l'abuso e a ricordare, attraverso il trattamento, le capacità che ha acquisito per meglio "gestire" le stesse modificazioni cognitive, affettive e comportamentali.
4.2.3. Trattamento psicoterapeutico
Il consenso crescente degli psichiatri sembra indicare che nessuna terapia ad indirizzo dinamico presa singolarmente sia efficace per tutte le parafilie, e che siano necessari degli approcci su misura per ogni singolo individuo (255). Gabbard (256) parte dal presupposto che le aspettative del terapeuta devono essere modeste perché, indipendentemente dal tipo di terapia, i pazienti parafilici, sono notoriamente difficili da trattare dal momento che nel corso di molti anni, hanno sviluppato una ben congegnata soluzione erotica ai loro problemi, e sono raramente interessati a rinunciarvi. L'inizio della terapia per i parafilici avviene spesso non volontariamente, ma perché il soggetto è sotto pressione: quando, ad esempio le disposizioni di legge lo prevedono perché la terapia è indispensabile per ottenere la libertà condizionale (in alcuni paesi il trattamento medico-riabilitativo può essere obbligatoriamente disposto dal giudice, come ad esempio in Inghilterra, U.S.A. ecc.), in questi casi la riuscita del trattamento è veramente difficile. Ogni terapia raggiunge il suo scopo solo quando il soggetto che vi si sottopone è volontario e consenziente come sostengono la maggior parte dei clinici che ritengono probabile l'efficacia del trattamento solo quando i pazienti riescono ad accettare completamente la responsabilità per le loro azioni e per il danno che essi hanno causato (257). Quindi, prima di poter pensare ad una psicoterapia dinamica, che comunque dovrebbe svolgersi nell'ambiente carcerario con la stessa agevolezza con cui si volerebbe un gabbiano con ali di cera, può essere utile al futuro paziente un trattamento anche individuale che seguendo i principi comportamentistici, persegua alcuni obiettivi terapeutici, quali:
aiutare i pazienti a superare il loro diniego;
aiutarli a sviluppare empatia per le loro vittime;
identificare e trattare l'eccitazione sessuale deviante;
identificare i deficit sociali e le capacità di adattamento inadeguate;
sviluppare un piano comprensivo per la prevenzione delle ricadute che comprenda l'evitamento delle situazioni che risultano per loro particolarmente stimolanti.
In sostanza, questo è il primo stadio che dovrebbe svolgere la funzione di "preparare" il soggetto alla terapia dinamica che presenta non pochi problemi. Il primo fra tutti, la convinzione del parafilico che la sua non è una perversione, ma una forma di amore. Così il terapeuta, oltre ad occuparsi di tutti i disturbi associati alla parafilia, dovrebbe subito mettere il suo paziente di fronte a tale diniego per evitare, come sostiene Kohut (258), che le attività e fantasie perverse rimangano in un'area scissa e compartimentalizzata della personalità. Diverse sono le forme di psicoterapia attuabili, tra cui la psicoterapia di coppia, familiare e quella di gruppo e infine quella ipnotica.
Psicoterapia di coppia.
Può accadere che sia proprio una crisi coniugale la scintilla che induce un pedofilo a chiedere una terapia. La terapia coniugale può essere cruciale per il successo del trattamento delle parafilie aiutando a delineare come l'attività perversa rifletta difficoltà sessuale ed emotive nella diade coniugale. L'esplorazione di un disaccordo coniugale può far esplodere le sfumature del disturbo e spostare l'attenzione da una o più aree problematiche del matrimonio. (259)
Psicoterapia familiare.
Questo tipo di terapia è indicato specialmente nei casi di pedofilia che si verificano nel contesto di un incesto ed è generalmente una parte integrante dell'intero piano terapeutico. Si tratta di famiglie, con difficili dinamiche, che sembrano entrare in un subdolo circolo vizioso. Ipotizziamo una coppia apparentemente normale in cui nascono dei figli. La madre, sopraffatta, trascura il marito il quale, bisognoso e dipendente, incapace di prendersi cura dei componenti della sua famiglia, sente la moglie sempre più estranea e si rivolge ad uno dei figli (in genere la figlia maggiore) per ricevere quelle emozioni a cui non tollera rinunciare portando ad una seconda generazione di figli con ruoli genitoriali. È facile che questa bambina senta la responsabilità di occupare il posto della madre, e quando parte di quella responsabilità comporta il soddisfacimento sessuale del proprio padre, la bambina può subordinare i suoi bisogni a quelli di lui (260). La terapia in famiglia nei casi di incesto spesso rivela che la vittima protegge l'aggressore e mantiene la propria lealtà nei suoi confronti (261).
Psicoterapia di gruppo.
La psicoterapia psicodinamica di gruppo è stata utilizzata efficacemente con pazienti che soffrono di perversioni. Anche la terapia di gruppo imposta legalmente agli aggressori sessuali, come i pedofili, ha ottenuto dei risultati soddisfacenti (262). Pazienti con lo stesso problema che si confrontano, che si sostengono (come avviene in terapie per tossicodipendenti o alcolisti) e che subiscono la pressione del gruppo in maniera positiva, poiché gli serve per tollerare di cambiare il comportamento distruttivo. Sembra particolarmente utile anche, la consapevolezza del pedofilo di essere ad uno stadio più avanzato del programma terapeutico, che contribuisce ad aumentare la sua fiducia e la speranza circa la possibilità di uno "stile di vita" diverso.
Psicoterapia ipnotica.
Accanto alla psicoterapia di gruppo, non può essere escluso il social skill (conquista delle abilità sociali) mirato alla risoluzione delle difficoltà di relazione sociale e sessuale con altri soggetti adulti (263). I primi che se ne occuparono attivamente furono Sacerdote (264), Watkins (265) e Granone che, nel suo Trattato di ipnosi scrive «bisogna puntare più sull'immaginazione che sulla ragione» (266). Mastronardi e Villanova (267) hanno recentemente condotto uno studio presentato a Vienne alla settima Conference of the International Association for the Treatment of Sexual Offenders (11-14 settembre 2002), in cui sono stati analizzati 50 casi di comportamento sessuale violento a estrinsecazione aggressivo-distruttiva (per la maggior parte pedofila) affrontati in psicoterapia ipnotica. Secondo tali autori, lo status ipnotico, «rappresenta una condizione di particolare recettività, in cui le visualizzazioni emotigene indotte dall'ipnotista, e inerenti manipolazioni degli antichi referenti sessuali distorti, diventano dinamicamente attive e operanti, decondizionando in evoluzione graduale e progressiva le antiche, istintuali, percezioni distorte» (268). L'obiettivo proposto è la maturazione degli elementi caratterizzanti lo sviluppo pulsionale-libidico del soggetto attraverso interventi specifici di maturazione, evoluzione e/o inibizione o sostituzione dei referenti che permettono l'attivazione emotivo-pulsionale (sia oggetti sessuali reali che mediati). Il trattamento terapeutico avviene senza mai aggredire direttamente il sintomo o il comportamento deviante, dopo il trattamento, dovrebbe scomparire fisiologicamente (269).
Trattamento ospedaliero.
Pur non essendoci nessuna indicazione per un trattamento ospedaliero delle parafilie, alcuni pazienti, e in modo particolare i pedofili, vengono ricoverati con una frequenza maggiore, ad esempio, di quella registrata per gli esibizionisti che rimangono comunque tra le categorie abbastanza rappresentate nella media dei ricoveri. In realtà questi soggetti frequentemente "usano" il trattamento ospedaliero essendo la corsia d'ospedale di gran lunga preferibile al carcere dove i pedofili per leggi interne della vita carceraria, spesso e volentieri, sono oggetto di violenze sessuali (270).
4.2.4. Terapia farmacologica
L'utilizzo di farmaci nel trattamento della pedofilia impone una serie di riflessioni: le terapie farmacologiche presentano l'indubbio vantaggio di un costo contenuto e una più semplice praticabilità rispetto alla psicoterapia, inoltre il farmaco è uno dei mezzi più immediati ed efficaci per controllare l'aggressività di solito connessa all'abuso sessuale, anche se, pur prevedendo sia una finalità clinica-terapeutica che semplicemente contenitiva quest'ultima è decisamente più evidente (271). Infatti, il trattamento in cronico presenta non pochi problemi in ordine al fatto che dovrebbe rivolgersi alla cura del sintomo e non semplicemente al suo contenimento. Purtroppo non esistono dati circa l'efficacia di queste terapie a lungo termine e va inoltre considerato che spesso i pedofili e i Sex-Offender in genere commettono i loro crimini in rapporto a motivazioni che vanno oltre la pura gratificazione sessuale: ridurre la loro libido, quindi, non significa necessariamente ridurre il rischio di recidiva (272).
Fino ad oggi, il trattamento farmacologico cosiddetto "antilibido", è stato utilizzato frequentemente in associazione alla terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento delle parafilie quando è presente anche una certa ipersessualità. Esso si basa sull'utilizzo di antiandrogeni come il "ciproterone acetato". In particolare, i farmaci utilizzati possono essere così suddivisi (273):
Sostanze a effetto ormonale diretto.
estrogeni
agonisti dell'LH (triptorelina)
antiandrogeni: ciproterone acetato, medrossi-progesterone acetato.
Psicofarmaci.
neurolettici
benzodiazepine
antidepressivi ed equilibratori dell'umore.
3. Altri.
propanolo
reserpina
spironolattone.
Ciascuna di queste sostanze viene utilizzata per l'effetto antilibido più o meno direttamente connesso al proprio meccanismo d'azione, ma occorre precisare due aspetti: innanzitutto nel trattamento antiandrogeni sono descritti numerosi effetti collaterali, tra i quali anche un'attività carcinogenetica (274), secondariamente è da evidenziare il limite imposto al trattamento sanitario obbligatorio in relazione alla salvaguardia dei diritti della persona poiché l'art. 32 della Costituzione sancisce la necessità di coincidenza tra tutela della salute del singolo individuo e la tutela di quella della collettività. L'una non può prevalere sull'altra, ed è necessario che vi sia una perfetta sovrapposizione (275).
In conclusione possiamo dire che il trattamento terapeutico dei pedofili e in generale quello dei Sex-Offender può dare dei risultati positivi se si tengono in debito conto sia le difficoltà soggettive ed oggettive di queste terapie, sia dei loro costi. Affinché sia possibile pensare ad un efficace intervento terapeutico sui pedofili che possa inserirsi in un organico programma di prevenzione è necessario avviare progetti di ricerca che tengono conto delle nozioni finora acquisite come la consapevolezza che la probabilità di recidiva è decisamente più elevata tra coloro che hanno commesso in passato più di un reato sessuale rispetto a coloro che lo hanno commesso solo una volta. Quindi è indispensabile procedere ad una accurata selezione del campione da sottoporre al trattamento non sottovalutando che questo ha importanti risvolti circa la valutazione degli effetti dello stesso, perché come scrive Marshall (276), stupratori ed esibizionisti traggono meno vantaggio da un trattamento rispetto a coloro che hanno abusato sessualmente di minori.
5. Due progetti: l'inglese programma S.T.O.P. e l'italiano programma W.O.L.F
Come riporta Balier (277), una delle più radicate convinzioni è che «la ripetizione degli atti (la recidiva) è purtroppo la regola. È proprio essa a togliere molte speranze, al punto di portarci talvolta a credere all'incurabilità di questi soggetti. "Pedofilo per un giorno, pedofilo sempre" è un adagio dalla rima facile che proviene - pare - dal Canada» (278). Metodologicamente Fornari (279) suggerisce invece di procedere a "un'analisi strutturale individuale" in modo che si possono operare tre distinzioni strutturali:
condotta tollerata dall'Io, quindi egosintonica, che si traduce in una perversione vera e propria. Si classifica in una struttura perversa;
condotta mal tollerata dall'Io, quindi egodistonica, quindi perversione nevrotica o disfunzione, quindi struttura nevrotica;
condotta patologica che si manifesta in un disturbo psicotico e che si basa su una struttura psicotica.
Durante il percorso riabilitativo-trattamentale bisogna utilizzare oltre ai reattivi mentali anche i test proposti dall'esperienza clinica, in particolare quella di Lang et al. (280), ad esempio STAI (State-Trait Anxiety Questionnaire), MAQ (Moral Anxiety Questionnaire), FNE (Fear of Negative Evaluation Scale), IOFR (Index of Family Relations), SSS (Social Skill Survey), BDHI (Buss-Durkee Hostility Inventory), FAV (Forensic Assessment of Violence), EPQ (Eysenck Personality Questionnaire). Al fine di garantire il percorso riabilitativo-trattamentale sono stati elaborati speciali programmi da applicarsi ai detenuti durante il periodo di prigionia o quello trascorso nella comunità. Una delle esperienze cliniche più convincenti e complete, (nonché più applicabile al nostro ordinamento), è quella anglosassone denominata "programma STOP" (Sexual Offenders Treatment Program applicato nella prigione di Peterhead in Scozia nel 1992) (281).
Esiste per i detenuti la possibilità di accedere ad attività preparatorie all'inserimento nel programma STOP, attività che si svolgono collateralmente allo svolgimento del programma stesso. Il programma comprende un approccio avente come scopo quello di evitare un'eventuale recidiva: esso ha, infatti, il compito di far sì che l'agente capisca di aver commesso un fatto illecito nei confronti della propria vittima e che riesca ad imparare a controllare i suoi sentimenti per il futuro. Quindi il programma ha lo scopo di rendere consapevoli della propria responsabilità gli autori del reato sessuale, di sviluppare in loro la consapevolezza dell'offesa impartita alle vittime e di preparare un piano di prevenzione, atto ad invidiare i fattori che li possono far deviare ulteriormente (282).
Il programma STOP si svolge in 180 ore e viene somministrato in due fasi, ogni fase è formata da 40 sessioni e i gruppi si compongono di 8-10 detenuti per reati sessuali le cui vittime sono bambini e/o adulti (ne sono escluse invece le detenute) (283). I gruppi si incontrano due volte alla settimana e ciascuna delle 80 sessioni dura approssimativamente due ore e mezza. Il programma è offerto in 25 prigioni inglesi e circa 600 detenuti all'anno ne usufruiscono. I gruppi che partecipano al programma di sostegno, sono composti da detenuti appartenenti alle seguenti tipologie (284):
detenuti ad alto rischio di recidiva che hanno già seguito il programma STOP;
detenuti a un livello inferiore di rischio che hanno bisogno di programmi di intervento minimo.
Ciascun gruppo è diretto da un membro dello staff della prigione e in alcuni casi l'operatore lavora in collaborazione con assistenti sociali. La priorità viene data a quei detenuti che dallo screening iniziale risultano ad alto rischio di recidiva. Il programma ha inizio con la messa a fuoco di determinati argomenti come, ad esempio, la ristrutturazione cognitiva, il consenso, la responsabilità, la recidiva la possibilità di stabilire l'empatia di base con la vittima. Dopo una pausa tra la prima e la seconda fase, quest'ultima inizia esplorando e sviluppando i cicli individuali di recidiva e, utilizzando un lavoro a moduli, analizza anche altre aree; tutto ciò occorre per creare un progetto di lavoro individuale finalizzato a prevenire la recidiva. Il programma, tra gli altri, include l'esame delle responsabilità, il ripensamento degli errori e meccanismi di difesa, la consapevolezza della vittima, valutazione delle tematiche del consenso, pornografia e fantasie sessuali, abilità sociale e interpersonali, recidiva e comportamenti recidivanti, prevenzione delle ricadute ecc. Il lavoro in gruppi di 8-10 detenuti è ritenuto più valido rispetto alla terapia individuale, per il minor numero di operatori e il fatto che i veri esperti sono in realtà gli stessi detenuti, che singolarmente potrebbero continuare a perpetrare i meccanismi di autoinganno e ingannare lo stesso terapeuta (285). Viceversa il gruppo garantisce un controllo reciproco tra gli stessi Sexual-Offender.
5.1. Il programma WOLF
Il Ministero della Giustizia, in particolare il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, nel 1998 ha presentato un progetto denominato WOLF (Working On Lessening Fear - Lavorare per diminuire la paura). L'iniziativa, la prima in Italia, si caratterizza come progetto di ricerca e scambio transnazionale sul trattamento dei condannati per reati di sfruttamento sessuale di minori e sui bisogni di formazione degli operatori penitenziari addetti al loro trattamento. L'iniziativa ha coinvolto direttamente ed indirettamente 71 istituti penitenziari, 21 centri di servizio sociale per adulti, 3 ospedali psichiatrici giudiziari, 40 operatori penitenziari (educatori, assistenti sociali, direttori di istituto e di centro di servizio sociale) e 115 partecipanti al seminario conclusivo. Il progetto parte dalle esperienze effettuate in Belgio e Olanda, paesi in cui è stato possibile evidenziare che la condanna, degli autori di reato di abuso sessuale nei confronti dei minori, non è una soluzione risolutiva nella diminuzione del fenomeno (286). La permanenza in carcere serve senz'altro a rassicurare la collettività per la durata della condanna, ma una volta espiata la pena, partendo dal presupposto che si tratta di una forma di perversione vissuta come giusta dal condannato, come riuscire a controllare la condotta al rientro nel suo contesto sociale di appartenenza?
Si dibatte tuttora molto sulle cause e più ancora sulle modalità di controllo del problema: gli studiosi tuttavia non hanno individuato percorsi risolutivi e totalmente rassicuranti. Durante il Seminario transnazionale conclusivo del progetto WOLF, (svoltosi a Roma dal 10 al 12 marzo 1999), sono stati presentati due documenti di lavoro relativi al problema del trattamento di questi particolari autori di reato, costruiti anche sulla base delle indicazioni raccolte nel corso delle visite di studio all'estero. Il primo documento riguardava il tipo di trattamento da erogare nei confronti di questi delinquenti, mentre il secondo trattava dei bisogni formativi degli operatori coinvolti nel trattamento dei Sex-Offender. Ed è proprio da questo ultimo documento, arricchito da tutte le esperienze presentate nel corso del Seminario di Roma, provenienti da esperti, studiosi e ricercatori italiani e stranieri, operatori penitenziari che è scaturita una prospettiva operativa concreta, che ha portato al progetto For WOLF (formazione per WOLF). Questo progetto realizza il passaggio dall'esigenza di "capire" i termini del problema alla possibilità di "progettare" un intervento concreto, il primo nel nostro paese, a vantaggio degli operatori impegnati quotidianamente in questo campo (287). In pratica, con il progetto For WOLF si intende realizzare una ricerca e uno scambio transnazionale sulle metodologie e sui contenuti della formazione degli operatori sociali e penitenziari addetti al trattamento degli autori di reati di sfruttamento sessuale dei minori (si parla di sfruttamento sessuale dei minori in seguito alla legge n. 269/98). Si prevede inoltre uno studio e una comparazione dei sistemi di valutazione dei percorsi formativi nei paesi partner per sperimentare un modello formativo per gli operatori penitenziari (288). L'amministrazione penitenziaria con questo progetto intende dare una risposta ai bisogni (che sono tanti) formativi specifici sulla scia dei risultati e delle proposte evidenziate con il progetto WOLF.
In particolare, con For WOLF la volontà è quella di realizzare un percorso formativo sperimentale indirizzato agli operatori che si occupano dei rei sessuali con l'obiettivo di aiutarli, innanzitutto, a superare le difficoltà di approccio con questo tipo di utenza. Sostiene Luigia Mariotti Culla, direttore generale dell'istituto superiore degli studi penitenziari nonché responsabile dei due progetti (WOLF e For WOLF): «le difficoltà si concretizzano spesso in collusione difensive o reazioni di evitamento o anche in chiusure relazionali, dinamiche queste, che finiscono per inificiare l'intervento trattamentale» (289). L'obiettivo finale di For WOLF è quello di arrivare, attraverso l'affinamento della professionalità degli operatori, ad un sostegno efficace della capacità di progettare interventi trattamentali significativi nei confronti dei delinquenti sessuali: interventi cioè che possano, per quanto possibile, contribuire a ridurre la recidiva di questo tipo di crimine nel quadro del già illustrato programma STOP.
Prospettive di intervento.
La chiave risolutiva del problema pedofilia, sembra essere quella dell'inasprimento delle pene e una qualche attenzione alle vittime. Non c'è attenzione sufficiente agli autori di reato e al "che fare" con questi soggetti una volta individuati e condannati (290). Sembra che la chiusura in carcere, sia la migliore (o solo la più semplice?) soluzione per risolvere problemi che presentano un'indefinita complessività. Invece, se si vuole davvero contrastare il problema della recidiva, se si vuole in qualche maniera tenere sotto controllo la condotta dei pedofili noti, occorre occuparsi anche degli abusatori e quantomeno aiutarli a risolvere i loro problemi.
In un recente studio del CENSIS (291) si afferma che sulla base degli studi sui molestatori sessuali, si può ritenere che ciascuno di questi abusatori colpisce ogni anno, a partire dall'adolescenza, 5-10 bambini. Considerando che l'età media della condanna per violenza sessuale in Italia è di 24,5 anni, il molestatore medio, nella peggiore delle ipotesi avrà colpito 70 o 80 bambini prima dell'arresto. È utopistico e poco intelligente secondo me, pensare di tutelare efficacemente la società con la sola pena detentiva, senza considerare quanto è deleteria e inutile per il pedofilo stesso. È evidente infatti che il carcere serva più che altro a rassicurare l'opinione pubblica, ma non credo che sia un motivo sufficiente per tenere segregato un soggetto che avrebbe invece bisogno di percorsi terapeutici. Oltretutto anche per la società si tratta di una falsa sicurezza: il pedofilo in carcere si limita a non reiterare il reato, ma non sentendosi colpevole, attenderà paziente la fine della pena per tornare nella società con le stesse convinzioni con cui ne è "uscito".
A ben guardare c'è un oggettivo interesse della società a "farsi carico" anche dei condannati per reati di abuso o sfruttamento sessuale, affinché essi siano destinatari di specifici programmi trattamentali durante l'esecuzione della pena, sia in carcere che fuori, mettendo in campo un appropriato controllo sociale finalizzato ad ottenere una riduzione della recidiva. Questi programmi dovrebbero (292):
generare accettazione della responsabilità personale;
affrontare le conseguenze del comportamento criminoso sia verso se stessi che le vittime, incluse le vittime di secondo livello (famiglie, amici ecc.);
sviluppare strategie personali che assisteranno l'esercizio dell'autocontrollo ed eviteranno situazioni che porterebbero probabilmente alla recidiva.
La realizzazione di questi programmi, accuratamente predisposti e costantemente monitorati, dovrebbe essere adottata nelle carceri con la metodologia del lavoro in e di gruppo, equipe multidisciplinari di operatori che intervengono a livello individuale e di piccoli gruppi stimolando efficaci revisioni critiche del proprio vissuto (293). Bisogna però considerare, che nell'ambiente carcerario i programmi innovativi non sono mai di facile introduzione. I detenuti hanno abitudini e routine che difficilmente hanno voglia di stravolgere, senza considerare che i rei di reati sessuali sono vittima di una serie di soprusi da parte degli altri detenuti, nel rispetto di leggi e gerarchie interne. È necessario dunque, che il programma divenga centrale nel lavoro del carcere, sia considerato "prioritario" e che gli operatori impegnati nella realizzazione dei programmi di intervento abbiano una formazione specializzata.
Poiché ancora non si è in grado di avere sufficienti certezze circa gli effetti di programmi rivolti a categorie di condannati come gli abusanti sessuali, sarà opportuno approfondire lo studio anche mediante l'osservazione di gruppi di controllo su soggetti aventi le medesime caratteristiche dei condannati, beneficiari o meno del trattamento (294). Infine, a parere di Luigia Mariotti Culla (295) si impone una necessaria modifica legislativa che preveda per questi condannati la previsione che per accedere ai benefici penitenziari, gli stessi devono partecipare o aderire ad un programma terapeutico in analogia a quanto previsto per i tossicodipendenti. La possibilità di accedere ad una misura alternativa deve essere legata alla volontà e all'impegno a seguire un percorso che, mentre da un lato assicura un efficace controllo sociale del detenuto, dall'altro sostenga i suoi sforzi con appropriati mezzi e strumenti "terapeutici". Mariotti Culla dice che si tratta di "pre-terapia" o di ambiente terapeutico come presupposto o avvio a percorsi che poi possono essere liberamente scelti e portati avanti (296). Un esempio da seguire potrebbe essere quello belga. La legge del 13 aprile 1995 concernente i delinquenti sessuali su minorenni, sancisce un principio: la liberazione condizionale del condannato è subordinata ad un parere di un servizio specializzato e alla previsione di una sorveglianza sociale e, se necessario, nel quadro di un trattamento terapeutico idoneo da parte di un servizio specializzato. In Belgio vengono legati benefici penitenziari al percorso terapeutico, sottolineando il fatto che si tratta di una scelta condizionata in funzione di un bene superiore per la società: la lotta alla recidiva e la garanzia di una sicurezza per la collettività. Mentre probabilmente, per il detenuto, la scelta di partecipare a percorsi terapeutici è l'unico modo per ottenere la condizione che in quel momento più desidera: la libertà. Difficile pensare che con l'imposizione si possono raggiungere gli obiettivi che, teoricamente, i programmi si prefiggono di raggiungere (generare accettazione della responsabilità personale; affrontare le conseguenze del comportamento criminoso sia verso se stessi che le vittime, incluse le vittime di secondo livello - famiglie, amici ecc. -; sviluppare strategie personali che assisteranno l'esercizio dell'autocontrollo ed eviteranno situazioni che porterebbero probabilmente alla recidiva).
Occorre infine sottolineare che i percorsi socio-riabilitativi avviati in detenzione dovrebbero avere la possibilità di prosecuzione e sviluppo al di là della esecuzione penale. Ciò significa che una progettualità penitenziaria, necessaria e non differibile, è senza sbocco se non può contare su una rete di attenzione in termini di servizi e di risorse da mettere in campo nella comunità locale, come i servizi del territorio sia sociali che sanitari (dipartimenti di salute mentale, consultori, centri ad hoc, ecc.). Luigia Mariotti Culla, conclude sostenendo che andrebbe rivista la previsione «angusta» della legge 3 agosto 1998 n. 269 nella parte in cui prevede la costituzione del Fondo Speciale per il sostegno alle vittime e «nei limiti delle risorse effettivamente disponibili al recupero di coloro che riconosciuti responsabili dei reati previsti dagli articoli 600 bis, ter, quater del codice penale, facciano apposita richiesta» (art. 17). Occorrerebbe una scelta più coraggiosa in termini di impegno economico esplicito per attirare sia la ricerca che la sperimentazione di percorsi efficaci di controllo del fenomeno e del problema connesso con la lotta alla recidiva dei soggetti condannati. (297)
5.2. Il progetto In.Tra. For Wolf nella Casa Circondariale di Prato
La Direzione della Casa Circondariale di Prato ha realizzato, nel 2002, il Progetto In. Tra. For Wolf (298). Il programma del Progetto prevede degli interventi specifici di trattamento per gli autori di reati sessuali ristretti presso la C.C. di Prato. Il gruppo di lavoro prevede la costituzione di un comitato scientifico (che opera in termini di monitoraggio, supervisione dei contenuti e verifica dei risultati del programma anche in itinere); un comitato organizzativo interistituzionale; un Team di gestione, sotto la conduzione della Direzione del C.C. di Prato, composto da operatori appartenenti all'area contabile, pedagogica, sanitaria, della sicurezza e al mondo del volontariato; infine alcuni operatori designati tra le varie professionalità dell'amministrazione penitenziaria, del volontariato, della comunità esterna e del settore no profit.
Ciò che il programma sembra voler raggiungere, è la formazione di un clima ambientale che promuove l'umanizzazione dell'esecuzione penale nei confronti dei detenuti, solitamente relegati in condizione di costante isolamento (gli autori di violenze sessuali vengono inseriti in una sezione protetta all'interno della struttura carceraria) e deterioramento psicofisico, per sviluppare processi di autodeterminazione e di autocoscienza attraverso efficaci prese in carico multidisciplinari, individuali e/o comunitarie, verso percorsi esistenziali alternativi. La proposta è quella di offrire una gamma di opportunità psico-socio-relazionali e trattamentali, individualizzando, con il contributo attivo degli utenti, i singoli percorsi e quelli di gruppo. La presenza della comunità esterna ai percorsi trattamentali, potrebbe essere efficace per evitare il deterioramento psicofisico di tali soggetti e consentire momenti di autocoscienza verso un reale reinserimento sociale.
Gruppo dei conduttori
Dalle esperienze fatte in altri paesi nel campo dei Sexual Offenders, risulta che un programma attuato in un penitenziario non è realizzabile se a condurlo non è principalmente, ma non solo, lo staff interno, il cui ruolo è, quindi, fondamentale (299). Le motivazioni di quest'affermazione risiedono nelle seguenti constatazioni:
il lavoro con i Sexual Offenders assume rilievo se rientra a pieno titolo nella visione globale dell'opera trattamentale svolta all'interno del carcere mentre, quando viene svolto da specialisti esterni, viene considerato secondario e assume carattere d'intervento sganciato dal contesto e quindi con valenza ridotta;
le iniziative attuate dallo staff interno in coordinazione/integrazione con gli operatori esterni hanno sempre molte più chances di successo rispetto a quelle realizzate dal solo personale esterno, in quanto gli operatori interni hanno un interesse assegnato, acquisito verso il successo di questi programmi ed hanno molto più potere di aumentare o diminuire le possibilità di riuscita dello stesso.
I destinatari
I destinatari del progetto sono i detenuti di reati sessuali ristretti presso la sezione protetta della Casa Circondariale di Prato, con possibilità di ospitarne fino a quarantacinque. I detenuti saranno divisi in due o più sottogruppi di 10/15 soggetti formati secondo il principio della massima eterogeneità riguardo ai tipi di reati sessuali commessi. Una serie di ragioni consigliano di attuare questo tipo di trattamento nell'ambito del lavoro di gruppo preceduto e preparato opportunamente da interventi mirati di Counseling individuale (300):
il numero di operatori necessario a svolgerlo è minore nel gruppo piuttosto che nel lavoro individuale e il gruppo appare un contesto di aperture e di dinamiche più ricche e significative per la comprensione dei casi;
gli esperti di reati sessuali sono i detenuti stessi, quindi ha molto più senso che siano proprio loro a raccontarsi e a contestarsi fra di loro nell'ambito di una relazione di gruppo, dove è più facile l'esplicitazione con gli esperti delle strategie di autoinganno o di dissimulazione;
il rischio che il detenuto riesca a fuorviare e a manipolare gli operatori, evitando anche di parlare egli argomenti cruciali, diminuisce sensibilmente nel gruppo di lavoro;
i gruppi dovranno avere una composizione eterogenea, presentando una gamma più vasta possibile di comportamenti devianti, in modo che il confronto e la discussione riesca a portare alla luce diversi punti di vista e contemporaneamente agevoli la messa a fuoco di differenti obiettivi o sub obiettivi all'interno del gruppo;
i gruppi favoriscono il processo di risocializzazione dei propri membri, lo sviluppo delle relative abilità interpersonali e di processi cognitivi appropriati (301).
La metodologia
Secondo il Progetto (302), il metodo reale con cui realizzare il programma di trattamento dei Sexual Offenders, non può essere presupposto dagli operatori, ma deve essere ritrovato attraverso un'elaborazione comune, dove le differenze non allontanino ma arricchiscono nella comprensione dell'esperienza di aiuto. Secondo gli autori del progetto, non ci sono metodi scontati da adottarsi, tutto va valutato ed elaborato, il che si traduce in una prima fase di messa in comune di approcci, esperienze, problemi, dando vita ad un utile laboratorio creativo che istituisca una continua messa in gioco di presupposti, paradigmi e pregiudizi. Occorre prevedere, prima di intervenire, la gamma di strumenti e di analisi degli approcci più opportuni per i singoli casi e per i gruppi.
A seconda dei casi si possono utilizzare i più diversi approcci: sistematico-relazionale, psicodinamico, cognitivo-comportamentale, autobiografico, ecc. Deve comunque risultare sempre prioritario rispetto ad ogni possibile rischio di tecnicismo, il rispetto della inviolabilità delle libere scelte di atuodeterminarsi da parte degli utenti, compatibilmente alle regole di convivenza civile e dei diritti umani. È chiaro che un'ampia rosa di possibilità trattamentali predisposta dall'equipe, permetterà di arrivare ad un'esecuzione del programma di interventi più incisiva, ed i fautori del Progetto dichiarano di preferire un approccio cognitivo-comportamentale, oppure introspettivo, secondo la valutazione delle capacità verbali, simboliche e sociali dell'individuo, ecc., piuttosto che essere vincolati ad un unico orientamento teorico.
I programmi degli esperti del team, tenderanno a dare sistematicità alle letture dell'esperienza avviata, anche secondo i seguenti punti (303):
formulazione di una scala che analizza i differenti percorsi che hanno portato al compimento del reato e gli errori di pensiero ad essi associati;
predisposizione di schede relative alle storie personali, all'immagine che hanno di sé questi detenuti e all'immagine che hanno della propria funzione sociale;
ideazione di schede relative alla capacità del detenuto di sviluppare una coscienza della vittima e l'empatia con essa;
analisi della percezione e della cultura della sessualità;
annotazione dei progetti di vita e delle loro variazioni, quali derivino dai dialoghi, racconti, composizioni, fantasie, ecc.;
lettura della capacità di modellamento delle abilità sociali attraverso la promozione dell'espressività corporea, emotiva e artistica;
valutazione della capacità di relazionarsi con gli altri, coinvolgendo, ove possibile, le famiglie e/o le persone amiche nei percorsi di reinserimento.
Nel progetto, si evince chiaramente che sarà il lavoro di gruppo ad essere privilegiato, lavoro ritenuto dagli operatori più idoneo perché il detenuto riconosce, nell'ambito del gruppo, la propria esigenza di cambiamento di fronte ai suoi simili, poiché i partecipanti al gruppo possono sempre richiedere un aiuto esterno per risolvere particolari problematiche sorte nell'ambito del lavoro collettivo, problematiche che, se fossero affrontate all'interno del gruppo, potrebbero diventare fuorvianti (304), perché il carico delle contestazioni che possono sorgere all'interno del gruppo è ripartito tra tutti i partecipanti e non ricade, quindi, interamente sul Tutor come accadrebbe in una relazione a due.
Tempi e durata del programma
Il Programma per la complessità dell'articolazione interna e per gli ambiziosi scopi che si prefigge di raggiungere, non può avere una durata inferiore a 3 anni. Le diverse fasi di lavoro previste, che potranno risultare anche coincidenti circa i tempi di svolgimento, sono le seguenti (305):
1º anno:
informazioni ai detenuti da coinvolgere per la realizzazione del progetto circa le grandi linee della sperimentazione che si realizzerà presso l'istituto di Prato, che sarà rivolto agli autori di reati sessuali ristretti negli istituti C.C. Prato, C.C. Firenze Sollicciano, C.R. Porto Azzurro e altri istituti toscani dove sono concentrati la maggior parte di Sexual Offenders che vorranno aderire al progetto;
selezione ed assegnazione a Prato dei Sex Offenders da ammettere al programma. (Successivamente il gruppo di ricercatori del comitato scientifico si recherà all'interno degli istituti di provenienza dei soggetti interessati al programma e informerà sulle attività del programma);
formazione degli operatori;
fase di formazione dei gruppi di utenti d'intesa tra direzione, team e gestione di esperti (306);
fase di verifica dei risultati (in itinere), a fine ciclo (previste 4 edizioni), stesura relazione e presentazione risultati in una conferenza da organizzare nell'istituto e/o sul territorio allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento.
2º anno e 3º anno: alla luce dei risultati e delle problematiche evidenziate nel primo anno di attività, il Comitato Scientifico provvederà ad effettuare una ri-progettazione sia della formazione che dell'andamento del progetto (307).
5.2.1. Il Team del progetto In. Tra. For Wolf: intervista alla Dott.sa Alessandra Scotto
La Dott.ssa Alessandra Scotto, donna saggia e dolce, fa parte del Team di gestione che si occupa attivamente del progetto In. Tra. For Wolf realizzato alla Casa Circondariale di Prato, sotto la direzione del criminologo Dott. Silvio Ciappi.
Nel corso dell'intervista, la dottoressa Scotto mi chiarisce che siamo al secondo anno di realizzazione del progetto e quindi nella parte "pratica".
I detenuti condannati per reati di pedofilia e di violenza sessuale, si trovano tutti in un'unica sezione a Prato (la settima), una sorta di "isolamento" da tutti gli altri carcerati. Di tutti i detenuti in settima sezione, circa 10 detenuti continuano a dichiarasi innocenti e hanno espresso la volontà di non partecipare al trattamento previsto dal progetto For Wolf; alcuni hanno preferito un percorso individuale; mentre 8 detenuti, attualmente, hanno deciso di sottoporsi a questo trattamento per "cercare di cambiare vita" («il gruppo è comunque aperto ad ogni nuovo inserimento» sottolinea la Dottoressa Scotto).
La Scotto mi dice che coloro che non si sentono colpevoli e che quindi rifiutano trattamenti e discussioni individuali o di gruppo, vengono considerati una sorta di "gruppo di controllo" che permetterà di verificare il lavoro svolto sui soggetti in trattamento, mettendoli a confronto, in un momento successivo, per poter verificare le differenze comportamentali di chi si ritiene innocente, nonostante una sentenza di condanna e di chi invece, avendo partecipato al progetto ha, si spera, raggiunto un livello di accettazione e comprensione della responsabilità personale tale da evitare la recidiva.
Il trattamento consiste sia in un percorso individuale per chi non se la sente ancora di confrontarsi, sia in incontri in gruppi di soggetti che permette di discutere, di confrontarsi, di aprirsi ed analizzarsi. La dottoressa mi rende consapevole del fatto che molti detenuti si rendono conto della gravità sociale del fatto da loro commesso e dello stile di vita condotto fino a quel momento, soprattutto al momento in cui vengono inseriti in sezione, una sezione "speciale" del carcere di Prato, lontano da tutti gli altri che li disapprovano. L' "isolamento" al quale sono costretti li porta a mettersi in discussione ed a cercare di capire i motivi per cui sono attaccati non solo dalla riprovazione sociale, ma anche da quella di tutti gli altri compagni di percorso carcerario, che sfogherebbero volentieri la loro rabbia su chi è ritenuto un "infame".
Ciò che durante le sedute Alessandra Scotto ha potuto evincere, è la costante della degradazione familiare da cui questi soggetti provengono, quasi tutti hanno subito violenze ed abusi sessuali (soprattutto intrafamiliari), quel tipo di sessualità violenta o incestuosa è quella da loro ritenuta "normale", per questo per alcuni, sottolinea la Scotto «è difficile capire che si tratta di un reato che provoca gravissimi danni alla vittima, vittima che se non curata in tempo, potrebbe diventare a sua volta "carnefice"».
A questo proposito comunque, un traguardo importante è stato raggiunto dalla terapia: in molti si è verificata una vera e propria empatia nei confronti della vittima, consapevolezza del dolore e del danno provocato, ripudio verso atti che non vorrebbero più essere ripetuti, un tunnel di perversione dal quale i rei hanno capito di voler davvero uscire. La dottoressa mi spiega che tutta la terapia è basata su un primo approccio di comprensione: per poter agire occorre capire il perchè, per arrivare a colpire l'eventuale recidiva occorre che il soggetto si apra, si metta in discussione, comincia ad avere un dialogo con gli altri, compia un lavoro su se stesso che parte dalle parole. E proprio per favorire la comunicazione, il progetto In. Tra. For Wolf, ha previsto una serie di corsi iniziati nel gennaio 2004, come ad esempio: corso di alfabetizzazione e lettura di giornali; corso di bonsai; corso di tecniche psicomotorie di autocoscienza; cineforum; corso di linguaggio espressivo; corso di autobiografia; corso di arte terapeutica; gruppo di redazione del giornalino TAITA.
La partecipazione ai corsi, oltre a favorire il linguaggio ed il confronto con se stessi, permette agli operatori di monitorare da ogni punto di vista, l'attività del pedofilo e l'eventuale cambio comportamentale.
Il programma sembra che funzioni, Alessandra Scotto non nasconde la soddisfazione, l'unico rammarico riguarda l'assenza di un appoggio esterno: il progetto prevede per ora, soltanto un trattamento interno, ma vista la delicatezza della questione, dovrebbe essere garantito anche un supporto da centri esterni al carcere, un progetto questo, ancora in fase di studio.
Note
1. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996; G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
2. G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
3. L. De Cataldo Neuburger, La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, (a cura di), Cedam, Padova, 1999.
4. J. K. E. von Fritzläer, Summa Sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
5. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996; G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
6. M. Accorsi. A. Berti, Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Ed., Genova, 1999.
7. American Psychiatric Association, op. cit.
8. J. McDougall, A favore di una certa anormalità, trad. it., Borla, Roma, 1993.
9. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996.
10. M. Accorsi, A. Berti, Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Ed., Genova, 1999.
11. American Psychiatric Association, op. cit.
12. Dati pubblicati dal CENSIS in data 15 luglio 1998.
13. F. Putrella, Traumi psichici. Il trauma infantile nella prospettiva dell'adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994.
14. A. Berti, D. Malagamba, Disturbo Post Traumatico da Stress: aspetti psicopatologico e terapeutici, in Giornale italiano di psicopatologia, 2, 1998, pp. 200-209.
15. H. Kohut, in: Narcisismo e analisi del Sé, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1976.
16. P.A. Harrison, J.A. Fulkerson, T.J. Beebe, Multiple Substance use among Adolescent Physical and Sexual Abuse Victims, in Child Abuse Neglect, 21, 1997, pp. 529-539.
17. P.A. Harrison, J.A. Fulkerson, T.J. Beebe, Multiple Substance use among Adolescent Physical and Sexual Abuse Victims, in Child Abuse Neglect, 21, 1997.
18. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in, M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999.
19. Secondo il DSM-IV il sadico è colui che, per un periodo minimo di sei mesi, ha fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti dal punto di vista sessuale che comportano azioni (reali, non simulate) in cui la sofferenza psichica e/o fisica della vittima è sessualmente eccitante. Tali fantasie, impulsi o comportamenti sessuali devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996
20. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in, M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999, p. 182.
21. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1923, p. 197-213.
22. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1923.
23. J. K. E. Von Fritzläer, Summa sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
24. J. K. E. Von Fritzläer, Summa sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
25. V. Andreoli, Voglia di ammazzare. Analisi di un desiderio, Rizzoli, Milano, 1996; L. de Cataldo Neuburger, La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, (a cura di), Cedam, Padova, 1999.
26. A. Limentani, Perversioni trattabili e intrattabili, Glover Conference, Londra, 1987.
27. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996.
28. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
29. G. Gullotta, La scienza della vita quotidiana, Giuffrè, Milano, 1995.
30. J.R. Feiermann, Pedophilia: Paraphilic Attraction to Children, in J.J. Krivacska, J. Money (a cura di), in J.J. Krivacska, J. Money (a cura di), The Handbook of Forensic Sexuology, Prometheus Books, New York, 1994, p. 49-79.
31. A. N. Groth, H.J. Birnbaum, Adult sexual Oientation and Attraction to Underage Persons, in Archives of Sexual Behavior, 7 (3), 1978, p. 175-181.
32. A. N. Groth, W. Hobson, W. Gary, The Child Molester: Clinical Observations, in J. Conte, D. Shore (a cura di), Social Work and Child Sexual Abuse, Haworth, New York, 1982, p. 129-144.
33. C. Camarca, I santi innocenti, Baldini & Castaldi, Milano, 1998.
34. C. Camarca, I santi innocenti, Baldini & Castaldi, Milano, 1998, p. 23.
35. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980; P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983; K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
36. K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992, p. 18.
37. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980.
38. M. Picozzi e M. Maggi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano, 2003.
39. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980; P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983; K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
40. K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
41. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980.
42. P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983.
43. K.V. Lanning, Child Molester: a Behavioral Analysis, National center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
44. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia non chiamatelo amore, Guerini e Associati, 2003, pp 24-29.
45. K. V. Lanning, Child Sex Ring: a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia.
46. R. Holmes, St. Holmes, Profilino Violent Crimes. An Investigative Tool, Sage, London, 1996.
47. A. N. Groth, H.J. Birnbaum, Adult sezual Oientation and Attraction to Underage Persons, in Archives of Sexual Behavior, 7 (3), 1978, p. 175-181.
48. R. Holmes, St. Holmes, Profil on Violent Crimes. An Investigative Tool, Sage, London, 1996.
49. T. R. O'Connor, Treatment in Transition: the Role of Psychiatria Correction, in Journal of Contemporary Criminal Justice, 13(3), 2001, p. 81-100.
50. R.R. Hazolwood, A.W. Burgess, Pratical Aspects of Rape Investigation, CRC Press LLc, Boca Raton, Florida, 1995.
51. T. R. O'Connor, Treatment in Transition: the Role of Psychiatria Correction, in Journal of Contemporary Criminal Justice, 13(3), 2001, p. 81-100.
52. T. R. O'Connor, Sexual Cannibalism, in The Encyclopedia of Criminology and Deviant Behavior, Clifton Bryant New York Brumer-Routledge, New York, 2001.
53. S. Freud, L'etiologia dell'isteria, in O.S.F., Boringhieri, Torino, 1984.
54. R. J. Stoller, Perversione, Feltrinelli, Milano, 1978.
55. Istituto degli Innocenti, Pianeta Infanzia Questioni e documenti, Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini, Firenze, 1998.
56. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
57. R. Wyss, op. cit.
58. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
59. A. Giannotti, Lo sviluppo psico-affettivo della Sessualità nella prima infanzia, in Rivista di Sessuologia, vol. 4º, n. 2, p. 67.
60. A. Lanotte, La pedofilia: «Se questo è amore». Psicologia e psicopatologia dell'incontro, in L. de Cataldo Neuburger (a cura di), La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Cedam, Padova, 1999, p.22-36.
61. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
62. J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi, trad. it., Einaudi, Torino, 1967.
63. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
64. B. Di Tullio, Manuale di Antropologia e Psicologia Criminale, Anonima Romana Editoriale, Roma, 1931.
65. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
66. S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, Opere, vol. 4, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1970.
67. D.W. Winnicott, La preoccupazione Materna Primaria, dalla Pediatria alla Psicoanalisi, trad. it., Marinelli, Firenze, 1975.
68. La capacità riproduttiva è fatta coincidere con il raggiungimento della maturità sessuale. Quindi corrisponde al menarca, ovvero al completamento del primo ciclo mestruale per le femmine e la riscontrata capacità di eiaculare per i maschi. M. Laufer, E. Laufer, Adolescenza e break down evolutivo, trad. it. Boringhieri, Torino, 1984.
69. Il Concilio di Trento fu indetto da Papa Paolo III nel 1545 e si chiuse nel 1566.
70. Negli Stati Uniti la ragazza media raggiungeva il menarca all'età di 14 anni nel 1910 e a 13 ca. negli anni successivi fino alla metà degli anni Cinquanta, quando l'età media di comparsa del menarca ha teso a stabilizzarsi. G. Bullough, op. cit.
71. Che comprendono, naturalmente, innanzi tutto una dieta diversa e condizioni di vita diverse. Bullough, op. cit.
72. Anche perché, nella storia dei paesi occidentali, l'età da matrimonio è andata alzandosi mentre l'età della maturazione sessuale è andata sempre più abbassandosi. Se la maturità sessuale biologica (menarca ed eiaculazione) avviene sempre prima e la maturità sessuale sociale (matrimonio) avviene sempre dopo, resta in mezzo, e sempre meno giustificata, la soglia giuridica della maturità sessuale. D. Meltzer, Psicopatologia dell'adolescenza, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, Borla, Roma, 1978.
73. D. Meltzer, Psicopatologia dell'adolescenza, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, Borla, Roma, 1978.
74. M. Glasser, Homosexuality in adolescence, in Br. J. Med. Psycol., 50, 1977, p. 217.
75. M. Laufer, Ego ideal and pseudo ego ideal in adolescence, in Psychoanalytical Study Child, 1964, p. 19.
76. A. Novelletto, Psichiatria psicoanalitica dell'adolescenza, Borla, Roma, 1986.
77. M. Mead, Antropologia: una scienza umana, Ubaldini, Roma, 1970.
78. D. Meltzer, Teoria della perversione sessuale. Perversità, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, 1979, 1, 79, p. 101.
79. G. Herdt, Cultural psychology: essays on comparative development, Cambridge University Press, 1992.
80. M. Mead, Antropologia: una scienza umana, Ubaldini, Roma, 1970.
81. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini, Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Rizzoli, Milano, 2003, p. 20 ss.
82. Rituali di inversione sociali ancora presenti nella nostra cultura sono, ad esempio, l'addio al celibato o il carnevale. V. Andreoli, op. cit.
83. La prepubertà è il periodo che antecede la pubertà, il periodo di sviluppo o di inizo dell'attività delle ghiandole sessuali, che si manifesta nella donna con la prima mestruazione, nell'uomo, con la produzione di sperma. P. Blos, L'adolescenza come fase di transizione. Aspetti e problemi del suo sviluppo, Armando, Roma, 1979.
84. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Superbur Saggi, Rizzoli, Milano, 2003, p. 146 ss.
85. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Superbur Saggi, Rizzoli, Milano, 2003 p. 167-168.
86. A. Gombia, Bambini da salvare, Ed. Red, Novara, 2002, p. 58.
87. A. Miller, Il dramma del bambino dotato, in P. Mingone, Trauma reale e fantasie: considerazioni su alcuni sviluppi della psicoanalisi contemporanea, Gli Argonauti, n. 60 Milano, 1994, p. 61-74.
88. S. Freud, Etiologia dell'isteria, in Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino, 1986, p. 159.
89. S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, Bollati Boringhieri, Torino, 1986.
90. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccoli vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 189-190.
91. S. Freud, Progetto di una psicologia, in Opere, vol. II, Bollati Boringhieri, Torino, 1968.
92. S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi), in Opere, vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
93. M. Baranger, W. Baranger, Il trauma psichico infantile dai giorni nostri a Freud: trauma puro, retroattività e ricostruzione, in M. Baranger, W. Baranger, La situazione psicoanalitica come campo bipersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1990.
94. J. Sandler, Trauma, tensione e sviluppo, in La ricerca in psicoanalisi, vol. 2.: verso un nuovo modello concettuale, Bollati Boringhieri, Torino, 1983.
95. PH. Greenacre, Trauma, crescita, personalità (1952), Raffaello Cortina Editore, Milano, 1986.
96. MJ. Horowitz, Stress Response Sindromes. in G. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992.
97. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, DSM-IV-TR, IV Ed., APA, Washington D.C., 2000.
98. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccoli vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 190.
99. A.C. Salter, Treating Child Sex Offenders and Victims, Sage Publication, Newbury Park, 1988.
100. A.H. Green, Child Abuse, in Journal of the American Academy of Child Psychiatry, 1994, nº22, p. 3.
101. Alla ricerca hanno collaborato: Alessandro Berti, psichiatra e psicoterapeuta, Dirigente del Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università di Genova; Simona Firpo, psicologa; Lucio Ghio, psichiatra e psicoterapeuta, Dirigente medico di I livello SSM, ASL 3 di Genova, e Lucia Lavagna, psichiatra che lavora presso il Dipartimento di Scienze Psichiatriche sessuale infantile, di età compresa tra i 16 e i 46 anni, di cui 7 di sesso maschile e 28 di sesso femminile. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 191-201.
102. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali colloca il disturbo borderline all'interno dei disturbi di personalità nel gruppo noto come "drammatico-imprevedibile" e lo definisce: «Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore ed una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi» così riassumibili:
sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;
alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, ecc.;
instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni);
sentimenti cronici di vuoto;
rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici);
ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.
Ciò che emerge come caratteristica fondamentale dei pazienti borderline è una paura eccessiva di essere abbandonati e la "lunaticità" dell'umore dei pazienti borderline, che varia da uno stato depressivo e pessimista ad uno stato di rabbia intensa. Cfr. American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVº ed, (DSM-IV), Masson, Milano, 1996, p. 358. Secondo molti autori però, la classificazione del DSM è insufficiente, perché non esiste un unico paziente borderline che risponde a specifici e standardizzati criteri diagnostici. Anzi, sconfessando il DSM. secondo questi autori il termine "disturbo" è limitante e preferiscono riferirsi alla condizione borderline come ad un'organizzazione di personalità. Vedi M. Baranello, Trauma ed eziopatogenesi del disturbo borderline di personalità, in SRM Psicologia Rivista, 2001 (gli autori a cui si riferisce sono: G.O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM-IV, Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995 e O. Kernberg, Relazioni d'amore, Raffaello Cortina Ed., Milano, 1996).
103. J.M. Goodwin, K Cheeves, V. Connell, Bordeline and Other Severe Symptoms in Adult Survivors of Incestuous Abuse, in Psychiatrics Annals, 20, 1990, p. 22-32.
104. J. Everill, G. Waller, Reported Sexual Abuse and Eating Psychopathology: a Review of Evidence for a Causal Link, in International Journal of Eating Disorder, 18, 1995, p. 1-11.
105. Lacey ed Evans parlano, a questo proposito, di multiimpulsive personality disorder per un soggetti con la tendenza a manifestare un'insieme di comportamenti impulsivi e autolesionistici in concomitanza con il loro comportamento alimentare disturbato. JH. Lacey, DH. Evans, The Impulsivist: A Multiimpulsive PersonalityDisorder, Breitish J Addiction, 81, 1986, p. 641-649.
106. M. Rorty, J. Yager, Histories of Childhood Trauma and Complex Posttraumatic Sequelae in Women with Eating Disorder, in The Psychiatric Clinics of North America, 19, 1996, p. 773-791.
107. J. Moncrieff, C. Drummond, B. Candy, K. Checinsky, R. Farmer, Sexual Abuse in People with Alcohol Problmes. A Study of the Prevalence of Sexual Abuse and its Relationship to Drinking Behaviour, in Br J Psychiatry, 169, 1996, p. 355-360.
108. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri, Milano, 1923, p. 293-296.
109. C. Ainscough, K. Toon, Liberarsi, Calderini, Bologna, 1997.
110. L. Baldascini, Vita da adolescenti, Franco Angeli, Milano, 1996.
111. A. Gombia, Bambini da salvare, Red Edizioni, Novara, 2002,p. 63.
112. C. Ainscough, K. Toon, Liberarsi, Calderini, Bologna, 1997.
113. A. Gombia, op. cit.,p. 62-65.
114. Contrazione dei muscoli vaginali, con conseguente impossibilità ad avere il rapporto sessuale. E. Gaddini, R. De Benedetti Gaddini, La frustrazione come fattore della crescita normale e patologica, in Scritti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989.
115. A. Gombia, Bambini da salvare, Red Edizioni, Novara, 2002, p. 64.
116. A. Carotenuto, Amare tradire, Bompiani, Milano, 1991.
117. M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999.
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119. M. Renard, Pedophilie, in Encyclopedie Medico-Chirurgicale Psychiatrie, vol 1., 3705G, 1960, p. 10
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121. G. Nass, Unzucht mit Kinder - Das Sexualdelik unserer Zeit, in Mschr. Krim. u Strafr, 37, 1954.
122. P. Plaut, der Sexualverbrecher und Seine Persönlichkeii, Enke, Stoccarda, 1960.
123. G. Nass, Unzucht mit Kinder - Das Sexualdelik unserer Zeit, in Mschr. Krim. u Strafr, 37, 1954, p. 69.
124. P. Plaut, der Sexualverbrecher und Seine Persönlichkeii, Enke, Stoccarda, 1960.
125. W. Schulte, Griese als Täter Unzüchtiger Handlungen an Kindern, in Mschr. Krim., 5-6, 1959, p. 538; H. Giese, Psychopathologie der Sexualität, F. Enke Verlag, Stuttgart, 1962; V.E. Von Gebsattel, Allgemeine und Medizinische Anthropolgie des Geschlechtslebens. Die Sexualität del Menschen, F. Enke Verlag, Stuttgart, 1968.
126. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
127. R. Wyss, op. cit. p. 12.
128. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
129. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
130. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
131. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
132. H. Burger-Pinz, Die Persönalich des Pädofilen (Korreferat), in Beitr. Sexualforsch., 34, 1965, pp, 18-23.
133. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3d., 1968.
134. A. Jaria, P. Capri, A. Lanotte, Osservazioni e riflessioni psicopatologiche e peritali relative ad un caso di pedofilia, 1º Congresso Internazionale di Psichiatria Forense, Università di Roma, "La Sapienza", Roma, 2-3 novembre, 1993; A. Jaria, P. Capri, A. Lanotte, Aspetti e problemi attuali della pedofilia, in A. Palma e F. De Marco (a cura di), L'amore da Edipo a Orfeo,La Bussola Ed. Ferentino, 1995.
135. A. Jaria, A. Lanotte, P. Capir, A.M. Bambino, A. De Petrillo, L. Fuerte, T. Liverani, La pedofilia. comunicazione e contesto sociale nell'ambito dei reati sessuali su minori, in Attualità in Psicologia, anno XI, vol. 2, Eur Ed., Roma.
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137. M. Renard, Pedophilie, in Enciclopedie Medico-Chirurgicale Psychiatrie, vol. 1, 3705 G 10, 1960.
138. A. Jaria, A. Lanotte, P. Capir, A.M. Bambino, A. De Petrillo, L. Fuerte, T. Liverani, La pedofilia. comunicazione e contesto sociale nell'ambito dei reati sessuali su minori, in Attualità in Psicologia, anno XI, vol. 2, Eur Ed., Roma.
139. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999, p. 97.
140. A. Limentani, Perversioni trattabili e intrattabili, Glover Conference, Londra, 1987.
141. Interessante notare come il termine "pedofilia" è apparso nell'archivio delle Agenzie ANSA solo dopo il 1987. ANSA, Voce pedofilia. Dal novembre 1987 al maggio 1994.
142. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-IV-TR, IV ed., APA, Washington D.C., 2000.
143. Ibidem.
144. Ibidem.
145. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-IV-TR, IV ed., APA, Washington D.C., 2000.
146. A. Jaria e P. Capri, La pedofilia, aspetti psichiatrici e criminologici, in F. Ferracuti (a cura di) Criminologia e Psichiatria Forense delle Condotte Sessuali Normali, Abnormi e Criminali, Giuffrè, Milano, 1988.
147. A. Jaria e P. Capri, op. cit., p. 80-81.
148. A. Moll, The Sexual Life of the Child, McMillan Co., New York, 1912.
149. B. C. Jr. Glueck, Prfophilia Sexual Behavior and the Law, Thomas Publ., Springfield, Illinois, 1965.
150. Ibidem, p. 80.
151. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
152. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
153. L. de Cataldo Neuburger, La pedofilia, aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Cedam, Padova, 1999.
154. A. Jaria e P. Capri, La pedofilia, aspetti psichiatrici e criminologici, in F. Ferracuti (a cura di) Criminologia e Psichiatria Forense delle Condotte Sessuali Normali, Abnormi e Criminali, Giuffrè, Milano, 1988.
155. Ibidem.
156. Art. 31 Costituzione italiana.
157. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999.
158. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
159. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999, p. 218.
160. A. Berti, op. cit., p. 219.
161. A. H. Green, Comparing Child Victims and Adult Survivors: Clues to the Pathogenesis on Child Sexual Abuse, in Journal of The American Academy of Psychoanalisis, 23, 1995, pp. 655-670.
162. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
163. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999.
164. A. Berti, op. cit., p. 216.
165. A. H. Green, Comparino Child Victims and Adult Survivors: Clues to the Pathogenesis on Child Sexual Abuse, in Journal of The American Academy of Psychoanalisis, 23, 1995, pp. 655-670.
166. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
167. I dati della vicenda di Luigi Chiatti sono tratti da:V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001; V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003; G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.
168. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 155.
169. Ibidem, p. 156.
170. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 94-95.
171. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171.
172. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171
173. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
174. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 96-98.
175. M. R. Parsi, Cuore di mostro, Mondatori, Milano, 2002, p. 34.
176. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171
177. M. R. Parsi, Cuore di mostro, Mondatori, Milano, 2002, p. 42.
178. Ibidem.
179. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 158.
180. V. Andreoli, Delitti. Un grande psichiatra indaga sulla storia vera di crimini e follia, Rizzoli, Milano, 2001.
181. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 179.
182. V. Andreoli, op. cit.
183. Ibidem, p. 179.
184. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001.
185. Ibidem.
186. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995,p. 93.
187. Ibidem.
188. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 90.
189. Al processo Chiatti dirà che il primo messaggio lo ha scritto per favorire il rinvenimento del cadavere e perché si sentiva lusingato nell'essere da tutti considerato un mostro. Il secondo perché non voleva che il "merito" della sua attività andasse a quel mitomane che si era accusato del delitto, una sorta di esigenza di protagonismo. Descrive, non senza compiacimento, tutti i dettagli e tutti gli accorgimenti messi in atto per non lasciare impronte digitali sulla carta, nella cabina telefonica, per evitare ogni sospetto. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 100.
190. Dirà che aveva rubato la fotografia di Simone dalla tomba perché «volevo qualcosa di visibile che me lo ricordasse in un momento di felicità». G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 100.
191. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 100.
192. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 104-105.
193. Corte d'Assise di Perugia, 27 febbraio 1995, in Rivista giuridica e Criminologica quadrimestrale. L'indice penale, 1998, p. 358-359.
194. Scala di Wittenborg, test delle matrici di Raven e test Wais, il test SCID II, il test Minnesota Multiphasic Personality Inventory, test dell'albero, test della figura umana, test di Rosenweig e test di Rorschasch, test della famiglia e infine test O.R.T.
195. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 96-98.
196. Ibidem.
197. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, pp. 96-98.
198. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
199. Dalla relazione peritale del consulente del pubblico ministero.
200. Ibidem.
201. Ivi.
202. Dalla relazione peritale del consulente del pubblico ministero.
203. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 125.
204. Dalla relazione consegnata alla Corte d'Assise d'Appello.
205. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 173-174
206. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 125-126.
207. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 98.
208. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 102.
209. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, p. 123.
210. Ibidem.
211. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 123-124.
212. Corte d'Assise d'Appello di Perugia, sentenza di secondo grado dell'11 aprile 1996, in Rivista giuridica e Criminologica quadrimestrale, L'indice penale, 1998, p. 361.
213. Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 4 marzo 1997, in Rivista giuridica e Criminologia quadrimestrale, L'Indice penale, 1998, p. 363-365.
214. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 128-129.
215. Ibidem.
216. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 128-129.
217. Ibidem, p. 133.
218. R. Hollin, K. Howell, Clinic Approaches to Sex Offenders and Their Victims John Wiley & Son, Chichester, 1991.
219. A. Jaria e P. Capri, La pedofilia, aspetti psichiatrici e criminologici, in F. Ferracuti (a cura di) Criminologia e Psichiatria Forense delle Condotte Sessuali Normali, Abnormi e Criminali, Giuffrè, Milano, 1988.
220. C. Lombroso, L'uomo delinquente: rapporto all'antropologia, giurisprudenza e alle discipline carcerarie, Fratelli Bocca, Roma, 1878.
221. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999.
222. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999.
223. T. Bandini, U. Gatti, M. I. Marugo, A. Verde, Criminologia, Giuffrè, Milano, 1991.
224. R.E. Tremblay, Parent and Child Training to Prevent early onset of Delinquency: the Montreal Experimental Sturdy, in Preventing Antisocial Behavior: Interventions from Birth trough Adolescence, Edited by J. McCord and R.E. Tremblay, Guilforg, New York, 1992.
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227. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, pp.219-223.
228. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999.
229. Dati pubblicati dal CENSIS in data 15 luglio 1998.
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231. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, pp. 225-235.
232. Ibidem, pp. 219-223.
233. J. Bergeret, Violence et Dangerositè, in Quaderni di Psichiatria Forense, 1992.
234. Come da legge n. 354 del 1975 che prevede programmi individualizzati con riferimento alla personalità del soggetto, alle caratteristiche psicofisiche ed alle cause di adattamento (art. 13).
235. W.L. Marshall, D. Anderson, Y. Fernandez, Trattamento cognitivo comportamentale degli aggressori sessuali, Centro Scientifico Editore, Torino, 2000.
236. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 227.
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239. L. Bonafiglia, Rassegna bibliografica sulle possibili strategie terapeutiche impiegate con pazienti pedofili, in B. Callieri, L. Frighi (a cura di), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1999.
240. L. Bonafiglia, op. cit., p. 11.
241. Pius, Enciclica Casti Connubi: acerca del matrimonio cristiano/de S.S. Pio 11, Editorial Diffusion, Buenos Aires, 1941.
242. Ibidem, p.256.
243. V. Coresi, Attività sessuali e anomalie, Ed. Zibetti G., Milano, 1960, p. 143.
244. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
245. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 150.
246. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 227.
247. J. Bergeret, Violence et Dangerositè, in Quaderni di Psichiatria Forense, 1992.
248. V. Cautela, Convert Sensitization, in Psicological reports, 20, 1960, pp. 459-468.
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256. G.O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, 1994.
257. Ibidem.
258. H. Kohut, I seminari: teroia e clinica della psicopatologia infantile, Astrolabio, Roma, 1989.
259. AA.VV, La violenza nascosta, gli abusi sessuali sui bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1984.
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268. V. Mastronardi, M. Villanova, Sex offenders and Reorganization of Sexual Imaginary in Hypnotic Psychotherapy, in Atti della 7º Conference of the International Association for the Treatment of Sexual Offender (IATSO), Pabst Science Publisher, Lengheric, Vienna, 11-14 settembre 2002, p. 53.
269. F. Granone, Trattati di ipnosi, UTET, Torino, 1989.
270. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 233.
271. Il Corriere della Sera del 5 settembre 1997 riporta la notizia della proposta in Francia della castrazione chimica nel caso di reato sessuale: «Parigi - Il pericolo di recidiva nei reati sessuali preoccupa i legislatori. I casi si moltiplicano. Il ministero della Giustizia risponde con un progetto di legge. Al condannato si può vietare di frequentare, una volta fuori dal carcere, luoghi con bambini o di esercitare certi lavori. Ma gli si può anche "ingiungere" il trattamento medico, castrazione chimica compresa».
272. E. Aguglia, A. Riolo, La pedofilia nell'ottica psichiatrica, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1999.
273. R. Catanesi, A. Dell'Erba, Il trattamento dei Sexual Offenders con anti-androgeni, aspetti etici, in F. Carrieri (a cura di), Atti del Convegno di Studi in tema di Sexual Offender, Adriatica Editrice, Bari, 2002.
274. P. Kasper, Cyproterone acetate: a Genotoxic Carcinogen?, in Pharmacology and Toxicology, 88 (5), 2001, p. 223-231.
275. A. Santosuosso, G. Turri, Trattamenti obbligatori, in M. Barni, A. Santosuosso (a cura di), Medicina e diritto, Giuffrè, Milano, 1995.
276. W. L. Marshall, H. E. Barbaree, Outcome of Cognitive-Behavioral Tratment Programs, in W.L. Marshal, D. R. Law, H. E. Barbaree (a cura di) Handbook of Sexual Assault: Issue, Theories, and Treatment of the Offender, Plenum Press, New York, 1990.
277. C. Balier, Psicoanalisi dei comportamenti sessuali violenti, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998.
278. Ibidem, p. 230.
279. U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, UTET, Torino, 1997.
280. R.A. Lang, G.M. Pugh, R. Langevin, Treatment of Incest and Pedophilic Offenders: A Pilot Study, in Behav. Sci. Law, 6(2), 1988, pp. 239-255.
281. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 178-179.
282. M. Acconci, A. Berti (a cura di), Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999, p. 64.
283. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 178-179.
284. Ibidem.
285. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 179.
286. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, pp. 195-215.
287. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, pp. 195-215.
288. Ibidem.
289. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 200.
290. Ibidem.
291. Dati pubblicati dal CENSIS in data 15 luglio 1998.
292. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 203.
293. L. Mariotti Culla, S. Zinna, op. cit., p. 204.
294. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001.
295. L. Mariotti Culla, S. Zinna, op. cit.
296. Ibidem, p. 210.
297. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 215.
298. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
299. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
300. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
301. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
302. Ibidem.
303. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
304. Ibidem.
305. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
306. Ibidem.
307. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
Partendo dal presupposto che non sembra possibile fornire un quadro univoco del profilo psicologico del pedofilo, occorre cercare di approfondire la conoscenza dei singoli casi. Alcuni autori (134), attraverso colloqui clinici e vari test, analizzando alcuni tratti della personalità di alcuni pedofili, sono riusciti a trarre elementi significativi:
Immunità Affettiva. Caratterizzata da scarsa efficienza e rapida esauribilità dei freni inibitori di fronte all'imminenza e all'urgenza degli impulsi sessuali, affettività più egocentrica che adattiva, funzioni affettive coartate e nello stesso tempo labili. Bassa tolleranza alle frustrazioni, ipersensibilità alle critiche.
Identificazione Deficitaria. Caratterizzata da un mancato riconoscimento delle proprie componenti sessuali; il processo di identificazione, connesso alla ricerca di identità che va dalla dipendenza all'autonomia affettiva e sociale, appare non sufficientemente adeguato e non armonico rispetto alla realtà. Il legame oggettuale primario appare patologico ed espresso attraverso l'indifferenziazione e l'idealizzazione dell'oggetto indifferenziato.
Relazioni Interpersonali Inadeguate. Il soggetto è disturbato da deficitaria identificazione, dalla mancanza cioè di un modello chiaro di comportamento, così che il rapporto con l'altro si sviluppa in modo irregolare e superficiale. Tali rapporti non sembrano capaci di svilupparsi su basi adattive, costruttive e mature. Comportamenti ed emozioni nei confronti dell'altro sembrano espressi o in termini oppositivi, o manipolativi, o di dipendenza, o di evitamento.
Sostanzialmente, i vari studi non hanno ancora permesso di capire cosa succede esattamente in una relazione pedofila, se non per ciò che riguarda i ruoli: l'oggetto "amato" è un bambino o una bambina e il rapporto si basa sulla sua massima subordinazione fisica e psicologica (135). Una cosa sembra essere certa: il pedofilo può soffrire di un disturbo psichico così come ne può soffrire qualsiasi altro individuo non pedofilo poiché la perversione non viene vissuta come malattia quanto invece come sintomo e, come tale, non sempre e non necessariamente dovrebbe essere ascritto nella nosografia psichiatrica (136). Un sintomo può comparire nell'arco della vita di una persona, come bisogno di rendere reali fantasie inconsce, agite nell'impellenza del desiderio legato all'eccitamento (naturalmente si parte dal presupposto che sono presenti, nella personalità pedofila, altre problematiche non indifferenti legate allo sviluppo psicosessuale) (137). Jaria e altri autori, (138) ritengono che sia importante anche una distinzione riferita a quanto l'agire pedofilo viene vissuto in modo conflittuale o meno dal soggetto. Sembra effettivamente importante dividere le due situazioni, in quanto nel pedofilo non conflittuale difficilmente emergono preoccupazioni per l'altro, anzi la propria spinta narcisistica è talmente forte che non sembrano esserci possibilità di scambio emotivo con il bambino, ma soltanto un proprio desiderio di soddisfacimento del bisogno. Nell'altro caso invece, il conflitto con le fantasie pedofile e l'agito stesso possono comportare nella persona uno stato di disagio, un vivere in modo negativo le emozioni legate alla relazione pedofila, con «un conflitto continuo ed ambivalente fra tendenze opposte, di evoluzione e regressione, di desiderio e repressione» (139). In quest'ultimo caso, quindi, possono essere presenti sintomi di sofferenza psichica, che nel caso precedente difficilmente emergono (140). Rimane la consapevolezza comunque, che non esiste un profilo psicologico definito ed unico per tutti i pedofili, che si è probabilmente ancora molto lontani dal riuscire a realizzare la pedofilia e quindi la conseguente personalità pedofila e che, infine, la stampa (141) non fa che peggiorare la situazione, mostrando gravi lacune nel rappresentare i comportamenti e le problematiche relativi ai temi pedofili (che fanno poca notizia), preferendo connotare come mostro o maniaco il soggetto autore delle aggressioni o violenze sessuali sui minori, anziché dare spazio agli aspetti maggiormente scientifici e specifici della realtà pedofila.
3.1. La perizia psichiatrica del pedofilo
In psichiatria come già analizzato, riguardo alla pedofilia, si parla di "disturbo" (142). In particolare di un disturbo che causa un disagio clinicamente significativo che può causare la compromissione dell'area sociale o di altre aree importanti del funzionamento (143). Nel Manuale Statistico e Diagnostico statunitense (DSM-IV) (144), si precisa che la frequenza del comportamento pedofilo varia spesso a seconda dello stress psicosociale e il suo decorso è di solito cronico (145). Gli psichiatri distinguono in considerazione della personalità del pedofilo, tra casi non psicopatologici (note di immaturità psicosessuale, inadeguatezza genitale, infantilismo, ecc.) e casi psicopatologici (negli stessi tutte le forme di malattia mentale). In sede criminologica (146) gli studiosi premettono che «lo studio dei fattori che condizionano la pedofilia riporta il problema etiologico delle perversioni» (147), che possono essere riferibili a disturbi psicologici della struttura di personalità, potrebbero ricondursi a «una costituzione ereditariamente tarata» (148), o potrebbero, secondo le formulazioni psicodinamiche di Glueck (149), fondarsi su una arresto dello sviluppo psicosessuale per un trauma precoce o alla «soluzione dei conflitti sessuali senza l'aiuto della fantasia e della sublimazione per un insuccesso o una distorsione nel meccanismo di formazione della coscienza, dovuti, talvolta, a una situazione psicopatologica di varia intensità» (150). Non si perviene mai, sostanzialmente, ad una conclusione univoca, dovendo dare atto che autorevoli opinioni (151) propendono per qualificare la pedofilia come una perversione e altre, altrettanto autorevoli (152), la propongono come pseudoperversione (ipotizzando la «perversione» solo in alcuni casi di pedofilia omosessuale). La personalità del pedofilo appare, in definitiva, eterogenea, il suo comportamento difficilmente delineabile e l'indagine statistica può aiutare solo a individuare i tratti caratterizzati comuni (153). Secondo Jaria e Capri (154), i comportamenti più o meno comuni a più pedofili potrebbero essere i seguenti:
maggiore frequenza dei reati sessuali su minori rispetto a quella dei reati sessuali in genere;
scarsa significatività del rapporto tra malattia mentale e delitto sessuale;
maggiore incidenza del comportamento pedofilo nell'età matura;
netta prevalenza dei celibi;
scarsissima incidenza, (nei limiti dei casi dagli autori analizzati), degli educatori o di coloro che per motivi professionali sono a contatto con bambini;
aggressività (delitti contro la persona) associata raramente all'attività sessuale;
la pedofilia si manifesta prevalentemente in direzione eterosessuale: solo negli psicopatici appare la tendenza indifferenziata.
Gli autori (155) sostengono che i soggetti che vivono relazioni sessuali disturbate (e in particolare i pedofili), o comunque, gli autori di crimini a sfondo sessuale su individui minorenni, al di sotto di un individuato limite di età, sono soggetti pericolosi per la collettività e richiedono una speciale sorveglianza soprattutto in ordine al fatto che uno dei primari compiti oggi attribuiti allo Stato (e che lo Stato ha fatto proprio) è quello della protezione dell'infanzia e della gioventù (156).
Alessandra Berti (157), psichiatra e psicoterapeuta, ritiene che in tutte le perizie psichiatriche si presenta il problema della responsabilità penale e del sintomo in rapporto alla patologia, partendo dal presupposto che la pedofilia è una patologia. Certo è che la perizia psichiatrica è uno strumento importantissimo, sul quale talvolta si basa la decisione giudiziale di applicare la misura detentiva oppure una misura di sicurezza personale detentiva come il ricovero presso un ospedale psichiatrico giudiziario o se occorre prevedere un trattamento medico. Accettare una perizia psichiatrica significa accettare di rimanere nel campo della descrizione clinica, accontentarsi in un certo senso di verità relative, sapendo rimanere nel campo sociale (158). Questo perché il pedofilo di solito, si dichiara malato solo quando si trova di fronte alla legge, ma in sede peritale il pedofilo presenta soltanto dei segni «che per lui nulla hanno a che vedere con dei sintomi» (159). Alessandra Berti sostiene addirittura, che tutto ciò che il pedofilo dice è esatto, ma niente è vero, sostenendo che gli atti che racconta non lo emozionano, non lo chiamano in causa, «non c'è alterazione dello stato di coscienza negli atti compiuti, anzi il suo Io aderisce così bene alle azioni che si potrebbe dire che la sua malattia è l'integrità psichica, un equilibrio raggiunto con la risoluzione del conflitto, con il passaggio all'atto» (160).
Quando gli vengono rivolte domande dirette sugli atti compiuti, infatti, egli descrive la dimensione pedofila spiegando che lui amava i bambini che ha conosciuto, di un amore sincero. E con questo amore giustifica i suoi atti, precisa di non aver mai pensato di turbare la vita dei bambini e che il suo desiderio era di vivere felicemente con loro facendoli contenti. Tutti i pedofili rivendicano il loro amore per i bambini, un amore che sottintende il rapporto sessuale (161). Spesso il pedofilo è in grado di teorizzare che i bambini possiedono una loro sessualità, dichiarando che sono tutt'altro che angeli innocenti, ma piccoli perversi capaci di sedurre sapendo che cosa voler ottenere. E sembra inutile che lo psichiatra sottolinei al pedofilo la differenza tra la sessualità dell'adulto e quella del bambino, indicandogli le conseguenze psichiche che dovrà affrontare la sua vittima, il pedofilo sembrerà crederci ma solo in teoria, come a situazioni vere forse per gli altri casi, ma non per lui che «ai bambini non ha mai fatto nulla di male» (162), ed ha bisogno di ribadire i suoi convincimenti, probabilmente per quando sarà di nuovo libero di agire e per tollerare i suoi gesti, che il perito psichiatra cerca di farglieli elaborare.
Berti (163) sostiene che è impossibile nel caso del perverso, invocare l'inconsapevolezza che permette l'applicazione delle circostanze attenuanti alla responsabilità penale, anche perché quando compie atti sessuali con i minori è talmente consapevole da cercare di nascondere il fatto, da organizzarsi in modo di non essere scoperto: «non esiste nelle parole del pedofilo, angoscia se non quella sociale determinata dalla paura di essere scoperto e il dichiarare di non sapere perché lo fa, è unicamente finalizzato a sfuggire alle conseguenze penali» (164). La perizia psichiatrica è particolarmente importante, non solo dal punto di vista giuridico, in quanto permette di valutare l'imputabilità del soggetto e la sua pericolosità sociale, ma anche perché lo psichiatra deve fare in modo che l'imputato compia un'opera di elaborazione psichica, poiché il momento della perizia, sembra essere l'unico momento di svolta, quando il "mostro" decide di tentare il cambiamento (165). La centralità della perizia psichiatrica è da sottolineare soprattutto pensando che, oltre a fornire una descrizione oggettiva degli aspetti psicopatologici, è in grado di fornire una valutazione globale che tiene conto di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei e successivi all'atto (ad esempio la premeditazione, l'abuso di acool, il tipo di reato, i sentimenti del pedofilo nei confronti della vittima ecc.) (166). Inoltre, la perizia contiene aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale includendo anche le precoci relazioni intrafamiliare l'incidenza di attività e fantasie sessuali devianti e non-devianti ed il comportamento sessuale dell'abusatore nei confronti dei partner consenzienti, dati fondamentali anche per la valutazione del trattamento terapeutico del pedofilo.
3.2. Un caso triste e terribile: il "mostro di Foligno", Luigi Chiatti
Io ti racconto perché tu comprenda qual è il percorso dell'errore umano.
Maria Rita Parsi
La vicenda di Luigi Chiatti è una di quelle maggiormente note agli operatori criminologici, in particolar modo per l'ampio risalto dato dai media al caso in questione a causa del particolare allarme sociale causato dai suoi omicidi. Le vittime di Chiatti, infatti, sono due bambini, elemento che ha provocato, non solo in Umbria dove si sono realizzati gli omicidi, ma anche nel resto d'Italia una sorta di "psicosi pedofila" (come in Belgio per la vicenda Mark Dutroux, il "mostro di Marcinelle" pedofilo omicida di quattro ragazzine: Melissa Russo 8 anni, Julie Lejuene 8 anni, An Marchal 17 anni e Eefie Lambreckds 19 anni). Ho ritenuto opportuno analizzare questa vicenda per dimostrare la centralità delle perizie psichiatriche in fase processuale, sia dal punto di vista giuridico per valutare l'imputabilità del soggetto e la sua pericolosità sociale, sia dal punto di vista clinico perchè la perizia è in grado di fornire una descrizione oggettiva degli aspetti psicopatologici del comportamento, una valutazione generale che tiene conto di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei e successivi all'atto, ed infine un'analisi degli aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale di fondamentale importanza per la scelta dell'eventuale trattamento terapeutico. Nel caso specifico di Luigi Chiatti, nei due processi sono stati determinanti i risultati delle perizie psichiatriche effettuate sull'imputato in ordine alla sua capacità di intendere e volere al momento del compimento dei fatti.
3.2.1. La storia (167)
Luigi Chiatti nasce il 27 maggio del 1968 nell'ospedale di Narni. Il piccolo viene alla luce con un parto cesareo di cui la madre conserva un ricordo atroce, dato che per errore, l'anestesia non aveva avuto effetto. Le condizioni del bambino sono buone e la giovane mamma, Marisa Russo ventiquattro anni, nubile e cameriera in un ristorante decide di non riconoscerlo. Il neonato, a cui è imposto il nome di Antonio Rossi è subito trasferito all'Istituto Assistenza Infanzia, un brefotrofio di religiose. La madre naturale visiterà solo saltuariamente il figlio fino al 1972, mostrandosi sempre molto poco comunicativa ed espansiva. Il bimbo presenta nei primi anni di vita uno sviluppo fisico e un comportamento normale, solo a scuola è piuttosto ribelle ed indisciplinato. Nel 1973 il bambino comincia a manifestare un comportamento che viene definito aggressivo e ribelle, e viene richiesta una valutazione psicologica finalizzata all'adozione. A conclusione della valutazione, per il bambino viene ritenuto utile l'inserimento in una nuova famiglia che dovrebbe dare la «massima disponibilità affettiva, con molta dolcezza e pazienza» (168). Passa un anno e il 24 marzo del 1974, Antonio Rossi (che ha quasi sei anni), viene consegnato ai coniugi Chiatti come affidatari, il padre Ermanno Chiatti, medico, e la madre Giacoma Ponti, ex insegnante elementare. Il padre inizialmente non è convinto di voler adottare un bambino così grande, ma la madre lo persuade. Nel giugno del 1975, viene decretata l'adozione e Antonio Rossi diventa Luigi Chiatti. Del periodo da zero a sei anni sembra che Luigi Chiatti non ricordi nulla.
L'integrazione di Luigi Chiatti con la nuova famiglia non è facile, anzi: il bambino mostra ostilità nei confronti dei genitori sin dal periodo dell'affidamento. Il tempo passa e il piccolo Luigi sembra trovarsi abbastanza bene a scuola, anche se continua a mostrare resistenze nei confronti della casa e dei genitori diventando aggressivo e facendo spesso i capricci. Non vorrebbe mai essere lasciato solo dalla madre, mentre con il padre sembra avere pochi rapporti, anche se mostra verso di lui un grande attaccamento che però, si traduce spesso in aggressività (169). Il Chiatti parlerà sempre senza affetto del rapporto con i genitori e in termini critici:
Mio padre è stato un padre assente. Il suo era un mondo tutto legato al lavoro. La cosa che mi faceva più rabbia era che con i pazienti e gli amici scherzava ed era aperto; in casa, invece, il silenzio assoluto, da lui stesso imposto. A pranzo guardava la televisione, poi si chiudeva in studio. La sera guardava la televisione e a metà film si addormentava. Io qualche volta ho provato a parlargli, ma un po' per motivi miei, un po' per come era fatto lui, sta di fatto che non si parlava. Quindi mi salvavo solo con mia madre, con la quale, almeno agli inizi, potevo parlare. Ma poi è finita anche con lei. Loro erano uniti e concordi, nel senso che non litigavano. Però la mamma lo rimproverava perché non interveniva nei miei confronti, oppure litigavano per piccole incomprensioni. Ma tutto finiva lì, perché lui, quando iniziava una litigata, se ne andava subito nello studio e non diceva una parola (170).
Presto i coniugi Chiatti si accorgono che il figlio ha un comportamento piuttosto strano: non fa amicizie, è molto aggressivo in casa, spesso si chiude in profondi silenzi. A 14 anni Chiatti inizia una psicoterapia con la psicologa Beatrice Li Donnici che lo seguirà per un po' di tempo. Riguardo a lei Luigi Chiatti afferma:
Con lei l'apertura è sempre stata limitata, per la paura che poi riferisse tutto ai miei genitori. Per questo motivo non mi sono mai aperto con lei; lei conosce solo una parte dei miei problemi, ma non conosce quello vero che è molto più vasto. In me c'era il bisogno di aprirmi, però non lo facevo perché avevo paura che le persone con cui potevo parlare riferissero poi ai genitori i miei problemi (171).
Un passaggio importante è stato quello delle scuole medie, dove Luigi Chiatti fonda una sorta di "setta", della quale era, naturalmente, il capo. L'attività di questo gruppo consisteva in giochi sessuali tra i partecipanti e "iniziazione ai piaceri del sesso" (un vero e proprio atto di sodomizzazione) dei ragazzini che chiedevano di poter entrare a far parte del gruppo. Per anni il suo potere rimane incontrastato: è lui che decide chi entra nel gruppo e quali dolorose pratiche devono essergli applicate sui genitali e sulle parti più delicate del corpo. Dopo l'esame di licenzia media, qualcuno raccontò tutto al preside, che mise a tacere la faccenda limitandosi a parlarne con i signori Chiatti.
Luigi Chiatti è convinto che il cattivo rapporto con i genitori abbia condizionato non solo l'infanzia e l'adolescenza, ma anche gli anni successivi, tutta la sua vita, dentro e fuori la famiglia: «io da piccolo la chiusura (verso gli altri) non l'avevo, poi è iniziata, prima verso i genitori, poi verso tutto l'ambiente» (172). Chiatti è diventato grande restando infantile, un bambino in un corpo di adulto. La psichiatra che lo aveva in analisi formulò una diagnosi di "marginalità e di iposocializzazione". Rilevava un Io debole, una certa anaffettività, uno scarso controllo degli impulsi e dispersione dell'identità. Tuttavia, poiché le analisi a quell'età risultano particolarmente mobili e dinamiche, si orientò verso un disturbo di personalità borderline. Questa diagnosi ha suscitato, soprattutto nei periti processuali, una serie di reazioni negative.
Acquisito il diploma da geometra nel 1987, Luigi Chiatti svolge il praticantato obbligatorio di due anni per potersi iscrivere all'ordine dei geometri e questa fu la sua unica esperienza lavorativa. Il 13 dicembre 1989 parte per il servizio militare, dove ha le prime esperienze omosessuali con partner adulti. Luigi Chiatti si trasformerà nel "mostro di Foglino" molto tempo dopo, quando il 4 ottobre 1992 incontra Simone Allegretti.
3.2.2. Il rapporto con il sesso
Luigi Chiatti soffre sin dall'adolescenza di una dermatite inguinale che lascia delle tracce di sangue sulle mutande. O forse non è dermatite, ma il risultato di uno sfregamento, uno strofinamento compulsivo del pube (173). Non ne parla né con il padre (nonostante sia medico) né con la madre, che però trova sparse in giro per la casa le mutande lasciate da Luigi Chiatti, nel tentativo, neppure troppo riuscito, di nasconderle. A parte la masturbazione, che è la sua principale attività sessuale, Chiatti sembra avere difficoltà ad avere rapporti con le ragazze, anzi, mostra un certo imbarazzo, addirittura vergogna nei confronti di una possibile relazione, sostiene invece che con i ragazzi è un'altra cosa.
[ ...] non ricordo neppure quando ho iniziato a masturbarmi. A 13 anni mi sono innamorato di una ragazza, mentre trascorrevo un periodo di vacanza in montagna. Manco le parlai. Soffrii dentro. Poi ricordo un episodio con una ragazza più grande di me che mi propose di giocare al dottore. È successo tanti anni fa, andammo di sopra, in camera mia, ci scambiavamo le parti facendo finta per gioco di farci le iniezioni. Ci siamo divertiti, non ero imbarazzato, il gioco mi ha eccitato sessualmente. Non ho mai toccato però una ragazza sulle parti intime o sul seno. [ ...] Mi sono reso conto della mia omosessualità in modo chiaro solo successivamente. Ho scoperto di essere attratto dai ragazzi. Anche adesso se guardo una partita in tv, mi sento attratto dai giocatori. Ma non ho mai avuto rapporti sessuali, né con uomini, né con donne e non farei mai un rapporto: lo vedo come una cosa sporca. La sessualità per me è solo contatto fuori dal rapporto, può essere anche il solo toccare una persona vestita o la parte sessuale, ma sempre a distanza dai due corpi, senza congiunzione. Tutte le miei esperienze omosessuali con i miei coetanei, o al militare, si sono però limitate a brevi toccamenti, nulla più (174).
Chi veramente lo attrae sessualmente sono i bambini. I bambini, sostiene,
appartengono a una categoria completamente a parte. Sono quasi fatti di una "sostanza" diversa, sono puliti e puri, e tutto ciò che con una donna o un uomo sarebbe disgustoso, con un bambino diventa possibile. Il bambino non lo vedo sporco, il pene di una persona grande è sporco, quello di un bambino no (175).
Ha il suo primo rapporto erotico con un bambino a diciannove anni, il bambino ha tre anni, i suoi genitori, amici dei genitori di Luigi, trascorrono le vacanze con la famiglia Chiatti. Luigi stabilisce con questo bambino una relazione molto intensa, i due giocano, si toccano e si accarezzano nelle parti intime ed egli ricorderà il periodo trascorso con questo bambino come una relazione ideale, di grande affetto e trasporto. Chiatti è molto preso e non si preoccupa di nascondersi, tutto avviene alla luce del sole, nella casa che le due famiglie condividono, ma nessuno sembra accorgersi di niente (176).
Intorno al 1992 Luigi Chiatti concepisce l'idea di rapire uno o due bambini molto piccoli e di tenerli con sé fino all'età di otto anni. Il motivo è chiarissimo nella mente di Chiatti: «avrei dimostrato al mondo come si allevano i bambini, sarei diventato un novello Rousseau e avrei indicato ai genitori, agli insegnanti, a tutti gli educatori presuntuosi quali errori avrebbero dovuto evitare per consentire una crescita serena ai ragazzini» (177). Chiatti ribadisce che non avrebbe rinunciato ai giochi sessuali che lo eccitavano, ma sostiene che il sesso fa parte della crescita, perché «certi riti del corpo aiutano a diventare grandi, a conoscere e a conoscersi attraverso l'intimità e il contatto» (178). A questo fine fa tutta una serie di preparativi, acquista moltissimi capi di vestiario, giochi e accessori per l'igiene intima, che poi vengono ritrovati sotto sua indicazione, ben stipati e in ordine in una serie di scatole e borse sepolte sotto un traliccio. L'idea di rapire uno o due bambini per educarli «senza mai punirli perché ritengo che i bambini debbano solo giocare, ed essere educati attraverso il gioco» (179), nasce prima del 1992, poiché nel 1989 i coniugi Chiatti trovarono nella stanza di Luigi, una scatola contenente indumenti per bambini piccoli.
Dopo aver ricevuto molti cazzotti dal padre, riuscì a convincere il padre, la madre e il pediatra (chiamato tempestivamente dalla madre, che impedì al padre di ucciderlo massacrandolo di botte) che aveva raccolto tutti quegli oggetti per inviarli ad alcune organizzazioni umanitarie che si prendevano cura dei bambini. Evidentemente fu convincente perché gli chiesero tutti scusa. Luigi aveva allora ventun anni e aveva ripreso ad andare dalla psicologa che lo aveva avuto in cura sette anni prima. La psicologa interpreta la scatola come un tentativo di recuperare in sé quell'infanzia che gli era stata negata, diagnosi corretta secondo Andreoli (180) (noto psichiatra che ha studiato la psiche di Luigi Chiatti per ben tre mesi nel carcere di Verona attraverso colloqui personali come consulente tecnico del pubblico ministero nel processo di primo grado), ma che avrebbe potuto dare origine a una riflessione più approfondita, e forse a un intervento terapeutico mirato. Cosa che non accadde. Ogni tanto Luigi sente il bisogno di stare con un bambino, esce in macchina a cercarlo, ed è così che, nel corso di una delle sue scorribande in auto, una domenica pomeriggio, incontra per caso Simone Allegretti, che gioca a pochi passi dalla sua casa.
Andreoli riscontra in Chiatti due tipi di desiderio sessuale nella sua storia: quello di vivere insieme ad un bambino di un anno fino a quando avesse raggiunto l'età di sette, in un luogo intimo e appartato, e il desiderio di avere contatti fisici con un bambino, dettati da un'esigenza propriamente erotica. Ma c'è un terzo tipo di desiderio che si manifesta in Chiatti, un desiderio che Andreoli definisce "di lotta con un maschio". La fantasia era quella di vedersi aggredito da qualcuno fino al tentativo di venire ucciso. Altre volte era lui ad aggredire un bambino fino ad ucciderlo. È un evidente caso di sadismo sessuale con il raggiungimento del massimo piacere nel momento in cui si uccide. Lo psichiatra ci spiega che «la sua violenza è dunque un'espressione sessuale, si mescola a veri e propri vissuti di amore e possesso. In questo dinamismo il soggetto che manifesta il suo amore in modo violento non sa distinguersi dal suo oggetto amato: colui che agisce si mescola con colui che patisce, in un circolo di reciproca sottomissione e dominazione» (181).
Tale violenza si lega per il geometra, al rapporto con i bambini. In Chiatti è anche molto presente il richiamo a fantasie masturbatorie in cui egli immagina di essere, in qualche modo, aggredito e poi strangolato. Le fantasie erotiche normalmente non trovano realizzazione sul piano concreto, ma sono comuni e spesso violente. In un soggetto con sviluppo normale, spiega Andreoli (182), le fantasie vengono sempre nettamente distinte dalla realtà, mentre in certi stadi dello sviluppo infantile e anche in certe condizioni patologiche, il rapporto tra fantasia e realtà è molto più labile. In Chiatti avviene,
un continuo rimbalzo tra il sé interno e il sé percepito nel mondo esterno e quindi un meccanismo che lo porta a sentirsi alcune volte aggressore, altre aggredito: le fantasie divengono difficili da controllare e spingono per essere realizzate. La fantasia diventa un vero e proprio stimolo interiore all'azione e agisce come un'energia che si consuma nella propria espressione attuale, in una specie di modello di condizionamento; ciò impedisce ogni sviluppo verso un'identità coerente e promuove una diminuzione di contatti tra il paziente e la realtà esterna (183)
Andreoli inoltre, affronta il tema della pedofilia in Chiatti partendo da un'impostazione psicoanalitica: Freud sosteneva che il comportamento pedofilo si lega alla scelta di un oggetto sessuale immaturo. I pedofili presentano, un'immaturità psicosessuale e in alcuni casi risposte fobiche nei confronti delle donne. In effetti Chiatti presenta una vera e propria avversione verso la donna adulta, verso i rapporti eterosessuale e verso il corpo femminile. Come nei soggetti pedofili è presente una notevole componente violenta, almeno nell'ambito della loro espressione attrattiva per i bambini, in Chiatti è presenta una grave forma di sadomasochismo sessuale. Per Andreoli, questa diagnosi sembra che non si limiti alla considerazione dei gesti sessuali del periziando, ma si basa su tutta una seri di caratteristiche e tendenze comportamentali tra cui i rilievi narcisistici, la bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni, e soprattutto, l'ossessività che ha sempre un riferimento alla sessualità. La situazione psicopatologica di Luigi Chiatti, conclude Andreoli «non si colloca tra le caratteristiche di personalità che influenzano la sua dinamica ma non escludono o limitano grandemente la capacità di intendere e di volere e dunque l'esercizio dell'intelligenza e della volontà. Non creano stati di necessità o automatismi» (184). Sostanzialmente Andreoli, nella sua perizia (185), evidenzia la componente della eccitazione sessuale al momento delle due azioni omicidiarie, una marcata considerazione del collegamento tra fantasie sessuali e morte, del clima di conflittualità con la famiglia, del senso di umiliazione in Chiatti nei confronti di chi lo prendeva in giro per il suo carattere, la sensazione di auto piacere e di stima, nonché di odio nei confronti di chi lo sfruttava, ma soprattutto emerge una maggiore specificazione del sentimento di vergogna che ritiene essere causa della sua solitudine, e del rapporto con le norme sociali, che egli ignora se contrarie ai bisogni.
3.2.3. I delitti
Simone Allegretti, quattro anni, accetta di salire sull'auto di Luigi che lo porta nella sua casa di Foligno dove in quel periodo vive da solo poiché i genitori sono rimasti in città. Forse Chiatti pensa di poter rivivere l'esperienza ideale che aveva avuto a diciannove anni, forse immagina di trovare in Simone quel bambino con cui parlare, cui spiegare i problemi e a cui insegnare l'educazione, con cui fare l'amore in modo pulito. Chiede a Simone di spogliarsi e il bambino accondiscende alla richiesta, ma quando Chiatti si avvicina e gli prende il pene in bocca, Simone si mette a piangere. Chiatti comincia a perdere il controllo, è eccitato emozionato e improvvisamente impaurito che i vicini possano sentire il rumore del pianto. È a quel punto che mette le mani sul collo del bambino e, mentre si allontana da lui, continua a stringere fino ad uccidere. Dirà al processo che non pensava che lo stava uccidendo, aveva solo voglia di «troncare tutto», far cessare la sua sofferenza e fare come se non fosse accaduto niente (186). Racconta nei minimi dettagli il suo operato, in un raccapricciante assenza di emozioni:
Cercai dei sacchetti di plastica per mettervi il bambino e gli indumenti. Presi un coltellino perché non ero convinto che fosse del tutto morto; lo misi nel baule dell'auto e andai a cercare un posto adatto per nasconderlo. Durante il tragitto sentii il rumore della plastica, capii che Simone si muoveva ancora. Trovato il posto, posi il bambino sul ciglio della strada, presi il coltello e lo colpii due volte al collo, ma senza guardare; mi pulii le mani dal poco sangue e poi lo feci rotolare nella discarica e sparsi all'intorno i vestiti, così che si pensasse che fosse stato ucciso in quel posto (187).
Dopo l'omicidio Luigi riesce a far sparire ogni traccia, fa di tutto per non farsi scoprire, pulisce e asciuga l'urina che Simone ha perso quando lo strozzava, apre la finestra per cambiare aria, brucia nel caminetto gli stracci usati per pulire, getta il coltello in un tombino e pulisce bene l'auto, dentro e fuori. Non si sente in colpa ma non vuole che il corpo di Simone rimanga insepolto, per questo scrive il primo biglietto anonimo in cui dà indicazioni precise su dove andare a ritrovare il piccolo corpo senza vita.
AIUTO!AIUTATEMI PER FAVOREIL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO.SONO PENTITO ORA, ANCHE SE NON MI FERMERO' QUI.IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE (FRAZ. DI FOLIGNO) E SCOPOLI.È NUDO E NON HA L'OROLOGIO COL CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO.PS NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A QUESTO PUNTO.HO USATO DEI GUANTI.SALUTI AL PROSSIMO OMICIDIO.
IL MOSTRO.
Pochi giorni dopo la scomparsa di Simone Allegretti, un giovane agente immobiliare di Milano, Stefano Spilotros, si costituisce dichiarandosi autore dell'omicidio, ma le indagini accertarono poi che si trattava di un mitomane: emergono infatti contraddizioni e l'indagato non sa nemmeno dichiarare dove ha celato il cadavere. Egli stesso, infatti, ritrattò dicendo "la mia ragazza voleva lasciarmi e io volevo essere ucciso, per questo ho inventato tutto" (188). Chiatti scrive allora, un altro biglietto, lasciato nella stessa cabina telefonica in cui scagiona Spilotros e annuncia un nuovo omicidio di lì a poco.
AIUTO!
NON RIESCO A FERMARMI.L'OMICIDIO DI SIMONE È STATO UN OMICIDIO PERFETTO.CERTO, È DURO AMMETTERE CHE SIA COSÌ DA PARTE DELLE FORZE DELL'ORDINE, MA ANALIZZIAMO I FATTI.1º IO SONO ANCORA LIBERO.2º AVETE IN MANO UN RAGAZZO CHE NON HA NULLA A CHE FARE CON L'OMICIDIO.3º NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA, PERCHÉ NON HO EFFETTUATO NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO VERDE SBAGLIA.4º LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI SIMONE, PERCHÉ NON CI SONO ANDATO.SIETE QUINDI FUORI STRADA;VI CONSIGLIO SI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE.NON POLTRITE.MUOVETEVI.CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI.USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO DAL MANCATO USO.N.B. PERCHÉ HO DETTO DI SBRIGARVI?PERCHÉ HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA.VOLETE SAPERNE DI PIU'? VI HO GIA' DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI EVITARE CHE SUCCEDA.
IL MOSTRO (189).
Passa un anno e nell'agosto 1993 Luigi Chiatti trascorre i fine settimana con i suoi genitori a Casale, nei dintorni di Foligno. Lorenzo Paolucci ha tredici anni e Luigi lo nota mentre gioca con i ragazzi del paese. Tra i due sembra stabilirsi un legame particolare: si lanciano reciproci segnali, probabilmente perchè entrambi sono molto timidi, riservati. Mentre Luigi sente di aver conosciuto una persona con i suoi stessi problemi di solitudine, Lorenzo confida agli amici che secondo lui, Chiatti ha tendenze omosessuali perché in precedenza l'aveva accarezzato sulle mani, sul viso e anche sugli organi genitali. I due si vedono spesso, ed è proprio Lorenzo ad andare a cercare Luigi, per giocare a carte, per parlare. È il 7 agosto 1993, quando Lorenzo Paolucci scompare da casa. Marcella Sebastiani, verso le 14.20 di quel giorno segnala al 113 che il nipote manca da casa da circa tre ore.
La polizia e tutto il paese, memori dell'omicidio dell'anno precedente, partono immediatamente alla ricerca del bambino. Vengono organizzate squadre di volontari per esplorare i dintorni a cui partecipa anche Luigi Chiatti, che accompagna il nonno della vittima, Feliciano Sebastiani alla ricerca dello scomparso, dirigendosi verso il laghetto dove lo stesso Chiatti dice di voler controllare se ci sono tracce di Lorenzo. Durante il tragitto il "mostro di Foligno" ne approfitta per sbarazzarsi di alcune buste di plastica dove, in seguito, verranno trovati dei vestiti sporchi di sangue e la foto del piccolo Simone, trafugata quattro mesi prima dal cimitero (190). Il cadavere viene ritrovato, dal nonno della vittima, vicino al ciglio di una strada, da dove evidenti scie di sangue fresco e tracce di trascinamento del corpo, conducono proprio ad una finestra dell'abitazione di Chiatti. La polizia fa subito irruzione nella casa: il pavimento del salone sembra esser stato lavato, ma in maniera grossolana tanto da lasciar intravedere ancora macchie di sangue; tracce ematiche sono presenti anche su un muro, su un davanzale, sul prato prospiciente la casa. Nella cucina viene trovato un secchio di plastica giallo contenente uno strofinaccio ancora umido e uno spazzolone con il manico di legno. Tutto questo viene sequestrato, insieme a un orologio al quarzo, digitale, senza marca, rinvenuto lungo il percorso esterno alla casa segnato dalle tracce. Chiatti viene invitato a seguire gli agenti. Tutti i suoi indumenti vengono sequestrati. Sulla sua cute si notano alcuni segni, in particolare sulla schiena, dove sono presenti cinque ferite lineari e parallele. I genitori del piccolo Lorenzo confermano che l'orologio ritrovato è quello del figlio, dono dello zio Renato per la prima comunione. Il pubblico ministero, con un provvedimento immediatamente notificato all'interessato, avvisa il geometra che si sarebbe proceduto a suo carico per i reati di omicidio a danno di Lorenzo Paolucci e di Simone Allegretti. L'8 agosto 1993, il giorno successivo al ritrovamento del corpo di Lorenzo, Chiatti confessa al magistrato che lo interroga di essere l'omicida.
La confessione di Chiatti è lucida, agghiacciante, «racconta quei delitti come se fossero una scampagnata, senza mai una parola di dolore, di pentimento, niente» dice Nicola Cavaliere, capo della Criminalpol (191). Dice di «essersi fatto prendere", di "non essere scappato", tratti narcisistici di chi vuole rimanere protagonista anche nella sconfitta. Dell'omicidio di Lorenzo, Chiatti parlò in questi termini:
Lorenzo è arrivato a casa mia senza che neppure l'aspettassi: l'ho fatto entrare. Ci siamo messi seduti e ci siamo messi a parlare di varie cose. Mi disse anche che era timido e mi parlò di una ragazza che gli piaceva. Fin lì non c'erano problemi, poi ci siamo messi a giocare a carte. Abbiamo fatto due partite a briscola e lui le ha vinte tutte e due. Poi abbiamo giocato alle due carte, io ho vinto due mani su tre, lui una su due; rimaneva da fare l'ultima mano.
Poi è scattato qualche cosa che non so, forse un sentimento di invidia che già altre volte avevo provato, perché sentivo Lorenzo in qualche modo simile a me, ma al tempo stesso migliore e più fortunato. Lorenzo era un po' timido, ma lui gli amici li aveva comunque. In più non mi ha detto che aveva un fratellino piccolo, io lo immaginavo solo, non l'avrei mai ucciso. Così per Simone, poi si è scoperto che aveva una sorellina, ecco, io non l'avrei mai ucciso. Avrei pensato che non era simile a me, solo come me, quindi non l'avrei mai ucciso. Sotto la spinta di questo sentimento, in un lampo ho preso la decisione di colpirlo. Ho preso un forchettone che avevo vicino e l'ho colpito al tronco. C'è stata una specie di lotta; io non vedevo Lorenzo, era come se fossi accecato, era come se non avessi pensieri. Io stavo sopra di lui e lui cercava di impedirmi di colpirlo; poi lui mi ha detto: "perché mi vuoi uccidere?". Le sue parole mi hanno momentaneamente bloccato, ma non sono state sufficienti per fermarmi, è prevalsa la considerazione che ormai non potevo tornare indietro. In quel momento ho cominciato a riflettere su quello che stava accadendo. Vedevo la disperazione dipinta sul volto del bambino. Mi vergognavo del suo sguardo. Avevo fatto del male ad un bambino, era la prima volta. Mi è parso che mi rimanesse un'unica strada, quella di ucciderlo, e ritenevo seriamente che questa fosse la migliore soluzione anche per lui. Non era morto e allora l'ho colpito con una coltellata al collo. Dopo che l'ho colpito è iniziato il panico, il terrore, come se incominciassi a svegliarmi. Cercai di mettere il corpo in un sacco per trasportarlo da qualche parte e nasconderlo, ma era troppo pesante. Allora l'ho trascinato giù dalla finestra e quindi per pochi metri fino al margine della strada, dove l'ho lasciato. Ho cercato poi di mettere in ordine e di pulire, ma ad un certo punto mi sono reso conto che non ce la facevo a pulire tutto e allora mi sono arreso (192).
Dirà al processo che, ucciso Lorenzo, si masturbò sul suo cadavere.
3.2.4. La sentenza della Corte d'Assise di Perugia
La Corte d'Assise di Perugia emette il verdetto il 28 dicembre del 1994 (193), condannando alla pena dell'ergastolo con isolamento per due anni Luigi Chiatti, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, all'interdizione legale durante il periodo di espiazione della pena, alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani locali e nazionali, nonché presso l'albo dei comuni di Perugia e Foligno. Il verdetto della corte prevede altresì, la confisca e la restituzione degli oggetti delle vittime di cui si era impossessato, la distruzione di quanto altro in sequestro, il risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituitesi, liquidate in 500 milioni delle vecchie lire e in lire 150 milioni per ciascun avo, nonché il pagamento delle spese processuali. La motivazione della sentenza si basa in particolar modo sulla questione riguardante l'imputabilità del "mostro di Foligno". La Corte ritiene Luigi Chiatti gravemente danneggiato dalla presenza di «plurimi disturbi di personalità sia della sfera psichica propriamente detta sia della sfera affettiva ed in particolare di quella sessuale». Sostanzialmente i giudici ritengono la personalità del geometra, sotto il profilo strettamente psicologico, disturbata grandemente, perché egli è affetto da un conclamato e grave disturbo narcisistico di personalità (senso grandioso di sé, reazioni alle critiche con sentimenti di rabbia, vergogna, umiliazione, sfruttamento per i suoi scopi delle persone che con cui ha un qualche rapporto. Chiatti crede che i suoi problemi siano speciali e possono essere risolti solo da persone speciali, richiede costante attenzione e ammirazione, manca completamente di empatia ed è pervaso da un forte sentimento di invidia) e tratti marcati di altri disturbi della personalità, mentre sotto l'aspetto affettivo sessuale è affetto da pedofilia e da sadismo sessuale. Al riguardo l'organo giudicante, osserva che il nostro ordinamento non considera tra le cause di esclusione della responsabilità penale le forme di degenerazione del sentimento, per cui le psicopatologie sessuali possono avere rilievo solo se esse sono il sintomo di uno stato patologico suscettibile di alterare la sfera intellettiva in modo tale da escludere o grandemente scemare la capacità di intendere e di volere. In base a quanto detto, i giudici ritengono che per Chiatti non possa parlarsi di infermità tale da configurare il concetto di malattia mentale rilevante. Occorre precisare che, per poter superare questo ostacolo, i difensori dell'imputato sostengono che i disturbi di cui egli è portatore, pur non inquadrabili nel disturbo borderline, sono di tale gravità e complessità da integrare il concetto di infermità.
Secondo la tesi difensiva, nel momento in cui uccideva, l'imputato non sapeva di colpire una persona umana ma riteneva in quel momento di dover soddisfare una sua esigenza fondamentale. La Corte ritiene ammissibile tale teoria, perché il concetto giuridico di infermità è un concetto più vasto di quello di malattia mentale, ma non la ritiene applicabile al Chiatti che non solo è in grado di ricordare tutte le sequenze dei due omicidi, ma anche i pensieri che in quei momenti attraversavano la sua mente. È chiaro dunque che al momento del compimento di quei terribili atti egli fosse vigile e presente, quindi la Corte ritiene che in Chiatti erano integre le capacità di «cognizione, progettazione, previsione, decisione, esecuzione e giudizio delle proprie azioni». Per quanto concerne la motivazione dei delitti, la molla dell'agire di Chiatti secondo i giudici, è stata in entrambi i casi la sua pedofilia. Tale disturbo, però, non è da solo sufficiente a spiegare i delitti. Infatti nel primo omicidio, l'elemento scatenante deve essere ricercato nel disturbo narcisistico di cui egli è affetto a cui si sono aggiunti motivi utilitaristici, quali impedire che fosse scoperto, la susseguente punizione e riprovazione sociale. Inoltre, gran impatto nel compimento del reato, ha avuto la sensazione di eccitazione e di godimento sessuale che l'atto ha comportato; giova a questo proposito ricordare comunque che questo aspetto è emerso esclusivamente nei colloqui personali che l'imputato ha avuto con il consulente del P.M. Vittorino Andreoli nel carcere di Verona.
L'omicidio di Lorenzo Paolucci, a parere dei giudici di primo grado, è addebitabile esclusivamente al sadismo sessuale, perché non risulta che vi sia stato contatto sessuale o quanto meno un approccio da parte dell'imputato a cui sia stato opposto un rifiuto da parte della giovane vittima. Luigi Chiatti è dunque capace di intendere e volere e viene condannato alla pena dell'ergastolo.
3.2.5. Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo di primo grado
Chiatti davanti al processo della Corte d'Assise di Perugia, ha confessato con novizia di particolari entrambi i delitti. Il punto cruciale del processo, su cui si è basata la linea difensiva è stata, la valutazione della sua capacità di intendere e di volere (mentre il PM chiedeva l'ergastolo per Chiatti in quanto colpevole di tutti i reati ascrittigli - l'omicidio di Simone Allegretti, il sequestro di persona, occultamento di cadavere e, analogamente, l'omicidio di Lorenzo Paolucci, il sequestro di persona e il relativo occultamento di cadavere -, i difensori dell'imputato chiedevano di assolvere il Chiatti per incapacità d'intendere e di volere). A questo fine, Chiatti è stato sottoposto a una serie considerevole di test (194) da cui risulta che ha un'intelligenza superiore alla media e una memoria indenne in tutte le sue sfaccettature, una fantasia sbrigliata in cui anima il suo mondo interiore e da cui emerge una scarsa considerazione dei dati della realtà, una forte conflittualità con le figure genitoriali ed una situazione in cui gli aspetti formali e razionali prevalgono su quelli affettivo-relazionali. Sembra non risultare una patologia psichica, ma soltanto una condizione paranoica e di psiconevrosi ossessiva, un disturbo di evitamento da cui si evidenziano tratti ossessivi, narcisistici e relativi al disturbo borderline, ma senza configurare il relativo disturbo. In base all'interpretazione dei dati forniti da test, vi sono in Chiatti tratti orientati in senso depressivo, in un soggetto generalmente fiducioso di sé e sicuro del proprio agire, con scarsa plasticità e contatti interpersonali limitati, tendenzialmente portato allo sviluppo di fantasie che consistono in una forte tendenza all'azione in taluni momenti; in Chiatti prevale il principio di piacere su quello di realtà.
Il test della figura umana e il test di Rosenweig (195) hanno permesso di rilevare l'esistenza di problematiche legate al vissuto corporeo e probabilmente alla sfera sessuale, nonché un rigido controllo sulla sfera emozionale da parte di quella cognitiva e uno scarso adattamento sociale oltre alla tendenza a dar la colpa agli altri per le proprie frustrazioni. Interessante invece, il risultato del test di Rorschach (196) i cui risultati trovano discordi i periti: secondo i periti d'ufficio, emergono: assenza di alterazioni significative dell'affettività, basso senso di autostima, conflittualità nei confronti dell'aggressività, notevole grado di inibizione della sessualità; secondo il consulente del P.M., Vittorino Andreoli, i processi razionali appaiono coerenti, il pensiero rimane poco definito o soggetto a dei non funzionamenti di fronte ad un carico emotivo elevato, appare scollato il funzionamento affettivo e rilevante il bisogno di valorizzazione narcisistica e l'esistenza di una personalità disarmonica e infantile; per i consulenti di parte il risultato del test di Rorschach rivela l'esistenza di una serie di indicatori che fanno presumere la presenza di un quadro di tipo borderline; i consulenti delle parti civili infine, segnalano la presenza di un meccanismo di sdoppiamento come corollario dell'ideazione che sarebbe alla base di eventuali manifestazioni di rabbia narcisistica. Nei vari colloqui sostenuti con i consulenti tecnici, Luigi Chiatti appare molto compiaciuto di parlare di sé, più volte dichiara di sentirsi un individuo speciale ("il fatto è che sono troppo perfetto" dirà spesso durante i colloqui) e pretende che anche gli altri gli dedichino un'attenzione particolare: solo un altro essere speciale può essere in grado di capirlo. Racconta facilmente dei delitti e dei motivi per i quali li ha commessi, ma solo perché così può parlare di sé. Le due vittime restano sfuocate nel suo racconto, è come se quasi non fossero come persone: ciò che costituisce il centro dei suoi interessi sono solo i suoi problemi (197).
Secondo Andreoli (198), Chiatti era perfettamente consapevole di quel che ha fatto e della gravità della sua posizione giudiziaria, però il suo principale interesse non si concentra sui delitti o sugli anni di carcere che l'attendono, ma solo sui suoi problemi psicologici e chiede che gli vengano risolti dai periti, dall'amministrazione carceraria o comunque dalla società. È un po' questa la chiave di volta di tutta la sua organizzazione difensiva e non solo processuale. Chiatti si presenta ai periti senza alcuna colpa per aver ucciso due bambini, proprio perché egli è un individuo che ha dei problemi che sono così gravi da averlo "costretto" ad uccidere, quindi moralmente assolvibile. Egli dunque non si sente responsabile e, come tale, in credito verso il mondo, essendo i suoi problemi psicologici i veri responsabili dei suoi delitti. Il suo interesse è concentrato solo in questa prospettiva: ha questi disturbi e tutti si devono far carico di risolverglieli (dirà ai periti che "voi siete obbligati a risolvere i miei problemi").
Dai molti colloqui avuti con tutti i consulenti nel carcere di S. Vittore sono emersi dati importanti per comprendere la psiche del periziando. In primo luogo si riscontra una sorta di aggressività di ambientazione, poi trasformatasi in astio, al suo ingresso nella famiglia adottiva; un sentimento di vergogna nei confronti della madre perché non riusciva a manifestarle affetto, un cattivo rapporto con i genitori che lo bloccavano quando accennava ai suoi problemi o inviava loro messaggi; la sua successiva chiusura verso l'esterno, l'incapacità di confidarsi con chiunque ed il senso di importanza sentito quando si parlava dell'omicidio del piccolo Simone; infine, per risolvere il problema dell'incomunicabilità aveva fantasticato di fuggire da casa con uno o più bambini.
I colloqui psichiatrici diretti, invece, hanno fornito i seguenti dati: comportamento accattivante e tendente a conquistare la simpatia degli osservatori, bisogno di parlare e compiacimento di sentirsi finalmente al centro dell'attenzione. Andreoli in particolare, cerca di analizzare gli elementi chiave dell'infanzia del geometra, ritenendo possibile pensare che il periodo ipotetico di setti anni che il Chiatti aveva intenzione di trascorrere con i bambini rapiti «rappresentasse proprio il tempo trascorso in orfanotrofio, da ricordare e rivivere» (199). Secondo Andreoli «appare evidente che la rappresentazione del mondo di Luigi è rimasta assolutamente infantile. Anche i suoi film preferiti hanno come protagonisti i bambini. Il suo amore per i bambini diviene la migliore metafora dell'amore di se stesso come bambino. Esso rappresenta quello stesso bambino che ha cancellato, ma che vuole comunque ripossedere, riconquistare, persino rubare. Per questo arriva a rapire Simone, a ucciderlo come ha ucciso se stesso. Simone è il suo Antonio dimenticato, ucciso» (200). Il mondo interiore di Chiatti, afferma il consulente tecnico del P.M., si accompagna ad una straordinaria povertà di vita sociale, tale da non permettergli alcuna percezione al di fuori del proprio Io. Non ha mai fatto esperienza di gruppo, né nella scuola, né nella famiglia, si è sempre percepito solo con i propri bisogni. Chiatti ha i caratteri di una soggettività autocentrata e narcisistica, rigida e ossessiva. Nasce un'opposizione soltanto quando egli avverte, narcisisticamente, un comportamento come ingiusto, offensivo, sottovalutante nei suoi confronti (201). La percezione della norma sociale, specifica Andreoli, viene allontanata o addirittura ignorata nel momento in cui essa contrasta con i suoi bisogni: l'imputato pensa di non aver infranto la legge nemmeno quando rapisce Simone.
In conclusione, la percezione delle regole sociali è in esclusiva funzione del suo vissuto e delle sue necessità. La società può affermare che egli ha compiuto due omicidi, ma in realtà, secondo la sua prospettiva, egli ha semplicemente risolto, in quel momento, un suo problema. Il suo senso di colpa segue dinamiche del tutto personali: affiora come dolore narcisistico per un corpo che lui ama e non vuole che rimanga insepolto.
Un altro aspetto che emerge chiaramente nel periziando, è la grave difficoltà di relazione e di comunicazione, che ha trovato un ostacolo decisivo nel distacco e nella poca amorevolezza incontrati nella sua famiglia adottiva. È lo stesso Chiatti ad offrirne un'analisi, secondo il perito Andreoli, quando afferma che: «c'era un conflitto dentro di me. Io mi stimo e poi mi piaccio fisicamente. Una delle mie paure è quella di rimanere solo anche nel futuro; un'altra, è l'attenzione verso i bambini, perché non riesco a comunicare con i grandi ... tutte cose legate ai miei problemi ... ma poi penso che, se anche avessi un bambino, finirei con il restare solo» (202). Ciò di cui il giovane di Foligno aveva estremo bisogno era una relazione affettuosa, una figura materna e paterna che sapessero dimostrargli amore, una casa accogliente che potesse comunicargli calore e attenzione.
Secondo i periti nominati dai difensori di Chiatti, egli soffre di un grave disturbo della personalità, ma nel senso di «un'organizzazione di personalità di tipo borderline, connotata da una grave compromissione della sfera dell'Io e dal ricorso a meccanismi difensivi primitivi in peculiari situazioni emotive-affettive, con incapacità a far fronte all'angoscia e a tollerare le frustrazioni e impossibilità a controllare gli impulsi» (203). Si tratta, in sostanza, di una vera e propria infermità mentale ai sensi della legge, che ha inciso tanto profondamente sulle capacità di intendere e di volere del Chiatti, da annullarle del tutto al momento dei reati commessi. Tali consulenti tecnici si sono avvalsi del parere di un noto criminologo americano, George Palermo, interpellato sulle condizioni psichiche dell'imputato. Il criminologo americano ritiene che l'imputato sia seminfermo di mente, parlando a proposito di borderline personality; il periziando non è dunque, secondo il criminologo, sano di mente: «è estremamente lucido, ma in realtà si tratta di una persona che ha una specie di cancro nella psiche. E non credo che sia in nessun modo recuperabile» (204), continua Palermo. Lo descrive come una persona incapace di relazionarsi con gli altri, che cercava se stesso nei bambini, anche nelle sue vittime, sperava di non essere rifiutato un'altra volta. I suoi interlocutori non potevano essere adulti, che temeva, ma esseri più deboli e indifesi. Questo suo infantilismo lo portava, sempre secondo Palermo, a fare progetti deliranti come quello di rapire un bambino per crescerlo ed averlo a sua disposizione. Sia Palermo che Andreoli non escludono la possibilità che in brefotrofio abbia avuto esperienze sessuali traumatiche che poi ha rimosso. Palermo nella sua diagnosi, ritiene Chiatti genericamente in grado di intendere e di volere, lo ritiene in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto. Non è folle nel senso comune del termine, anche se quando ha agito «sapeva che uccidere è male, ma non era in grado di valutare esattamente i propri gesti per quello che erano. Ha agito in base ad impulsi coatti, senza rendersi conto delle conseguenze» (205). Il criminologo americano resta del parere che il geometra non abbia progettato i delitti. Quando si è sentito rifiutato, o ha avuto il timore di esserlo, anche dai due bambini, è esploso, ammettendo di aver provato piacere mentre uccideva Simone e Lorenzo. Sempre secondo Palermo comunque, Chiatti rimane un individuo molto pericoloso, che non dovrebbe tornare in libertà altrimenti commetterebbe nuovi delitti. Soggetti come lui, continua Palermo, sono
[...] per lo più paranoici, feticisti, ossessivo-compulsivi, sadici. Hanno comportamenti antisociali, anche se appaiono normalissimi, in quanto hanno complessi non risolti di identificazione personale e di relazione con le figure importanti della loro vita. Hanno una profonda ostilità, un desiderio di vendetta a volte, che non riescono a controllare e hanno un'aggressività distruttiva perché il rifiuto subito negli affetti scatena odi ingestibili verso di sé e verso gli altri (206).
Palermo, infine, ritiene che un trattamento psicoterapeutico e farmacoterapeutico solo in teoria potrebbe guarire Luigi Chiatti. Ritiene che dovrebbe vivere in un luogo in cui possa proteggersi anche da se stesso perché è estremamente probabile che il suo comportamento aggressivo non si plachi con l'età e che possa tornare ad uccidere una volta libero. Senza un'adeguata terapia si scatenerebbe di nuovo se fosse rimesso in libertà. Palermo asserisce, infatti, che «uccidere dà a questi soggetti un orgasmo psichico, che altrimenti non raggiungono. Un piacere che dura pochi minuti e il cui effetto, come quello della droga, deve essere ripetuto. Più il "mostro" ha successo, più torna ad uccidere anche se a volte può passare molto tempo fra un delitto e l'altro» (207).
Anche la Corte d'Assise nomina dei consulenti tecnici che, nei vari colloqui con Chiatti, si rendono conto prima di tutto che il sentimento che è molto presente nel geometra è un sentimento di solitudine, di vuoto e di incapacità a comunicare che Chiatti riconduce al cattivo rapporto con i genitori adottivi. In secondo luogo, i periti indagano sul suo bisogno inappagato di essere accettato ed amato. Chiatti spiega chiaramente il suo bisogno di affetto "Io ho bisogno del contatto fisico, perché ho molto bisogno di affetto, di una persona che mi stia vicina, che mi guidi, che mi ami" (208). Il periziando non ha conosciuto l'amore della madre e non ha conosciuto il calore continuativo e sicuro dei genitori. A proposito della responsabilità penale, i periti d'ufficio, concludono la perizia affermando che Chiatti non è affetto da alcuna psicosi, né da altre malattie della mente. Dopo aver cercato di ricostruire i percorsi attraverso i quali si è andata formando la personalità del periziando, dopo aver individuato il cammino delle dinamiche psicologiche che lo hanno portato a compiere così crudeli delitti; dopo aver cercato di individuare i suoi sentimenti, i suoi stati d'animo, i suoi pensieri, i consulenti tecnici della Corte, hanno tracciato un profilo psicologico, ma non hanno trovato tracce di "follia". I periti hanno constatato, inoltre, che Luigi Chiatti ha agito lucidamente, che quando ha ucciso la sua coscienza era vigile, che aveva consapevolezza di quello che stava facendo e ne conosceva la gravità. Ha ucciso Simone perché non voleva essere scoperto. Ha colpito reiteratamente le due vittime finché non si è reso conto che due testimoni pericolosi erano morti. È stato attento a cancellare le tracce del primo delitto. Lo ha fatto solo in parte nel secondo perché gli eventi sono precipitati; ha cercato di stornare i sospetti, si è preso gioco degli investigatori, si è sentito importante ed eroico nel recitare la parte del "mostro". I consulenti tecnici della Corte non individuano in Chiatti alcuna malattia mentale, ma solo sentimenti e pensieri egoistici ed egocentrici. Egli era pertanto ben cosciente di quello che stava compiendo, in grado di operare una scelta. I periti affermano che Chiatti presenta un disturbo narcisistico di personalità, al quale si accompagnano tratti sadici, anche qualche aspetto del disturbo paranoide di personalità e condotte parafiliche (pedofile). Si tratta però disturbi che non configurano un'infermità di mente, perché non sono espressioni di psicosi o di altra patologia psichiatrica (209). In tal senso Chiatti era, ed è, capace di intendere e volere (210).
Il collegio dei consulenti tecnici nominati dalle parti civili, pur dichiarandosi, sul piano della diagnosi della personalità, pienamente concorde con i periti d'ufficio nel giudicare Luigi Chiatti portatore di un disturbo narcisistico di personalità, evidenziano, tuttavia, che tale disturbo,
sia da mettere in relazione con tratti isterici o, come il DSM IV recita, con un disturbo istrionico di personalità, come sembrano coincidere meglio con il disturbo paranoide alle osservazioni effettate, soprattutto per la costante ricerca di approvazione o addirittura di lodi implicite nel suo modo di raccontare i fatti (211).
Il collegio dei periti nominati dalla parte civile, definisce Chiatti come un soggetto pienamente imputabile, in quanto portatore di un disturbo narcisistico della personalità con tratti isterici e comportamenti parafilici.
La Corte, analizzate le perizie cui è stato sottoposto l'imputato, conclude che Luigi Chiatti è sano di mente e capace di partecipare coscientemente al processo. Ritiene presente in lui un disturbo narcisistico di personalità, al quale si accompagnano tratti sadici, qualche aspetto del disturbo paranoide di personalità e condotte di tipo pedofilo, ma non tali da inficiare la capacità di intendere e di volere.
3.2.6. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia
La Corte d'Assise d'Appello di Perugia, con sentenza datata 11 aprile 1996 (212), pronuncia il verdetto: condanna a Luigi Chiatti a trenta anni di reclusione, alla misura di sicurezza del ricovero in una Casa di Cura e di Custodia per un periodo non inferiore a tre anni e dispone la rifusione delle spese a favore della parti civili in 50 milioni 998 mila delle vecchie lire per ciascuno dei due gruppi di parti civili costituite.
La Corte, basandosi sui risultati delle perizie e, in particolar modo, su quelle dei consulenti da essa nominata, in parte smentisce le conclusioni in precedenza formulate riconoscendo che Luigi Chiatti presentava al momento in cui ha commesso i delitti un grave disturbo mentale con tratti di personalità narcisistici, schizoidi, paranoici, componenti sadiche, ossessivo-compulsive e fobiche, all'interno di una personalità immatura; un disturbo mentale che ha inciso sulla sfera cognitiva, affettiva, sul piano del funzionamento interpersonale tanto da riconoscergli il vizio parziale di mente. Luigi Chiatti era per i giudici d'Appello parzialmente capace di intendere e volere al momento dei fatti. I giudici infatti, affermano che l'imputato non era nella pienezza delle sue facoltà mentali, in quanto affetto da una complessa sindrome psicopatologica, caratterizzata da un conclamato disturbo narcisistico di personalità e da una costellazione di tratti di numerose altre abnormità psichiche. Inoltre, precisa, che tali disturbi vanno ad innestarsi su una condizione di profonda immaturità affettiva ed etica, strettamente connessa con una tendenza sessuale pedofila. Questo complesso quadro patologico configura una vera e propria infermità psichica, idonea a pregiudicare in maniera rilevante, anche se non del tutto, il comportamento dell'imputato, non solo sul piano cognitivo e affettivo, ma anche e soprattutto sul piano del funzionamento interpersonale e del controllo degli impulsi. Questo risulta in indissolubile rapporto causale con i due omicidi. Da qui il riconoscimento del vizio parziale di mente.
Per quanto riguarda il movente degli omicidi, la prima Corte, sulla scorta delle conclusioni del consulente del P.M. Andreoli, afferma che i due eventi hanno caratteristiche che sono assolutamente identiche, in quanto dovuti al piacere sessuale che l'atto di uccidere procurava al Chiatti (fatto, come ricordato, emerso soltanto nei colloqui avuti con l'esperto in questione). I giudici di secondo grado, al contrario, ritengono i due episodi sensibilmente diversi. Nel primo omicidio la morte è causata da asfissia, con secondaria ininfluente emorragia dovuta alla ferita da arma da taglio, per il secondo, invece, si deve parlare di morte per emorragia con secondaria ininfluente emorragia, quindi ritengono assente la motivazione di sadismo sessuale alla base dei delitti. In virtù di tutto quanto detto, la Corte d'Assise d'Appello di Perugia, condanna Luigi Chiatti a trent'anni di reclusione e la misura di sicurezza predetta, confermando le pene accessorie previste in primo grado e le statuizioni civili.
La prima sezione penale della Corte di Cassazione (213) il 4 marzo 1997 ha confermato in pieno la decisione della suddetta Corte, ritenendo pertanto Chiatti seminfermo di mente e mettendo la parola fine alla vicenda del "mostro di Foligno".
3.2.7. Le perizie psichiatriche sull'imputato nel processo d'Appello
Anche in questo grado di giudizio l'esito del processo è condizionato dai risultati delle perizie psichiatriche effettuate sull'imputato. Come nel processo di primo grado vi è divergenza di opinioni tra i consulenti tecnici nominati dal procuratore generale, quello nominato dalle parti civili e quelli nominati dai legali di Chiatti. I periti del P.G. e delle parti civili si sono espressi in ordine alla piena capacità di intendere e volere del Chiatti al momento dei fatti, i consulenti tecnici nominati dai suoi avvocati, hanno escluso la possibilità che il loro assistito, fosse, al momento dei delitti, in tal stato di mente da possedere la capacità di intendere e volere ai sensi dell'art. 88 c.p. ritenendo, che gli stessi delitti sono chiare manifestazioni psicotiche e perciò segni inequivocabili di infermità mentale idonei ad annullare del tutto la capacità di intendere e volere.
Fondamentale risulta quindi, la posizione assunta dai periti nominati dalla Corte, i quali hanno espresso l'avviso che Chiatti, all'epoca in cui commise i fatti, «era per infermità in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderle, le capacità di intendere e di volere» (214), in quanto affetto da «grave e profonda immaturità delle strutture della personalità, che si manifesta attraverso il disturbo narcisistico di personalità, con pedofilia e con tratti sadici, schizoidi, paranoici, ossessivi e fobici». (215) In particolare i consulenti tecnici nominati dal procuratore generale, sebbene si siano espressi in sintonia con il consulente tecnico del pubblico ministero nel giudizio di primo grado Vittorino Andreoli, per la piena imputabilità di Chiatti, sul piano della diagnosi clinica, si sono sensibilmente discostati dal giudizio espresso da Andreoli, avendo giudicato il periziando «affetto da pedofilia con attrazione omosessuale, da annoverare nel quadro più generico delle parafilie». Il collegio dei periti nominati da P.G. qualifica riduttivamente il periziando quindi come un pedofilo con attrazione omosessuale, dichiarandosi però incapace di spiegare i due terribili omicidi.
Il consulente tecnico delle parti civili, modificando il giudizio espresso in primo grado dal collegio dei consulenti del quale egli stesso faceva parte, ha, da un lato, giudicato il periziando affetto da pedofilia e disturbo narcisistico di personalità (216) e che non presenta nè elementi di aggressività nè tratti di personalità immatura (217); dall'altro, ha dichiarato di essere, a differenza di quanto espresso nel primo grado di giudizio, del parere che il Chiatti non sia un serial killer, ma soltanto un pluriomicida.
4. Le strategie terapeutiche per la pedofilia
4.1. Prevenire (in termini terapeutici) la pedofilia, si può?
In medicina, la diagnosi è la valutazione dei sintomi avvertiti dal paziente e degli elementi oggettivi a disposizione dei medici, specialmente attraverso analisi di laboratorio, al fine di determinare la natura dei processi morbosi in atto e la sua sede nell'organismo. Molti clinici hanno una certa riluttanza a formulare una diagnosi di pedofilia, perché l'individuo porterebbe per tutta la sua vita un marchio tremendo. Spesso quando incontra una situazione che presenta delle caratteristiche della pedofilia, il professionista preferisce usare un'altra diagnosi come ad esempio una forte depressione (218).
Eliminare il "come" e il "perché" di un atto giudicato colpevole è stata la tentazione di una certa dottrina criminologa (219). La prima risposta implacabile e parodistica, fu la teoria del "delinquente nato" di Cesare Lombroso (220), il quale invece di individuare l'atto in sé, cercò di identificarlo con il suo autore e così nacque il tentativo di studiare quest'ultimo e classificarlo in un primo tempo come risultato, inizialmente, di una tara biologica, e poi di un alterato processo psichico circoscrivibile in precise categorie patologiche. Quando si parla di prevenzione, occorre precisare che esistono diversi modelli teorici di riferimento: giuridico, di protezione comunitaria e clinico (221). L'analisi giuridica è volta alla difesa della libertà individuale, si basa sui principi di causalità, determinazione e uguaglianza di fronte alla legge, reputa il pedofilo responsabile, sano di mente e considera gli atti compiuti precedentemente sia in funzione di aggravanti che di attenuanti. Questo modello, primariamente indirizzato verso la ricerca di una pena che sia prima di tutto giusta, applica il concetto di pericolosità al criminale più che al crimine sebbene la pena debba basarsi sul delitto che è stato perpetrato piuttosto che sugli atti che lo stesso autore potrà commettere in futuro. Il modello di protezione comunitaria, al contrario, focalizza la sua azione sulla difesa dei diritti della vittima e quindi con azioni preventive mirate in modo particolare alla tutela delle fasce a rischio, in questo specifico caso dei bambini. Il modello clinico, infine, focalizza come area di azione la personalità dell'individuo deviante ed essendo aderente ad un criterio che traduce "l'anormale" in patologico in teoria si oppone ad ogni forma punitiva anche se non esclude la possibilità dell'isolamento e della reclusione nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario (222).
Bandini e altri autori (223) sostengono che chi aderisce al modello clinico si trova in unanime accordo sull'opportunità di privilegiare le attività di prevenzione piuttosto che di repressione, in quanto si ritiene che, in generale, la prevenzione sia più efficace, meno costosa, maggiormente rispettosa delle esigenze dei cittadini. Quando tuttavia si deve specificare quale tipo di prevenzione sia da preferire, l'accordo sfuma ed i pareri sono estremamente differenziati. Esistono numerosi metodi di prevenzione e la difficoltà della scelta è condizionata dai risultati delle ricerche valutative, sviluppate soprattutto in questi ultimi anni in particolar modo nei paesi nord-americani, e che hanno permesso di accumulare un notevole bagaglio di conoscenze sull'efficienza, sull'efficacia, sugli effetti collaterali, sui costi e benefici di molti programmi di prevenzione (224).
Il punto cruciale che rende difficile la scelta però, dà luogo ad un problema etico ed uno giuridico, da una parte si tratta di attuare il tentativo di modificare il comportamento umano attraverso l'intrusione nella vita delle persone con l'intenzione di cambiarla, dall'altra occorre particolare attenzione alle possibili violazioni dei diritti delle persone. Questo limite assume particolare consistenza quando si prende in esame la prevenzione della pedofilia tenendo conto anche del fatto che qualsiasi programma di intervento preventivo ha in sé un altro grave problema etico: la produzione, al fianco o al posto degli effetti desiderati, di alcuni effetti collaterali o effetti non desiderati, la cui dannosità potrebbe superare i potenziali benefici (225). Un altro problema, come già accennato, è quello dei costi, in quanto un programma generalizzato può richiedere dei finanziamenti molto elevati, ma questa difficoltà può essere in parte superata tenendo presente che all'interno di un programma di prevenzione generalizzato, non tutti gli individui o le famiglie devono essere oggetto di interventi identici, ma si possono prevedere interventi più intensivi per le situazioni più problematiche (226). La possibilità di modulare l'intervento a seconda delle necessità può anche evitare il rischio, da molti segnalato, che un programma di prevenzione universale finisca per giovare maggiormente a quelli che ne hanno meno bisogno ed incida poco su quelli che più ne necessitano.
Una prima distinzione deve essere fatta tra programmi cosiddetti "universali" e quelli Target (227). Mentre i primi sono rivolti a tutti i componenti di una comunità, indipendentemente dalla presenza di fattori individuali di rischio, i secondi sono rivolti a soggetti particolari e si distinguono in Selected", quando indirizzati a soggetti ad alto rischio al fine di evitare l'emergere del problema che si vuole prevenire, e Indicated, quando organizzati per prevenire la recidiva di un comportamento indesiderato che si è già manifestato (228). L'unico metodo apparentemente in grado di assicurare un programma preventivo sostenibile appare quello del tipo Target e più precisamente la forma che abbiamo designato come Selective sebbene ad adesso sia connesso un inevitabile processo di stigmatizzazione: definizioni come soggetto a rischio di atteggiamenti pedofili, potenziale pedofilo, ecc. che permetterebbero di restringere il campo di azione preventiva, possono costituire, infatti, etichette estremamente pericolose per lo sviluppo sociale, specialmente in caso di programmi rivolti a soggetti adolescenti particolarmente vulnerabili a profezie negative.
Sicuramente la prima domanda da porsi in caso di voler realizzare un progetto di prevenzione su soggetti specificati, è chi sia in grado di dare delle indicazioni sufficientemente attendibili e chi debba raccoglierle. Tenendo conto che la più alta incidenza di abusi si realizzano dentro le mura domestiche (in Italia, dal 1995 al 1997 i reati di abuso sessuale sono passati da 946 a 1.582 ed in particolare quelli che hanno avuto come oggetto un minore sono aumentati da 205 a 470) (229) spetterebbe proprio al medico di famiglia chiedere ed eventualmente segnalare se le lesioni riscontrate possono essere la conseguenza di un maltrattamento. E secondo Mintz (230) sarebbero soprattutto i ginecologi a dover essere sensibilizzati in questo senso dato che la maggior parte delle donne richiede visite mediche proprio di questo tipo, piuttosto che in altre specialità mediche. La connessione tra abusi sessuali sulla moglie e atti pedofili incestuosi (e non incestuosi) è alta dal momento che si tratta di comportamenti che hanno alla base la spinta sadica a dominare l'oggetto sessuale e donne e bambini rappresentano senza dubbio soggetti deboli e più facilmente dominabili. Questa è una realtà di cui il ginecologo, in un'ottica di prevenzione, deve tener conto fondamentalmente per due motivi: quello di mettere sull'avvio la paziente, qualora abbia dei figli affinché acuisca il controllo e, nel caso in cui la violenza sui figli sia già manifesta, fornire l'input necessario alla denuncia del fatto.
È importante ricordare la centralità della perizia psichiatrica che, oltre a fornire elementi psicopatologici, è in grado di fornire una valutazione globale che tenga conto degli aspetti sociali, cognitivi, affettivi ma anche i livelli fisiologici di funzionamento. Importante inoltre, ai fini preventivi, un'attenta raccolta di dati circa gli eventi precedenti, contemporanei o successivi l'atto (abuso di alcool, premeditazione, tono dell'umore) e gli aspetti relativi allo sviluppo sessuale e sociale includendo anche le precoci relazioni intrafamiliari, l'incidenza di attività e fantasie sessuali devianti e non, il comportamento sessuale dell'abusatore nei confronti dei partners consenzienti ecc., tutti fattori che permettono di decidere come agire, sempre che sia possibile, agire.
4.2. Strategie terapeutiche nell'approccio del pedofilo
La legislazione in tema di abusi su minori fa riferimento quasi esclusivamente a pene detentive e pecuniarie, non tenendo conto in alcun modo degli aspetti preventivi legati ai trattamenti che potrebbero essere messi in atto cogliendo la situazione che si viene a creare proprio in occasione della condotta, cioè il riconoscimento di una condotta sessuale inaccettabile e lesiva. Attualmente la quasi totalità dei pedofili riconosciuti come tali, non viene sottoposta (e nemmeno viene loro suggerito) ad alcun tipo di trattamento, vuoi perché negano il loro reato e non lo vedono come un problema sessuale ma come una scelta, vuoi perché in questo senso la legge non offre delle precise indicazioni. Prima di analizzare nel dettaglio le varie proposte di trattamento della pedofilia, ci sono due considerazioni da fare: la prima è che, considerando quello pedofilo un comportamento parafilico risultante da una soluzione vantaggiosa di un conflitto psichico, il pedofilo, anche dopo aver scontato la condanna rimane tale a meno che non intervenga un fattore di cambiamento (231). Il secondo assunto parte dal presupposto che il bambino è, per principio evolutivo, un perverso polimorfo ed è solo all'adulto, e a questi soltanto, che spetta l'assunzione della responsabilità dell'atto. Per cui, la prevenzione intesa in termini terapeutici di cura, può avere un senso solo per l'adulto e solo quando questi sia consenziente al trattamento e consapevole dell'aspetto patologico della propria sessualità (232). È chiaro che dal trattamento nessuno si aspetta che il pedofilo si trasformi in un filantropo dedito alla protezione dell'infanzia, ma almeno al riconoscimento delle conseguenze dannose che tale condotta può suscitare sulla vittima e quindi all'astensione da questo tipo di sessualità. In particolare, il programma terapeutico scelto, ha come primo obiettivo il riconoscimento da parte dell'abusatore del proprio problema, l'assumersi la responsabilità delle proprie azioni, "reimpostare" il proprio atteggiamento sia nei confronti della sessualità sia verso l'aggressività e riconoscere che l'abuso sessuale è un atto compulsivo sul quale va esercitato un controllo. Le problematiche con cui terapeuta e paziente dovranno confrontarsi sono (233):
educazione sessuale, comprensione dell'abuso sessuale, l'impatto dello stesso sulla vittima;
risocializzazione dell'individuo tenendo conto delle relazioni interpersonali, il controllo dell'aggressività;
"tecniche" personalizzate per evitare l'abuso (234).
Secondo alcuni autori (235) occorre tenere presente che la pedofilia ha, rispetto a conflitti interni, un aspetto risolutivo che necessita un intervento con uno specifico trattamento che riesca a far fronte al passaggio da una situazione di apparente equilibrio in cui il sintomo è vantaggioso per il perverso, ad una condizione psichica per così dire «fluttuante, in cui il conflitto ritorna ad essere attuale, irrisolto e, inevitabilmente, angosciante» (236).
4.2.1. Terapia chirurgica
Negli ultimi anni, a causa dei clamorosi casi di pedofilia sadica in Italia, sono state invocate da più fonti degli interventi terapeutici per i pedofili e, tra questi, anche la castrazione chirurgica. Tale "risoluzione", in paesi non troppo lontani dal nostro, ha avuto nel passato un grande impiego nel trattamento degli autori di crimini sessuali, nell'ipotesi che riducesse sensibilmente il rischio di recidiva. Certamente, il comportamento sessuale di un soggetto sottoposto a castrazione non può che modificarsi, tuttavia numerosi studi hanno dimostrato l'estrema variabilità nelle risposte individuali al trattamento (237). In alcuni casi, si è assistito, ad esempio, a una ripresa dei reati sessuali successiva all'intervento, ancora più caratterizzati in termini di sadismo. La castrazione chirurgica, come trattamento del pedofilo, si propone ovviamente, finalità di prevenzione sociale, più che di cura e di recupero del soggetto "malato". Eppure c'è chi si richiama persino ad un manuale di Psichiatria Pastorale del Dott. Bless (238) che consigliava come ultimo rimedio nei casi di deviazioni sessuali, la castrazione, ammessa, secondo Bless, dai teologi moralisti. Bless, riportato da Bonafiglia (239) ritiene che «l'anormalità sessuale è nell'ordine naturale del male, una malattia causata dal cattivo funzionamento degli organi sessuali (per un disturbo della secrezione interna)» (240). In argomento intervenne addirittura papa Pio XI che, nel 1930, parlando nell'enciclica Casti Connubi (241) della sterilizzazione, scriveva:
la dottrina cristiana insegna che i singoli individui non hanno essi stessi altro dominio sulle membra del corpo all'infuori di quello che spetta al loro fine naturale e non possono distruggerle o mutilarle o per altro modo renderli inetti alle funzioni naturali, se non nel caso in cui non si possa provvedere in altro modo al bene di tutto il corpo (242).
Secondo Coresi, l'interpretazione di Bless è troppo semplicistica, tanto che scrisse «la castrazione non è una mutilazione, ma solo l'amputazione di una parte ammalata del corpo. Con questo criterio, ad un pazzo dovrebbe potersi amputare la testa» (243). Secondo Vittorino Andreoli (244), la castrazione fisica (e anche quella chimica) non serve a niente per diverse ragioni. Prima di tutto perché l'atto sessuale pedofilico non richiede necessariamente né l'erezione né tantomeno la penetrazione (anzi, di solito la penetrazione non è nemmeno una costante della violenza sessuale sui bambini). Andreoli ci pone un parallelo: «così come gli eunuchi degli harem riuscivano benissimo a prendersi piacere con le donne che gli ingenui sultani affidavano loro senza violare la loro l'intimità, così il pedofilo castrato fisicamente, potrebbe benissimo continuare a insidiare i bambini» (245), anzi probabilmente lo farebbe anche meglio dato che vista la sua condizione, è supposta l'incapacità di nuocere. In secondo luogo tale rimedio è inutile perché la pedofilia non ha affatto soltanto una dimensione brutalmente genitale. La pedofilia è un amore totale, non è un mero desiderio di penetrazione, ma è una brama di possesso nei confronti del bambino come persona nella sua globalità. Infine perché la pedofila non è una patologia del corpo ma della psiche, e quindi non potrà mai venir risolta attraverso un intervento mirato esclusivamente sul corpo.
4.2.2. Terapia psico-cognitiva-comportamentale
Nel corso degli anni, il trattamento dell'abusatore sessuale si è "evoluto" da un intervento ispirato al modello clinico in cui il colpevole di reato sessuale è visto come un malato, all'attuale diffuso approccio di tipo cognitivo-comportamentale che dà maggiore spazio al problema relativo alla prevenzione delle recidive. In molti programmi questo aspetto è inteso come la possibilità di mantenere ed incentivare i cambiamenti ottenuti con il programma in modo da assicurarsi che l'individuo in esame continui ad utilizzare ciò che ha appreso una volta che il trattamento sia formalmente concluso. L'obiettivo di questi programmi di intervento è la modificazione della sessualità deviata, pur tenendo conto che spesso è associata al maladattamento sociale e a distorsioni comportamentali e cognitive, identificando due bersagli fondamentali (246):
ridurre l'eccitamento sessuale in rapporto a pratiche o partners "inusuali";
promuovere o rafforzare l'eccitamento sessuale in rapporto ad adeguate pratiche o partners.
A questo scopo possono essere utilizzate diverse tecniche, spesso combinate tra loro:
condizionamento masturbatorie (247),
sensibilizzazione nascosta (248),
terapia dell'avversione (249).
La tecnica del Condizionamento Masturbatorio implica una sostituzione nel soggetto della fantasie devianti con fantasie non devianti. Per esempio, l'abusatore tiene un diario in cui annota le tipiche fantasie masturbatorie devianti. Con l'aiuto del terapeuta dovrà elaborare e annotare una fantasia non deviante che consenta comunque il raggiungimento dell'orgasmo con la masturbazione. Quando insorge l'eccitamento in rapporto ad una fantasia deviante, il soggetto non dovrebbe masturbarsi, ma verbalizzare immediatamente tutte le modificazioni che può immaginare di questa fantasia o pratica deviante, in modo che l'orgasmo che seguirà (con la masturbazione) sarà connesso alla fantasia non deviante. La Sensibilizzazione Nascosta prevede che il soggetto venga aiutato ad immaginare una scena che potrebbe stimolarlo alla recidiva e ad immaginare subito dopo le conseguenze spiacevoli come, per esempio, l'arresto. La terapia dell'Avversione, infine, consiste nell'accomunare gli stimoli ed i comportamenti attualmente eccitanti, ma inaccettabili con un'esperienza fisica spiacevole (per esempio una scossa elettrica al polpaccio del soggetto, od un odore sgradevole come l'ammoniaca) (250).
Una variante di questa tecnica è quella proposta da Serber (251) definita "terapia della vergogna" utilizzata dallo stesso Serber e che si è rilevata utile nel trattamento per i pedofili: il soggetto è invitato a mettere in atto il suo comportamento deviante di fronte a collaboratori dei terapeuti, i quali vengono opportunamente istruiti a mostrare nei confronti del soggetto un atteggiamento di scherno e disapprovazione. Tutte e tre queste tecniche, che dovrebbero portare il soggetto a conoscere una serie di metodi che gli impediscono di avere ricadute, sono state usate da Pithers (252) all'interno di un programma di prevenzione specifico per stupratori e pedofili in cui, per esempio, dopo la ricaduta, intesa anche come la presenza di fantasia deviante, il soggetto viene esposto ad una situazione estremamente "pericolosa" come quella di chiedergli di fare da baby-sitter. In questo modo il soggetto avrebbe la possibilità di verificare che l'atto sessuale deviante in sé non è inevitabile aumentando anche la consapevolezza di non essere affetto da un disturbo incurabile e la situazione stimolerebbe altri mezzi per risolvere il problema. Pithers ritiene che per prevenire le recidive si devono individuare tutti i fattori predisponesti all'atto deviante così come le situazioni "pericolose", il soggetto dovrebbe astenersi da tutti quei fattori istituzionali che potrebbero maggiormente esporlo al rischio di recidiva, come l'uso di stupefacenti, di alcool, visioni pornografiche ecc.
Accanto alle tecniche che si basano sul comportamento del soggetto, ne esistono altre che hanno come fulcro di intervento il ruolo sociale e le distorsioni comportamentali che un individuo affetto da parafilia tende ad acquisire. Nel ruolo sociale, in particolare, vengono prese in considerazione una serie di qualità come l'empatia, il comportamento interpersonale, il modo di affrontare rabbia ed ansia, la capacità di conversazione e quella di mantenere relazioni stabili ecc (253). Esistono programmi specifici che mirano alla riduzione dei deficit presenti in queste aree che si avvalgono di diverse tecniche e che includono l'educazione sessuale e l'acquisizione di nozioni "pratiche" circa la possibilità di risolvere problemi della vita quotidiana (254). Ritornando ad una distinzione poco sopra descritta (programmi Target all'interno dei quali si suddividono programmi rivolti ai Selected o agli Indicated), si può concludere che questi tipi di programmi, indirizzati agli Indicated al fine di prevenire la recidiva, aiutano il pedofilo a comprendere ed a riconoscere, in modo comportamentale, le variabili psicologiche e situazionali che lo espongono al rischio di commettere di nuovo il reato. Il pedofilo dovrebbe essere aiutato a riconoscere gli eventi capaci di innescare la sequenza di alterazioni cognitive, affettive e comportamentali che lo portano a commettere l'abuso e a ricordare, attraverso il trattamento, le capacità che ha acquisito per meglio "gestire" le stesse modificazioni cognitive, affettive e comportamentali.
4.2.3. Trattamento psicoterapeutico
Il consenso crescente degli psichiatri sembra indicare che nessuna terapia ad indirizzo dinamico presa singolarmente sia efficace per tutte le parafilie, e che siano necessari degli approcci su misura per ogni singolo individuo (255). Gabbard (256) parte dal presupposto che le aspettative del terapeuta devono essere modeste perché, indipendentemente dal tipo di terapia, i pazienti parafilici, sono notoriamente difficili da trattare dal momento che nel corso di molti anni, hanno sviluppato una ben congegnata soluzione erotica ai loro problemi, e sono raramente interessati a rinunciarvi. L'inizio della terapia per i parafilici avviene spesso non volontariamente, ma perché il soggetto è sotto pressione: quando, ad esempio le disposizioni di legge lo prevedono perché la terapia è indispensabile per ottenere la libertà condizionale (in alcuni paesi il trattamento medico-riabilitativo può essere obbligatoriamente disposto dal giudice, come ad esempio in Inghilterra, U.S.A. ecc.), in questi casi la riuscita del trattamento è veramente difficile. Ogni terapia raggiunge il suo scopo solo quando il soggetto che vi si sottopone è volontario e consenziente come sostengono la maggior parte dei clinici che ritengono probabile l'efficacia del trattamento solo quando i pazienti riescono ad accettare completamente la responsabilità per le loro azioni e per il danno che essi hanno causato (257). Quindi, prima di poter pensare ad una psicoterapia dinamica, che comunque dovrebbe svolgersi nell'ambiente carcerario con la stessa agevolezza con cui si volerebbe un gabbiano con ali di cera, può essere utile al futuro paziente un trattamento anche individuale che seguendo i principi comportamentistici, persegua alcuni obiettivi terapeutici, quali:
aiutare i pazienti a superare il loro diniego;
aiutarli a sviluppare empatia per le loro vittime;
identificare e trattare l'eccitazione sessuale deviante;
identificare i deficit sociali e le capacità di adattamento inadeguate;
sviluppare un piano comprensivo per la prevenzione delle ricadute che comprenda l'evitamento delle situazioni che risultano per loro particolarmente stimolanti.
In sostanza, questo è il primo stadio che dovrebbe svolgere la funzione di "preparare" il soggetto alla terapia dinamica che presenta non pochi problemi. Il primo fra tutti, la convinzione del parafilico che la sua non è una perversione, ma una forma di amore. Così il terapeuta, oltre ad occuparsi di tutti i disturbi associati alla parafilia, dovrebbe subito mettere il suo paziente di fronte a tale diniego per evitare, come sostiene Kohut (258), che le attività e fantasie perverse rimangano in un'area scissa e compartimentalizzata della personalità. Diverse sono le forme di psicoterapia attuabili, tra cui la psicoterapia di coppia, familiare e quella di gruppo e infine quella ipnotica.
Psicoterapia di coppia.
Può accadere che sia proprio una crisi coniugale la scintilla che induce un pedofilo a chiedere una terapia. La terapia coniugale può essere cruciale per il successo del trattamento delle parafilie aiutando a delineare come l'attività perversa rifletta difficoltà sessuale ed emotive nella diade coniugale. L'esplorazione di un disaccordo coniugale può far esplodere le sfumature del disturbo e spostare l'attenzione da una o più aree problematiche del matrimonio. (259)
Psicoterapia familiare.
Questo tipo di terapia è indicato specialmente nei casi di pedofilia che si verificano nel contesto di un incesto ed è generalmente una parte integrante dell'intero piano terapeutico. Si tratta di famiglie, con difficili dinamiche, che sembrano entrare in un subdolo circolo vizioso. Ipotizziamo una coppia apparentemente normale in cui nascono dei figli. La madre, sopraffatta, trascura il marito il quale, bisognoso e dipendente, incapace di prendersi cura dei componenti della sua famiglia, sente la moglie sempre più estranea e si rivolge ad uno dei figli (in genere la figlia maggiore) per ricevere quelle emozioni a cui non tollera rinunciare portando ad una seconda generazione di figli con ruoli genitoriali. È facile che questa bambina senta la responsabilità di occupare il posto della madre, e quando parte di quella responsabilità comporta il soddisfacimento sessuale del proprio padre, la bambina può subordinare i suoi bisogni a quelli di lui (260). La terapia in famiglia nei casi di incesto spesso rivela che la vittima protegge l'aggressore e mantiene la propria lealtà nei suoi confronti (261).
Psicoterapia di gruppo.
La psicoterapia psicodinamica di gruppo è stata utilizzata efficacemente con pazienti che soffrono di perversioni. Anche la terapia di gruppo imposta legalmente agli aggressori sessuali, come i pedofili, ha ottenuto dei risultati soddisfacenti (262). Pazienti con lo stesso problema che si confrontano, che si sostengono (come avviene in terapie per tossicodipendenti o alcolisti) e che subiscono la pressione del gruppo in maniera positiva, poiché gli serve per tollerare di cambiare il comportamento distruttivo. Sembra particolarmente utile anche, la consapevolezza del pedofilo di essere ad uno stadio più avanzato del programma terapeutico, che contribuisce ad aumentare la sua fiducia e la speranza circa la possibilità di uno "stile di vita" diverso.
Psicoterapia ipnotica.
Accanto alla psicoterapia di gruppo, non può essere escluso il social skill (conquista delle abilità sociali) mirato alla risoluzione delle difficoltà di relazione sociale e sessuale con altri soggetti adulti (263). I primi che se ne occuparono attivamente furono Sacerdote (264), Watkins (265) e Granone che, nel suo Trattato di ipnosi scrive «bisogna puntare più sull'immaginazione che sulla ragione» (266). Mastronardi e Villanova (267) hanno recentemente condotto uno studio presentato a Vienne alla settima Conference of the International Association for the Treatment of Sexual Offenders (11-14 settembre 2002), in cui sono stati analizzati 50 casi di comportamento sessuale violento a estrinsecazione aggressivo-distruttiva (per la maggior parte pedofila) affrontati in psicoterapia ipnotica. Secondo tali autori, lo status ipnotico, «rappresenta una condizione di particolare recettività, in cui le visualizzazioni emotigene indotte dall'ipnotista, e inerenti manipolazioni degli antichi referenti sessuali distorti, diventano dinamicamente attive e operanti, decondizionando in evoluzione graduale e progressiva le antiche, istintuali, percezioni distorte» (268). L'obiettivo proposto è la maturazione degli elementi caratterizzanti lo sviluppo pulsionale-libidico del soggetto attraverso interventi specifici di maturazione, evoluzione e/o inibizione o sostituzione dei referenti che permettono l'attivazione emotivo-pulsionale (sia oggetti sessuali reali che mediati). Il trattamento terapeutico avviene senza mai aggredire direttamente il sintomo o il comportamento deviante, dopo il trattamento, dovrebbe scomparire fisiologicamente (269).
Trattamento ospedaliero.
Pur non essendoci nessuna indicazione per un trattamento ospedaliero delle parafilie, alcuni pazienti, e in modo particolare i pedofili, vengono ricoverati con una frequenza maggiore, ad esempio, di quella registrata per gli esibizionisti che rimangono comunque tra le categorie abbastanza rappresentate nella media dei ricoveri. In realtà questi soggetti frequentemente "usano" il trattamento ospedaliero essendo la corsia d'ospedale di gran lunga preferibile al carcere dove i pedofili per leggi interne della vita carceraria, spesso e volentieri, sono oggetto di violenze sessuali (270).
4.2.4. Terapia farmacologica
L'utilizzo di farmaci nel trattamento della pedofilia impone una serie di riflessioni: le terapie farmacologiche presentano l'indubbio vantaggio di un costo contenuto e una più semplice praticabilità rispetto alla psicoterapia, inoltre il farmaco è uno dei mezzi più immediati ed efficaci per controllare l'aggressività di solito connessa all'abuso sessuale, anche se, pur prevedendo sia una finalità clinica-terapeutica che semplicemente contenitiva quest'ultima è decisamente più evidente (271). Infatti, il trattamento in cronico presenta non pochi problemi in ordine al fatto che dovrebbe rivolgersi alla cura del sintomo e non semplicemente al suo contenimento. Purtroppo non esistono dati circa l'efficacia di queste terapie a lungo termine e va inoltre considerato che spesso i pedofili e i Sex-Offender in genere commettono i loro crimini in rapporto a motivazioni che vanno oltre la pura gratificazione sessuale: ridurre la loro libido, quindi, non significa necessariamente ridurre il rischio di recidiva (272).
Fino ad oggi, il trattamento farmacologico cosiddetto "antilibido", è stato utilizzato frequentemente in associazione alla terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento delle parafilie quando è presente anche una certa ipersessualità. Esso si basa sull'utilizzo di antiandrogeni come il "ciproterone acetato". In particolare, i farmaci utilizzati possono essere così suddivisi (273):
Sostanze a effetto ormonale diretto.
estrogeni
agonisti dell'LH (triptorelina)
antiandrogeni: ciproterone acetato, medrossi-progesterone acetato.
Psicofarmaci.
neurolettici
benzodiazepine
antidepressivi ed equilibratori dell'umore.
3. Altri.
propanolo
reserpina
spironolattone.
Ciascuna di queste sostanze viene utilizzata per l'effetto antilibido più o meno direttamente connesso al proprio meccanismo d'azione, ma occorre precisare due aspetti: innanzitutto nel trattamento antiandrogeni sono descritti numerosi effetti collaterali, tra i quali anche un'attività carcinogenetica (274), secondariamente è da evidenziare il limite imposto al trattamento sanitario obbligatorio in relazione alla salvaguardia dei diritti della persona poiché l'art. 32 della Costituzione sancisce la necessità di coincidenza tra tutela della salute del singolo individuo e la tutela di quella della collettività. L'una non può prevalere sull'altra, ed è necessario che vi sia una perfetta sovrapposizione (275).
In conclusione possiamo dire che il trattamento terapeutico dei pedofili e in generale quello dei Sex-Offender può dare dei risultati positivi se si tengono in debito conto sia le difficoltà soggettive ed oggettive di queste terapie, sia dei loro costi. Affinché sia possibile pensare ad un efficace intervento terapeutico sui pedofili che possa inserirsi in un organico programma di prevenzione è necessario avviare progetti di ricerca che tengono conto delle nozioni finora acquisite come la consapevolezza che la probabilità di recidiva è decisamente più elevata tra coloro che hanno commesso in passato più di un reato sessuale rispetto a coloro che lo hanno commesso solo una volta. Quindi è indispensabile procedere ad una accurata selezione del campione da sottoporre al trattamento non sottovalutando che questo ha importanti risvolti circa la valutazione degli effetti dello stesso, perché come scrive Marshall (276), stupratori ed esibizionisti traggono meno vantaggio da un trattamento rispetto a coloro che hanno abusato sessualmente di minori.
5. Due progetti: l'inglese programma S.T.O.P. e l'italiano programma W.O.L.F
Come riporta Balier (277), una delle più radicate convinzioni è che «la ripetizione degli atti (la recidiva) è purtroppo la regola. È proprio essa a togliere molte speranze, al punto di portarci talvolta a credere all'incurabilità di questi soggetti. "Pedofilo per un giorno, pedofilo sempre" è un adagio dalla rima facile che proviene - pare - dal Canada» (278). Metodologicamente Fornari (279) suggerisce invece di procedere a "un'analisi strutturale individuale" in modo che si possono operare tre distinzioni strutturali:
condotta tollerata dall'Io, quindi egosintonica, che si traduce in una perversione vera e propria. Si classifica in una struttura perversa;
condotta mal tollerata dall'Io, quindi egodistonica, quindi perversione nevrotica o disfunzione, quindi struttura nevrotica;
condotta patologica che si manifesta in un disturbo psicotico e che si basa su una struttura psicotica.
Durante il percorso riabilitativo-trattamentale bisogna utilizzare oltre ai reattivi mentali anche i test proposti dall'esperienza clinica, in particolare quella di Lang et al. (280), ad esempio STAI (State-Trait Anxiety Questionnaire), MAQ (Moral Anxiety Questionnaire), FNE (Fear of Negative Evaluation Scale), IOFR (Index of Family Relations), SSS (Social Skill Survey), BDHI (Buss-Durkee Hostility Inventory), FAV (Forensic Assessment of Violence), EPQ (Eysenck Personality Questionnaire). Al fine di garantire il percorso riabilitativo-trattamentale sono stati elaborati speciali programmi da applicarsi ai detenuti durante il periodo di prigionia o quello trascorso nella comunità. Una delle esperienze cliniche più convincenti e complete, (nonché più applicabile al nostro ordinamento), è quella anglosassone denominata "programma STOP" (Sexual Offenders Treatment Program applicato nella prigione di Peterhead in Scozia nel 1992) (281).
Esiste per i detenuti la possibilità di accedere ad attività preparatorie all'inserimento nel programma STOP, attività che si svolgono collateralmente allo svolgimento del programma stesso. Il programma comprende un approccio avente come scopo quello di evitare un'eventuale recidiva: esso ha, infatti, il compito di far sì che l'agente capisca di aver commesso un fatto illecito nei confronti della propria vittima e che riesca ad imparare a controllare i suoi sentimenti per il futuro. Quindi il programma ha lo scopo di rendere consapevoli della propria responsabilità gli autori del reato sessuale, di sviluppare in loro la consapevolezza dell'offesa impartita alle vittime e di preparare un piano di prevenzione, atto ad invidiare i fattori che li possono far deviare ulteriormente (282).
Il programma STOP si svolge in 180 ore e viene somministrato in due fasi, ogni fase è formata da 40 sessioni e i gruppi si compongono di 8-10 detenuti per reati sessuali le cui vittime sono bambini e/o adulti (ne sono escluse invece le detenute) (283). I gruppi si incontrano due volte alla settimana e ciascuna delle 80 sessioni dura approssimativamente due ore e mezza. Il programma è offerto in 25 prigioni inglesi e circa 600 detenuti all'anno ne usufruiscono. I gruppi che partecipano al programma di sostegno, sono composti da detenuti appartenenti alle seguenti tipologie (284):
detenuti ad alto rischio di recidiva che hanno già seguito il programma STOP;
detenuti a un livello inferiore di rischio che hanno bisogno di programmi di intervento minimo.
Ciascun gruppo è diretto da un membro dello staff della prigione e in alcuni casi l'operatore lavora in collaborazione con assistenti sociali. La priorità viene data a quei detenuti che dallo screening iniziale risultano ad alto rischio di recidiva. Il programma ha inizio con la messa a fuoco di determinati argomenti come, ad esempio, la ristrutturazione cognitiva, il consenso, la responsabilità, la recidiva la possibilità di stabilire l'empatia di base con la vittima. Dopo una pausa tra la prima e la seconda fase, quest'ultima inizia esplorando e sviluppando i cicli individuali di recidiva e, utilizzando un lavoro a moduli, analizza anche altre aree; tutto ciò occorre per creare un progetto di lavoro individuale finalizzato a prevenire la recidiva. Il programma, tra gli altri, include l'esame delle responsabilità, il ripensamento degli errori e meccanismi di difesa, la consapevolezza della vittima, valutazione delle tematiche del consenso, pornografia e fantasie sessuali, abilità sociale e interpersonali, recidiva e comportamenti recidivanti, prevenzione delle ricadute ecc. Il lavoro in gruppi di 8-10 detenuti è ritenuto più valido rispetto alla terapia individuale, per il minor numero di operatori e il fatto che i veri esperti sono in realtà gli stessi detenuti, che singolarmente potrebbero continuare a perpetrare i meccanismi di autoinganno e ingannare lo stesso terapeuta (285). Viceversa il gruppo garantisce un controllo reciproco tra gli stessi Sexual-Offender.
5.1. Il programma WOLF
Il Ministero della Giustizia, in particolare il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, nel 1998 ha presentato un progetto denominato WOLF (Working On Lessening Fear - Lavorare per diminuire la paura). L'iniziativa, la prima in Italia, si caratterizza come progetto di ricerca e scambio transnazionale sul trattamento dei condannati per reati di sfruttamento sessuale di minori e sui bisogni di formazione degli operatori penitenziari addetti al loro trattamento. L'iniziativa ha coinvolto direttamente ed indirettamente 71 istituti penitenziari, 21 centri di servizio sociale per adulti, 3 ospedali psichiatrici giudiziari, 40 operatori penitenziari (educatori, assistenti sociali, direttori di istituto e di centro di servizio sociale) e 115 partecipanti al seminario conclusivo. Il progetto parte dalle esperienze effettuate in Belgio e Olanda, paesi in cui è stato possibile evidenziare che la condanna, degli autori di reato di abuso sessuale nei confronti dei minori, non è una soluzione risolutiva nella diminuzione del fenomeno (286). La permanenza in carcere serve senz'altro a rassicurare la collettività per la durata della condanna, ma una volta espiata la pena, partendo dal presupposto che si tratta di una forma di perversione vissuta come giusta dal condannato, come riuscire a controllare la condotta al rientro nel suo contesto sociale di appartenenza?
Si dibatte tuttora molto sulle cause e più ancora sulle modalità di controllo del problema: gli studiosi tuttavia non hanno individuato percorsi risolutivi e totalmente rassicuranti. Durante il Seminario transnazionale conclusivo del progetto WOLF, (svoltosi a Roma dal 10 al 12 marzo 1999), sono stati presentati due documenti di lavoro relativi al problema del trattamento di questi particolari autori di reato, costruiti anche sulla base delle indicazioni raccolte nel corso delle visite di studio all'estero. Il primo documento riguardava il tipo di trattamento da erogare nei confronti di questi delinquenti, mentre il secondo trattava dei bisogni formativi degli operatori coinvolti nel trattamento dei Sex-Offender. Ed è proprio da questo ultimo documento, arricchito da tutte le esperienze presentate nel corso del Seminario di Roma, provenienti da esperti, studiosi e ricercatori italiani e stranieri, operatori penitenziari che è scaturita una prospettiva operativa concreta, che ha portato al progetto For WOLF (formazione per WOLF). Questo progetto realizza il passaggio dall'esigenza di "capire" i termini del problema alla possibilità di "progettare" un intervento concreto, il primo nel nostro paese, a vantaggio degli operatori impegnati quotidianamente in questo campo (287). In pratica, con il progetto For WOLF si intende realizzare una ricerca e uno scambio transnazionale sulle metodologie e sui contenuti della formazione degli operatori sociali e penitenziari addetti al trattamento degli autori di reati di sfruttamento sessuale dei minori (si parla di sfruttamento sessuale dei minori in seguito alla legge n. 269/98). Si prevede inoltre uno studio e una comparazione dei sistemi di valutazione dei percorsi formativi nei paesi partner per sperimentare un modello formativo per gli operatori penitenziari (288). L'amministrazione penitenziaria con questo progetto intende dare una risposta ai bisogni (che sono tanti) formativi specifici sulla scia dei risultati e delle proposte evidenziate con il progetto WOLF.
In particolare, con For WOLF la volontà è quella di realizzare un percorso formativo sperimentale indirizzato agli operatori che si occupano dei rei sessuali con l'obiettivo di aiutarli, innanzitutto, a superare le difficoltà di approccio con questo tipo di utenza. Sostiene Luigia Mariotti Culla, direttore generale dell'istituto superiore degli studi penitenziari nonché responsabile dei due progetti (WOLF e For WOLF): «le difficoltà si concretizzano spesso in collusione difensive o reazioni di evitamento o anche in chiusure relazionali, dinamiche queste, che finiscono per inificiare l'intervento trattamentale» (289). L'obiettivo finale di For WOLF è quello di arrivare, attraverso l'affinamento della professionalità degli operatori, ad un sostegno efficace della capacità di progettare interventi trattamentali significativi nei confronti dei delinquenti sessuali: interventi cioè che possano, per quanto possibile, contribuire a ridurre la recidiva di questo tipo di crimine nel quadro del già illustrato programma STOP.
Prospettive di intervento.
La chiave risolutiva del problema pedofilia, sembra essere quella dell'inasprimento delle pene e una qualche attenzione alle vittime. Non c'è attenzione sufficiente agli autori di reato e al "che fare" con questi soggetti una volta individuati e condannati (290). Sembra che la chiusura in carcere, sia la migliore (o solo la più semplice?) soluzione per risolvere problemi che presentano un'indefinita complessività. Invece, se si vuole davvero contrastare il problema della recidiva, se si vuole in qualche maniera tenere sotto controllo la condotta dei pedofili noti, occorre occuparsi anche degli abusatori e quantomeno aiutarli a risolvere i loro problemi.
In un recente studio del CENSIS (291) si afferma che sulla base degli studi sui molestatori sessuali, si può ritenere che ciascuno di questi abusatori colpisce ogni anno, a partire dall'adolescenza, 5-10 bambini. Considerando che l'età media della condanna per violenza sessuale in Italia è di 24,5 anni, il molestatore medio, nella peggiore delle ipotesi avrà colpito 70 o 80 bambini prima dell'arresto. È utopistico e poco intelligente secondo me, pensare di tutelare efficacemente la società con la sola pena detentiva, senza considerare quanto è deleteria e inutile per il pedofilo stesso. È evidente infatti che il carcere serva più che altro a rassicurare l'opinione pubblica, ma non credo che sia un motivo sufficiente per tenere segregato un soggetto che avrebbe invece bisogno di percorsi terapeutici. Oltretutto anche per la società si tratta di una falsa sicurezza: il pedofilo in carcere si limita a non reiterare il reato, ma non sentendosi colpevole, attenderà paziente la fine della pena per tornare nella società con le stesse convinzioni con cui ne è "uscito".
A ben guardare c'è un oggettivo interesse della società a "farsi carico" anche dei condannati per reati di abuso o sfruttamento sessuale, affinché essi siano destinatari di specifici programmi trattamentali durante l'esecuzione della pena, sia in carcere che fuori, mettendo in campo un appropriato controllo sociale finalizzato ad ottenere una riduzione della recidiva. Questi programmi dovrebbero (292):
generare accettazione della responsabilità personale;
affrontare le conseguenze del comportamento criminoso sia verso se stessi che le vittime, incluse le vittime di secondo livello (famiglie, amici ecc.);
sviluppare strategie personali che assisteranno l'esercizio dell'autocontrollo ed eviteranno situazioni che porterebbero probabilmente alla recidiva.
La realizzazione di questi programmi, accuratamente predisposti e costantemente monitorati, dovrebbe essere adottata nelle carceri con la metodologia del lavoro in e di gruppo, equipe multidisciplinari di operatori che intervengono a livello individuale e di piccoli gruppi stimolando efficaci revisioni critiche del proprio vissuto (293). Bisogna però considerare, che nell'ambiente carcerario i programmi innovativi non sono mai di facile introduzione. I detenuti hanno abitudini e routine che difficilmente hanno voglia di stravolgere, senza considerare che i rei di reati sessuali sono vittima di una serie di soprusi da parte degli altri detenuti, nel rispetto di leggi e gerarchie interne. È necessario dunque, che il programma divenga centrale nel lavoro del carcere, sia considerato "prioritario" e che gli operatori impegnati nella realizzazione dei programmi di intervento abbiano una formazione specializzata.
Poiché ancora non si è in grado di avere sufficienti certezze circa gli effetti di programmi rivolti a categorie di condannati come gli abusanti sessuali, sarà opportuno approfondire lo studio anche mediante l'osservazione di gruppi di controllo su soggetti aventi le medesime caratteristiche dei condannati, beneficiari o meno del trattamento (294). Infine, a parere di Luigia Mariotti Culla (295) si impone una necessaria modifica legislativa che preveda per questi condannati la previsione che per accedere ai benefici penitenziari, gli stessi devono partecipare o aderire ad un programma terapeutico in analogia a quanto previsto per i tossicodipendenti. La possibilità di accedere ad una misura alternativa deve essere legata alla volontà e all'impegno a seguire un percorso che, mentre da un lato assicura un efficace controllo sociale del detenuto, dall'altro sostenga i suoi sforzi con appropriati mezzi e strumenti "terapeutici". Mariotti Culla dice che si tratta di "pre-terapia" o di ambiente terapeutico come presupposto o avvio a percorsi che poi possono essere liberamente scelti e portati avanti (296). Un esempio da seguire potrebbe essere quello belga. La legge del 13 aprile 1995 concernente i delinquenti sessuali su minorenni, sancisce un principio: la liberazione condizionale del condannato è subordinata ad un parere di un servizio specializzato e alla previsione di una sorveglianza sociale e, se necessario, nel quadro di un trattamento terapeutico idoneo da parte di un servizio specializzato. In Belgio vengono legati benefici penitenziari al percorso terapeutico, sottolineando il fatto che si tratta di una scelta condizionata in funzione di un bene superiore per la società: la lotta alla recidiva e la garanzia di una sicurezza per la collettività. Mentre probabilmente, per il detenuto, la scelta di partecipare a percorsi terapeutici è l'unico modo per ottenere la condizione che in quel momento più desidera: la libertà. Difficile pensare che con l'imposizione si possono raggiungere gli obiettivi che, teoricamente, i programmi si prefiggono di raggiungere (generare accettazione della responsabilità personale; affrontare le conseguenze del comportamento criminoso sia verso se stessi che le vittime, incluse le vittime di secondo livello - famiglie, amici ecc. -; sviluppare strategie personali che assisteranno l'esercizio dell'autocontrollo ed eviteranno situazioni che porterebbero probabilmente alla recidiva).
Occorre infine sottolineare che i percorsi socio-riabilitativi avviati in detenzione dovrebbero avere la possibilità di prosecuzione e sviluppo al di là della esecuzione penale. Ciò significa che una progettualità penitenziaria, necessaria e non differibile, è senza sbocco se non può contare su una rete di attenzione in termini di servizi e di risorse da mettere in campo nella comunità locale, come i servizi del territorio sia sociali che sanitari (dipartimenti di salute mentale, consultori, centri ad hoc, ecc.). Luigia Mariotti Culla, conclude sostenendo che andrebbe rivista la previsione «angusta» della legge 3 agosto 1998 n. 269 nella parte in cui prevede la costituzione del Fondo Speciale per il sostegno alle vittime e «nei limiti delle risorse effettivamente disponibili al recupero di coloro che riconosciuti responsabili dei reati previsti dagli articoli 600 bis, ter, quater del codice penale, facciano apposita richiesta» (art. 17). Occorrerebbe una scelta più coraggiosa in termini di impegno economico esplicito per attirare sia la ricerca che la sperimentazione di percorsi efficaci di controllo del fenomeno e del problema connesso con la lotta alla recidiva dei soggetti condannati. (297)
5.2. Il progetto In.Tra. For Wolf nella Casa Circondariale di Prato
La Direzione della Casa Circondariale di Prato ha realizzato, nel 2002, il Progetto In. Tra. For Wolf (298). Il programma del Progetto prevede degli interventi specifici di trattamento per gli autori di reati sessuali ristretti presso la C.C. di Prato. Il gruppo di lavoro prevede la costituzione di un comitato scientifico (che opera in termini di monitoraggio, supervisione dei contenuti e verifica dei risultati del programma anche in itinere); un comitato organizzativo interistituzionale; un Team di gestione, sotto la conduzione della Direzione del C.C. di Prato, composto da operatori appartenenti all'area contabile, pedagogica, sanitaria, della sicurezza e al mondo del volontariato; infine alcuni operatori designati tra le varie professionalità dell'amministrazione penitenziaria, del volontariato, della comunità esterna e del settore no profit.
Ciò che il programma sembra voler raggiungere, è la formazione di un clima ambientale che promuove l'umanizzazione dell'esecuzione penale nei confronti dei detenuti, solitamente relegati in condizione di costante isolamento (gli autori di violenze sessuali vengono inseriti in una sezione protetta all'interno della struttura carceraria) e deterioramento psicofisico, per sviluppare processi di autodeterminazione e di autocoscienza attraverso efficaci prese in carico multidisciplinari, individuali e/o comunitarie, verso percorsi esistenziali alternativi. La proposta è quella di offrire una gamma di opportunità psico-socio-relazionali e trattamentali, individualizzando, con il contributo attivo degli utenti, i singoli percorsi e quelli di gruppo. La presenza della comunità esterna ai percorsi trattamentali, potrebbe essere efficace per evitare il deterioramento psicofisico di tali soggetti e consentire momenti di autocoscienza verso un reale reinserimento sociale.
Gruppo dei conduttori
Dalle esperienze fatte in altri paesi nel campo dei Sexual Offenders, risulta che un programma attuato in un penitenziario non è realizzabile se a condurlo non è principalmente, ma non solo, lo staff interno, il cui ruolo è, quindi, fondamentale (299). Le motivazioni di quest'affermazione risiedono nelle seguenti constatazioni:
il lavoro con i Sexual Offenders assume rilievo se rientra a pieno titolo nella visione globale dell'opera trattamentale svolta all'interno del carcere mentre, quando viene svolto da specialisti esterni, viene considerato secondario e assume carattere d'intervento sganciato dal contesto e quindi con valenza ridotta;
le iniziative attuate dallo staff interno in coordinazione/integrazione con gli operatori esterni hanno sempre molte più chances di successo rispetto a quelle realizzate dal solo personale esterno, in quanto gli operatori interni hanno un interesse assegnato, acquisito verso il successo di questi programmi ed hanno molto più potere di aumentare o diminuire le possibilità di riuscita dello stesso.
I destinatari
I destinatari del progetto sono i detenuti di reati sessuali ristretti presso la sezione protetta della Casa Circondariale di Prato, con possibilità di ospitarne fino a quarantacinque. I detenuti saranno divisi in due o più sottogruppi di 10/15 soggetti formati secondo il principio della massima eterogeneità riguardo ai tipi di reati sessuali commessi. Una serie di ragioni consigliano di attuare questo tipo di trattamento nell'ambito del lavoro di gruppo preceduto e preparato opportunamente da interventi mirati di Counseling individuale (300):
il numero di operatori necessario a svolgerlo è minore nel gruppo piuttosto che nel lavoro individuale e il gruppo appare un contesto di aperture e di dinamiche più ricche e significative per la comprensione dei casi;
gli esperti di reati sessuali sono i detenuti stessi, quindi ha molto più senso che siano proprio loro a raccontarsi e a contestarsi fra di loro nell'ambito di una relazione di gruppo, dove è più facile l'esplicitazione con gli esperti delle strategie di autoinganno o di dissimulazione;
il rischio che il detenuto riesca a fuorviare e a manipolare gli operatori, evitando anche di parlare egli argomenti cruciali, diminuisce sensibilmente nel gruppo di lavoro;
i gruppi dovranno avere una composizione eterogenea, presentando una gamma più vasta possibile di comportamenti devianti, in modo che il confronto e la discussione riesca a portare alla luce diversi punti di vista e contemporaneamente agevoli la messa a fuoco di differenti obiettivi o sub obiettivi all'interno del gruppo;
i gruppi favoriscono il processo di risocializzazione dei propri membri, lo sviluppo delle relative abilità interpersonali e di processi cognitivi appropriati (301).
La metodologia
Secondo il Progetto (302), il metodo reale con cui realizzare il programma di trattamento dei Sexual Offenders, non può essere presupposto dagli operatori, ma deve essere ritrovato attraverso un'elaborazione comune, dove le differenze non allontanino ma arricchiscono nella comprensione dell'esperienza di aiuto. Secondo gli autori del progetto, non ci sono metodi scontati da adottarsi, tutto va valutato ed elaborato, il che si traduce in una prima fase di messa in comune di approcci, esperienze, problemi, dando vita ad un utile laboratorio creativo che istituisca una continua messa in gioco di presupposti, paradigmi e pregiudizi. Occorre prevedere, prima di intervenire, la gamma di strumenti e di analisi degli approcci più opportuni per i singoli casi e per i gruppi.
A seconda dei casi si possono utilizzare i più diversi approcci: sistematico-relazionale, psicodinamico, cognitivo-comportamentale, autobiografico, ecc. Deve comunque risultare sempre prioritario rispetto ad ogni possibile rischio di tecnicismo, il rispetto della inviolabilità delle libere scelte di atuodeterminarsi da parte degli utenti, compatibilmente alle regole di convivenza civile e dei diritti umani. È chiaro che un'ampia rosa di possibilità trattamentali predisposta dall'equipe, permetterà di arrivare ad un'esecuzione del programma di interventi più incisiva, ed i fautori del Progetto dichiarano di preferire un approccio cognitivo-comportamentale, oppure introspettivo, secondo la valutazione delle capacità verbali, simboliche e sociali dell'individuo, ecc., piuttosto che essere vincolati ad un unico orientamento teorico.
I programmi degli esperti del team, tenderanno a dare sistematicità alle letture dell'esperienza avviata, anche secondo i seguenti punti (303):
formulazione di una scala che analizza i differenti percorsi che hanno portato al compimento del reato e gli errori di pensiero ad essi associati;
predisposizione di schede relative alle storie personali, all'immagine che hanno di sé questi detenuti e all'immagine che hanno della propria funzione sociale;
ideazione di schede relative alla capacità del detenuto di sviluppare una coscienza della vittima e l'empatia con essa;
analisi della percezione e della cultura della sessualità;
annotazione dei progetti di vita e delle loro variazioni, quali derivino dai dialoghi, racconti, composizioni, fantasie, ecc.;
lettura della capacità di modellamento delle abilità sociali attraverso la promozione dell'espressività corporea, emotiva e artistica;
valutazione della capacità di relazionarsi con gli altri, coinvolgendo, ove possibile, le famiglie e/o le persone amiche nei percorsi di reinserimento.
Nel progetto, si evince chiaramente che sarà il lavoro di gruppo ad essere privilegiato, lavoro ritenuto dagli operatori più idoneo perché il detenuto riconosce, nell'ambito del gruppo, la propria esigenza di cambiamento di fronte ai suoi simili, poiché i partecipanti al gruppo possono sempre richiedere un aiuto esterno per risolvere particolari problematiche sorte nell'ambito del lavoro collettivo, problematiche che, se fossero affrontate all'interno del gruppo, potrebbero diventare fuorvianti (304), perché il carico delle contestazioni che possono sorgere all'interno del gruppo è ripartito tra tutti i partecipanti e non ricade, quindi, interamente sul Tutor come accadrebbe in una relazione a due.
Tempi e durata del programma
Il Programma per la complessità dell'articolazione interna e per gli ambiziosi scopi che si prefigge di raggiungere, non può avere una durata inferiore a 3 anni. Le diverse fasi di lavoro previste, che potranno risultare anche coincidenti circa i tempi di svolgimento, sono le seguenti (305):
1º anno:
informazioni ai detenuti da coinvolgere per la realizzazione del progetto circa le grandi linee della sperimentazione che si realizzerà presso l'istituto di Prato, che sarà rivolto agli autori di reati sessuali ristretti negli istituti C.C. Prato, C.C. Firenze Sollicciano, C.R. Porto Azzurro e altri istituti toscani dove sono concentrati la maggior parte di Sexual Offenders che vorranno aderire al progetto;
selezione ed assegnazione a Prato dei Sex Offenders da ammettere al programma. (Successivamente il gruppo di ricercatori del comitato scientifico si recherà all'interno degli istituti di provenienza dei soggetti interessati al programma e informerà sulle attività del programma);
formazione degli operatori;
fase di formazione dei gruppi di utenti d'intesa tra direzione, team e gestione di esperti (306);
fase di verifica dei risultati (in itinere), a fine ciclo (previste 4 edizioni), stesura relazione e presentazione risultati in una conferenza da organizzare nell'istituto e/o sul territorio allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento.
2º anno e 3º anno: alla luce dei risultati e delle problematiche evidenziate nel primo anno di attività, il Comitato Scientifico provvederà ad effettuare una ri-progettazione sia della formazione che dell'andamento del progetto (307).
5.2.1. Il Team del progetto In. Tra. For Wolf: intervista alla Dott.sa Alessandra Scotto
La Dott.ssa Alessandra Scotto, donna saggia e dolce, fa parte del Team di gestione che si occupa attivamente del progetto In. Tra. For Wolf realizzato alla Casa Circondariale di Prato, sotto la direzione del criminologo Dott. Silvio Ciappi.
Nel corso dell'intervista, la dottoressa Scotto mi chiarisce che siamo al secondo anno di realizzazione del progetto e quindi nella parte "pratica".
I detenuti condannati per reati di pedofilia e di violenza sessuale, si trovano tutti in un'unica sezione a Prato (la settima), una sorta di "isolamento" da tutti gli altri carcerati. Di tutti i detenuti in settima sezione, circa 10 detenuti continuano a dichiarasi innocenti e hanno espresso la volontà di non partecipare al trattamento previsto dal progetto For Wolf; alcuni hanno preferito un percorso individuale; mentre 8 detenuti, attualmente, hanno deciso di sottoporsi a questo trattamento per "cercare di cambiare vita" («il gruppo è comunque aperto ad ogni nuovo inserimento» sottolinea la Dottoressa Scotto).
La Scotto mi dice che coloro che non si sentono colpevoli e che quindi rifiutano trattamenti e discussioni individuali o di gruppo, vengono considerati una sorta di "gruppo di controllo" che permetterà di verificare il lavoro svolto sui soggetti in trattamento, mettendoli a confronto, in un momento successivo, per poter verificare le differenze comportamentali di chi si ritiene innocente, nonostante una sentenza di condanna e di chi invece, avendo partecipato al progetto ha, si spera, raggiunto un livello di accettazione e comprensione della responsabilità personale tale da evitare la recidiva.
Il trattamento consiste sia in un percorso individuale per chi non se la sente ancora di confrontarsi, sia in incontri in gruppi di soggetti che permette di discutere, di confrontarsi, di aprirsi ed analizzarsi. La dottoressa mi rende consapevole del fatto che molti detenuti si rendono conto della gravità sociale del fatto da loro commesso e dello stile di vita condotto fino a quel momento, soprattutto al momento in cui vengono inseriti in sezione, una sezione "speciale" del carcere di Prato, lontano da tutti gli altri che li disapprovano. L' "isolamento" al quale sono costretti li porta a mettersi in discussione ed a cercare di capire i motivi per cui sono attaccati non solo dalla riprovazione sociale, ma anche da quella di tutti gli altri compagni di percorso carcerario, che sfogherebbero volentieri la loro rabbia su chi è ritenuto un "infame".
Ciò che durante le sedute Alessandra Scotto ha potuto evincere, è la costante della degradazione familiare da cui questi soggetti provengono, quasi tutti hanno subito violenze ed abusi sessuali (soprattutto intrafamiliari), quel tipo di sessualità violenta o incestuosa è quella da loro ritenuta "normale", per questo per alcuni, sottolinea la Scotto «è difficile capire che si tratta di un reato che provoca gravissimi danni alla vittima, vittima che se non curata in tempo, potrebbe diventare a sua volta "carnefice"».
A questo proposito comunque, un traguardo importante è stato raggiunto dalla terapia: in molti si è verificata una vera e propria empatia nei confronti della vittima, consapevolezza del dolore e del danno provocato, ripudio verso atti che non vorrebbero più essere ripetuti, un tunnel di perversione dal quale i rei hanno capito di voler davvero uscire. La dottoressa mi spiega che tutta la terapia è basata su un primo approccio di comprensione: per poter agire occorre capire il perchè, per arrivare a colpire l'eventuale recidiva occorre che il soggetto si apra, si metta in discussione, comincia ad avere un dialogo con gli altri, compia un lavoro su se stesso che parte dalle parole. E proprio per favorire la comunicazione, il progetto In. Tra. For Wolf, ha previsto una serie di corsi iniziati nel gennaio 2004, come ad esempio: corso di alfabetizzazione e lettura di giornali; corso di bonsai; corso di tecniche psicomotorie di autocoscienza; cineforum; corso di linguaggio espressivo; corso di autobiografia; corso di arte terapeutica; gruppo di redazione del giornalino TAITA.
La partecipazione ai corsi, oltre a favorire il linguaggio ed il confronto con se stessi, permette agli operatori di monitorare da ogni punto di vista, l'attività del pedofilo e l'eventuale cambio comportamentale.
Il programma sembra che funzioni, Alessandra Scotto non nasconde la soddisfazione, l'unico rammarico riguarda l'assenza di un appoggio esterno: il progetto prevede per ora, soltanto un trattamento interno, ma vista la delicatezza della questione, dovrebbe essere garantito anche un supporto da centri esterni al carcere, un progetto questo, ancora in fase di studio.
Note
1. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996; G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
2. G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
3. L. De Cataldo Neuburger, La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, (a cura di), Cedam, Padova, 1999.
4. J. K. E. von Fritzläer, Summa Sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
5. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996; G.O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica, trad. it., Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995.
6. M. Accorsi. A. Berti, Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Ed., Genova, 1999.
7. American Psychiatric Association, op. cit.
8. J. McDougall, A favore di una certa anormalità, trad. it., Borla, Roma, 1993.
9. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996.
10. M. Accorsi, A. Berti, Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Ed., Genova, 1999.
11. American Psychiatric Association, op. cit.
12. Dati pubblicati dal CENSIS in data 15 luglio 1998.
13. F. Putrella, Traumi psichici. Il trauma infantile nella prospettiva dell'adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994.
14. A. Berti, D. Malagamba, Disturbo Post Traumatico da Stress: aspetti psicopatologico e terapeutici, in Giornale italiano di psicopatologia, 2, 1998, pp. 200-209.
15. H. Kohut, in: Narcisismo e analisi del Sé, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1976.
16. P.A. Harrison, J.A. Fulkerson, T.J. Beebe, Multiple Substance use among Adolescent Physical and Sexual Abuse Victims, in Child Abuse Neglect, 21, 1997, pp. 529-539.
17. P.A. Harrison, J.A. Fulkerson, T.J. Beebe, Multiple Substance use among Adolescent Physical and Sexual Abuse Victims, in Child Abuse Neglect, 21, 1997.
18. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in, M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999.
19. Secondo il DSM-IV il sadico è colui che, per un periodo minimo di sei mesi, ha fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti dal punto di vista sessuale che comportano azioni (reali, non simulate) in cui la sofferenza psichica e/o fisica della vittima è sessualmente eccitante. Tali fantasie, impulsi o comportamenti sessuali devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996
20. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in, M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999, p. 182.
21. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1923, p. 197-213.
22. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1923.
23. J. K. E. Von Fritzläer, Summa sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
24. J. K. E. Von Fritzläer, Summa sexualis, Dellavalle Ed., Torino, 1969.
25. V. Andreoli, Voglia di ammazzare. Analisi di un desiderio, Rizzoli, Milano, 1996; L. de Cataldo Neuburger, La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, (a cura di), Cedam, Padova, 1999.
26. A. Limentani, Perversioni trattabili e intrattabili, Glover Conference, Londra, 1987.
27. American Psychiatric Association, DSM-IV Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, trad. it., Masson, Milano, 1996.
28. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
29. G. Gullotta, La scienza della vita quotidiana, Giuffrè, Milano, 1995.
30. J.R. Feiermann, Pedophilia: Paraphilic Attraction to Children, in J.J. Krivacska, J. Money (a cura di), in J.J. Krivacska, J. Money (a cura di), The Handbook of Forensic Sexuology, Prometheus Books, New York, 1994, p. 49-79.
31. A. N. Groth, H.J. Birnbaum, Adult sexual Oientation and Attraction to Underage Persons, in Archives of Sexual Behavior, 7 (3), 1978, p. 175-181.
32. A. N. Groth, W. Hobson, W. Gary, The Child Molester: Clinical Observations, in J. Conte, D. Shore (a cura di), Social Work and Child Sexual Abuse, Haworth, New York, 1982, p. 129-144.
33. C. Camarca, I santi innocenti, Baldini & Castaldi, Milano, 1998.
34. C. Camarca, I santi innocenti, Baldini & Castaldi, Milano, 1998, p. 23.
35. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980; P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983; K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
36. K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992, p. 18.
37. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980.
38. M. Picozzi e M. Maggi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano, 2003.
39. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980; P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983; K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
40. K.V. Lanning, Child Molester:a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
41. A.W. Burgess, A.N. Groth, L.L. Holmostrom, Sexual Assault of Children and Adolescent, Lexington Books, Lexington, 1980.
42. P.E. Dietz, Sex Offence: Behavioral Aspects. In Encyclopedia of Crime and Justice, Free Press, New York, 1983.
43. K.V. Lanning, Child Molester: a Behavioral Analysis, National center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia, 1992.
44. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia non chiamatelo amore, Guerini e Associati, 2003, pp 24-29.
45. K. V. Lanning, Child Sex Ring: a Behavioral Analysis, National Center for Missing and Exploited Children, Arlington, Virginia.
46. R. Holmes, St. Holmes, Profilino Violent Crimes. An Investigative Tool, Sage, London, 1996.
47. A. N. Groth, H.J. Birnbaum, Adult sezual Oientation and Attraction to Underage Persons, in Archives of Sexual Behavior, 7 (3), 1978, p. 175-181.
48. R. Holmes, St. Holmes, Profil on Violent Crimes. An Investigative Tool, Sage, London, 1996.
49. T. R. O'Connor, Treatment in Transition: the Role of Psychiatria Correction, in Journal of Contemporary Criminal Justice, 13(3), 2001, p. 81-100.
50. R.R. Hazolwood, A.W. Burgess, Pratical Aspects of Rape Investigation, CRC Press LLc, Boca Raton, Florida, 1995.
51. T. R. O'Connor, Treatment in Transition: the Role of Psychiatria Correction, in Journal of Contemporary Criminal Justice, 13(3), 2001, p. 81-100.
52. T. R. O'Connor, Sexual Cannibalism, in The Encyclopedia of Criminology and Deviant Behavior, Clifton Bryant New York Brumer-Routledge, New York, 2001.
53. S. Freud, L'etiologia dell'isteria, in O.S.F., Boringhieri, Torino, 1984.
54. R. J. Stoller, Perversione, Feltrinelli, Milano, 1978.
55. Istituto degli Innocenti, Pianeta Infanzia Questioni e documenti, Dossier monografico: violenze sessuali sulle bambine e sui bambini, Firenze, 1998.
56. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
57. R. Wyss, op. cit.
58. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
59. A. Giannotti, Lo sviluppo psico-affettivo della Sessualità nella prima infanzia, in Rivista di Sessuologia, vol. 4º, n. 2, p. 67.
60. A. Lanotte, La pedofilia: «Se questo è amore». Psicologia e psicopatologia dell'incontro, in L. de Cataldo Neuburger (a cura di), La pedofilia. Aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Cedam, Padova, 1999, p.22-36.
61. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1972.
62. J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi, trad. it., Einaudi, Torino, 1967.
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64. B. Di Tullio, Manuale di Antropologia e Psicologia Criminale, Anonima Romana Editoriale, Roma, 1931.
65. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
66. S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, Opere, vol. 4, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1970.
67. D.W. Winnicott, La preoccupazione Materna Primaria, dalla Pediatria alla Psicoanalisi, trad. it., Marinelli, Firenze, 1975.
68. La capacità riproduttiva è fatta coincidere con il raggiungimento della maturità sessuale. Quindi corrisponde al menarca, ovvero al completamento del primo ciclo mestruale per le femmine e la riscontrata capacità di eiaculare per i maschi. M. Laufer, E. Laufer, Adolescenza e break down evolutivo, trad. it. Boringhieri, Torino, 1984.
69. Il Concilio di Trento fu indetto da Papa Paolo III nel 1545 e si chiuse nel 1566.
70. Negli Stati Uniti la ragazza media raggiungeva il menarca all'età di 14 anni nel 1910 e a 13 ca. negli anni successivi fino alla metà degli anni Cinquanta, quando l'età media di comparsa del menarca ha teso a stabilizzarsi. G. Bullough, op. cit.
71. Che comprendono, naturalmente, innanzi tutto una dieta diversa e condizioni di vita diverse. Bullough, op. cit.
72. Anche perché, nella storia dei paesi occidentali, l'età da matrimonio è andata alzandosi mentre l'età della maturazione sessuale è andata sempre più abbassandosi. Se la maturità sessuale biologica (menarca ed eiaculazione) avviene sempre prima e la maturità sessuale sociale (matrimonio) avviene sempre dopo, resta in mezzo, e sempre meno giustificata, la soglia giuridica della maturità sessuale. D. Meltzer, Psicopatologia dell'adolescenza, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, Borla, Roma, 1978.
73. D. Meltzer, Psicopatologia dell'adolescenza, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, Borla, Roma, 1978.
74. M. Glasser, Homosexuality in adolescence, in Br. J. Med. Psycol., 50, 1977, p. 217.
75. M. Laufer, Ego ideal and pseudo ego ideal in adolescence, in Psychoanalytical Study Child, 1964, p. 19.
76. A. Novelletto, Psichiatria psicoanalitica dell'adolescenza, Borla, Roma, 1986.
77. M. Mead, Antropologia: una scienza umana, Ubaldini, Roma, 1970.
78. D. Meltzer, Teoria della perversione sessuale. Perversità, in Quaderni di Psicoterapia Infantile, 1979, 1, 79, p. 101.
79. G. Herdt, Cultural psychology: essays on comparative development, Cambridge University Press, 1992.
80. M. Mead, Antropologia: una scienza umana, Ubaldini, Roma, 1970.
81. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini, Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Rizzoli, Milano, 2003, p. 20 ss.
82. Rituali di inversione sociali ancora presenti nella nostra cultura sono, ad esempio, l'addio al celibato o il carnevale. V. Andreoli, op. cit.
83. La prepubertà è il periodo che antecede la pubertà, il periodo di sviluppo o di inizo dell'attività delle ghiandole sessuali, che si manifesta nella donna con la prima mestruazione, nell'uomo, con la produzione di sperma. P. Blos, L'adolescenza come fase di transizione. Aspetti e problemi del suo sviluppo, Armando, Roma, 1979.
84. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Superbur Saggi, Rizzoli, Milano, 2003, p. 146 ss.
85. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, 3ª ed., Superbur Saggi, Rizzoli, Milano, 2003 p. 167-168.
86. A. Gombia, Bambini da salvare, Ed. Red, Novara, 2002, p. 58.
87. A. Miller, Il dramma del bambino dotato, in P. Mingone, Trauma reale e fantasie: considerazioni su alcuni sviluppi della psicoanalisi contemporanea, Gli Argonauti, n. 60 Milano, 1994, p. 61-74.
88. S. Freud, Etiologia dell'isteria, in Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino, 1986, p. 159.
89. S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess, Bollati Boringhieri, Torino, 1986.
90. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccoli vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 189-190.
91. S. Freud, Progetto di una psicologia, in Opere, vol. II, Bollati Boringhieri, Torino, 1968.
92. S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi), in Opere, vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
93. M. Baranger, W. Baranger, Il trauma psichico infantile dai giorni nostri a Freud: trauma puro, retroattività e ricostruzione, in M. Baranger, W. Baranger, La situazione psicoanalitica come campo bipersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1990.
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97. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, DSM-IV-TR, IV Ed., APA, Washington D.C., 2000.
98. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccoli vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 190.
99. A.C. Salter, Treating Child Sex Offenders and Victims, Sage Publication, Newbury Park, 1988.
100. A.H. Green, Child Abuse, in Journal of the American Academy of Child Psychiatry, 1994, nº22, p. 3.
101. Alla ricerca hanno collaborato: Alessandro Berti, psichiatra e psicoterapeuta, Dirigente del Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell'Università di Genova; Simona Firpo, psicologa; Lucio Ghio, psichiatra e psicoterapeuta, Dirigente medico di I livello SSM, ASL 3 di Genova, e Lucia Lavagna, psichiatra che lavora presso il Dipartimento di Scienze Psichiatriche sessuale infantile, di età compresa tra i 16 e i 46 anni, di cui 7 di sesso maschile e 28 di sesso femminile. M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, (a cura di), Ed. Erga, Genova, 1999, p. 191-201.
102. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali colloca il disturbo borderline all'interno dei disturbi di personalità nel gruppo noto come "drammatico-imprevedibile" e lo definisce: «Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore ed una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi» così riassumibili:
sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;
alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, ecc.;
instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni);
sentimenti cronici di vuoto;
rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici);
ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.
Ciò che emerge come caratteristica fondamentale dei pazienti borderline è una paura eccessiva di essere abbandonati e la "lunaticità" dell'umore dei pazienti borderline, che varia da uno stato depressivo e pessimista ad uno stato di rabbia intensa. Cfr. American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVº ed, (DSM-IV), Masson, Milano, 1996, p. 358. Secondo molti autori però, la classificazione del DSM è insufficiente, perché non esiste un unico paziente borderline che risponde a specifici e standardizzati criteri diagnostici. Anzi, sconfessando il DSM. secondo questi autori il termine "disturbo" è limitante e preferiscono riferirsi alla condizione borderline come ad un'organizzazione di personalità. Vedi M. Baranello, Trauma ed eziopatogenesi del disturbo borderline di personalità, in SRM Psicologia Rivista, 2001 (gli autori a cui si riferisce sono: G.O. Gabbard, Psichiatria Psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM-IV, Raffaello Cortina Ed., Milano, 1995 e O. Kernberg, Relazioni d'amore, Raffaello Cortina Ed., Milano, 1996).
103. J.M. Goodwin, K Cheeves, V. Connell, Bordeline and Other Severe Symptoms in Adult Survivors of Incestuous Abuse, in Psychiatrics Annals, 20, 1990, p. 22-32.
104. J. Everill, G. Waller, Reported Sexual Abuse and Eating Psychopathology: a Review of Evidence for a Causal Link, in International Journal of Eating Disorder, 18, 1995, p. 1-11.
105. Lacey ed Evans parlano, a questo proposito, di multiimpulsive personality disorder per un soggetti con la tendenza a manifestare un'insieme di comportamenti impulsivi e autolesionistici in concomitanza con il loro comportamento alimentare disturbato. JH. Lacey, DH. Evans, The Impulsivist: A Multiimpulsive PersonalityDisorder, Breitish J Addiction, 81, 1986, p. 641-649.
106. M. Rorty, J. Yager, Histories of Childhood Trauma and Complex Posttraumatic Sequelae in Women with Eating Disorder, in The Psychiatric Clinics of North America, 19, 1996, p. 773-791.
107. J. Moncrieff, C. Drummond, B. Candy, K. Checinsky, R. Farmer, Sexual Abuse in People with Alcohol Problmes. A Study of the Prevalence of Sexual Abuse and its Relationship to Drinking Behaviour, in Br J Psychiatry, 169, 1996, p. 355-360.
108. M. Klein, Tendenze criminali nei bambini normali. Psicoanalisi dei bambini, Bollati Boringhieri, Milano, 1923, p. 293-296.
109. C. Ainscough, K. Toon, Liberarsi, Calderini, Bologna, 1997.
110. L. Baldascini, Vita da adolescenti, Franco Angeli, Milano, 1996.
111. A. Gombia, Bambini da salvare, Red Edizioni, Novara, 2002,p. 63.
112. C. Ainscough, K. Toon, Liberarsi, Calderini, Bologna, 1997.
113. A. Gombia, op. cit.,p. 62-65.
114. Contrazione dei muscoli vaginali, con conseguente impossibilità ad avere il rapporto sessuale. E. Gaddini, R. De Benedetti Gaddini, La frustrazione come fattore della crescita normale e patologica, in Scritti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989.
115. A. Gombia, Bambini da salvare, Red Edizioni, Novara, 2002, p. 64.
116. A. Carotenuto, Amare tradire, Bompiani, Milano, 1991.
117. M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999.
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121. G. Nass, Unzucht mit Kinder - Das Sexualdelik unserer Zeit, in Mschr. Krim. u Strafr, 37, 1954.
122. P. Plaut, der Sexualverbrecher und Seine Persönlichkeii, Enke, Stoccarda, 1960.
123. G. Nass, Unzucht mit Kinder - Das Sexualdelik unserer Zeit, in Mschr. Krim. u Strafr, 37, 1954, p. 69.
124. P. Plaut, der Sexualverbrecher und Seine Persönlichkeii, Enke, Stoccarda, 1960.
125. W. Schulte, Griese als Täter Unzüchtiger Handlungen an Kindern, in Mschr. Krim., 5-6, 1959, p. 538; H. Giese, Psychopathologie der Sexualität, F. Enke Verlag, Stuttgart, 1962; V.E. Von Gebsattel, Allgemeine und Medizinische Anthropolgie des Geschlechtslebens. Die Sexualität del Menschen, F. Enke Verlag, Stuttgart, 1968.
126. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
127. R. Wyss, op. cit. p. 12.
128. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
129. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
130. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
131. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
132. H. Burger-Pinz, Die Persönalich des Pädofilen (Korreferat), in Beitr. Sexualforsch., 34, 1965, pp, 18-23.
133. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3d., 1968.
134. A. Jaria, P. Capri, A. Lanotte, Osservazioni e riflessioni psicopatologiche e peritali relative ad un caso di pedofilia, 1º Congresso Internazionale di Psichiatria Forense, Università di Roma, "La Sapienza", Roma, 2-3 novembre, 1993; A. Jaria, P. Capri, A. Lanotte, Aspetti e problemi attuali della pedofilia, in A. Palma e F. De Marco (a cura di), L'amore da Edipo a Orfeo,La Bussola Ed. Ferentino, 1995.
135. A. Jaria, A. Lanotte, P. Capir, A.M. Bambino, A. De Petrillo, L. Fuerte, T. Liverani, La pedofilia. comunicazione e contesto sociale nell'ambito dei reati sessuali su minori, in Attualità in Psicologia, anno XI, vol. 2, Eur Ed., Roma.
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137. M. Renard, Pedophilie, in Enciclopedie Medico-Chirurgicale Psychiatrie, vol. 1, 3705 G 10, 1960.
138. A. Jaria, A. Lanotte, P. Capir, A.M. Bambino, A. De Petrillo, L. Fuerte, T. Liverani, La pedofilia. comunicazione e contesto sociale nell'ambito dei reati sessuali su minori, in Attualità in Psicologia, anno XI, vol. 2, Eur Ed., Roma.
139. L. Lavagna, Pedofilia e sadismo: criteri classificativi storici e attuali, in M. Acconci, A. Berti, Grandi reati piccole vittime, (a cura di) Erga Ed., Genova, 1999, p. 97.
140. A. Limentani, Perversioni trattabili e intrattabili, Glover Conference, Londra, 1987.
141. Interessante notare come il termine "pedofilia" è apparso nell'archivio delle Agenzie ANSA solo dopo il 1987. ANSA, Voce pedofilia. Dal novembre 1987 al maggio 1994.
142. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-IV-TR, IV ed., APA, Washington D.C., 2000.
143. Ibidem.
144. Ibidem.
145. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-IV-TR, IV ed., APA, Washington D.C., 2000.
146. A. Jaria e P. Capri, La pedofilia, aspetti psichiatrici e criminologici, in F. Ferracuti (a cura di) Criminologia e Psichiatria Forense delle Condotte Sessuali Normali, Abnormi e Criminali, Giuffrè, Milano, 1988.
147. A. Jaria e P. Capri, op. cit., p. 80-81.
148. A. Moll, The Sexual Life of the Child, McMillan Co., New York, 1912.
149. B. C. Jr. Glueck, Prfophilia Sexual Behavior and the Law, Thomas Publ., Springfield, Illinois, 1965.
150. Ibidem, p. 80.
151. A. Jaria, Contributo allo studio della pedofilia e delle sue implicanze psichiatrico-forensi, in Il lavoro neuropsichiatrici, vol 44, fasc. 3., 1968.
152. R. Wyss, Unzucht mit Kindern, Springer, Berlino, 1967.
153. L. de Cataldo Neuburger, La pedofilia, aspetti sociali, psico-giuridici, normativi e vittimologici, Cedam, Padova, 1999.
154. A. Jaria e P. Capri, La pedofilia, aspetti psichiatrici e criminologici, in F. Ferracuti (a cura di) Criminologia e Psichiatria Forense delle Condotte Sessuali Normali, Abnormi e Criminali, Giuffrè, Milano, 1988.
155. Ibidem.
156. Art. 31 Costituzione italiana.
157. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999.
158. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
159. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999, p. 218.
160. A. Berti, op. cit., p. 219.
161. A. H. Green, Comparing Child Victims and Adult Survivors: Clues to the Pathogenesis on Child Sexual Abuse, in Journal of The American Academy of Psychoanalisis, 23, 1995, pp. 655-670.
162. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
163. A. Berti, La perizia psichiatrica del pedofilo, in (a cura di) M. Acconci e A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999.
164. A. Berti, op. cit., p. 216.
165. A. H. Green, Comparino Child Victims and Adult Survivors: Clues to the Pathogenesis on Child Sexual Abuse, in Journal of The American Academy of Psychoanalisis, 23, 1995, pp. 655-670.
166. P. J. Fagan, Treatment Case: a Couple with Sexual Dysfunction and Paraphilia in Personality Disorder and the Five-Factor Model of Personality, Costa P.T. and Widiger, Thomas Ed. American Psychologica Association Washington DC, 1994, p. 151-157.
167. I dati della vicenda di Luigi Chiatti sono tratti da:V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001; V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003; G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.
168. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 155.
169. Ibidem, p. 156.
170. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 94-95.
171. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171.
172. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171
173. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
174. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 96-98.
175. M. R. Parsi, Cuore di mostro, Mondatori, Milano, 2002, p. 34.
176. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171
177. M. R. Parsi, Cuore di mostro, Mondatori, Milano, 2002, p. 42.
178. Ibidem.
179. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 158.
180. V. Andreoli, Delitti. Un grande psichiatra indaga sulla storia vera di crimini e follia, Rizzoli, Milano, 2001.
181. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 179.
182. V. Andreoli, op. cit.
183. Ibidem, p. 179.
184. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001.
185. Ibidem.
186. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995,p. 93.
187. Ibidem.
188. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 90.
189. Al processo Chiatti dirà che il primo messaggio lo ha scritto per favorire il rinvenimento del cadavere e perché si sentiva lusingato nell'essere da tutti considerato un mostro. Il secondo perché non voleva che il "merito" della sua attività andasse a quel mitomane che si era accusato del delitto, una sorta di esigenza di protagonismo. Descrive, non senza compiacimento, tutti i dettagli e tutti gli accorgimenti messi in atto per non lasciare impronte digitali sulla carta, nella cabina telefonica, per evitare ogni sospetto. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 100.
190. Dirà che aveva rubato la fotografia di Simone dalla tomba perché «volevo qualcosa di visibile che me lo ricordasse in un momento di felicità». G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 100.
191. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 100.
192. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 104-105.
193. Corte d'Assise di Perugia, 27 febbraio 1995, in Rivista giuridica e Criminologica quadrimestrale. L'indice penale, 1998, p. 358-359.
194. Scala di Wittenborg, test delle matrici di Raven e test Wais, il test SCID II, il test Minnesota Multiphasic Personality Inventory, test dell'albero, test della figura umana, test di Rosenweig e test di Rorschasch, test della famiglia e infine test O.R.T.
195. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 96-98.
196. Ibidem.
197. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, pp. 96-98.
198. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
199. Dalla relazione peritale del consulente del pubblico ministero.
200. Ibidem.
201. Ivi.
202. Dalla relazione peritale del consulente del pubblico ministero.
203. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 125.
204. Dalla relazione consegnata alla Corte d'Assise d'Appello.
205. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 173-174
206. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 125-126.
207. M. Garbesi, I serial killer, Ed. Teoria, Roma-Napoli, 1997, p. 98.
208. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 102.
209. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, p. 123.
210. Ibidem.
211. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 123-124.
212. Corte d'Assise d'Appello di Perugia, sentenza di secondo grado dell'11 aprile 1996, in Rivista giuridica e Criminologica quadrimestrale, L'indice penale, 1998, p. 361.
213. Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 4 marzo 1997, in Rivista giuridica e Criminologia quadrimestrale, L'Indice penale, 1998, p. 363-365.
214. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 128-129.
215. Ibidem.
216. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 128-129.
217. Ibidem, p. 133.
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231. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, pp. 225-235.
232. Ibidem, pp. 219-223.
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234. Come da legge n. 354 del 1975 che prevede programmi individualizzati con riferimento alla personalità del soggetto, alle caratteristiche psicofisiche ed alle cause di adattamento (art. 13).
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236. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 227.
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238. H. Bless, Manuale di Psichiatria Pastorale, Marietti, Torino, 1950.
239. L. Bonafiglia, Rassegna bibliografica sulle possibili strategie terapeutiche impiegate con pazienti pedofili, in B. Callieri, L. Frighi (a cura di), La problematica attuale delle condotte pedofile, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1999.
240. L. Bonafiglia, op. cit., p. 11.
241. Pius
242. Ibidem, p.256.
243. V. Coresi, Attività sessuali e anomalie, Ed. Zibetti G., Milano, 1960, p. 143.
244. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003.
245. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, SuperBur Ed., Milano, 2003, p. 150.
246. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 227.
247. J. Bergeret, Violence et Dangerositè, in Quaderni di Psichiatria Forense, 1992.
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257. Ibidem.
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259. AA.VV, La violenza nascosta, gli abusi sessuali sui bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1984.
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268. V. Mastronardi, M. Villanova, Sex offenders and Reorganization of Sexual Imaginary in Hypnotic Psychotherapy, in Atti della 7º Conference of the International Association for the Treatment of Sexual Offender (IATSO), Pabst Science Publisher, Lengheric, Vienna, 11-14 settembre 2002, p. 53.
269. F. Granone, Trattati di ipnosi, UTET, Torino, 1989.
270. M. Accorsi, A. Berti (a cura di), Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Ed. Erga, Genova, 1999, p. 233.
271. Il Corriere della Sera del 5 settembre 1997 riporta la notizia della proposta in Francia della castrazione chimica nel caso di reato sessuale: «Parigi - Il pericolo di recidiva nei reati sessuali preoccupa i legislatori. I casi si moltiplicano. Il ministero della Giustizia risponde con un progetto di legge. Al condannato si può vietare di frequentare, una volta fuori dal carcere, luoghi con bambini o di esercitare certi lavori. Ma gli si può anche "ingiungere" il trattamento medico, castrazione chimica compresa».
272. E. Aguglia, A. Riolo, La pedofilia nell'ottica psichiatrica, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1999.
273. R. Catanesi, A. Dell'Erba, Il trattamento dei Sexual Offenders con anti-androgeni, aspetti etici, in F. Carrieri (a cura di), Atti del Convegno di Studi in tema di Sexual Offender, Adriatica Editrice, Bari, 2002.
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275. A. Santosuosso, G. Turri, Trattamenti obbligatori, in M. Barni, A. Santosuosso (a cura di), Medicina e diritto, Giuffrè, Milano, 1995.
276. W. L. Marshall, H. E. Barbaree, Outcome of Cognitive-Behavioral Tratment Programs, in W.L. Marshal, D. R. Law, H. E. Barbaree (a cura di) Handbook of Sexual Assault: Issue, Theories, and Treatment of the Offender, Plenum Press, New York, 1990.
277. C. Balier, Psicoanalisi dei comportamenti sessuali violenti, Centro Scientifico Editore, Torino, 1998.
278. Ibidem, p. 230.
279. U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, UTET, Torino, 1997.
280. R.A. Lang, G.M. Pugh, R. Langevin, Treatment of Incest and Pedophilic Offenders: A Pilot Study, in Behav. Sci. Law, 6(2), 1988, pp. 239-255.
281. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 178-179.
282. M. Acconci, A. Berti (a cura di), Grandi reati piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga Edizioni, Genova, 1999, p. 64.
283. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 178-179.
284. Ibidem.
285. M. Maggi, M. Picozzi, Pedofilia, non chiamatelo amore, Guerini Associati, Milano 2003, p. 179.
286. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, pp. 195-215.
287. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, pp. 195-215.
288. Ibidem.
289. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 200.
290. Ibidem.
291. Dati pubblicati dal CENSIS in data 15 luglio 1998.
292. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 203.
293. L. Mariotti Culla, S. Zinna, op. cit., p. 204.
294. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001.
295. L. Mariotti Culla, S. Zinna, op. cit.
296. Ibidem, p. 210.
297. L. Mariotti Culla, S. Zinna, Lotta alla pedofilia per una comunità più sicura: il contributo dell'amministrazione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, fasc. 1-3, 2001, p. 215.
298. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
299. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
300. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
301. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
302. Ibidem.
303. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
304. Ibidem.
305. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
306. Ibidem.
307. Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Provveditorato Regionale A.P. Toscana, Direzione Casa Circondariale di Prato, Area Pedagogica, Progetto In. Tra. For Wolf Interventi trattamentali per autori di reato sessuale detenuti presso l'Istituto di Prato, Prato, 2002.
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