quattro vittime erano estranee alla camorra
Strage di Ponticelli del 1989, 13 arresti Il boss : quegli innocenti mi pesano ancora
Affiliati al clan Aprea e Sarno. Sono tra i mandanti e gli esecutori del raid nel bar Sayonara: uccise 6 persone
Strage di Ponticelli del 1989, 13 arresti Il boss : quegli innocenti mi pesano ancora
Affiliati al clan Aprea e Sarno. Sono tra i mandanti e gli esecutori del raid nel bar Sayonara: uccise 6 persone
NAPOLI - Tredici persone, affiliate ai clan camorristici dei Sarno e degli Aprea, attivi nella zona orientale del capoluogo campano ed in vaste aree della provincia, ritenute a vario titolo responsabili di strage pluriaggravata, sono state arrestate dai carabinieri del nucleo Investigativo di Napoli. Nei loro confronti è stata emessa dalla magistratura un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Durante le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, (i pm Vincenzo D’Onofrio e Francesco Valentin) i carabinieri hanno scoperto autori, mandanti e movente della cosiddetta strage del bar Sayonara, avvenuta a Napoli, nel quartiere Ponticelli, l’11 novembre 1989, durante lo scontro tra gli «alleati» clan Sarno ed Aprea e quello degli Andreotti, per il controllo degli affari illeciti sul territorio. In quell’occasione furono uccise sei persone, quattro delle quali risultate estranee alla camorra, e ferite tre persone, tra le quali una bambina.
Le ordinanze sono state notificate, in particolare, ai fratelli Antonio, Ciro e Giuseppe Sarno, ritenuti i capi dell’omonimo clan camorristico assieme ai loro cugini Ciro, Vincenzo, Giuseppe e Pasquale, oggi collaboratori di giustizia
IL GIP: ORRORE ANCHE NEGLI ASSASSINI - Scrive il giudice Antonella Terzi nell'ordinanza di custodia cautelare: «Ho cercato invano nel mio limitato vocabolario aggettivi che potessero rappresentare i sentimenti suscitati dalla vicenda oggetto della richiesta cautelare. Nessuno, tra quelli che mi venivano alla mente (feroce, folle, crudele, insensato) mi è parso adatto a descrivere l’orrore di quel tragico tardo pomeriggio di un ormai lontanissimo novembre del 1989». «Quel che accade è davvero troppo. Ed è troppo persino per gli ideatori ed artefici del gesto, che ne ricevono o ne riportano la notizia con inusuale sgomento. “Le mani nei capelli” sono la visibile manifestazione di un raccapriccio cui non riescono a sottrarsi neppure delinquenti incalliti, già rotti ad ogni esperienza».
Una delle rarissime foto a colori della strage di Ponticelli. Accanto al corpo senza vita di gaetano De Cicco, un fucile a canne mozze LA STRAGE - E’ sabato, 11 novembre 1989., sono circa le 18,30 ed a Ponticelli, quartiere di una periferia povera, molte persone affollano le strade adiacenti la gelateria «Sayonara» ed il limitrofo bar «Luisa». Gente normale, che si gode la piacevolezza del clima e si concede un modesto svago. Nei giardinetti di fronte giocano i bambini. «Ma la morte, sotto le sembianze di killer ebbri di droga e assetati di sangue - scrive la gip - è in agguato. I sicari irrompono, armati di armi lunghe e corte. Cercano il figlio del proprietario della gelateria, cercano i suoi amici che si ritrovano abitualmente nel locale e nel bar vicino. Li cercano per ucciderli, senza pietà e mettendo in conto il sacrificio di altre vite». Sparano all’impazzata, decine e decine di colpi, alla cieca, in una sarabanda tragica di violenza sterminatrice. Quindi si allontanano, lasciandosi dietro cinque cadaveri ed un corpo agonizzante. Quattro certamente estranei a qualsivoglia coinvolgimento in storie di criminalità. «Quattro vittime “innocenti” immolate sull’altare di un onnivoro e spregiudicato disegno di affermazione», annota sconsolata la gip Terzi.
LUCE DOPO 21 ANNI - Morti che per oltre un ventennio sono rimaste impunite, avvolte dalla spessa cortina di omertà. «Solo oggi - aggiunge il magistrato - siamo in condizione di leggere compiutamente quegli eventi, di inquadrarli nella loro genesi, di decriptarne gli effetti. Tutto questo è reso possibile dalle recenti scelte collaborative dei fratelli Sarno, intervenute, a pioggia, dall’estate del 2009 e che hanno, sostanzialmente, dissolto l’impero criminale che costoro erano riusciti a creare».
Il bar teatro della strage nel 1989
IL BOSS PENTITO: ANCORA MI PESA - Uno dei mandanti, il boss oggi pentito Ciro Sarno, soprannominato «il sindaco», racconta ai pm in un interrogatorio: «È uno degli episodi più eclatanti e che ancora mi pesa, anche in ragione del fatto che, sebbene sia stato il mandante dell’azione, di certo non volevo gli esiti che poi si sono avuti». Sarno ricorda la preparazione dell’agguato; c’erano già le avvisaglie che sarebbe accaduto qualcosa di brutto: «Prima che (i killer, ndr) partissero venni chiamato da parte da mio cugino Esposito Pacifico, che era preoccupato per il fatto di aver notato che quelli di Barra erano tutti drogati e quindi poco lucidi per un’azione del genere. Gli dissi di non preoccuparsi e diedi il via all’azione». L’ottimismo, però, si dimostrò mal riposto: «Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe, erano drammatiche per due ordini di ragioni, sia perchè mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perchè mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio e colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale».
I PADRINI GUARDAVANO LA SCENA - «Io e mio fratello - racconta Sarno - ci andammo a posizionare su un lastrico solaio di un edificio del parco Vesuvio, da cui si dominava tutta la scena e l’intero rione. Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe “’o maccarone” erano drammatiche per due ordini di ragione, sia perché mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perché mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio e colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale. Le auto con i killer andarono via dopo l’azione recandosi a Barra dove c’era ad attenderli Gennaro Aprea. Durante il percorso gli autori della strage furono costretti ad abbandonare una delle macchine; l’altra invece venne dato alle fiamme nelle zone di Barra. Quando fece ritorno mio cugino Sarno Ciro era ancora sconvolto da ciò che era successo. Si era infatti reso conto che erano stati colpiti degli innocenti e che invece erano riusciti a scappare gli altri appartenenti al gruppo di Andreotti. Mi parlò dei fratelli Viscovo (uno dei quali, se non erro venne ferito) e di Vincenzo Avolio. Dopo un paio di giorni, nei quali io e mio fratello Giuseppe ci allontanammo dal rione, nell’incontrarmi con De Luca Bossa Umberto pretesi da lui spiegazioni su come potesse essere successa quell’incredibile strage. Egli si giustificò dicendo che il suo obiettivo, Borrelli Antonio, era riuscito a colpirlo, inseguendolo fino a dentro la gelateria, per cui non era riuscito a controllare e a dirigere l’azione degli altri, che avevano sparato all’impazzata».
Titti Beneduce 25 gennaio 2011 fonte: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/25-gennaio-2011/strage-ponticelli-13-arrestisi-fa-luce-ventuno-anni--181323573080.shtml
IL GIP: ORRORE ANCHE NEGLI ASSASSINI - Scrive il giudice Antonella Terzi nell'ordinanza di custodia cautelare: «Ho cercato invano nel mio limitato vocabolario aggettivi che potessero rappresentare i sentimenti suscitati dalla vicenda oggetto della richiesta cautelare. Nessuno, tra quelli che mi venivano alla mente (feroce, folle, crudele, insensato) mi è parso adatto a descrivere l’orrore di quel tragico tardo pomeriggio di un ormai lontanissimo novembre del 1989». «Quel che accade è davvero troppo. Ed è troppo persino per gli ideatori ed artefici del gesto, che ne ricevono o ne riportano la notizia con inusuale sgomento. “Le mani nei capelli” sono la visibile manifestazione di un raccapriccio cui non riescono a sottrarsi neppure delinquenti incalliti, già rotti ad ogni esperienza».
Una delle rarissime foto a colori della strage di Ponticelli. Accanto al corpo senza vita di gaetano De Cicco, un fucile a canne mozze LA STRAGE - E’ sabato, 11 novembre 1989., sono circa le 18,30 ed a Ponticelli, quartiere di una periferia povera, molte persone affollano le strade adiacenti la gelateria «Sayonara» ed il limitrofo bar «Luisa». Gente normale, che si gode la piacevolezza del clima e si concede un modesto svago. Nei giardinetti di fronte giocano i bambini. «Ma la morte, sotto le sembianze di killer ebbri di droga e assetati di sangue - scrive la gip - è in agguato. I sicari irrompono, armati di armi lunghe e corte. Cercano il figlio del proprietario della gelateria, cercano i suoi amici che si ritrovano abitualmente nel locale e nel bar vicino. Li cercano per ucciderli, senza pietà e mettendo in conto il sacrificio di altre vite». Sparano all’impazzata, decine e decine di colpi, alla cieca, in una sarabanda tragica di violenza sterminatrice. Quindi si allontanano, lasciandosi dietro cinque cadaveri ed un corpo agonizzante. Quattro certamente estranei a qualsivoglia coinvolgimento in storie di criminalità. «Quattro vittime “innocenti” immolate sull’altare di un onnivoro e spregiudicato disegno di affermazione», annota sconsolata la gip Terzi.
LUCE DOPO 21 ANNI - Morti che per oltre un ventennio sono rimaste impunite, avvolte dalla spessa cortina di omertà. «Solo oggi - aggiunge il magistrato - siamo in condizione di leggere compiutamente quegli eventi, di inquadrarli nella loro genesi, di decriptarne gli effetti. Tutto questo è reso possibile dalle recenti scelte collaborative dei fratelli Sarno, intervenute, a pioggia, dall’estate del 2009 e che hanno, sostanzialmente, dissolto l’impero criminale che costoro erano riusciti a creare».
Il bar teatro della strage nel 1989
IL BOSS PENTITO: ANCORA MI PESA - Uno dei mandanti, il boss oggi pentito Ciro Sarno, soprannominato «il sindaco», racconta ai pm in un interrogatorio: «È uno degli episodi più eclatanti e che ancora mi pesa, anche in ragione del fatto che, sebbene sia stato il mandante dell’azione, di certo non volevo gli esiti che poi si sono avuti». Sarno ricorda la preparazione dell’agguato; c’erano già le avvisaglie che sarebbe accaduto qualcosa di brutto: «Prima che (i killer, ndr) partissero venni chiamato da parte da mio cugino Esposito Pacifico, che era preoccupato per il fatto di aver notato che quelli di Barra erano tutti drogati e quindi poco lucidi per un’azione del genere. Gli dissi di non preoccuparsi e diedi il via all’azione». L’ottimismo, però, si dimostrò mal riposto: «Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe, erano drammatiche per due ordini di ragioni, sia perchè mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perchè mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio e colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale».
I PADRINI GUARDAVANO LA SCENA - «Io e mio fratello - racconta Sarno - ci andammo a posizionare su un lastrico solaio di un edificio del parco Vesuvio, da cui si dominava tutta la scena e l’intero rione. Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe “’o maccarone” erano drammatiche per due ordini di ragione, sia perché mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perché mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio e colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale. Le auto con i killer andarono via dopo l’azione recandosi a Barra dove c’era ad attenderli Gennaro Aprea. Durante il percorso gli autori della strage furono costretti ad abbandonare una delle macchine; l’altra invece venne dato alle fiamme nelle zone di Barra. Quando fece ritorno mio cugino Sarno Ciro era ancora sconvolto da ciò che era successo. Si era infatti reso conto che erano stati colpiti degli innocenti e che invece erano riusciti a scappare gli altri appartenenti al gruppo di Andreotti. Mi parlò dei fratelli Viscovo (uno dei quali, se non erro venne ferito) e di Vincenzo Avolio. Dopo un paio di giorni, nei quali io e mio fratello Giuseppe ci allontanammo dal rione, nell’incontrarmi con De Luca Bossa Umberto pretesi da lui spiegazioni su come potesse essere successa quell’incredibile strage. Egli si giustificò dicendo che il suo obiettivo, Borrelli Antonio, era riuscito a colpirlo, inseguendolo fino a dentro la gelateria, per cui non era riuscito a controllare e a dirigere l’azione degli altri, che avevano sparato all’impazzata».
Titti Beneduce 25 gennaio 2011 fonte: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/25-gennaio-2011/strage-ponticelli-13-arrestisi-fa-luce-ventuno-anni--181323573080.shtml
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