di Eric Salerno
ROMA - C’è una parte d’Israele che ha paura. E un’altra parte, al momento una minoranza, che guarda con speranza a un nuovo Medio Oriente. Netanyahu sollecita l’Occidente a sostenere Mubarak. Il raìs è un dittatore ma condivide con il premier israeliano la paura (vera o strumentale) dell’Iran di Ahmadinejad. Corruzione e tortura sono state denunciate ormai da tutti, ma sono proprio quelle caratteristiche del regime del raìs ad aver mantenuto la stabilità nella regione e ad aver fatto accettare al popolo egiziano una politica che favorisce, a livello regionale, regimi repressivi simili. E, ovviamente, anche Israele. L’editorialista del quotidiano Haaretz ieri invocava il sostegno dell’Occidente per chi, in Egitto come in tutti gli altri Stati arabi, cerca un ordine nuovo. L’eventuale passaggio del Paese arabo più popolato, più influente e più potente militarmente, da “dittatura compiacente” a “democrazia” non sarà facile e nemmeno veloce. E’ un percorso irto di ostacoli. Il timore di un rovesciamento delle alleanze regionali è, ovviamente, la più grande preoccupazione d’Israele anche perché, come hanno rilevato gli analisti militari di Tel Aviv, il Paese avrebbe difficoltà a difendersi in un eventuale nuovo conflitto in cui l’Egitto tornerebbe a essere il maggiore protagonista. Le forze armate del Cairo, grazie agli aiuti americani, sono oggi, diversamente dalla guerra del 1973, ben addestrate e meglio armate. A Israele non mancano i mezzi (e il suo nucleare resta sempre un’opzione mai scartata), ma l’unico ufficiale superiore con esperienza di conflitto allargato è il capo di stato maggiore e c’è già chi chiede la sua sostituzione perché “inadeguato”.In questi giorni, truppe israeliane sono state spostate sul confine del Sinai, ufficialmente per impedire l’infiltrazione di terroristi e per bloccare quei flussi migratori arabi e africani che hanno interessato il Paese negli ultimi anni. Nel grande bunker sotterraneo a Tel Aviv, invece, analisti che si dicono “sorpresi” dal terremoto regionale e gli strateghi si preparano a possibili nuovi scenari regionali. Fino a quando non sarà chiaro quale indirizzo prenderà lo stato maggiore egiziano e quale tipo di governo e di leader prenderanno il posto di Mubarak e dei suoi, il futuro resterà incerto. Quanto a Washington, è ormai chiaro che Barack Obama ha favorito nell’ultimo anno la crescita dell’opposizione laica. Il suo candidato alla guida del Paese è El Baradei ma non sono pochi a dubitare del carisma dell’ex capo dell’ente nucleare dell’Onu e della sua capacità di vincere eventuali elezioni libere.La paura di Netanyahu, comunque, va oltre l’immediato. Se è vero, come abbiamo più volte sentito, che il presidente americano è convinto che soltanto la creazione di uno Stato palestinese indipendente e la pace tra arabi e Israele stabilizzeranno la regione, Obama potrebbe cominciare a esercitare pressioni forti sul premier per arrivare a una trattativa seria e a bloccare l’arrembaggio in atto nei territori palestinesi (a Gerusalemme Est ieri è stata posta la prima pietra di un nuovo insediamento-colonia). Netanyahu ha già messo le mani avanti affermando che è impossibile pensare a “concessioni” quando gli unici due Paesi con cui Israele ha firmato la pace rischiano di passare in mano “agli estremisti”. Le vicende di queste settimane confermano le preoccupazioni più volte gridate da re Abdallah: il rifiuto di Netanyahu a imboccare la via della pace non fa che indebolire i regimi arabi favorevoli a Israele. E, ammettono a Tel Aviv, presto il Paese potrebbe trovarsi nuovamente circondato da nemici.
Mercoledì 02 Febbraio 2011 - 16:07 Fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=36200&sez=HOME_NELMONDO
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