Autore: dr. Giuseppe Paccione
All’interno del corpo diplomatico ci sono delle distinzioni di rango, che, però, ha importanza dal punto di vista del cerimoniale in mondo particolare. Vi è la posizione, ovviamente, del capo della missione diplomatica – l’ambasciatore – e dell’insieme dei componenti la missione diplomatica...
All’interno del corpo diplomatico ci sono delle distinzioni di rango, che, però, ha importanza dal punto di vista del cerimoniale in mondo particolare. Vi è la posizione, ovviamente, del capo della missione diplomatica – l’ambasciatore – e dell’insieme dei componenti la missione diplomatica...
SOMMARIO:
1. Agenti diplomatici e le loro immunità;
2. Immunità penale;
3. Immunità civile;
4. Immunità fiscale e tributaria;
5. Immunità al personale ufficiale della missione;
6. Agenti consolari e le loro immunità.
1. All’interno del corpo diplomatico ci sono delle distinzioni di rango, che, però, ha importanza dal punto di vista del cerimoniale in mondo particolare.Vi è la posizione, ovviamente, del capo della missione diplomatica – l’ambasciatore [1] – e dell’insieme dei componenti la missione diplomatica. È il capo della sede diplomatica la persona autorizzata a comunicare direttamente con gli organi centrali dello Stato accreditante o, meglio, può essere definito quale portavoce del governo inviante. Egli è il soggetto con il quale si dialoga, praticamente, a nome del proprio governo con quello ricevente. Normalmente, è un ambasciatore, perché si è a livello maggiore della carriera, ma non necessariamente per la ragione che si può avere un incaricato d’affari a seconda del tono che lo Stato vuole attribuire alla sua presenza nell’altro Stato. Come si può constatare, la posizione dell’incaricato d’affari è diversa da quella degli altri agenti diplomatici, dell’ambasciatore o del ministro plenipotenziario o del ministro residente, per questa mera ragione: l’incaricato d’affari è accreditato e ricevuto dal Ministero degli Affari Esteri.I protagonisti della ricevuta di accreditamento rispetto agli agenti diplomatici sono i capi di Stato, mentre agli incaricati d’affari sono i ministri degli Affari esteri. Esiste questa competenza specifica del ministro degli Affari esteri in materia. Per quanto concerne gli incaricati d’affari sono l’ultima categoria degli agenti diplomatici.Una volta che si acquista la qualità di agente diplomatico – quale che sia il rango – si ha diritto ad un certo trattamento, in quanto il diritto internazionale generale o jus cogens, successivamente codificato nella convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, riconosce l’obbligo allo Stato di residenza di dare una serie di vincoli di trattamento nei confronti degli agenti diplomatici e della sede o della missione in genere.Questo trattamento si risolve, appunto, nelle immunità fondamentalmente, ma non esclusivamente per la ragione che, ad esempio, il trattamento implica anche il fatto che si devono assicurare le forniture di energia, le quali sono necessarie per far funzionare la missione diplomatica, che si deve, comunque, assicurare la libertà di comunicazione fra il personale dell’ambasciata e lo Stato inviante; non ci deve mai essere interferenza, disturbo, interruzione nei collegamenti fra il governo inviante e gli agenti diplomatici [3]. Le immunità, quindi, rappresentano la gran parte degli obblighi di trattamento. Queste sono quelle che spettano – se si guarda la persona del diplomatico – alla persona come tale, come privato perché quando l’agente diplomatico, al contrario, agisce nella sua qualità, vede la sua attività o la sua volontà riferita direttamente allo Stato di cui è organo. Attraverso di lui parla lo Stato. Pone in essere i comportamenti propri dello Stato, egli è strumento di volontà/attività dello Stato. Quando agisce nella sua veste ufficiale, l’immunità c’è ugualmente, che non è quella dell’agente diplomatico ma dello Stato straniero rispetto a comportamenti che ha posto in essere, in quanto organo dello Stato.Le immunità a cui si ha riguardo, quando si parla di immunità diplomatiche, almeno con riferimento alle immunità spettanti alla persona del diplomatico, sono immunità che concernono la sfera privata dell’agente, il suo agire da privato nell’ambito dello Stato. In questo senso il diritto internazionale gli riconosce una serie di immunità a partire da quella penale. Qui, anzi, va detto qualcosa di più. Mentre le immunità degli Stati stranieri sono immunità che toccano il diritto sostanziale – lo Stato straniero non è tacito, vale a dire che non è fra i destinatari delle norme considerate e, quindi, le immunità di tipo processuale non è altro che un riflesso di quella di carattere essenziale – le immunità dell’agente diplomatico, al contrario, hanno un valore processuale, il che vuol dire che l’agente diplomatico resta destinatario delle norme di carattere sostanziale. Ciò non sta ad indicare che l’agente diplomatico, per esempio, non è destinatario delle norme penali che vedono la commissione di reati e sottostà pure a quelle norme, certamente, o anche alle norme di carattere civile, che concernono i suoi rapporti, soltanto fino a quando dura la missione diplomatica e quindi finché egli riveste quella sua qualità, l’agente diplomatico non può essere convenuto in giudizio per la ragione che si ritiene, appunto, che il convenirlo in giudizio turbi l’esercizio della funzione diplomatica, impedisce la legazione. Alla base c’è il cosi detto ne impediatur legatio [4], che sta ad indicare che non vi deve essere alcun impedimento od ostacolo all’esercizio della missione.Questa è la ratio, appunto, delle immunità, ma ciò sta ad significare che, quando la persona considerata cesserà di rivestire quella sua qualità, potrà essere convenuto in giudizio per fatti che sono accaduti precedentemente. Ecco perché a volte può essere anche importante per la persona – una persona alla quale cessa o sta per cessare il riconoscimento della qualità di agente diplomatico – di lasciare il territorio dello Stato per la ragione che, se poi rimane, si metterebbe a rischio e pericolo, nel senso che non sarà più coperto dall’immunità e, pertanto, può assumere importanza per il fatto che, se vuole evitare di essere tradotto in giudizio per fatti per cui fino a quel momento non poteva essere convenuto, allora gli converrà abbandonare il territorio dello Stato accreditante, in quanto le immunità terminano col cessare della sua qualità di diplomatico. Esse hanno un carattere esclusivamente processuale e non sostanziale, per cui se l’agente diplomatico, ad esempio, avesse commesso un illecito, secondo la valutazione fatta dagli organi giudiziari dello Stato, non può essere processato penalmente. Nel momento in cui cessa questa qualità – se è suscettibile di essere catturato fisicamente da parte dello Stato sul cui territorio è stato commesso il reato – viene arrestato e sottoposto a processo e, eventualmente, condannato alla pena della detenzione.Quindi, esiste una differenza fondamentale tra le immunità le quali sono riconosciute allo Stato e quelle riconosciute alla persona dell’agente diplomatico.
2. Il diplomatico, sotto il profilo dell’immunità penale, fruisce di un’immunità piena, larghissima, praticamente senza confini. L’agente diplomatico non può mai essere sottoposto a processo penale. È una specie di privilegiato sino a quando dura la sua qualità di agente diplomatico, questa è la così detta inviolabilità personale dell’agente diplomatico, un concetto che abbraccia pure l’impossibilità di essere sottoposto a processo.La inviolabilità, in senso stretto, implica che lo Stato deve astenersi da qualunque atto coercitivo diretto a privare l’agente diplomatico nella sua libertà personale e non solo, ma deve pure fare in modo che egli sia sottoposto contro eventuali tentativi di privarlo nella libertà personale. L’inviolabilità implica sia un obbligo negativo di astensione dall’agire nei confronti dell’agente diplomatico sia un obbligo positivo di apprestare quelle misure che sono idonee ad evitare che ci siano atti che si consumino nei suoi riguardi e atti diretti a privalo della libertà personale. L’immunità penale significa che, in pratica, non può essere sottoposto a procedimento penale di alcun genere.La inviolabilità investe anche la sede della missione diplomatica o ambasciata perché è tutto l’insieme che deve essere protetto e a tutto l’insieme che deve essere assicurata la possibilità di assolvere ai compiti che sono propri della missione stessa e, quindi, anche rispetto alla sede diplomatica esiste un obbligo negativo di astensione, per cui lo Stato non deve esercitare alcun atto coercitivo nei confronti dell’edificio dell’ambasciata, da un lato, e, dall’altro, un obbligo positivo, nel senso che deve apprestare quelle misure idonee onde evitare che siano commessi atti coercitivi, di forza, di violenza nei riguardi dell’intera missione diplomatica. Questo tutto adeguato alle circostanze. Quando più si profila il pericolo che ci siano azioni di turbamento della pace della sede diplomatica, dell’integrità o della incolumità delle persone che sono ubicate all’interno dell’ambasciata, tanto più si deve rafforzare la protezione che lo Stato deve offrire. Insomma, lo Stato deve fare in modo che non si compiano mai atti di violenza nei riguardi della sede della missione di uno Stato straniero stanziata sul lembo territoriale dello Stato accreditante.Si parlava, tradizionalmente, addirittura di extraterritorialità [5] – espressione antica riguardo alla sede diplomatica – perché è un termine che appare abbastanza efficace nel mostrare come ci sia una specie di isola, in cui non arrivavano le norme dello Stato o, meglio, l’autorità dello Stato, come se si trattasse di un lembo di territorio sottratto alle autorità dello Stato. Non è esattamente così, ma è sotto l’autorità dello Stato, solo che l’autorità dello Stato deve esercitarsi in una direzione precisa, anzi serve l’autorità dello Stato perché proprio in quanto lo Stato esercita la sua autorità, esso deve fare in maniera che non avvengano atti di violenza nei riguardi della sede diplomatica, cioè a dire, lo Stato ha la responsabilità di assicurare affinché non si determinino forme di violenza nei confronti della ambasciata. La sovranità è, certamente, fuori discussione anche se c’è un lieto evento della missione diplomatica come la nascita di una prole, non è che si sosterrà che non è nato nel territorio dello Stato, è sempre nato nel territorio dello Stato, quindi quella parte del lembo territoriale resta una parte del territorio dello Stato ospitante.Extraterritorialità, dunque, è un’espressione in realtà impropria, imprecisa, approssimativa, forse sostanzialmente inesatta se dà l’idea che quella parte di territorio non sia sotto l’autorità dello Stato e sia sottratta la sovranità. È solo un termine sintetico per significare che esistono degli obblighi di trattamento, i quali sono, appunto, quelli indicati: l’inviolabilità nei due aspetti che essa presenta positivo e/o negativo. Questa è un’espressione di comodo che è, ancora oggi, spesso usata per esprimere l’ampiezza di questa immunità, ma che tecnicamente è un termine errato, per la ragione che la sede ovvero il luogo in cui si trova la missione diplomatica di uno Stato straniero non può considerarsi al territorio dello Stato locale, è un luogo nel quale lo Stato locale incontra una serie particolarmente ampia e intensa di limitazioni alla sovranità, ma ad ogni effetto giuridico fa parte integrante del territorio, non è extraterritorio. Per chiarire pare opportuno tracciare un esempio. Se un delinquente, nottetempo, dopo aver commesso un furto, si introduce in un’ambasciata straniera presente a Roma, per sfuggire alla cattura della autorità di polizia, non si è rifugiato all’estero, per cui non occorrerà un procedimento c.d. di estradizione. Cioè, quelle garanzie che si richiedono per l’estradizione non esistono per la persona, delinquente comune, che si è rifugiata nella sede della missione diplomatica di un altro Stato. In questa sede, si opererà semplicemente una consegna: cioè a dire che la polizia dello Stato accreditante, in concerto con l’autorità dello Stato straniero, si presenterà all’esterno della ambasciata e gli verrà consegnato il responsabile del furto che si era rifugiato nella sede diplomatica. Si tratta di una mera consegna come può essere quella che si determina se un delinquente si introduce nella normale abitazione di un privato cittadino. Esiste, in aggiunta, l’immunità come quella, con riguardo alla sede, dell’immunità reale in contrapposizione all’immunità personale, che tocca la persona dell’agente diplomatico, qui si ha, al contrario, la sede quale bene.Vi è anche l’inviolabilità della corrispondenza diplomatica, che come strumento di collegamento fra il diplomatico e il governo inviante – il governo dello Stato a cui l’agente diplomatico appartiene.La c.d. valigia diplomatica, serie di bagagli in cui sono racchiusi documenti che interessano, attraverso cui operano mezzi di attivazione della sede diplomatica, dell’agente diplomatico o dell’ambasciata nel suo insieme.La valigia diplomatica [6] (valise diplomatique) fruisce anche di questa condizione privilegiata e questa sottrazione al controllo. Qui, si sono opposti, in passato, dei problemi, cioè si aveva il sospetto che sotto la copertura dell’immunità della valigia diplomatica ci fosse traffico o si consumassero traffici illeciti come, ad esempio, l’introduzione di droghe o di armi nel territorio dello Stato.Gli sviluppi più recenti sono nel senso che è sempre possibile un controllo di quelli elettronici che consente di verificare, per l’appunto, se vi sono sostanze sospette, materiale la cui introduzione nel territorio dello Stato viola le leggi dello Stato, senza contempo ingerire nella documentazione o nel materiale che interessa la missione diplomatica e deve essere al riparo di interferenze esterne. L’agente diplomatico ha diritto alla segretezza del contenuto della sua valigia. Dove, però, il termine valigia non va inteso in senso comune, ma qualunque contenitore più o meno piccolo o grande, che porti in maniera palese, visiva il simbolo dello Stato e il carattere diplomatico. Nella valigia diplomatica, sebbene si conservano carte segrete o documenti, sarebbe sacrilego aprirla. Quindi, è vero che la valigia diplomatica deve avere tutte le immunità necessarie affinché qui possa dirsi ne impediatur legatio, anche perché la documentazione fondamentale possa essere trasportata per il corretto esercizio dell’ufficio diplomatico [7].
3. Oltre alle immunità di tipo penale di cui si è trattato nel precedente paragrafo, vi sono anche quelle dalla giurisdizione civile che implicano appunto che l’agente diplomatico non possa essere convenuto in cause civili per l’attività che svolge come privato; se, ad esempio, l’agente diplomatico effettua un acquisto di beni suoi personali e, quindi, agisce nell’ambito della sua sfera privata o se avesse, per caso, una piccola attività commerciale, per cui si potesse trovare coinvolto in vertenze di carattere civile, non potrebbe essere convenuto davanti ai giudici dello Stato finché dura la sua missione diplomatica ovvero la sua qualità di agente diplomatico; anche se poi ci sono delle eccezioni come, ad esempio, si ritiene che le cause aventi ad oggetto diritti reali su beni che sono ubicati nel territorio dello Stato, quelle possono vedere l’agente diplomatico convenuto e così anche le cause successorie (queste sarebbero le eccezioni al principio della immunità dalla giurisdizione civile).Si discute, inoltre, sul punto se l’agente diplomatico possa agire in riconvenzionale o, meglio, se si possa agire contro l’agente diplomatico sebbene l’immunità mette l’agente diplomatico al riparo dal pericolo di essere convenuto da iniziative giudiziarie prese da altri nei suoi riguardi, ma egli può sempre agire in giudizio. Dire che alle immunità dalla giurisdizione civile non implica che non possa essere attore in un giudizio, cioè, prendere egli l’iniziativa giudiziaria nei confronti di altri e allora si asserisce quanto segue: quando un diplomatico prenda un’iniziativa, la parte convenuta potrebbe agire in riconvenzionale, vale a dire proprio cogliere l’opportunità del fatto che è stato lo stesso agente diplomatico che si è sottoposto alla giurisdizione dello Stato per agire, a sua volta, la parte citata in giudizio nei riguardi dell’agente diplomatico, in relazione, ovviamente, alla medesima causa. Questo sembrerebbe che questa sia un’eccezione e cioè che sia possibile anche agire in riconvenzione, visto che l’agente diplomatico ha adottato questa iniziativa e allora ne subisce pure questa conseguenza negativa nei suoi riguardi di permettere all’altra parte di agire a sua volta. Ma questo è un punto che è abbastanza controverso se ammesso dalla convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, tuttavia, non è pacifico che in questo punto la codificazione di Vienna codifichi ovvero non, piuttosto, introduca una nuova limitazione alla immunità dalla giurisdizione dell’agente diplomatico. La stessa convenzione del 1961 asserisce, infatti, che l’agente diplomatico gode dell’immunità dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario, gode del pari dell’immunità dalla giurisdizione civile e amministrativa dello stesso, salvo si tratti di azione reale su un immobile privato ubicato sul lembo territoriale dello Stato accreditatario, purché l’agente diplomatico non lo possegga per conto dello Stato accreditante ai fini della missione, entrando in questo caso nel campo dell’immunità dello Stato straniero, e di un’azione riguardante una successione, nella quale l’agente diplomatico figuri come esecutore testamentario, amministratore, ereditario o legatario a titolo privato e non in nome dello Stato accreditante. Ancora una volta se si verificasse questa ipotesi, si dovrebbe parlare di immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione e non dell’immunità dell’agente diplomatico, infine, di un’azione inerente un’attività professionale o commerciale qualsiasi esercitata dall’agente diplomatico nello Stato accreditatario al di là delle sue funzioni ufficiali.Questa immunità di cui si sta trattando, con le eccezioni sancite nella convenzione del 1961, è l’immunità dal giudizio di cognizione, cioè, giudizio diretto ad accertare l’esistenza di diritti od obblighi. Esiste, in aggiunta, il processo di esecuzione, vale a dire diretto a realizzare le pretese con concorso del giudice. Viene delineato, infatti, che alcuna misura di esecuzione può essere adottata nei confronti dell’agente diplomatico, tranne in determinati casi sanciti nell’articolo 31 paragrafo 1 capoversi a b c della convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, e purché l’esecuzione possa farsi senza che sia menomata l’inviolabilità dell’agente diplomatico e la sua dimora. Un altro punto da sottolineare concerne il fatto che esiste una immunità circa la testimonianza, aspetto del trattamento che compete all’agente diplomatico. Da qui si evince che l’agente diplomatico non è tenuto a prestare alcuna testimonianza.La norma sulla riconvenzionale è, poi, anche quella secondo cui lo Stato accreditante ha la possibilità di manifestare l’intenzione di rinunciare all’immunità giurisdizionale dell’agente diplomatico e di coloro che ne godono, come i componenti della famiglia dell’agente diplomatico, i membri del personale amministrativo, tecnico e via discorrendo. L’immunità, quindi, è rinunciabile per volontà dello Stato. È lo Stato accreditante a rinunciare all’immunità, rinuncia che deve essere espressa; questo sta ad indicare che non si ammettono o non sono ammesse rinunce tacite, nel senso che se un agente diplomatico o una persona che gode dell’immunità giurisdizionale, che intraprenda una procedura, non può invocare questa immunità per nessuna domanda riconvenzionale direttamente connessa alla domanda principale. È questa introduzione, quindi, di ulteriore eccezione che è costituita dall’ammissibilità di domande riconvenzionali nei confronti dell’agente diplomatico, quando questi abbia preso egli stesso l’iniziativa giudiziaria ovvero abbia avviato un procedimento e, una volta che lo ha promosso, si deve, in seguito, consentire al convenuto di agire, a sua volta, sempre rispetto ad un’azione, la quale è direttamente legata all’azione promossa dall’agente diplomatico. Vi è chi crede che questa sottolineatura, in realtà, non rispetti il diritto internazionale consuetudinario o cogente, ma sia, pertanto, una sorta di innovazione.Lo sviluppo progressivo del diritto internazionale, di cui parla la Carta delle Nazioni Unite, affianco alla codificazione e, quindi, si ha una norma di sviluppo progressivo, è una norma introdotta. Se così fosse, questa norma non potrebbe essere invocata nei riguardi di Stati che non abbiano ratificato la Convenzione di Vienna del 1961 – questa è la differenza concreta – e si comprende nei confronti di questi Stati la distinzione se si sia dinanzi ad uno jus cogens o ad un accordo convenzionale.
4. Esiste anche un’immunità che concernono i profili fiscali e l’immunità che concerne i profili tributari [8].La Convenzione di Vienna, seguendo abbastanza rigidamente il principio della tutela della funzione, ha determinato un’esenzione tributaria, in un certo senso assoluta, in relazione ai locali della sede diplomatica.Nella Convenzione di Vienna inerente le relazioni diplomatiche del 1961, esistono delle norme che riguardano l’imposizione fiscale. Con riguardo all’agente diplomatico, al contrario, l’esenzione viene sostanzialmente determinata in ordine alle imposte dirette personali relative al reddito percepito dallo Stato d’invio per lo svolgimento della propria funzione pubblica, mentre sono esclusi benefici tributari relativi ai redditi o cespiti estranei alla funzione, oltre alle imposte indirette circa l’acquisto di beni.L’agente diplomatico, infatti, viene esentato da ogni tassa personale o imposta reale dello Stato o della regione o del comune, tranne dalle imposte indirette che ordinariamente sono incorporate nel prezzi delle merci e dei servizi; dalle imposte e tasse sui beni immobili privati ubicati sul territorio dello Stato accreditatario, salvo che l’agente diplomatico non li possegga per conto dello Stato accreditante, ai fini della missione e dalle imposte di successione riscosse dallo Stato accreditatario, riservate le disposizioni dell’articolo 39 paragrafo 4 della Convenzione di Vienna del 1961. Queste sono delle eccezioni che sono un po’ parallele a quelle delle immunità dalla giurisdizione civile come i beni immobili e successione.Non viene, inoltre, esentato da imposte e tasse sui redditi privati che hanno la loro fonte nello Stato accreditatario e dalle imposte sul capitale prelevato per investimenti in imprese commerciali situate nel detto Stato, come per l’eccezione per le attività commerciali che l’agente diplomatico, eventualmente, svolga all’interno dello Stato; da imposte e tasse percepite in rimunerazione di determinati servizi resi e dalle tasse di registro, di cancelleria, di ipoteca e di bollo per i beni immobili. Tutte queste sono eccezioni al principio. Questo può considerarsi un settore in cui vi sono molte eccezioni, ma, in realtà, secondo l’opinione più diffusa, il diritto internazionale generale obbliga ad esentare, in maniera esclusiva, dalle imposte dirette personali e non dalle altre, anche se, poi, è usuale nei rapporti fra Stati di essere più larghi nella concessione delle immunità, ma si sostiene che lo si fa per ragioni di cortesia o di convenienza o di reciprocità, e non per la ragione che si è vincolati da una norma generale. È uno di quei casi in cui la prassi non è di per sé solo indicativa di una consuetudine esistente, in quanto non è accompagnata dall’opinio iuris seu necessitati; quindi, una prassi più liberale, nel senso di concessione di esenzioni maggiori di carattere fiscale, non implica che lo si faccia obbedendo ad una norma generale, ma lo si fa per ragioni di buoni rapporti con lo Stato. Questo è un po’ il quadro delle immunità, con tutte queste eccezioni, che finisce con il confortare quest’idea del contenuto piuttosto circoscritto della norma sull’immunità tributaria.
5. Queste immunità, di cui si è trattato nel precedente paragrafo, non valgono solo per l’agente diplomatico, ma, in genere, anche al personale ufficiale della missione diplomatica e, inoltre, concerne anche i membri della famiglia dell’agente diplomatico. Questi ultimi, che hanno un stretto rapporto familiare con l’agente diplomatico, beneficiano dei privilegi e immunità, secondo quanto sancito nella Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 1961, purché non siano cittadini dello Stato accreditatario. Rispetto ai cittadini dello Stato accreditatario vi è un atteggiamento in favore nettamente minore in quanto concerne la concessione di immunità diplomatiche, per la ragione che (lì) si esalterebbe, effettivamente, il profilo del privilegio di un cittadino nei confronti degli altri cittadini, ecco che le esigenze di evitare questo prevale sulle esigenze di assicurare queste immunità.Oltre che alla famiglia, poi, c’è una estensione pure al c.d. personale amministrativo e tecnico della sede della missione diplomatica. Non soltanto, dunque, il personale ufficiale, cioè quello che coadiuva strettamente il capo della missione diplomatica nell’esercizio della funzione tipica, ma anche il personale ausiliario della ambasciata. I membri del personale amministrativo e tecnico della missione e i membri delle loro famiglie, infatti, che convivono con loro, godono, a patto che non siano cittadini dello Stato accreditatario o non abbiano in esso la residenza permanente, dei privilegi e delle immunità menzionati nella Convenzione di Vienna del 1961, salvo che l’immunità giurisdizionale civile e amministrativo dello Stato accreditatario, sancita nella stessa Convenzione del 1961, non si applichi agli atti compiuti al di là dell’esercizio delle loro funzioni. Essi godono altresì dei privilegi menzionati nel paragrafo 1 dell’articolo 36, per gli oggetti importati in occasione del loro primo stabilimento. Quindi, l’immunità è circoscritta in definitiva come immunità dalla giurisdizione civile ed amministrativa per gli atti che sono esercizio delle funzioni. Quando si dice immunità per gli atti, che sono esercizio della funzione, non si fa che applicare il criterio in base a cui gli atti che sono compiuti nella veste ufficiale sono atti dello Stato e, pertanto, l’immunità è un’immunità che finisce con l’identificare insieme all’immunità riconosciuta allo Stato straniero come tale.Quel principio, per cui l’organo dello Stato straniero opera come portatore della volontà o dell’attività dello Stato straniero, implica, infatti, che qualunque organo si trovi in quella condizione fruisca della immunità, ma perché, in realtà, non è un’immunità che si riconosce alla sua persona, come avviene per l’agente diplomatico quando agisce nell’ambito della sua sfera personale, ma è un’immunità che si riconosce allo Stato e, quindi, è collegata all’imputazione allo Stato della volontà ovvero dell’attività posta in essere dell’organo straniero.Questo è un discorso che poi vale in buona misura per il corso ad hoc; anche lì le immunità consolari, le quali sono maggiormente ristrette di quelle spettanti agli agenti diplomatici per la ragione che finiscono con l’essere circoscritte all’attività che il console svolge nella sua veste ufficiale. Ma dire questo significa solamente che si applica l’immunità dello Stato straniero, quindi sono le immunità riconosciute allo Stato straniero per le attività che pone in essere attraverso i suoi organi.Che sia l’organo consolare, che sia un altro organo, che sia l’agente diplomatico, che sia il personale amministrativo e/o tecnico della missione diplomatica, da questo punto di vista cambia poco per la ragione che il principio fondamentale sta nel fatto che la volontà o l’attività posta in essere da un organo dello Stato straniero è attività o volontà dello Stato straniero, e, quindi, fruisce dell’immunità che compete allo Stato straniero.C’è, ancora, da aggiungere un’ulteriore estensione – addirittura questa anche dubbia – ai domestici privati dei componenti dell’ambasciata, che non siano cittadini dello Stato accreditatario. Questi sono esenti dalle imposte e dalle tasse sui salari che ricevono in relazione ai servizi, ma sempre che siano stranieri per il fatto che se sono cittadino pagano ugualmente le tasse. La Convenzione di Vienna del 1961, infatti, è molto chiara quando dispone che i domestici privati dei membri della missione, che non hanno la cittadinanza dello Stato accreditatario e nemmeno la residenza permanente, vengono esentati dalle imposte e tasse sugli stipendi che ricevono per la loro attività domestica che prestano alla sede diplomatica. Per altri riguardi, essi non fruiscono dei privilegi e immunità, se non ammessa dal detto Stato.Lo Stato accreditatario, in aggiunta, deve porre in essere la giurisdizione su tali persone per non ostacolare, in modo eccessivo, l’adempimento delle mansioni della sede diplomatica.Così come sono esenti da tasse gli eventuali introiti dell’ambasciata e/o del consolato per attività che interessano l’ordinamento dello Stato di provenienza – pure quelli sono esenti dall’imposizione fiscale dello Stato della sede – e qui sono esenti anche le retribuzioni che vengono corrisposte, purché si tratti sempre di domestici che non siano in possesso della cittadinanza dello Stato accreditatario.Con questo solo limite, che si ritrova anche, per certi altri aspetti, i consoli di carriera e i consoli onorari. Tra le due figure esistono delle differenze che hanno ancora meno riconoscimento di privilegi, anche, tuttavia, ammettendosi l’esercizio della giurisdizione su queste persone. Questo esercizio deve avere luogo in modo tale da non ostacolare, in modo eccessivo, il compimento delle funzioni della missione. Vi è, quindi, questa specie di remora che deve accompagnare l’esercizio dalla giurisdizione e fare in modo che l’esercizio non venga intralciato, il che è una cosa abbastanza ardua che si verifichi.Esercitare la giurisdizione nei confronti di un domestico non è che possa essere un grande impedimento, data la sua fungibilità. Sono forme così tenue, sfumate di limitazione, che la stessa Convenzione di Vienna ha ritenuto di introdurre.In questa maniera si ha il quadro della situazione che investe le missioni diplomatiche e si può dire che questo genere di trattamento sia pure con alcune limitazioni, ma non di grande portata, concernono anche le c.d. missioni speciali – per lo svolgimento di determinati compiti, al fine di raggiungere degli scopi particolari – e poi anche le missioni o delegazioni accreditate presso le organizzazioni internazionali.6. Esistono altrettanto convenzioni che fanno un po’ il paio con quelle di Vienna del 1961 e del 1963, le prime inerenti le relazioni diplomatiche e le seconde concernenti le relazioni consolari.Per quanto riguarda i consoli (di carriera e/o onorari), c’è un complesso di immunità, ma che sono fondamentalmente immunità tendenti ad assicurare la salvaguardia, la sottrazione alla giurisdizione delle attività compiute nella veste ufficiale – quello di cui si argomentava antecedentemente – non sono riconosciute al console in quanto soggetto privato, che agisce nella sua sfera personale, ma al console in quanto organo dello Stato a cui appartiene. Sono, quindi, forme di immunità dello Stato straniero, riconosciute ad uno Stato straniero [9].La tutela del console è più tenue sotto il profilo della inviolabilità personale, per la ragione che, mentre per l’agente diplomatico è assoluta tale inviolabilità, al contrario, il console può essere pure privato della libertà personale per crimini gravi per atti che vanno oltre le sue forme della propria funzione con atto dell’autorità giudiziaria e, quindi, il console non fruisce di quella condizione di sottrazione alle misure coercitive e personale che, invece, sono proprio dell’agente diplomatico, almeno per il tempo per cui dura la missione diplomatica.Dal punto di vista dell’inviolabilità della sede, merita puntualizzare una considerazione che, rispetto ai consoli e alla sede della missione consolare, è possibile per casi di incendio o pericolo per l’incolumità pubblica, poiché la forza pubblica dello Stato non dovrebbe mai poter entrare nella sede se non c’è il consenso del capo della missione. Tale consenso è richiesto per iscritto, per la ragione che non ci deve essere ombra di dubbio sul fatto appunto che sia stato accordato, ma l’ipotesi dell’incendio e dell’incolumità pubblica sono ipotesi che meritano ponderazioni separate e, nel caso dei consoli, sono espressamente previste. E come se il consenso fosse presunto per intervenire nella sede consolare, mentre per l’ipotesi dell’agente diplomatico non è espressamente prevista, ma si ritiene in questo caso che – specialmente nel caso dell’incendio – non possa non esserci un intervento ben accolto da parte della missione diplomatica. C’è, poi, da considerare che ipotesi del genere in fondo mettono in causa anche interessi dello Stato ospite. L’incendio non è che interessi solo perché si può propagare e andare oltre come danno nella sede della missione diplomatica e così pure l’incolumità pubblica, per esempio, che si sviluppino forme di epidemia all’interno dell’ambasciata o del consolato, allora, in questo caso appare un interesse che trascende l’ambito della missione diplomatica o consolare.A fronte di tutti questi vantaggi, che hanno i componenti della missione diplomatica e consolare, esistono degli obblighi. Devono intanto rispettare leggi e regolamenti dello Stato. Il fatto che siano sottratti alla giurisdizione per il tempo per cui dura la missione con quelle piccole aggiunte temporali, le quali si rendono necessarie per perfezionare la procedura di accreditamento nel caso di acquisto di agente diplomatico e per lasciare il territorio quando si perde tale qualità, salvo queste piccole aggiunte, si fruisce di queste immunità dalla giurisdizione – con riferimento in particolar modo allo agente diplomatico , ma a fronte della sussistenza e il godimento di tali immunità, non implica certamente che l’agente diplomatico non debba rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato locale. Non si rammenti che si tratta di immunità che hanno un carattere fondamentalmente processuale, cioè sono sottratte all’esercizio della giurisdizione, non sottratte all’applicazione delle norme sostanziali dello Stato, per cui il reato dell’agente diplomatico è sempre un reato, in quanto previsto dalle norme penali sostanziali. Sebbene non possa essere processato, perchè bisogna rispettare la sua qualità di agente diplomatico finché questa dura, ma non si può dire che l’agente diplomatico sa sottratto alle norme penali dello Stato, il quale non abbia commesso un reato che non sia nella condizione di compiere un reato, perché non è destinatario di norme penali, ciò sarebbe errato.L’agente diplomatico è sempre destinatario delle norme dello Stato locale secondo quanto viene sancito nello articolo 41 paragrafo 1, secondo cui senza pregiudizio tutte le persone che godono di privilegi e immunità sono tenute, senza pregiudizio degli stessi, a rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato accreditatario. Esse sono anche tenute a non immischiarsi negli affari interni di questo Stato, rispetto della sovranità altrui, ed era particolarmente importante sottolinearlo, perché chi si trova nello Stato straniero ed è a contatto abbastanza frequente con gli organi appunto dello Stato ospitante, ha pure delle possibilità di influenza sulle determinazioni di quegli organi e, quindi, era importante evidenziare che non vi deve essere un tentativo nella direzione di immischiarsi negli affari locali.Si rammenti di questa disposizione perché era su questa che si attaccava il regime iraniano di Komeini, quando accusava gli Stati Uniti d’America di aver violato le norme concernenti le relazioni diplomatiche. Fondamentalmente, era questa la norma che si considerava violata da una pratica di continue ingerenze delle autorità statunitensi negli affari interni dello Stato dell’Iran, che si realizzava proprio attraverso l’azione della missione diplomatica o del consolato a Tehran [10].
Il Diplomatico nell'era Globale
Autore: dr. Giuseppe Paccione
In un quadro così drammaticamente frantumato, una scena internazionale in bilico tra globalizzazione e il nazionalismo, che cosa può voler dire accordare il mondo: fare opera di mediazione, comporre i contrasti e così via? Chi sono e cosa fanno i diplomatici dell’era globale? Certamente, non sono più i funzionari di una ragion di Stato, ma forse neppure i custodi di un’area di interessi.Molto semplicemente l’ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger (già Segretario di Stato) asseriva, già qualche anno fa, che gli ambasciatori non hanno più ragione di essere e la loro una inutile costosa burocrazia, ma c’è chi al contrario di Kissinger creda che sia ancora tempo di diplomazia e che proprio attraverso l’opera della diplomazia la comunità internazionale possa, nel tempo, giungere a delineare la carta di un nuovo ordine del mondo in grado di dare soddisfazione ai diritti dei popoli. Allora, accordare il mondo potrà voler dire interpretare le sue diversità avvicinando le divergenze.Disegnare il mondo pare impossibile per la ragione che non vi è u disegnatore. Per disegnare un qualche cosa, è d’uopo che la disegni; ma accordare il mondo è un’altra cosa.Il mondo è, fondamentalmente, quello che è. Le frontiere sono quelle che sono. Certo, ora, vi è un processo nuovo che viene denominata globalizzazione, che in parte annulla le frontiere per certi versi, ma non le elimina del tutto come si nota quotidianamente.Fra queste diverse entità, diversi soggetti con tradizioni, storie e culture differenti, si tratta di trovare il modo di convivere. Adesso è, certamente, più complicato di quando non lo fosse prima della Guerra fredda; allora, forse, c’era più pericolo per la ragione che vi era la minaccia incombente di una guerra nucleare o, comunque, catastrofica che adesso, onestamente, non si può prevedere, ma vi sono molti rischi localizzati, quindi anche quella di finire dentro un’aerea di crisi di qualche tipo; e questo chiede un lavoro di aggiustamento, di cercare di riparare laddove ci sono degli screzi o delle difficoltà dei conflitti.Il fallimento classico che si ha sotto gli occhi è quello medio orientale. Sono più di cinquanta anni che su questo problema – in parte con pressioni, con aiuti, con sovvenzioni, con schieramenti – la diplomazia non riesce a trovare soddisfazione. È un caso, direi, estremo in quanto vi sono tutte le condizioni per rendere il problema palestinese – israeliano un nucleo di crisi fondamentale, per il fatto che vi sono tutti i dati per renderlo arduo: * c’è un aspetto religioso che è importante, anche se non è l’unico; * etnico, con diverse etnie; * politico, che è durato fino al 1990, perché grosso modo gli Stati Uniti stavano da una parte e l’URSS dall’altra; * economico, in quanto Israele è un paese prospero, ad alto livello tecnologico, di educazione, mentre i palestinesi sono emigrati in tutte le parti del mondo e chi è restato lì se ne è restato nei cardini dei rifugiati.Quindi, ci sono tutti i problemi per renderli quasi irrisolvibili. Mentre, un tempo, la diplomazia si occupava primariamente di politica, cioè a dire i problemi fra Stati erano dei problemi politici – la rettifica di una frontiera, accesso al mare per certi Stati e così via. L’Europa, per secoli, si è disputata di chi dovesse essere la zona della renania, se era francese o tedesca.I diplomatici, quindi, più o meno in segreto o, comunque, per impulso delle cancellerie, del principe nei tempi proprio passati, poi dei governi e in gran parte per il ministro degli esteri, negoziavano, in qualche modo, tra loro le vicende politiche degli Stati. Sebbene le relazioni internazionali queste erano, adesso esse toccano praticamente tutto come la politica entro certi limiti, l’economia, la finanza, l’ambiente,la sanità e via discorrendo. Non vi è sostanzialmente area della vita sociale che non abbia una sua dimensione internazionale e che, quindi, non corrispondono in qualche modo degli interessi del Paese. Allora, i diplomatici dovrebbero fare tutto o, meglio, occuparsi di tutto, il che, ovviamente, non possono fare o lo possono fare in maniera superficiale, poi hanno bisogno di tecnici.Il mestiere del diplomatico, per riassumere una serie di eclettismi, è un lavoro che necessita la disponibilità a fare, magari superficialmente, molte cose. L’attività del diplomatico continua nel tempo, anzi i momenti di crisi sono la punta dell’iceberg dell’attività. Nel momento in cui diventa visibile, un diplomatico che arriva in un Paese cosa fa? Siccome ci sono tante specifiche attività, viene assegnata una piuttosto che l’altra. Si supponga, ad esempio, l’ambasciatore che organizza la sua ambasciata: deve cercare di avere dei canali di comunicazione con il governo locale, conoscere chi e chi fa che cosa, avere quanto migliori rapporti possibili con chi si trova alle leve del comando, però non è sufficiente con chi è al comando in quanto, mentre un tempo queste leve erano del tutto riservato al Ministero degli Esteri (faceva la diplomazia, la pace , la guerra), oggi la diplomazia è fatta da tantissimi soggetti come i mezzi di informazione, le lobby, i centri di ricerca, le imprese. Certe scelte di politica estera vengono dagli interessi economici. Fintanto che lo Stato esiste come Stato – nazione saranno gli interessi di quello Stato che in certo modo influenzano anche la politica estera.Il diplomatico, quindi, che deve cercare di coordinare con tanti soggetti diversi, deve avere dei canali di comunicazione il più vasto e il più articolato possibile con tutti i soggetti; intrattenere dei rapporti, conoscerli, capire cosa vogliono, cercare di spiegare che cosa vuole il proprio Paese in quel campo, e questo è un lavoro quotidiano; poi viene la crisi, augurandosi che non venga e in quel momento si tratterà di trovare un accordo, ma questo è un momento per fortuna abbastanza raro per lo meno con i Paesi amici.Specificità della diplomazia italiana e modus operandi e il modo in cui si differenziano rispetto a quella europea e a quella statunitense. Qualcuno asserisce che la diplomazia italiana è poco efficace nel senso che persegue meno duramente di altre degli interessi nazionali. Però la diplomazia riflette quello che vuole il Paese, cioè non esiste un cast di diplomatici che agisce a modo suo staccata dal resto del Paese. L’Italia, ad esempio, è una nazione che, in questo dopoguerra, proprio perché c’è stato prima il fascismo, la guerra rifiutata da tutti gli italiani, tende ad avere le posizioni conciliatorie, non conflittuali. A Nizza, nel dicembre 2000, c’è stato un summit in cui si discusse il destino dell’Europa e molti Paesi si sono sbranati l’uno con l’altro, mentre l’Italia, che non aveva, al contrario, una rivendicazione più che ai suoi interessi, in un vertice come quello di Nizza, ha cercato di portare gli interessi di tutti. Lo stesso presidente della repubblica Ciampi dichiarò che se l’Italia non ha dei propri interessi ha allora gli interessi dell’Europa vuole portare avanti. In qualche modo, l’Italia tende più a guardare l’interesse generale che il suo interesse particolare. Questo ha una caratteristica per cui alle volte non torna a casa con la valigia piena perché non ha acquistato nulla, ma ha comprato semmai degli interessi generali e un atteggiamento conciliatorio.La diplomazia statunitense è diversa dalle altre diplomazie nella misura in cui molto spesso si mescola con la politica. Questo anche per la ragione che l’ambasciatore statunitense ha un ruolo politico. Poniamo un esempio: l’ambasciatore statunitense in Guatemala è un personaggio della vita politica del Guatemala. Proprio per la dimensione degli Stati Uniti l’ambasciatore statunitense incorpora un peso politico, al contrario, l’ambasciatore italiano in Guatemala non è un uomo politico cioè non ha un peso politico, egli si occuperà, affinché gli affari con il Guatemala vadano bene, che ci siano solide manifestazioni italiane di carattere culturale in Guatemala, che non ci siano degli intoppi, che i cittadini italiani siano trattati bene e via discorrendo. Insomma, si occuperà di questo genere di cose ma non ha un peso politico. Non è che il governo del Guatemala si preoccupa di quello che pensa l’ambasciatore italiano, mentre si preoccupa di quello che pensa l’ambasciatore statunitense. Che li vi sia più politica e meno tecnica è dato dalla ragione che gli Stati Uniti sono l’unica super Potenza che è rimasta e, quindi, ha un peso preponderante negli affari mondiali.Si faceva l’esempio degli Stati Uniti d’America, in cui la connessione fra politica e diplomazia è molto forte che altrove. Nella ex Unione Sovietica il diplomatico sovietico si atteneva alle istruzioni, riferiva quello che gli veniva detto e, in molti Paesi, è ancora così, soprattutto in quello in cui vige la dittatura. In un Paese democratico il diplomatico deve riflettere quello che è il sentimento generale del Paese, delle forze politiche e del governo, che in quel momento sta governando il suo Paese. Il diplomatico deve rappresentare, difendere al meglio e far intendere quali sono gli interessi del suo Stato.Che la diplomazia è sempre subordinata ad immediati interessi politici o può muoversi sotto altre pressioni, non è possibile nel senso che non deve farsi portatore del partito che in quel momento è al governo, ma spetta anzitutto all’esecutivo di non chiedere ai diplomatici di essere agenti di se stesso.La diplomazia è il corpo che assicura affinché gli interessi dello Stato siano assicurati oltre i propri confini, cioè all’estero. Siccome gli interessi dello Stato sono tanti come gli interessi, ad esempio, dei cittadini- estradizione e via discorrendo -, si rammenti al caso della cittadina italiana Baraldini, condannata ad una pena molto severa negli Stati Uniti, accusata di aver preso parte ad un’azione terroristica, in cui si venne a creare una dura divergenza di vedute fra Roma e Washington D.C.Al diplomatico o, meglio, all’ambasciatore italiano nella capitale statunitense, circa la pena di morte, è stato, varie volte, di andare a rappresentare il profondo dispiacere presso il governo statunitense, l’avversione che l’intera nazione italiana porta nei confronti delle esecuzioni delle sentenze capitali, in particolar modo nel caso dell’italo americana Baraldini. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la politica, l’economia, la finanza e così via, di cui il diplomatico si occupa.Per quanto concernono i diritti umani, si può asserire che questi sono una parte importante della diplomazia nel mondo attuale, in cui, quotidianamente, i diritti dell’essere umano sono calpestati. Essi, ormai, sono integrati nelle relazioni fra gli Stati.Il mestiere del diplomatico è da considerare un lavoro che vale la pena d’essere fatto per la ragione che è tuttora indispensabile anche in un mondo virtuale, in cui tante cose si possono fare senza una partecipazione diretta. È possibile comunicare istantaneamente. Il diplomatico da questo punto di vista prende la propria cartellina, si reca dal Ministro degli Affari Esteri, ecc. sembra un po’ superato, ma, poi, fra stare in un Paese e, al contrario,vivere la vita di quel Paese e, invece, far le cose da casa pigiando dei bottoni di una tastiera di un personal computer, vige una grossa differenza per il fatto che la realtà di un Paese un diplomatico la conosce, in seguito, la comprende quando è in loco e il radicamento sul territorio non è la stessa cosa dirigere da fuori e starci dentro. Il diplomatico si trova immerso in delle realtà che sono diverse dalla sua.La diplomazia è ancora necessaria perché, in realtà, il mondo è costituito ancora, malgrado tutte le globalizzazione, di realtà e di culture differenti.Come è possibile accordare il mondo, farlo in aree geografiche influenzate dai fondamentalismi che vedono nella guerra la propria ragion d’essere? Non si deve pensare che vi siano comunità che vogliono la guerra o i conflitti con l’altro. Uno ha bisogno di un altro per odiarlo, deve creare l’immagine di quello che è diverso da sé e, successivamente, così lo odia.
L'Exequatur nel diritto consolare
Autore: dr. Giuseppe Paccione
Con l’espressione latina exequatur (si esegua) si deve intendere l’atto con cui lo Stato presso il quale un console di uno Stato straniero viene nominato, ricevendo l’autorizzazione ad esercitare le funzioni che gli vengono conferite. Questo termine latino poggia sulla ragione che lettera patente, di cui il console è titolare, viene ad essere eseguita mediante la concessa autorizzazione...
Sommario: 1. definizione e natura dell’exequatur; 2. Mutamento del rilascio dell’exequatur; 3. Linee guida dell’exequatur nell’ambito della Convenzione sulle relazioni consolari e sua prassi.
1. Con l’espressione latina exequatur [1] (si esegua) si deve intendere l’atto con cui lo Stato presso il quale un console di uno Stato straniero viene nominato, ricevendo l’autorizzazione ad esercitare le funzioni che gli vengono conferite. Questo termine latino poggia sulla ragione che lettera patente, di cui il console è titolare, viene ad essere eseguita mediante la concessa autorizzazione.L’articolo 10, paragrafo 1, della Convenzione di Vienna inerente le relazioni consolari del 1963, evidenzia un importante fondamento che viene, in seguito, sviluppato nei seguenti articoli, in cui si enuncia che un individuo deve soddisfare due requisiti al fine di acquisire lo status di capo della sede consolare, e quali sono questi due requisiti? Questi, in primis, deve ottenere la nomina dall’autorità competente dello Stato di invio, poi, deve essere ammesso, affinché possa esercitare il suo ruolo, dallo Stato ricevente. Il primo punto si concretizza nel momento in cui il capo della sede consolare è munito di lettere patenti [2], fornitegli dallo Stato di invio, o di atto analogo che attesti la sua qualità ed ogni indicazione inerente il suo ufficio. Il secondo punto, viene realizzata attraverso l’autorizzazione dello Stato di residenza denominata, appunto, con l’espressione exequatur.Si può sottolineare che l’exequatur è contemporaneamente un atto, rispetto al quale la nomina dello stato di invio rappresenta il perno giuridico, mercé cui lo Stato ricevente asserisce di riconoscere il console nella sua qualità di ufficiale e lo accoglie nell’esercizio delle sue funzioni, assicurandogli le prerogative sul suo ufficio, e un documento mediante cui la persona del console inizia ad esercitare le proprie funzioni e con cui agli organi dello Stato viene imposto di riconoscere il console come tale.Questa espressione latina vuole, in linea di massima, evidenziare la rimozione di un ostacolo all’esecuzione di un atto che, nell’ordinamento dello Stato di invio, si concretizza, ma è privo di efficacia sino a quando lo Stato di residenza non abbia pertanto provveduto.Circa gli organi competenti e le forme riguardanti l’exequatur, è d’uopo menzionare che il punto 2 dell’articolo 10 della Convenzione di Vienna del 1963, sottolinea che le modalità della nomina e dell’ammissione del capo della sede consolare vengono determinate rispettivamente dalle leggi, regolamenti ed usi dello Stato di invio e dello Stato di residenza e l’articolo 12 sancisce che l’autorizzazione dello Stato residenza è denominata exequatur qualunque sia la forma.In base alla Convenzione di Vienna del 1963, si evince che è il diritto interno degli Stati a stabilire quale deve essere l’organo competente a rilasciare il c.d. exequatur. L’exequatur, in determinati Stati, viene rilasciato dal Capo dello Stato, nel caso in cui le lettere patenti vengano firmate dal Capo dello stato d’invio, in altri casi dal Ministro degli Affari Esteri.Circa le forme, in cui viene rilasciato l’exequatur, totale competenza viene riservata all’ordinamento interno. La commissione di diritto internazionale ha evidenziato taluni modelli nella prassi degli Stati come: l’ordinanza del Capo dello Stato, da quest’ultimo vidimata e controfirmata dal Ministro degli Affari Esteri e rilasciate in originale al capo della sede consolare; un’ordinanza firmata dal Ministro degli Affari Esteri, di cui solamente una copia conforme certificata, viene rilasciata al capo della sede consolare; una trascrizione sulle lettere patenti ed, infine, una notifica per via diplomatica fatto dallo Stato di invio.2. Il continuo crescere del numero dei consoli onorari e taluni abusi dei privilegi connessi alla funzione accaduti costituirono le ragioni adotte attraverso la convocazione di un summit della PESC dei responsabili del cerimoniale dei Paesi dell’UE, svoltosi in Spagna nel 1995. In esso si adottò la decisione di razionalizzare la rete dei consoli onorari stranieri accreditati negli Stati membri dell’UE, demarcando la necessità di introdurre dei criteri ristrettivi per l’apertura delle sedi consolari nei limiti concessi dal diritto internazionale e dalla Convezione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963.Il nostro Ministero degli Affari Esteri, per il tramite di una nota verbale del 1996, fatta recepire ai rappresentanti diplomatici accreditati presso il Presidente delle Repubblica, riferiva delle modifiche messe in atto alla luce della prassi, sino ad allora seguita per l’apertura di uffici consolari e per la nomina dei loro titolari, cambiamenti messi in atto in merito alla prassi internazionale in materia e degli orientamenti restrittivi che emergono in ambito dell’UE. Si delineano, in aggiunta, nella nota quali devono essere i criteri generali ai quali la Farnesina (il nostro Ministero degli Affari Esteri) si sarebbe adeguata sulla concessione dell’assenso, con il netto obiettivo di orientare, ancor prima, le rappresentanze diplomatiche, onde evitare il refoulement dell’exequatur.La novità contenuta nella nota ministeriale consiste nella decisione di revocare ogni exequatur che viene rilasciato ai consoli onorari e cambiarli con quello nuovo rilasciato a termine. Si può dire, in aggiunta, che questo exequatur, oggi, non hanno più validità illimitata, ma quinquennale, per cui sarà possibile richiederle dalle rappresentanze diplomatiche un tempo di validità superiore o inferiore e sarà tenuta in considerazione sulla base delle motivazioni addotte.3. Secondo quanto enuncia l’articolo 68 della Convenzione di Vienna del 1963, l’istituzione di consoli onorari ha rilevanza facoltativa, nel senso che ogni Stato non è vincolato nell’adottare decisioni di nomina o ricevimento di funzionari consolari. Questa norma deve essere interpretata in modo da ritenere che, una volta constata la presenza dei consoli onorari, tutto ciò che attiene alla disciplina della nomina, funzioni, privilegi e cessazione dell’ufficio consolare si conformerà alle regole di diritto internazionale consuetudinario e particolare in vigore. La scelta, quindi, viene circoscritta alla decisione iniziale circa l’accettazione o meno dei consoli onorari, mentre non potrà che applicarsi la disciplina contenuta nel diritto internazionale [3].Nella citata Convenzione del 1963, viene disciplinato l’ipotesi e del rifiuto dell’exequatur e della revoca di esso. Questo punto viene disciplinato dall’articolo 23 che determina, nel primo paragrafo, che lo Stato di residenza può, in ogni momento, informare lo Stato di invio che un funzionario è persona non grata o che qualsiasi altro membro del personale non è ben accetta. Lo Stato di invio richiamerà la persona di cui trattasi, oppure, secondo il caso, porrà fine alle sue funzioni in quell’ufficio consolare. Il paragrafo terzo del medesimo articolo sottolinea che una persona nominata membro di un ufficio consolare può essere dichiarata non accettabile prima di giungere nel territorio dello Stato di residenza o, se essa vi ritrova già, prima di assumere le funzioni presso l’ufficio consolare. Lo Stato di invio deve in tal caso revocare la nomina. Infine, il quarto paragrafo dell’articolo di cui si sta trattando, dispone che lo Stato di residenza non è tenuto a comunicare allo Stato di invio le ragioni della propria decisione, nel senso che non sussiste, conseguentemente, nessun vincolo od obbligo di motivazione nel provvedimento adottato. Considerare il funzionario consolare persona non grata rapprenda la sola alternativa, per lo Stato di residenza, all’ammissione alle funzioni o a lasciare il funzionario consolare nel pacifico svolgimento delle stesse qualora le abbia assunte.Su questo punto, è d’uopo fare una riflessione sul fatto se il potere di revocare o di rifiutare l’exequatur, in ogni momento e senza dare alcuna spiegazione, non includa pure il potere di concedere l’exequatur stesso condizionandolo alla scadenza di un termine, con un esercizio anticipato del diritto di revoca sancito dalle norme di diritto internazionale generale.La riflessione consiste nel fatto che va, prima di tutto, chiarito la ratio del diritto e dell’articolo 23, di cui si è trattato. La ratio di arguisce attraverso la lettura dei lavori preparatori della Commissione di diritto internazionale su questo articolo, secondo cui il diritto dello Stato ricevente di dichiarare il capo del posto ovvero un membro del corpo consolare persona non grata si limita al caso in cui la condotta di dette persone abbia dato ragioni gravi di lagnanza. Si tratta, conseguentemente, di una misura di carattere individuale che può essere presa solo in conseguenza di un tale condotta. Ciò rappresenta una specie di salvaguardia per lo Stato di invio contro possibili misure arbitrarie, che si rende necessaria dal momento che il ritiro arbitrario dell’exequatur del funzionario consolare o il fatto che in mancanza di gravi motivi un membro del corpo consolare venga dichiarata persona non grata potrebbe rappresentare un pesante pregiudizio allo Stato di invio a causa di una interruzione ingiustificata ed improvvisa dell’adempimento delle funzioni consolari in materie in cui l’azione quotidiana, da parte del capo dell’ufficio consolare, si rende in modo assoluto necessario, come, ad esempio, le materie come quello del commercio, della navigazione, il rilascio dei visti e via discorrendo. Una simile interruzione potrebbe pure cagionare grave disagio allo Stato ricevente [4].È chiaro che il ritiro o la revoca dell’exequatur evidenziano una misura importante di una certa gravità e serietà, che fanno parte della patologia anziché della conduzione fisiologica delle relazioni consolari. Va aggiunto anche che si tratta di una misura individuale, connessa nei presupposti alla condotta, e, pertanto, al giudizio non positivo dell’autorità dello Stato di residenza su tale condotta, del singolo che indossa la veste di funzionario consolare.Questo limite nella opportunità di adozione di un provvedimento negativo siffatto regge e deve essere tollerata sebbene concepita come garanzia dello Stato di invio avverso misure arbitrarie di ritiro o di revoca dell’exequatur.Essendo misura eccezionale e specifica nei suoi presupposti, non può essere configurabile una netta possibilità di interruzione estensiva. È d’uopo aggiungere che le necessità della funzione consolare impongono di ridurre a casi meramente eccezionali le ipotesi di ostacoli alla continuità nello svolgimento della mansione stessa.Da questo si nota che nel potere dello Stato di residenza di rifiutare e di revocare ad nutum l’exequatur, potere sancito ed enunciato dall’articolo 23 [5] della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1963, non pare ricompresso il potere di revoca anticipata dell’exequatur stesso, in quanto i presupposti di legittimità e la ratio sottostante ai due generi di provvedimenti differiscono in modo non conciliabile.Un altro punto che merita attenzione sulla illegittimità di un exequatur rilasciato a termine può riscontrarsi nell’articolo 25 della Convenzione del 1963, secondo cui le funzioni di un membro della sede consolare hanno termine mercé notifica da parte dello Stato di invio allo Stato di residenza del fatto che le sue funzioni sono concluse, ovvero mediante il ritiro dell’exequatur, oppure mediante la notifica dello Stato di residenza allo Stato di invio che esso ha terminato di ponderare la persona in questione come membro del personale consolare.Da qui si deduce che tra le cause di cessazione delle funzioni non viene evidenziato la scadenza del termine determinato dall’exequatur. Potrebbe oppugnarsi che l’enumerazione sancito nell’articolo 25 è solamente indicativo e non ovviamente soddisfacente.La Commissione di diritto internazionale, sull’articolo 25, pone in risalto la ragione che l’elenco non possa essere soddisfacente e contiene soltanto le cause più comuni. Tanto è vero che le funzioni possono anche cessare in virtù di altri accadimenti come, a titolo di esempio, il decesso del membro della sede consolare, la chiusura dell’ufficio consolare oppure la rottura delle relazioni consolari, l’estinzione dello Stato di invio, l’incorporazione della circoscrizione consolare in un altro Stato. È ovvio che gli eventi che cagionano la cessazioni delle funzioni consolari vengono in alcuni casi determinati dalle convenzioni consolari.I principi generali inerente la libertà della funzione consolare impediscono di condizionare ad un termine la scadenza la concessione dell’exequatur. Tale misura, infatti, riveste il carattere di una specie di controllo preventivo avverso l’eventuale abuso delle prerogative consolari, controllo che non viene determinato dalle norme di diritto internazionale. Lo Stato di residenza, in questa maniera, si attribuisce ingiustamente un potere di rinnovo periodico dell’assenso al soggetto del funzionario consolare che può pesare come un macinio sul capo di colui che rappresenta lo Stato di invio, ostacolandolo di concretizzare le sue funzioni attraverso la necessaria tranquillità, libertà, autonomia. La scadenza del termine, in aggiunta, subirebbe, tutte le volte, un continuo interrompere in modo fastidioso una funzione che, per intrinseca natura, necessita continuità dell’azione.Può considerarsi, quest’ultimo punto, una vera e propria ingerenza indebita negli affari interno dello Stato di invio da parte dello Stato di residenza. Allo Stato di invio spetta emettere la decisione inerente la durata delle funzioni, eccetto il caso dell’esercizio da parte dello Stato di residenza del suo potere di revoca, potere che il diritto internazionale condiziona nei presupposti al giudizio negativo sulla condotta del console.Un exequatur a termine, a mio parere, può giustificarsi nel caso in cui sia stato apposto dallo Stato di residenza, attenendosi alle decisioni dello Stato di invio, cioè a dire che è l’atto di nomina a contenere un termine di scadenza delle funzioni consolari. Nel caso in cui tale atto non dica nulla in proposito, allora l’exequatur non può che essere rilasciato a tempo illimitato [6].§ [1] Riconoscimento e autorizzazione a svolgere le proprie funzioni concessi da uno Stato a un console straniero. Biscottini, Manuale di Diritto Consolare, Padova, 1969, p. 64 ss.; Biscottini, voce Console, in Enc. Diritto, IX, Milano, 1961, p. 357 ss.; Contuzzi, Trattato teorico-pratico di Diritto consolare e diplomatico, Torino, 1910; Zampagliene, Manuale di Diritto consolare, Roma, 1958; Maresca, Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, Padova, 1984; Rosseau, Droit International Pubblic, IV, 1980, p. 228 ss.; Sinagra, voce Agenti Consolari e Consolato, Roma, 1988, pp. 1 – 8.[2] Documenti diplomatici che tendono a dichiarare, in modo solenne, la volontà di uno Stato ai fini delle sue relazioni internazionali. In senso stretto, queste tendono a dichiarare la volontà di nomina di un console e ad effettuarne la legittimazione rispetto allo Stato ricevente. A. Maresca, Dizionario Giuridico Diplomatico, Milano, 1991, p. 314ss.[3] M. Fragola, Nozioni di Diritto Diplomatico e Consolare, Napoli, 2004, p. 90 ss.[4] Yearbook of the International Law Commission, 1961, II, p. 106.[5] Art. 231) Lo Stato di residenza può in ogni momento informare lo Stato d’invio che un funzionare consolare è persona non grata o che qualsiasi altro membro del personale consolare non è accettabile. Lo Stato di invio richiamerà la persona della quale si tratta oppure metterà fine alle sue funzioni nel posto consolare, secondo il caso;2) Se lo Stato di invio nega di eseguire o non eseguire in un termine ragionevole gli obblighi che gli spettano secondo il paragrafo 1 del presente articolo, lo Stato di residenza può, secondo il caso, ritirare l’exequatur alla persona della quale si tratta o cessare di considerarla un membro del personale consolare;3) Una persona nominata membro di un posto consolare può essere dichiarata non accettabile prima che arrivi sul territorio dello Stato di residenza o, se già vi si trovi, prima dell’entrata in funzione nel posto consolare. In tale caso, lo Stato di invio deve revocare la nomina;4) Nei casi di cui ai paragrafi 1 e 3 del presente articolo, lo Stato di residenza non è tenuto e comunicare allo Stato di invio le ragioni della sua risoluzione. [6] De Sena, Diritto Internazionale e Immunità Funzionale degli Organi Statali, Milano, 1996, p. 219 ss.
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